1. Premessa
Come noto, il diritto al riposo ed alle ferie annuali retribuite rappresenta uno dei diritti sociali fondamentali del cittadino/lavoratore comunitario. Esso è espressamente sancito all’art.31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa (meglio nota come Carta di Nizza) avente, per espressa previsione di cui all’art. 6 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europa (c.d. Trattato di Lisbona), la stessa efficacia giuridica dei Trattati. Tale diritto è riconosciuto ad ogni lavoratore dipendente e quindi a prescindere dalla tipologia contrattuale di impiego, dalla mansione e dalla qualifica. Mediante il suo esercizio si realizza il connesso diritto, di cui al comma 1 del medesimo art. 31 della Carta di Nizza, a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose. Ed in effetti, la principale funzione delle ferie, accanto alle esigenze di partecipazione alla vita familiare e sociale di cui all’art. 36, comma 3, della Cost., è, appunto, quella di consentire al dipendente di reintegrare le sue energie psico-fisiche. Di qui il generale divieto di monetizzazione espresso dall’ordinamento comunitario con l’art. 7, comma 2, della direttiva n.2003/88 e dall’ordinamento nazionale con l’art.10, comma 2, del d.lgs. n. 66/2003.
Esistono, tuttavia, casi eccezionali in cui, inevitabilmente, le ferie possono accumularsi nel tempo senza che vi sia modo di goderne (vedi la malattia). Stante il principio dell’irrinunciabilità delle ferie, dunque, in queste circostanze diventa necessaria la previsione inerente all’erogazione di una indennità sostitutiva. Nel nostro ordinamento, ad esempio, fanno eccezione al generale divieto di monetizzazione sopra detto: a) le ferie di settimane ulteriori rispetto alle quattro riconosciute dalle norme succitate; b) le ferie residue al momento della cessazione del rapporto di lavoro che avvenga in corso d’anno. È proprio su quest’ultima fattispecie che si intende concentrare l’attenzione di qui in avanti.
Il legislatore comunitario prevede espressamente al comma 2 dell’art. 7 della direttiva n.2003/88, più volte citata, che il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro. A questa disposizione, si sono, quindi, adeguati i vari legislatori nazionali riportando, chi più chi meno, pedissequamente tale espressione. Nella prassi, tuttavia, sono sorti numerosi dubbi circa la sua corretta interpretazione. In particolare, ci si è chiesti se, come nel caso concreto che si passa ad analizzare, possa rientrarvi o meno anche il decesso del lavoratore.
2. Il caso: la sentenza del 12 giugno 2014, Bollacke contro K+K Klass & Kock. Causa C-118/13.
La domanda di pronuncia pregiudiziale viene proposta dal Landesarbeitsgericht Hamm nell’ambito della controversia tra la sig.ra Bollacke e l’ex datore di lavoro del suo defunto marito, la K + K Klaas & Kock B.V. & Co. KG (in prosieguo: la «K + K»), in merito al diritto dell’interessata a percepire un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute dal sig. Bollacke al momento del decesso.
Accade, infatti, che il sig. Bollacke, dipendente della K+K dal 1° agosto 1998 al 19 novembre 2010 (data del suo decesso), aveva maturato ben 140,5 giorni di ferie non godute in quanto era stato lungamente e gravemente malato, risultando inabile al lavoro per oltre otto mesi nell’anno 2009 e per oltre 1 mese nell’anno 2010. La signora Bollocke, nominata erede universale dal marito, con lettera del 31 gennaio 2011, aveva, dunque, chiesto alla K + K un’indennità finanziaria a titolo dei suddetti giorni di ferie non godute. L’azienda respingeva la domanda dubitando del fatto che si trattasse di un diritto trasmissibile per via successoria. Anche il giudice di primo grado la respingeva con la motivazione che, secondo la giurisprudenza del Bundesarbeitsgericht (tribunale federale del lavoro), non sorgerebbe alcun diritto ad un’indennità finanziaria a titolo di ferie annuali non godute alla fine del rapporto di lavoro quando tale rapporto termini per decesso del lavoratore. Avverso questa sentenza viene proposto appello e il giudice del rinvio si interroga sulla fondatezza di detta giurisprudenza nazionale alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia relativa all’articolo 7 della direttiva 2003/88. Di qui, appunto, il Landesarbeitsgericht Hamm sospende il processo e sottopone alla Corte medesima tre questioni pregiudiziali.
