Il fatto
La Corte di Appello di Trieste ha confermato la sentenza emessa in primo grado con cui l’imputato è stato condannato per il reato di favoreggiamento aggravato ai sensi dell’art. 61 n. 9 c.p. per aver aiutato alcuni soggetti ad eludere le investigazioni dell’Autorità, dopo che le stesse avevano commesso il reato di ricettazione.
In particolare, la pubblica accusa ha sostenuto che l’imputato aveva suggerito agli indagati del reato di ricettazione di fornire false dichiarazioni all’Autorità Giudiziaria in merito alla detenzione dei timbri falsi, chiedendo, altresì, chi fosse il magistrato che seguiva le indagini al fine di influenzarne le decisioni. Inoltre egli avrebbe anche redatto scritti per memorie difensive riferendo di aver conoscenze presso gli organi inquirenti (personale della Guardia di Finanza) e che si sarebbe recato presso gli uffici della Procura per carpire notizie in merito ad una istanza di dissequestro avanzata da uno dei coindagati.
Le doglianze difensive
Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione eccependo l’inosservanza o erronea applicazione dell’art. 378 c.p., trattandosi di condotte compatibili con quelle del difensore, evidenziando che, nel caso di specie si sarebbe potuto ravvisare, tutt’al più, l’esercizio abusivo della professione di avvocato.
Infatti, a parere del difensore, l’istigazione di un fatto illecito, quale è quello del diritto a mentire, così come l’aver millantato autorevoli conoscenze, appaiono privi di rilevanza giuridica.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza di secondo grado non avendone condiviso le conclusioni della Corte di Appello alle varie censure sollevate dall’imputato.
Inoltre, la Suprema Corte ha affermato che il Giudice di merito non ha fatto neanche buon governo dei principi di diritto, costantemente enunciati dagli ermellini, che concernono il profilo oggettivo e soggettivo del reato di favoreggiamento personale.
Pertanto, si è reso necessario ribadire che <<non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo ritualmente preso visione di atti processuali dai quali emergano gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito, lo informi della possibilità che nei suoi confronti possa essere applicata una misura cautelare, atteso che la legittima acquisizione di notizie che possono interessare la posizione processuale dell’assistito ne rende legittima la rivelazione a quest’ultimo in virtù del rapporto di fiducia che intercorre tra professionista e cliente e che attiene al fisiologico esercizio del diritto di difesa; qualora, invece, l’acquisizione di notizie avvenga in maniera del tutto illegale – come nel caso di concorso nel delitto di rivelazione o di utilizzazione di segreti d’ufficio o nella fraudolenta presa visione o estrazione di copie di atti che devono rimanere segreti – si verifica una sorta di solidarietà anomala con l’imputato in virtù della quale l’aiuto del difensore è strumentale non già alla corretta, scrupolosa e lecita difesa ma alla elusione o deviazione delle investigazioni e, quindi, al turbamento della funzione giudiziaria rilevante ai sensi dell’art. 378 c.p.[1]>>
A ciò si aggiunga che l’imputato è libero di mentire per difendersi e il Giudice non è tenuto a prestare fede incondizionatamente alle sue dichiarazioni ma ad indagare al fine di accertare la verità. Pertanto, il suggerimento dato all’ imputato di rendere dichiarazioni mendaci al magistrato, mancando la idoneità a fuorviare l’attività giudiziaria, non integra gli estremi del reato di favoreggiamento personale.
Conclusione
La presente sentenza traccia una linea di demarcazione tra le condotte del difensore ritenute penalmente irrilevanti ai fini del favoreggiamento personale al proprio assistito e quelle che invece vengono considerate come espedienti utili a fuorviare l’attività giudiziaria e che, dunque, esondano il mandato difensivo.
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[1] Cass. pen., Sez. VI, n. 20813 del 18/05/2010, Valentino, Rv. 247349.
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