Le cause di giustificazione o cause di esclusione dell’antigiuridicità possono definirsi come quelle situazioni normativamente previste, in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico.
Tutte le scriminanti sono l’espressione di un conflitto (tra norme giuridiche, da un punto di vista formale; tra valori pregiuridici, ad esse sottostanti, da un punto di vista sostanziale).
Dal punto di vista dei rapporti tra norme, il conflitto (soltanto apparente, coerentemente con il principio di non contraddizione e di unità del sistema) si chiude con la prevalenza della norma che consente o impone a vantaggio di un bene più elevato la realizzazione di un fatto tipico, su quella che, invece, lo vieta.
Tra le esimenti, la legittima difesa, è quella in cui il citato conflitto si dispiega nella maniera più nitida e netta. Essa, infatti, risponde all’istinto dell’aggredito di respingere l’aggressione ad un suo bene giuridicamente tutelato ledendo quello dell’aggressore.
Invero, nessuna legge può vietare ad un uomo di provvedere alla propria conservazione, ma, poiché la soluzione bellicosa, propria di una società in cui ogni uomo è homini lupus, genera il caos, tocca al diritto, condicio sinequa non e tessuto connettivo di ogni organismo sociale, intervenire al fine di statuire in quali casi sia lecita la soddisfazione dell’interesse proprio a spese dell’interesse altrui.
La struttura della scriminante de qua ruota, essenzialmente, attorno a due comportamenti contrapposti: la condotta aggressiva e la reazione difensiva.
La prima è delineata come ‹‹pericolo attuale di un’offesa ingiusta››; la seconda come ‹‹necessità di difendere un diritto proprio od altrui››.
Per quanto concerne il pericolo si allude ad una situazione nella quale, alla luce delle leggi di esperienza, vi sia la probabilità (o la rilevante possibilità) del verificarsi di un evento lesivo. Esso va valutato considerando le circostanze esistenti al momento del fatto e individuate ex post dal giudice secondo un parametro oggettivo di carattere empirico-scientifico.
Il pericolo di un’offesa ingiusta dovrà essere, come emerge dalla lettera della norma, attuale, ossia percepibile come realtà presente e non come eventualità futura, per quanto prossima e probabile; ragion per cui, non può configurarsi legittima difesa allorquando il pericolo non sia ancora sorto (Cass.,15 Aprile 1999, n. 9695, De Rosa).
L’offesa consisterà necessariamente in un comportamento umano, che potrà anche avere natura omissiva (sono riconducibili ad un comportamento umano anche le aggressioni provenienti da animali o cose, purché attivate dall’uomo, oppure qualora siano sfuggite al controllo di chi è tenuto a svolgere funzioni di vigilanza).
Quanto al requisito che l’offesa avvenga contra jus, necessario e sufficiente affinché si abbia ingiustizia è che la condotta offensiva di cui sussista il pericolo si espliciti nella contrarietà a norme imperative e non trovi in un diritto sottostante (o in una posizione equipollente) giustificazione da parte dell’ordinamento, esponendo ad un’arbitaria diminutio un diritto di cui l’aggredito è titolare (Cass., 17 novembre 1999, n. 2692, D’Apollo).
Tale metus non deve apparire astratto, ma – come detto – concreto ed attuale.
Vale a dire che:
1. il pericolo adombrato con l’aggressione ingiusta non deve essere puramente ipotetico;
2. lo spettro temporale nel quale si consuma l’azione e la reazione correlativa deve essere massimamente compresso, sicchè le due azioni devono presentare il carattere della contestualità.
Per quanto attiene al primo profilo soccorre l’intervento della Corte di Cassazione, la quale ha evidenziato che il presupposto essenziale della legittima difesa, costituito da un’aggressione ingiusta, deve sostanziarsi in un pericolo concreto di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto protetto (Cass., 12 febbraio 2004, n. 16908; Cass., 14 Novembre 2002, n.3740).
L’attualità del pericolo non richiede che la condotta illecita comportante l’offesa ingiusta abbia già avuto inizio, per converso sussisterà ancora il pericolo dell’offesa ingiusta allorché la condotta contra legem fosse stata realizzata, ma la relativa offesa sia ancora del tutto effimera e precaria cosicché solo un’ulteriore condotta dell’offensore, immediatamente successiva, potrebbe farla sussistere (si pensi, per esemplificare, al caso di colui il quale insegua il ladro che fugge per recuperare la cosa rubatagli).