Con la prima chiede se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE debba essere interpretato nel senso che osta a legislazioni o prassi nazionali, secondo le quali il diritto ad un periodo minimo di ferie retribuite si estingue integralmente in caso di decesso del lavoratore.
Con la seconda, domanda se la norma di cui sopra debba essere interpretata nel senso che il diritto ad un’indennità finanziaria per il periodo minimo di ferie retribuite, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, è collegato unicamente alla persona del lavoratore.
Infine, con la terza questione pregiudiziale si interroga la Corte circa l’onere datoriale di concedere
effettivamente le ferie al lavoratore fino alla fine dell’anno di calendario oppure al più tardi fino al decorso di un periodo stabilito per legge, anche a prescindere da una richiesta scritta ed espressa in tal senso da parte del lavoratore interessato.
Ebbene, per i giudici di Lussemburgo le tre questioni pregiudiziali possono essere ricondotte ad unità nella misura in cui si tratta di capire sostanzialmente se l’articolo 7 della direttiva 2003/88 consenta o meno a legislazioni o prassi nazionali (quali quelle di cui trattasi nel procedimento principale), di vedere estinto il diritto ad un’indennità finanziaria a titolo delle ferie non godute, quando il rapporto di lavoro termini per decesso del lavoratore.
Nel dover rispondere ad un siffatto quesito, la Corte ricorda in primo luogo che, secondo sua costante giurisprudenza, il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato come inderogabile da parte delle autorità nazionali competenti chiamate, eventualmente, ad intervenire in maniera differente rispetto alla previsioni comunitarie solo nei limiti esplicitamente indicati dalla stessa direttiva 93/104/CE del Consiglio, del 23 novembre 1993, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, codificata con la direttiva 2003/88. Non solo ma l’articolo 7 della direttiva 2003/88, per espressa previsione del legislatore comunitario, non rientra tra le disposizioni derogabili dal legislatore nazionale.
In secondo luogo, la Corte considera il diritto alle ferie annuali e quello all’ottenimento di un pagamento di una indennità a tale titolo, come due facce della stessa medaglia. Anche qui, dunque, essa richiama vari precedenti ove si era già sottolineato che il motivo per il quale si è sancito, in taluni casi, il diritto all’indennità risiede proprio nell’evitare di lasciare privo di tutele il dipendente impossibilitato, contro la sua volontà ed a causa della cessazione del rapporto di lavoro, a beneficiare delle ferie annuali retribuite, pur maturate. In questo contesto, si erano già ritenute non conformi all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 disposizioni e/o prassi nazionali che avevano escluso l’indennità sostitutiva quando il mancato godimento delle ferie fosse dipeso dalla malattia del dipendente implicante anche lunghi periodi di assenza dal lavoro per congedo .
Alla luce di tutto quanto sopra, pertanto, la Corte di giustizia ritiene, anche nel caso in esame, di non poter adottare una interpretazione restrittiva dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, a scapito dei diritti che i lavoratori traggono direttamente da questa norma.
Ergo, l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, come interpretato dalla Corte, non assoggetta il diritto ad un’indennità finanziaria ad alcuna altra condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui il rapporto è cessato.
D’altro canto, se l’obbligo di pagamento dell’indennità venisse meno quando la fine del rapporto di lavoro coincide con il decesso del lavoratore, ciò significherebbe che un avvenimento fortuito sarebbe in grado di far perdere con efficacia retroattiva il diritto stesso alle ferie annuali retribuite, quale sancito dall’articolo 7 della direttiva 2003/88.
3. Conclusioni
In conclusione, dunque, la Corte di Giustizia aggiunge oggi un altro importante tassello nell’interpretazione della direttiva 2003/88. Quest’ultima osta a leggi nazionali che fanno venir meno il diritto del lavoratore all’indennità sostitutiva delle ferie quando la cessazione del rapporto di lavoro è coincisa con la morte del dipendente. L’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 non assoggetta, infatti, per i giudici di Lussemburgo, il diritto ad un’indennità sostitutiva ad alcuna altra condizione se non la generica “cessazione del rapporto di lavoro”; né, tantomeno, il beneficio dell’indennità può essere subordinato all’esistenza di una previa domanda in tal senso presentata dal lavoratore.
