Fine greenpass mai?

Il dpcm del 02 marzo 2022 prevede che il greenpass rilasciato a seguito del booster – ma non anche per avvenuta guarigione – duri 540 giorni, prorogabili automaticamente per un analogo periodo.

Indice:

  1. Il DPCM del 02 marzo 2022 e la validità del booster in 540 giorni rinnovabili
  2. Discrasie
  3. Conclusioni

Il DPCM del 02 marzo 2022 e la validità del booster in 540 giorni rinnovabili

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 53 del 4 marzo 2022 è stato pubblicato il Dpcm del 02 marzo, recante “Aggiornamento delle modalità di verifica dell’obbligo vaccinale e del green pass.”, il cui art. 1, rubricato “Modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021” recita “b) all’art. 8, dopo il comma 4, è aggiunto il seguente:  «4 bis. In caso di somministrazione della dose di richiamo, successivo al ciclo vaccinale primario, la certificazione verde COVID-19 ha una validità tecnica, collegata alla scadenza del sigillo elettronico qualificato, al massimo di cinquecentoquaranta giorni. Prima di detta scadenza, senza necessità di ulteriori dosi di richiamo, la PN-DGC emette una nuova certificazione verde CO- VID-19 con validità tecnica di ulteriori cinquecentoquaranta giorni, dandone comunicazione all’intestatario.».

Quindi, in caso di somministrazione della dose booster, la validità del Green Pass durerà per un anno e mezzo; prima di questa scadenza, il Green Pass si rinnoverà automaticamente per un analogo periodo, per un totale di tre anni, ergo fino al 2025.

Una previsione che, però, sulla base delle leggi vigenti, non ha senso di esistere.

La L. 4 marzo 2022, n. 18 di conversione del D.L. 1/2022 che introduce l’obbligo vaccinale per gli over 50, pone quale termine ultimo il 15 giugno 2022, e ciò, nonostante la L. n. 11 del 18 febbraio 2022 di conversione del D.L. n. 221 del 24 dicembre 2021 ponga la cessazione dello stato di emergenza allo scadere del 31 marzo 2022, così generando una discrasia inconciliabile sia tra le due norme citate che tra la disciplina legislativa e il dpcm emanato.

Non solo: un siffatto rinnovo appare a maggior ragione inspiegabile alla luce della proposta della Commissione europea annunciata appena un mese fa dal portavoce Christian Wigand di “estendere di un anno il certificato Covid digitale dell’Ue” – il  c.d. Green pass – “fino al 30 giugno 2023”.


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Discrasie

Se, infatti, la stessa UE pone quale scadenza il 2023, non vi è alcuna ragione per mantenere in vita per ulteriori due anni uno strumento che molti paesi hanno già abbandonato (Regno Unito, Irlanda, Danimarca, Norvegia, Slovenia, Svezia, Paesi Bassi, Lituania, Svizzera, Austria, Francia, Israele, New York, New Jersey, California).

Simile decisione sembra, dunque, sprovvista di un supporto scientifico.

Innanzitutto, da un punto di vista logico e critico, laddove le regole cambiano a seconda delle coordinate geografiche, non può parlarsi di scienza; in secondo luogo, nessun dato medico ad oggi disponibile conforta la tesi di una copertura totale del c.d. booster, né – tantomeno – della necessità di conservazione delle attuali restrizioni ed imposizioni. Anzi, gli studi effettuati dimostrano e comprovano che anche la terza somministrazione – successiva al ciclo vaccinale primario – è destinata a scemare la sua efficacia dopo pochi mesi, al pari delle precedenti.

I continui aumenti e l’altalena di contagi è la prova tangibile del naufragio dell’immunità perpetua.

Di perpetuo vi è, invece, solo l’incertezza e la paura di contrarre il virus da un lato; e il greenpass dall’altro. Un certificato vaccinale sine die, un “fine pena mai”.

Tale situazione incrementa, inoltre, il divario tra i cittadini che hanno ricevuto solo due dosi (o completato il ciclo vaccinale) e coloro che si sono sottoposti alla terza inoculazione (prevista per la generalità della popolazione solo da novembre 2021, con la circolare del 25.11.2021 ed esclusa dallo stesso Ministero della Salute solo pochi mesi prima), dal momento che per i primi, la scadenza del green pass è stata ridotta, a seguito del Decreto Legge n. 221/2021, a 6 mesi, mentre per i secondi lo stesso certificato medico avrà una durata sei volte superiore (e, nei fatti, illimitata e non è esclusa che diventi infinita, ad vitam aeternam).

