L’importanza del carattere personale della fideiussione risalta la funzione di garanzia, promuovendo l’estensione del potere di aggressione patrimoniale del creditore, in quanto, si stipula un’obbligazione accessoria tra quest’ultimo e il fideiussore che garantisce ex ante con il suo patrimonio, per l’eventuale inadempimento ex art. 2740 c.c. del debitore.
Il negozio fideiussorio è causalmente diretto a rafforzare l’interesse del creditore all’attuazione del suo diritto attraverso l’estensione della garanzia patrimoniale anche ai beni del fideiussore, la cui obbligazione nei confronti del creditore è accessoria a quella del debitore principale. Pertanto, l’interesse del debitore è giuridicamente irrilevante e non sono necessari né il suo preventivo consenso né la sua accettazione, rimanendo comunque estraneo all’atto costitutivo della garanzia, tanto se quest’ultimo consista in un negozio unilaterale, quanto se consista in un contratto, il quale intercorre soltanto tra il creditore e il fideiussore.
È perciò evidente la sproporzione tra la funzione causale del negozio ed il mezzo tecnico utilizzato, in quanto il legislatore mette a disposizione del creditore un nuovo, pieno ed autonomo diritto di credito. Ciò spiega la ragione per cui, tutta la disciplina codicistica in materia sia intrisa da un favor fideiussionis piuttosto evidente che impone di interpretare tutte le disposizioni nel senso più favorevole al fideiussore, al fine di restringere la forbice che si è venuta a creare assegnando al creditore una situazione a lui così favorevole.
Le fonti
La fideiussione volontaria è quella più diffusa nella prassi, e nasce per effetto di un contratto che ha natura consensuale, intuitu personae; il perfezionamento del negozio si verifica perciò nel momento e nel luogo in cui la garanzia è a conoscenza del debitore.
Trovando in esso applicazione l’art. 1133 c.c., le parti di tale contratto sono quindi il fideiussore e il creditore, in quanto, la proposta assume i caratteri dell‘irrevocabilità nel momento stesso in cui giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.
Tuttavia, il debitore garantito viene ad essere parte del contratto fideiussorio, laddove la garanzia sia oggetto di un contratto con lui concluso dal fideiussore a favore del creditore; non è invece parte del contratto se si limita ad intervenire nel contratto medesimo tra il fideiussore ed il creditore come destinatario di un vantaggio che costui gli ha accordato per l’obbligo di un corrispettivo che assume verso il fideiussore.
La natura onerosa o gratuita del contratto fideiussorio, dipende esclusivamente dall’interesse concreto che ha spinto il fideiussore ad assumere la garanzia; che potrebbe consistere nell’esigenza di realizzare un guadagno o un profitto, in caso di contratto a titolo gratuito, invece, non vi è alcun interesse di carattere speculativo. Si tratta, quindi, di un contratto “incolore” in cui le parti hanno ampia libertà; inoltre, non può essere considerato un contratto aleatorio, poiché il fideiussore è titolare delle azioni di regresso e di surrogazione, che gli consentono di rivalersi della perdita subita.
Dal punto di vista formale è, inoltre, un contratto a forma libera, che dunque non richiede particolari formalità, pur trattandosi di un atto che eccede l’ordinaria amministrazione; non è richiesta la forma scritta, né ad probationem né ad substantiam; non sussiste alcun vincolo di accessorietà tra la forma della fideiussione e quella dell’obbligazione garantita. Il principio di accessorietà, di cui all’art. 1939 c.c., riguarda, infatti, esclusivamente il rapporto di natura sostanziale, senza alcun riferimento alla forma.
Vi sono poi delle fonti meno comuni, di quella volontaria. La fonte legale, obbliga l’assunzione dell’obbligazione fideiussoria in determinati casi (mandato di credito ex art. 1958 c.c.), e al verificarsi di alcune fattispecie per l’esistenza di interessi pubblici economici. Oltre a queste, la fideiussione può trovare la sua fonte in un provvedimento giurisdizionale (art. 119 c.p.c.); rappresenta una fonte mediata poiché l’obbligazione fideiussoria, è prodotta da un comando del giudice conseguente all’attuazione di una previsione di legge o dalla volontà privata.
Solidarietà e beneficio di escussione
Ai sensi dell’art. 1944 c.c., il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale al pagamento del debito affermando perciò, la natura jsolidale dell’obbligazione fideiussoria.