In buona sostanza, il decesso del lavoratore, che pone fine al rapporto di lavoro, non dispensa il datore di lavoro del defunto dal pagamento verso gli eredi (nel caso concreto verso la moglie) dell’indennità a cui quest’ultimo avrebbe normalmente avuto diritto a titolo di ferie annuali retribuite non godute.
Nel nostro ordinamento giuridico, il diritto personale, inalienabile ed irrinunciabile alle ferie è espresso all’art.36, comma terzo, della Costituzione.
Di notevole importanza in tal senso è la pronuncia della Corte Cost. 22/5/01, n. 158, pres. Ruperto, est. Santosuosso, con la quale si è riconosciuto il diritto alle ferie anche al detenuto che presta la propria opera per l’amministrazione carceraria. Per commenti in dottrina di rinvia a Mannacio, Il diritto alle ferie del detenuto che lavora in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag.986. Sul fronte datoriale, l’obbligo di concedere ferie retribuite è posto in capo non solo alle imprese ma anche ai datori di lavoro individuali come accade, ad esempio, per il lavoro domestico.
Cfr. Cass. S.U. 23/2/98, n. 1947; Cass. S.U. 12/11/01, n. 14020, pres. Vela, est. Roselli, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 125; commentata da Muggia, Diritto alle ferie. Legato alla sola esistenza del rapporto di lavoro o come corrispettivo delle avvenute prestazioni lavorative?. in D&L 2002.
Cfr. in giurisprudenza, tra le altre, Cass. 25/9/2002, n. 13937, Pres. Sciarelli, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 347, con nota di Giuseppe Ludovico, Sul diritto alle ferie in caso di licenziamento legittimo; in Lav. nella giur. 2003, 173.
Sulla non automaticità dell’effetto sospensivo delle ferie a causa di una malattia insorta durante il godimento delle stesse e sulla conseguente necessità di una comunicazione tempestiva del lavoratore al datore per la trasformazione dell’assenza per ferie in assenza per malattia, si rinvia alla pronuncia della Corte di Cassazione 6/6/2006 n. 8016, Pres. Mileo rel. Stile. Per commenti sulla stessa, vedi in dottrina il contributo di Zavalloni D. in Il Lav. nella giur. 2006.
Cfr. in tal senso la recente sentenza della Cass. 9/7/2012 n. 11462, Pres. De Renzis Est. Toffoli, in D&L 2012, 810. In essa, in particolare, si afferma che: “ in relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche dall’art. 36 Cost. e dall’art. 7 della direttiva 2003/88/Ce, ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che ha, per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito dalla perdita di un bene al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è subordinato, e, per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, perché non solo è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, ma più specificatamente rappresenta il corrispettivo dell’attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe invece dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali, restando indifferente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato godimento delle stesse; ne consegue l’illegittimità, per contrasto con norme imperative, delle disposizioni dei contratti collettivi che escludano il diritto del lavoratore all’equivalente economico di periodi di ferie non goduti al momento della risoluzione del rapporto, salva l’ipotesi del lavoratore che abbia disatteso la specifica offerta della fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro”.
Ed infatti, per espressa previsione legale, (cfr. d.lgs. n. 66/2003), il lavoratore è tenuto ad usufruire di due settimane di ferie durante l’anno stesso di maturazione, mentre le altre due settimane deve comunque goderle entro i 18 mesi successivi rispetto al termine dell’anno in cui le ha maturate. Nulla, invece, si stabilisce circa le eventuali settimane in più riconosciute, come trattamento di miglior favore, dalla contrattazione collettiva, solitamente di livello aziendale.
Sono, inoltre, sempre monetizzate le ferie dei lavoratori a tempo determinato quando il relativo contratto sia di durata inferiore ad 1 anno ( cfr. Circolare Min. Lav. 3 marzo 2005, n.8 e Risposta ad interpello Min. Lav. 27 luglio 2005, prot. n. 2041).
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