A seguito di una separazione o di un divorzio, come spesso accade, i rapporti tra gli ex coniugi non risultano certo idilliaci ed uno dei principali motivi di contrasto riguarda la definizione degli aspetti economici.
Tanto è vero che il contenzioso in materia è estremamente corposo e spazia dall’assegnazione della casa coniugale, all’assegno di mantenimento, fino a sfociare in problematiche di carattere penale.
La Suprema Corte di Cassazione, con tre recentissime sentenze, ha affrontato proprio questi aspetti.
Interessante il caso sottoposto alla attenzione della IV sezione civile della Corte di Cassazione, risolto con l’ordinanza n. 225, dell’11.01.2016, in materia di onere della prova in relazione ai redditi percepiti dai coniugi.
La questione atteneva a due ex coniugi – uno dei quali aveva iniziato una nuova stabile convivenza – a cui il giudice di primo grado aveva chiesto conto in merito all’effettiva consistenza patrimoniale, anche con la produzione degli estratti conto bancari, al fine di eventualmente prevedere e determinare l’assegno di mantenimento in favore del coniuge meno abbiente.
Sta di fatto che proprio il coniuge che nel frattempo si era creato una nuova famiglia, non ottemperava all’ordine del giudice, così impedendo all’altro coniuge che – nel frattempo aveva diligentemente prodotto tutta la documentazione richiesta – di poter compiutamente approntare e calibrare le proprie difese, anche in virtù dell’esatta conoscenza del patrimonio dell’ex coniuge.
La Suprema Corte, oltre a ricordare il proprio precedente per cui: “L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo”, circostanza che escluderebbe alla radice qualsivoglia obbligo di mantenimento a carico dell’altro coniuge, evidenzia come in caso di mancato ottemperamento ad un ordine del giudice, tale comportamento risulta foriero di determinate conseguenze.
Ed invero, sottolinea la Corte, errata si appalesa la mancata valutazione in merito alla mancata reciproca “discovery” delle risultanze probatorie, alla luce della circostanza per la quale solo uno dei coniugi onerati aveva ottemperato ad una richiesta giudiziale senza dubbio rivolta ad entrambe le parti in causa.
Tanto è vero, sottolinea la Suprema Corte, che: “pur avendo il giudice, al riguardo, poteri discrezionali, va ricordato che l’inosservanza dell’ordine di esibizione di documenti integra un comportamento dal quale il giudice può desumere argomenti di prova a norma dell’art. 116, comma secondo, cod. proc. civ. … quando la richiesta è di tipo simmetrico e rivolta ad entrambe le parti, un tale comportamento risulta neutro ove le medesime abbiano osservato lo stesso contegno (positivo o negativo) ma non quando una abbia lealmente eseguito la richiesta e l’altra no”.
Ciò posto, ferma restando la discrezionalità del giudicante, lo stesso, tuttavia, qualora decida di utilizzare la documentazione fornita “lealmente” dalla parte diligente, deve anche rigorosamente motivare come intenda valutare il comportamento della parte che non ha adempiuto al suo ordine (“comportamento negativo”), pena il difetto di motivazione.
Conclude pertanto la Corte enunciando il seguente principio: “In tema di prova in ordine alla capacità reddito-patrimoniale dei coniugi nei giudizi di separazione e divorzio, ove il giudice abbia chiesto ad entrambe le parti l’esibizione della documentazione relativa ai rapporti bancari da ciascuna intrattenuti, ed una sola di essi abbia ottemperato alla richiesta fornendo materia per gli accertamenti giudiziali, il giudice che di essi abbia fatto uso ha l’obbligo di motivare in ordine al significato del comportamento omissivo della parte inottemperante, costituendo l’asimmetria comportamentale ed informativa un comportamento da cui desumersi argomenti di prova a norma dell’art. 116, comma secondo, cod. proc. civ.” (Cass. civ., Sez. IV, 11.01.2016, n. 225).
Entrando nel merito della congruità dell’assegno di mantenimento e della sua determinazione, risulta pacifico che ciò debba essere valutato sulla scorta della consistenza patrimoniale di entrambi i coniugi, nella quale rientra a pieno titolo anche l’eventuale patrimonio immobiliare.
Tuttavia, una cosa è la proprietà di una abitazione, un’altra è la mera disponibilità di un appartamento, sia essa dovuta a titolo di amicizia, cortesia ovvero in virtù di una occupazione di fatto.
Tanto ha stabilito la Corte di Cassazione, VI sezione civile, con l’ordinanza n. 223, dell’11.01.2016.
A seguito della sentenza di primo grado di scioglimento degli effetti civili del matrimonio concordatario e la previsione dell’obbligo, a carico di uno dei due coniugi, di versare in favore di quello meno abbiente un assegno di mantenimento, dopo il rigetto dell’appello, il coniuge gravato dell’obbligo di versamento dell’assegno divorzile proponeva ricorso per cassazione, in virtù della presunta mancata verifica delle condizioni patrimoniali del coniuge beneficiario.
In particolare, il coniuge ricorrente eccepiva che il giudice di secondo grado, al pari di quello del primo, non avrebbe tenuto conto della circostanza relativa alla disponibilità di un appartamento in capo all’altro coniuge, circostanza che, a suo dire, avrebbe comportato una diversa quantificazione, al ribasso, dell’assegno di mantenimento di cui era stato onerato.