La solidarietà fideiussoria osserva uno schema astratto che comprende ogni ipotesi in cui più debitori sono tenuti in solido, all’adempimento del debito, di modo che l’adempimento di uno libera anche gli altri; si tratta, pertanto, di una solidarietà piuttosto anomala, o meglio imperfetta. Infatti, nella solidarietà fideiussoria è del tutto evidente che l’adempimento dell’obbligazione da parte del fideiussore, grava sul debitore garantito ed è altrettanto evidente il carattere accessorio di un’obbligazione rispetto all’altra.
Il beneficium excussionis viene introdotto con un patto privo di formalità: può essere contenuto all’interno del contratto di fideiussione, ma può anche essere distinto. Può inoltre essere stipulato verbalmente ovvero per iscritto, dove per effetto di quest’ultimo trovano applicazione gli artt. 2722 e 2723 c.c..
Esso, non rappresenta comunque l’unico strumento per paralizzare la solidarietà fideiussoria, considerato che le parti ben potrebbero convenire il beneficio della divisione.
Il fideiussore che ha intenzione di avvalersi del beneficio di escussione è tenuto ad indicare i beni del debitore principale che possono essere oggetto di esecuzione; non è necessario comunque che tali beni siano sufficienti a soddisfare tutto il credito che deve essere pagato. Il creditore, infatti, anche nel caso in cui i beni del debitore non siano sufficienti a soddisfare tutto il proprio credito, è comunque tenuto a rivalersi prima su questi, per poi eventualmente aggredire i beni del fideiussore, relativamente a quella parte del credito che deve essere ancora soddisfatta.
La confideiussione
Dal combinato disposto degli artt. 1946 c.c. e 1947 c.c., si evince che l’istituto della confideiussione, la quale ricorre nel momento in cui più soggetti prestano una fideiussione, anche se non contemporaneamente, essendo reciprocamente a conoscenza dell’esistenza della garanzia altrui e con la volontà di gestire in maniera congiunta lo stesso debito oltre che, ovviamente, lo stesso debitore.
Si caratterizza, quindi, come un insieme di vincoli di garanzia, relativi alla medesima obbligazione e tra loro collegati da un interesse comune che determina l’obbligazione confideiussoria per l’intero e, in definitiva, la divisione del debito tra i coobbligati in virtù del diritto di regresso previsto dall’art. 1954 c.c., non applicabile invece nella differente figura detta cosiddetta fideiussione plurima, ovverosia nell’ipotesi di distinte fideiussioni prestate da diversi soggetti in tempi successivi e con atti separati, senza alcuna manifestazione di reciproca consapevolezza tra fideiussori o al contrario con espressa convenzione con il creditore di mantenere differenziata la propria obbligazione da quella degli altri, e, in ogni caso, in assenza di un collegamento correlato ad un interesse comune dei cogaranti.
La confideiussione deve essere distinta dall’ipotesi, prevista dall’art. 1940 c.c.: della fideiussione della fideiussione. In tal caso, infatti, il suddetto collegamento non si verifica, e ad essere diverso è anche l’oggetto stesso dell’obbligazione; la fideiussione della fideiussione, infatti, nota anche come “fideiussione di secondo grado”, ha ad oggetto il debito di un altro fideiussore, e non del debitore garantito. Nel caso della confideiussione, diversamente, tutte le fideiussioni hanno ad oggetto il debito del debitore principale, quindi hanno lo stesso oggetto; ne deriva che non si ha, pertanto, confideiussione bensì distinte e individuali obbligazioni fideiussorie nel caso in cui più persone assumono rispettivamente la garanzia per uno stesso debito e per uno stesso debitore ignorando, però, ciascuno l’assunzione dell’obbligazione da parte degli altri.
Il principio di accessorietà
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, l’obbligazione assunta ai sensi dell’art. 1936 c.c. ha natura accessoria e la posizione del fideiussore si assimila, per precisa esplicazione dell’art. 1944 c.c., a quella del coobbligato in solido col debitore principale al pagamento del debito.
Peraltro, non sussistono cause di estinzione dell’obbligazione fideiussoria diverse da quelle contemplate dal codice civile, comprendente l’ipotesi della scadenza della obbligazione principale di cui all’art. 1957 c.c. e ne discende che nessuna decadenza esiste ed è opponibile al creditore e che deve essere convenuta dalle parti dovendo loro stabilire il dovere di esercitare il diritto entro un dato termine, pena decadenza.
Inoltre, nel caso in cui non sia stato pattuito il beneficium excussionis, il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale e non può essere considerata un‘obbligazione sussidiaria o eventuale. Ne consegue l’applicabilità della disposizione, prevista per le obbligazioni in solido, di cui all’art. 1310 cod. civ., per la quale l’atto interruttivo contro uno dei condebitori in solido determina l’interruzione permanente della prescrizione anche nei confronti dei condebitori.