Ma vi è di più: nonostante la legge parli di “sei mesi”, nella realtà, la scadenza programmata è fissata nel minor termine di 180 giorni. Come specificato nelle FAQ del sito ufficiale del Governo, è presente la  seguente dicitura: In quanto tempo viene generata e per quanto tempo è valida la Certificazione? Il tempo di emissione e la durata della Certificazione variano a seconda della prestazione sanitaria a cui sono collegati. In caso di vaccinazione: per la prima dose la Certificazione sarà generata entro 48 ore dopo la somministrazione, ma avrà validità a partire dal 15° giorno dalla prima dose e fino alla dose successiva; per la dose di completamento del ciclo vaccinale primario e vaccinazione a seguito di guarigione, la Certificazione sarà generata entro 48 ore e sarà valida per 6 mesi (180 giorni) dalla data di vaccinazione; per la dose di richiamo (booster) la Certificazione sarà generata entro 48 ore e ha efficacia senza necessità di nuove vaccinazioni. … Nei casi di tampone negativo la Certificazione sarà generata in poche ore e avrà validità di: 48 ore dall’ora del prelievo in caso di test antigenico rapido; 72 ore dall’ora del prelievo in caso di test molecolare.

In altre parole, si assiste ad una ancor minore validità che non sarà più di sei mesi esatti dall’ultima dose, ma di (soli) 180 giorni. Una differenza che, nel mondo giuridico è tutt’altro che di poco conto, giacché è di facile intuizione che, per un certificato redatto, ad es. il 20.08.2021, i 180 giorni scadranno il 16.02.2022, e non il 20.02.2022, registrando, così, un’ulteriore anomalia tra la norma ed i fatti.

Conclusioni

Tale risultato ha quale principale conseguenza quella di indurre la quasi totalità dei cittadini a porsi in regola con le iniezioni, subendo le dosi che ogniqualvolta saranno prescritte.

Un effetto che stride con i più elementari principi costituzionali, e che ha dato vita ad esposti e diffide da parte di moltissimi legali (segnalazione ex art. 144 del D. lgs. 196/2003 al Garante per la protezione dei dati personali; diffida indirizzata alla Presidenza del Consiglio, alle Regioni, ai Comuni, alla Fipe, a Confcommercio e alla Federalberghi da parte degli avvocati dell’Unione per le Cure, i Diritti e le Libertà; diffida all’Aifa da parte dell’Associazione Avvocati Liberi) che sollecitano una attenta riflessione sul tema. Al contempo, unitamente alle sentenze che riscontrano dubbi di proporzionalità e irragionevole discriminazione, non si ignori che:

– come accuratamente evidenziato nel documento presentato dall’Avv. Renate Holzeisen alla Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica Italiana del 21 gennaio 2022, gli attuali vaccini Covid sono autorizzati in via condizionata “espressamente contemplata dall’articolo 4 del regolamento della Commissione n. 507/2006/CE” – come confermato dal TAR Lombardia con le sentenze n. 109/2022, 140 e 141/2022. Si tratta di uno speciale iter che regola a livello comunitario l’immissione sul mercato di farmaci per i quali “non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia del medicinale” e per i quali, pertanto, non sono terminati gli studi clinici, e per i quali l’autorizzazione è concessa soltanto in via provvisoria limitata ad un anno (prorogabile);

– l’imposizione coinvolge anche gli ultradodicenni, e dunque gli individui in fase di crescita e sviluppo, sui quali l’introduzione di farmaci e vaccini possono comportare correlazioni ancora non studiate e approfondite; e i bambini nella fascia da 5 a 11 anni, ossia i soggetti più vulnerabili, tutelati da convenzioni internazionali, ed in particolare la Convenzione sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 27 maggio 1991, il cui art. 2 impone che “Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.”, e all’art. 3 rammenta “l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.”.

Di fronte a tali dati, la nascita ed il diffondersi di molteplici orientamenti sulla materia, che, per l’assoluta novità, si pone come un campo minato inesplorato, costituiscono sicuramente una ricchezza ed un’occasione di confronto per l’intero panorama attuale, che coinvolge non solo gli operatori del diritto ma ogni singolo cittadino.

Cristina Malavolta

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