La scriminante in esame si risolve, nella sostanza, in una situazione di necessità: necessità di sventare il ‹‹pericolo attuale di un offesa ingiusta››.
La necessità della difesa sta ad indicare che la reazione difensiva costituisce, nella situazione concreta, l’unico mezzo per salvaguardare il bene in pericolo da un’offesa ingiusta
Una condotta può definirsi necessaria a tre condizioni:
1) La condotta deve avere effettivamente neutralizzato, in tutto o in parte, il pericolo di offesa contro cui si reagiva;
2) il pericolo non poteva essere neutralizzato mediante una condotta alternativa lecita ugualmente sicura per l’aggredito e idonea allo scopo;
3) il pericolo non poteva essere neutralizzato mediante una condotta meno lesiva di quella tenuta in concreto, ugualmente idonea allo scopo e sicura per l’aggredito.
La norma in esame richiede espressamente che ‹‹la difesa sia proporzionata all’offesa››. Da ciò consegue l’illiceità di una reazione difensiva, la quale realizzi un fatto di reato che comporti a carico dell’aggressore un pregiudizio eccessivo rispetto a quello incombente sull’aggredito. La proporzione da luogo a conseguenze rilevanti per l’ordinamento, poiché introduce un fattore di equilibrio e di misura, che da una parte limita reazioni difensive complessivamente in perdita per l’ordinamento giuridico, dall’altra evita, sul piano etico-sociale, che l’aggressore venga privato di qualsivoglia tutela per essere posto alla mercè dell’aggredito.
Secondo una parte della giurisprudenza, il predetto requisito deve tenere conto, oltre che degli interessi della cui offesa si tratti, anche dell’intensità dell’offesa di cui ricorra il pericolo e di quella necessaria per neutralizzarlo (Cass., 9 febbraio 1979 n. 1555 cit.; Cass., 24 novembre 1978 cit.)
Corollario di ciò è che l’accertamento della proporzione non può prescindere da un giudizio di tipo valutativo, che presenta notevoli difficoltà quando si riferisce a beni eterogenei, rispetto ai quali sporadicamente l’ordinamento pone indici univoci di ponderazione. La valutazione si complica ulteriormente nel momento in cui occorre considerare anche l’intensità dell’offesa, non essendo inverosimile che l’intensità di un’offesa patrimoniale sia di tale gravità rispetto all’offesa della persona da capovolgere il giudizio di proporzione formulato con esclusivo riferimento ai beni sic et simpliciter considerati.
Un ulteriore elemento di difficoltà nella verifica della proporzione è dato dalla circostanza che occorre valutare l’intensità dell’offesa non solo con riguardo al disvalore intrinseco del fatto aggressivo incombente ma anche all’intensità del pericolo, cioè alla stregua di un criterio probabilistico di realizzabilità dell’aggressione.
Secondo una diversa impostazione, condivisa da altra parte della giurisprudenza, il requisito della proporzione importerebbe, altresì, un raffronto tra i mezzi effettivamente usati dall’aggredito e quelli di cui egli poteva disporre (Cass., 11 febbraio 1989; Cass., 11 febbraio 1976, n. 1834; Cass., 2 ottobre 1975).
Il 24 gennaio 2006 l’Aula della Camera ha approvato in via definitiva il provvedimento sulla legittima difesa.
L’intervento di riforma riflette, una concezione individualistica del ricorso all’uso delle armi, destinata a trovare applicazione nei casi in cui lo Stato non sia in grado di garantire e tutelare la sicurezza dei cittadini.
Il legislatore ha posto l’accento, specialmente sull’onda di reiterati episodi brutali e gravi fatti di sangue accorsi recentemente, sulla necessità che venga maggiormente e più efficacemente tutelato il domicilio privato e, comunque, la sfera dei luoghi di abitazione e lavoro che subiscono il numero più rilevante di attentati.
La riforma ha lasciato inalterato il primo comma della norma in esame, ha però aggiunto altri due commi, il primo dei quali contempla, anzitutto, le condizioni alla cui presenza è subordinata la presunzione di proporzionalità della condotta difensiva rispetto all’offesa subita. Tali condizioni sono:
1) la previa comunicazione di una violazione di domicilio ex art. 614 c.p. da parte dell’aggressore;
2) la presenza legittima nel domicilio da parte dell’aggredito;
3) l’uso di un arma legittimamente detenuta o di un altro mezzo idoneo ai fini difensivi da parte dell’aggredito;
4) il fine di difendere la propria o altrui incolumità (comma 2, lett. a), ovvero i beni propri o altrui (lett. b), purché, in questa seconda ipotesi, non vi sia desistenza e si sia pericolo di aggressione.
