Quando i flussi reddituali, attuali e prospettici, e il patrimonio di cui si dispone non sono sufficienti a fornire adeguate garanzie circa l’esatto adempimento delle obbligazioni che si intendono assumere, non di rado, il creditore chiede l’intervento di un fideiussore per sbloccare una situazione altrimenti di empasse.
Ma cos’è la fideiussione?
Indice
1. Inquadramento generale
Con la fideiussione, ai sensi dell’art. 1936 c.c., il terzo fideiussore “obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui”.
Si tratta di un contratto consensuale, a forma libera, che richiede l’accordo del creditore, ma non anche quello del debitore garantito. E infatti, “la fideiussione è efficace anche se il debitore non ne ha conoscenza” (art. 1936 c.c., secondo comma).
Poiché serve a garantire l’adempimento di un’obbligazione altrui, la fideiussione, per definizione, ha carattere “accessorio”, nel senso che essa in tanto può svolgere la propria funzione di garanzia fin tanto che esiste il debito garantito.
Da ciò discendono tre importanti corollari normativi:
Ø il primo subordina la validità della fideiussione alla validità dell’obbligazione principale (art. 1939 c.c.);
Ø il secondo stabilisce che “il fideiussore è obbligato in solido con il debitore principale al pagamento del debito” (art. 1944 c.c.);
Ø il terzo prevede la possibilità per il fideiussore di “opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salvo quella derivante dall’incapacità” (art. 1945 c.c.).
Naturalmente, il fideiussore che ha pagato ha diritto di regresso nei confronti del debitore principale (art. 1950 c.c.), anche ove, per ipotesi, il debitore principale non fosse stato a conoscenza della prestazione della garanzia fideiussoria.
Per poter azionare validamente il regresso, tuttavia, il fideiussore deve rispettare le cautele previste dall’art. 1952 c.c., il quale stabilisce che il fideiussore non ha regresso contro il debitore principale se, avendo omesso di comunicare a quest’ultimo il pagamento effettuato, il debitore principale, successivamente, effettui a sua volta il pagamento. Mentre, sempre a mente dell’art. 1952 c.c., “se il fideiussore ha pagato senza averne dato avviso al debitore principale, questi può opporgli le eccezioni che avrebbe potuto opporre al creditore principale all’atto del pagamento”.
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2. Il contratto autonomo di garanzia
Tuttavia, il carattere accessorio della fideiussione non è, per così dire, assoluto.
Esso, infatti, può essere superato dalla volontà negoziale delle parti, in quanto al creditore può essere riconosciuto il diritto a vedersi opposte eccezioni solo dopo che sia stato effettuato a suo favore il pagamento garantito (è la cosiddetta clausola del solve et repete) o, addirittura, a non vedersi opposta alcuna eccezione, né prima né dopo il pagamento, nel quale ultimo caso il contratto di fideiussione finisce per qualificarsi alla stregua di un contratto autonomo di garanzia.
Il contratto autonomo di garanzia fa, dunque, venire meno il carattere accessorio della fideiussione rispetto all’obbligazione garantita e, secondo la S.C. (Cass. civ., 22 novembre 2018, n. 30181), “ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale (…) contrariamente al contratto del fideiussore (…)”.
In altri termini, il contratto autonomo di garanzia ha quale sua causa concreta quella di trasferire dal creditore al fideiussore il rischio del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale. Cosicché, prosegue la Suprema Corte con l’ordinanza poc’anzi richiamata, “mentre il fideiussore è un vicario del debitore, l’obbligazione del garante autonomo si pone in via del tutto autonoma rispetto all’obbligo primario di prestazione, essendo qualitativamente diversa da quella garantita, perché non necessariamente sovrapponibile ad essa e non rivolta all’adempimento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore”.
E proprio perché il garante autonomo non è un “vicario” del fideiussore, si realizza con il contratto autonomo di garanzia una deroga a quanto previsto dall’art. 1945 c.c., nel senso che il garante autonomo non potrà opporre contro il creditore tutte le eccezioni che sarebbero spettate al debitore principale.
3. Liberazione del fideiussore
Il codice civile prevede due ipotesi principali per la liberazione del fideiussore.
In primo luogo, il fideiussore è liberato e la fideiussione si estingue quando, per fatto del creditore, non può avere effetto la surrogazione del fideiussore nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore (art. 1955 c.c.).
In secondo luogo, stabilisce l’art. 1956 c.c. che “il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”.
Vi è poi la possibilità per il fideiussore di essere liberato quando, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, il creditore non abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia diligentemente continuate entro sei mesi o nel più breve termine di due mesi, nel caso in cui il fideiussore abbia espressamente fissato come termine di scadenza per il proprio impegno lo stesso termine di scadenza dell’obbligazione principale (art. 1957 c.c.).
4. Liberazione del fideiussore per obbligazione futura
Particolarmente interessante è il caso rappresentato dalla liberazione del fideiussore per obbligazione futura.
Come si è visto, ciò è possibile nel caso in cui il creditore, in mancanza di espressa autorizzazione del fideiussore, abbia fatto credito al terzo garantito sapendo che il deterioramento delle condizioni patrimoniali dello stesso, nel frattempo intervenuto, avrebbe reso più difficoltoso il soddisfacimento del credito.
L’art. 1956 c.c., dunque, fissa, per così dire, un prima e un dopo, un lasso temporale che deve intercorrere tra il momento in cui viene prestata la fideiussione e il momento in cui, verificatosi un notevole peggioramento della situazione patrimoniale del terzo garantito, il creditore, avendone cognizione e senza espressa autorizzazione del fideiussore, ha fatto a quest’ultimo credito.
Se, viceversa, le condizioni patrimoniali del debitore erano già tali da far presumere il difficile soddisfacimento del credito all’atto della prestazione della fideiussione, nessuna liberazione ex art. 1956 c.c. potrà essere invocata dal fideiussore che, dunque, dovrà sopportare le eventuali conseguenze negative (escussione e successivo pagamento) derivanti dal suo atto.
Ma quando le condizioni patrimoniali del debitore diventano tali “da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”?
Innanzitutto, non è necessario che a tale scopo il debitore si trovi in stato di insolvenza.
Per contro, però, il deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore deve essere di gravità tale da far presumere che l’insolvenza, intesa come impossibilità ad adempiere, possa ragionevolmente sopravvenire.
Da ciò discende che gli indicatori di aggravamento di rischio devono essere solidi e, quando lo siano, tali da indurre il creditore non solo a richiedere al fideiussore la “speciale autorizzazione” prevista dall’art. 1956 c.c., ove comunque intenda far credito o continuare a far credito al terzo garantito, ma anche, nel caso in cui non voglia proseguire su tale ultima strada, ad azionare ogni possibile strumento di autotutela volto ad evitare esposizioni di rischio o a congelarne l’ammontare, quando già in essere, a difesa dei propri interessi e di quelli del fideiussore.
Così almeno si è espressa la S.C. sin dal 2010, quando con sentenza ha affermato che “se, nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice, la quale disponga di strumenti di autotutela che le consentano di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l’esposizione debitoria, è tenuta ad avvalersi di quegli strumenti anche a tutela dell’interesse del fideiussore inconsapevole, alla stregua del principio cui si ispira l’art. 1956 c.c., se non vuole perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente, a meno che il fideiussore manifesti la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia” (Cass. civ., 22 ottobre 2010, n. 21730).
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