La fideiussione ha un carattere accessorio generale: ciò si desume agevolmente dall’art. 1939 c.c., secondo il quale la fideiussione non è valida se non è valida l’obbligazione principale, salvo che sia prestata per un’obbligazione assunta da un incapace; in ragione del carattere di accessorietà della garanzia fideiussoria all’obbligazione principale, l’invalidità di quest’ultima produce i suoi effetti sulla fideiussione medesima.
Quanto alla validità di una eventuale clausola di sopravvivenza, ossia una clausola per effetto della quale la fideiussione venga resa una obbligazione autonoma ed indipendente rispetto all’obbligazione principale, essa non è valida e deve essere considerata come non apposta; detta clausola è da considerarsi del tutto incompatibile col negozio tipico di fideiussione, in considerazione della natura accessoria di quest’ultimo, che non può considerarsi, quindi, valido se l’obbligazione principale è nulla.
Laddove si sia verificata una vera e propria novazione del debito, il fideiussore è liberato, a meno che egli, espressamente, non dichiari di voler prestare garanzia anche per la nuova obbligazione. Non sembra invece decisiva, in tal senso, una mera rinuncia preventiva all’estinzione.
Estinzione
Tra le varie cause di estinzione della fideiussione troviamo l’adempimento del debito principale, ossia un’estinzione naturale dell’obbligazione. Esso è idoneo a far venire meno la fideiussione solo ed esclusivamente se la somma pagata può essere imputata al debito oppure ad una parte del debito garantito.
Un problema relativo all’imputazione si può porre sia nel caso in cui il debitore abbia contratto più debiti nei confronti del creditore al quale fu data la garanzia, sia laddove l’unico suo debito sia stato garantito solo in parte: in tale ipotesi, infatti, in assenza di una diversa dichiarazione da parte del debitore, il pagamento ai sensi dell’art. 1193 c.c., deve necessariamente essere riferito al debito oppure alla parte di debito che risulta essere del tutto priva di garanzia.
E’ necessario sottolineare che la novazione oggettiva dell’obbligazione garantita comporta l’estinzione della fideiussione e non estingue il pagamento del terzo, nel caso in cui la legge o il contratto gli consentano la surrogazione nei diritti del creditore verso il fideiussore.
La fideiussione, altresì, si estingue anche in virtù di cause che agiscono direttamente sul rapporto fideiussorio, che il codice civile distingue in tre diverse e particolari ipotesi, contenute negli artt. 1955, 1956 e 1957 c.c.
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Ricercatore e critico dei sistemi di soluzione delle controversie alternativi al giudizio ha preso parte a numerosi convegni e gruppi di lavoro in tema di alternative dispute resolution.Paola VenturaAvvocato mediatrice familiare e civile; è formata alla Pratica Collaborativa, nonché al metodo della Coordinazione Genitoriale. All’interno dello Studio Legale LA SCALA S.T.A.P.A. (di cui è fondatrice), svolge attività professionale nell’ambito del diritto di famiglia, family office e quale esperta ADR in generale. Da oltre vent’anni si occupa di gestione del conflitto, di mediazione e A.D.R., sia come mediatore che come formatore. È docente accreditato al Ministero di Giustizia per la formazione dei mediatori ai sensi del DM 180/10. È membro del comitato scientifico dell’Associazione dei professionisti collaborativi – AIADC. Ha svolto attività di formazione per numerosi enti (Università e Associazioni Forensi) nell’ambito della mediazione civile e familiare, e, più in generale degli strumenti ADR.Marzia BrusaPsicologa Esperta in Psicologia Giuridica. Consulente Tecnico d’Ufficio per il Tribunale di Varese e Consulente Tecnico di Parte sul territorio nazionale. Formata al metodo della Coordinazione Genitoriale. Socio fondatore dell’Associazione Italiana Coordinatori Genitoriali e membro del Consiglio Direttivo. Ha esperienza decennale all’interno dei Servizi Tutela Minori, dove ha gestito casi di famiglie con minori su provvedimento dell’Autorità Giudiziaria in ambito civile e penale. È una delle socie fondatrici dello studio Teseo – Centro di Consulenza per la Famiglia, dove lavora in collaborazione ad altre figure professionali (sociali, psicologiche e legali) per la presa in carico integrata dei nuclei familiari in situazioni di crisi. 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