La reazione difensiva, affinché operi la scriminante dell’articolo 52 c.p., deve essere, come si è appena ricordato, oltre che compiuta in presenza delle condizioni stabilite dalla norma, sostenuta dal fine di difendere la propria o altrui incolumità (lettera a) ovvero i beni propri o altrui (lettera b).
Per quanto concerne specificamente l’ipotesi contemplata dalla lettera a del comma 2 in esame, è palese che il legislatore con l’espressione ″propria o altrui incolumità″ ha inteso far riferimento sia alla vita che all’integrità fisica dell’aggredito. Pertanto, ricorrendo un pericolo attuale per i beni appena indicati, il giudice sarà dispensato da ogni valutazione comparativa tra la gravità del danno minacciato e quello patito dall’aggressore, consistendo in questo una delle innovazioni più importanti introdotte dalla riforma.
Molto più problematica è la seconda ipotesi, contemplata sempre dal medesimo comma ma alla lettera b, in cui l’aggredito agisce difendere i beni propri o altrui.
Posto che il legislatore abbia inteso ivi riferirsi, con il termine beni, ai beni meramente patrimoniali, in questa ipotesi, a differenza della precedente, la presunzione di proporzionalità non opererà incondizionatamente, bensì alla duplice condizione che manchi la desistenza e sussista un pericolo di aggressione.
Precisando dunque che l’effetto scriminante non si produce allorché vi sia “desistenza”-dall’aggressione al patrimonio in precedenza iniziata -, il legislatore non fa che ribadire la necessità del requisito della persistente attualità dell’aggressione: requisito che viene meno, per l’appunto, allorché l’intruso si dia alla fuga abbandonando le cose delle quali aveva tentato di impossessarsi, ovvero non opponga alcuna resistenza all’arresto in flagranza da parte di una persona legittimamente presente nel domicilio.
La seconda condizione è invece di carattere positivo, e concerne la necessaria presenza – accanto al pericolo attuale di offesa ingiusta ad un bene patrimoniale proprio o altrui, nei termini sopra chiariti – di un pericolo di aggressione.
Mentre la mancanza di desistenza va chiaramente riferita all’aggressione del bene patrimoniale, si deve ritenere che il "pericolo di aggressione" cui si riferisce la lett. b vada invece inteso con riferimento all’incolumità fisica delle persone presenti nel domicilio. E ciò per una pluralità di ragioni. In primo luogo, perché questa soluzione è l’unica in grado di attribuire un significato autonomo all’inciso in questione; in secondo luogo, perché la soluzione che riferisce il pericolo di aggressione all’incolumità fisica delle persone presenti nel domicilio corrisponde all’intenzione del legislatore storico, più volte manifestata nel corso dei lavori preparatori; infine, perché la soluzione in parola è imposta da una interpretazione costituzionalmente orientata della norma: laddove, infatti, l’inciso venisse riferito all’aggressione ai beni patrimoniali, la norma si esporrebbe ad una censura di illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 2 Cost., nella misura in cui consentirebbe di considerare lecita l’uccisione intenzionale di un uomo in ragione della salvaguardia (soltanto) di beni di natura patrimoniale.
Quanto al terzo comma occorre rilevare che il legislatore del 2006 nel formularlo aveva inteso riferirsi esclusivamente alla categoria del piccolo commerciante (il tabaccaio, il gioielliere etc…).
La nuova norma presenta margini notevoli di ambiguità che hanno agevolato la nascita di una ricca serie di filoni esegetici.
Un primo orientamento reputa che l’art. 52, commi 2 e 3, c.p. integra un’ipotesi speciale di legittima difesa, ove l’elemento specializzante è costituito proprio dalla peculiarità del luogo all’interno del quale l’aggressione si realizza.
Alla luce della presente opzione interpretativa l’elemento differenziale tra ipotesi speciale e fattispecie generale viene individuato nella disciplina del rapporto di proporzione. I commi 2 e 3 dell’art. 52 c.p., si argomenta, prevedono, infatti, la presunzione assoluta di proporzionalità tra pericolo di offesa e reazione difensiva, allo scopo di evitare che colui il quale abbia reagito all’aggressione perpetrata nel suo domicilio possa essere eventualmente chiamato a rispondere di fatto doloso o, nella migliore delle ipotesi, di eccesso colposo, per aver cagionato intenzionalmente all’aggressore, a causa di un errore di valutazione, un danno superiore al pericolo subito.