Di contrario avviso la Suprema Corte, la quale, dopo aver premesso che il dedotto motivo di appello comporta, essenzialmente, un non consentito riesame delle risultanze processuali sotto forma di una diversa valutazione delle stesse, richiesta inammissibile in sede di giudizio di legittimità, tuttavia, non disdegna di entrare nel merito e respingere il ricorso anche sotto tale aspetto.
Riferisce il Collegio come: “nell’impianto motivazionale della decisione impugnata, non risulta trascuratezza decisiva la presunta occupazione di fatto di un immobile da parte intimata, atteso che una tale situazione – ove anche esistente e, quindi, in ipotesi, pienamente provata – va considerata precaria e come tale facilmente risolubile da parte dell’avente diritto con gli ordinari strumenti volti a recuperarne il possesso o la detenzione”.
A tal proposito, infatti, la misura dell’assegno in favore del coniuge più debole, non può tener conto di circostanze precarie, che per loro natura possono venir meno in tempi anche brevi.
Peraltro, riferisce la Corte, anche il sopraggiungere di nuove relazione e filiazioni del coniuge obbligato, non possono comportare diminuzione del dovere di contribuzione posto a suo carico.
Con ciò conclude la Corte, con riferimento all’occupazione di fatto di un immobile da parte dell’ex moglie: “la valutazione di una tale utilità fuoriesce dall’ambito valutativo proprio dei valori legalmente posseduti da ciascuno dei coniugi, rimanendo la difficoltà di liberazione dell’immobile da parte del proprietario un dato di fatto estraneo alla ponderazione delle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali” (Cass. civ., VI Sez., 11.01.2016, n. 223).
Ancora di recente la Suprema Corte, si è occupata anche dal punto di vista penalistico di una questione abbastanza frequente, vale a dire la violazione dell’obbligo del versamento dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge beneficiario.
La legge 1 dicembre 1970, n. 898, disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, e prevede che il tribunale stabilisca a carico del coniuge non affidatario, tra l’altro, la modalità e la misura di contribuzione al mantenimento dei figli, con la corresponsione di assegno di mantenimento, nonché il criterio di adeguamento automatico dello stesso (art. 5).
Inoltre, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in virtù delle condizioni patrimoniali dei coniugi, nonché delle ragioni della decisione, può disporre l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente, a favore dell’altro, un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive, indicando il criterio di adeguamento automatico del predetto assegno, che deve essere almeno parametrato agli indici di svalutazione monetari (art. 6).
L’art. 12-sexies della predetta legge, dispone quindi che: “Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale”.
Vale a dire la reclusione fino a un anno o la multa da Euro 103,00 a Euro 1.032,00 (art. 570 c.p.).
La Corte di Cassazione, VI sezione penale, con la sentenza n. 525, dell’8.01.2016, chiarisce quando ricorrono i presupposti per l’applicabilità dell’art. 12-sexies della L. 898/1970 ovvero quelli per l’applicabilità dell’art. 570 c.p., che prevede e punisce la diversa fattispecie relativa alla violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Ed invero, chiarisce la Corte: “ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui all’art. 12-sexies L. n. 898/1970 è sufficiente dimostrare la volontaria sottrazione all’obbligo di corresponsione dell’assegno determinato dal tribunale”, di contro, ai fini della sussistenza del reato previsto dall’art. 570 c.p., è necessario che: “all’inadempimento consegua anche il far mancare i mezzi di sussistenza”.
In altri termini, ferma restando la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento, il discrimine tra i due reati è pertanto dato: 1) dallo stato di bisogno dei familiari beneficiari dell’assegno; 2) la consapevolezza dell’obbligato in merito alla necessità dei propri congiunti; 3) la sua effettiva capacità di fornire i mezzi di sostentamento.
Tanto è vero che: “il reato previsto dall’art. 570, secondo comma n. 2, cod. pen. ha come presupposto necessario l’esistenza di un’obbligazione alimentare ai sensi del codice civile, ma non assume carattere meramente sanzionatorio del provvedimento del giudice civile nel senso che l’inosservanza anche parziale di questo importi automaticamente l’insorgere del reato, di tal che, per configurare l’ipotesi delittuosa in esame, occorre che gli aventi diritto all’assegno alimentare versino in stato di bisogno, che l’obbligato ne sia a conoscenza e che lo stesso sia in grado di fornire i mezzi di sussistenza” (Cass. pen, Sez. VI, 8.01.2016, n. 525).
Con l’anzidetta sentenza, la Corte ricorda il proprio precedente per cui: “ai fini della configurabilità del reato previsto è punito dall’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., nell’ipotesi di corresponsione parziale dell’assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire ai beneficiari, tenendo inoltre conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale (Sez. 6, n. 159898 del 04/02/2014 – dep. 09/04/2014, S. Rv. 259895)”.
Ciò posto, affinché possa ritenersi configurato il reato di cui all’art. 12-sexies L. 898/1970, risulta sufficiente il mero inadempimento dell’obbligo di mantenimento imposto dal giudice, mentre per la configurabilità del diverso reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ex art. 570 c.p., occorre che il giudice accerti ed evidenzi la mancanza dei mezzi di sussistenza, in considerazione delle effettive disponibilità economiche e al tenore di vita del soggetto obbligato, in relazione al osservanza del “minimo vitale” e alle altre esigenze di vita giornaliera del beneficiario.
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