Un ulteriore elemento di specialità viene, dai sostenitori di questa tesi, ravvisato nell’elemento soggettivo, ossia il fine di difendere.
In altri termini, questa tesi circoscrive il novum dei commi 2 e 3 della norma di cui trattasi al peculiare rapporto di proporzione, dalla cui valutazione il giudice è dispensato, stante la presunzione juris et de jure inserita nella stessa.
Un altro indirizzo interpretativo ritiene che i commi 2 e 3 dell’art. 52 c.p. integrano una nuova ed autonoma fattispecie, solo apparentemente collegata a quella del comma 1.
I sostenitori di questa seconda tesi argomentano che l’eterogeneità e l’autonomia della nuova scriminante sono attestate sia dal tenore dell’art. 1, legge n. 59 del 2006, incentrata esclusivamente sul diritto all’autotutela in un privato domicilio, che da quello della causa di giustificazione prevista all’art. 31/3 del Progetto di Riforma del codice penale.
Il Supremo Collegio in una recente pronuncia ha valutato il criterio della proporzionalità fra offesa ingiusta e difesa reattiva (potenzialmente legittima) come intangibile ed immodificabile dalle modifiche introdotte con l’art. 1 della L. 59/2006.
Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità un individuo aveva esploso alcuni colpi di pistola nei confronti di un gruppo di malintenzionati, i quali, dopo aver tentato un furto nell’abitazione dell’imputato, si stavano dando alla fuga.
Uno di costoro era stato raggiunto alla schiena dal colpo di arma da fuoco e deceduto in conseguenza delle lesioni sofferte.
La Cassazione ha osservato che, nella specie, la condotta dell’aggressore (valutata ex ante, al momento in cui il ricorrente aveva esploso il colpo di pistola), alla stregua delle esplicitate circostanze fattuali, si era già esaurita nella sua aggressività e potenzialità offensiva: la vittima si era data alla fuga (venne attinta dal colpo di pistola alle spalle «mentre si dava alla fuga»), nessun pericolo attuale poteva più sussistere in riferimento alla integrità fisica del ricorrente e degli altri abitanti dell’immobile o del suo diritto patrimoniale.
A suffragio di ciò si poneva, altresì, la circostanza che il colpo di arma da fuoco era stato esploso dal ricorrente dall’alto di una delle finestre della sua abitazione, quando la vittima aveva ormai abbandonato l’abitazione dell’imputato ed aveva raggiunto la strada, sicché anche il paventato pericolo di esplosione di colpi di arma da fuoco da parte della vittima, da quella ormai raggiunta posizione, poteva agevolmente essere affrancato dall’agevole abbandono, da parte del ricorrente, di quella sua postazione alla finestra.
Né, argomentava il Collegio, queste conclusioni potevano essere messe in dubbio dalla modifica normativa intervenuta con l’art. 1 della L. n. 59/2006, che ha introdotto un secondo e terzo comma all’art. 52 c.p. Infatti, anche alla stregua del novellato disposto legislativo,l’uso di un’arma legittimamente detenuta concretizza l’esimente in discorso quando è volto a «difendere la propria o altrui incolumità», ovvero «i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione». In ispecie, nel momento in cui l’imputato fece uso di quell’arma, colpendo il fuggitivo (che aveva già guadagnato la strada) alle spalle, più non sussisteva la necessità di «difendere la propria o altrui incolumità», e, quanto ai beni, più non sussisteva un «pericolo di aggressione» e la vittima, dandosi alla fuga, aveva in sostanza desistito dal suo iniziale intento aggressivo. Pertanto era sta confermata la precedente responsabilità dell’imputato per omicidio colposo (Cass., 4 luglio 2006, n. 32282).
Così ragionando si esclude: in primis, l’esistenza di una presunzione di non punibilità in favore dell’agente per il solo fatto, di avere asseritamente ‹‹difeso la propria o altrui incolumità», ovvero «i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione»; in secondo luogo, la sussistenza di un diritto di difendersi nelle citate condizioni di tempo e modo. Si disconosce, infine, per chi usi le armi anche per meri scopi difensivi, la possibilità di evitare a priori un giudizio da parte del magistrato in ordine alla correttezza ed irrilevanza penale del proprio operato.
Ergo, in assenza dei presupposti previsti da primo e dal secondo comma dell’art, 52 c.p., colui che con la propria azione cagione la morte altrui potrà essere chiamato a rispondere di omicidio colposo.
Rosa Geraci
Dottoranda di ricerca in Diritto Comparato presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo
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