Disciplina generale
Il Fondo patrimoniale, disciplinato dagli artt. 167 e ss. del codice civile, è un istituto giuridico che prevede la possibilità, per i coniugi o per i terzi, di destinare, tramite atto pubblico o testamento, determinati beni al soddisfacimento dei futuri bisogni della famiglia, creando sugli stessi un vincolo di indisponibilità.
In tal modo, dunque, si ha una vera e propria “segregazione patrimoniale” e i beni facenti parte del fondo saranno esclusi dalla generale garanzia patrimoniale, di cui all’ art. 2740 c.c., che, invece, riguarda tutti i beni del debitore.
Il fondo patrimoniale si pone pertanto come istituto giuridico a carattere eccezionale; il primo comma dell’art. 167 c.c. stabilisce infatti, che “ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono ricorrere al fondo patrimoniale, destinando determinati beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri o titoli di credito a far fronte ai bisogni della famiglia”.
L’ istituto giuridico in oggetto, pertanto, se viene costituito da parte dei coniugi richiede la forma vincolata dell’atto pubblico, mentre se viene perfezionato da parte di un terzo, oltre all’atto pubblico notarile ammette, altresì, la costituzione a mezzo di negozio testamentario.
Per essere opposto ai terzi il fondo patrimoniale richiede l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, e qualora lo stesso abbia ad oggetto beni immobili, la trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari.
Riguardo i beni inseriti all’interno del fondo patrimoniale, la loro titolarità non viene di norma modificata ma gli stessi vengono assoggettati alla disciplina dell’amministrazione dei beni in comunione legale tra i coniugi; dovranno, pertanto, essere amministrati nell’interesse della famiglia e potranno essere alienati solo in caso di accordo tra i coniugi o, se presenti figli minori, solo in caso di utilità evidente e in seguito ad autorizzazione del Giudice tutelare.
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Le tutele legali nelle crisi di famiglia
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Michele Angelo Lupoi | 2018 Maggioli Editore
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Fondo patrimoniale e tutela dei creditori
Normativa
Dopo aver sommariamente trattato della disciplina generale dell’istituto, l’analisi non può che concentrarsi sull’elemento caratterizzante e probabilmente più rilevante dello stesso e cioè quello disciplinato dall’art. 170 del c.c. relativo al vincolo nascente sui beni del fondo.
L’art. 170 c.c., infatti, vieta al creditore di proporre atti esecutivi sui beni del fondo e sui frutti di essi per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.
E’ proprio nell’interpretazione dell’art. 170 c.c. che il Legislatore e la Giurisprudenza hanno fornito i più interessanti spunti di riflessione, in quanto è stato necessario modificare la portata applicativa di tale norma; essa, infatti, è nata con il fine di assicurare al nucleo familiare una tutela economica per far fronte alle impreviste vicende che possono colpire il proprio patrimonio. Tale istituto, però, per come strutturato, è stato spesso adoperato con l’obiettivo di eludere la disciplina prevista in tema di responsabilità patrimoniale del debitore e di distrarre determinati beni dalla garanzia generale nei confronti dei creditori.
Conseguentemente, sia con interventi del legislatore che con alcune pronunce Giurisprudenziali di notevole rilevanza, si è tentato di affievolire la tutela prevista nei confronti del nucleo familiare.
L’intervento del Legislatore ha visto l’introduzione di una nuova disciplina giudiziaria e procedurale, mentre la Giurisprudenza si è concentrata fondamentalmente sull’interpretazione e sull’individuazione di quelli che possono essere considerati debiti contratti per il soddisfacimento di “bisogni familiari” (ampliandone di fatto il novero).
Il legislatore, dunque, con la L. 83/2015 ha introdotto l’art. 2929 bis c.c. il quale prevede la possibilità per il creditore, qualora il fondo sia stato costituito successivamente alla nascita del credito, di procedere direttamente ad esecuzione a condizione di trascrivere il pignoramento entro 1 anno dall’annotazione a margine dell’atto di matrimonio della costituzione del fondo stesso.
Questa prima riforma ha invertito il principio dell’onere della prova relativa al danno, subito dal creditore, in seguito alla costituzione di un fondo patrimoniale, qualora al momento della sua costituzione lo stesso avesse già maturato un credito; si presume, in tal caso, l’intenzione elusiva della garanzia patrimoniale da parte del debitore e si onera quest’ultimo della prova del contrario.
La riforma di cui sopra, stimolata dall’altissimo numero di ricorsi per “revocatoria” avviati allo scopo di annullare gli effetti della costituzione del fondo patrimoniale, è stato il primo passo del legislatore verso una sempre maggiore tutela del creditore; lo scopo è quello di permettergli di agire per soddisfare un credito preesistente senza attendere diversi anni per la conclusione del procedimento per revocatoria.
La ratio della riforma, infatti sembrerebbe essere quella di creare una presunzione di intenzionalità elusiva per quei fondi patrimoniali costituiti successivamente all’esistenza di un credito e di non obbligare il creditore ad agire per revocatoria, ma il debitore ad opporsi al pignoramento.
L’art. 2929 bis c.c. sembra tutelare solamente i crediti preesistenti ed escludere i crediti venuti in essere successivamente alla costituzione del fondo patrimoniale e le aspettative di credito. Qual è, pertanto, la sorte da destinare, alle aspettative di credito nate precedentemente alla costituzione di un fondo patrimoniale? E’ applicabile estensivamente quanto previsto dall’art. 2929 bis c.c. anche a questa tipologia di “credito”?
Per meglio inquadrare la problematica può risultare utile confrontare l’art. 2929 bis c.c. con l’art. 2901 c.c. (condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria) il quale tutela il creditore, rispetto agli atti di disposizione del patrimonio posti in essere dal debitore, stabilendo che “il creditore può domandare che siano resi inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni”. Ai fini dell’azione revocatoria, condizione essenziale ed “elemento oggettivo” della tutela in favore del creditore è, innanzitutto, il pregiudizio alle sue ragioni (c.d. eventus damni), per la cui configurabilità è sufficiente un semplice pericolo di danno derivante dall’atto di disposizione, il quale abbia comportato una modifica della situazione patrimoniale del debitore tale da rendere incerta l’esecuzione coattiva del debito o da comprometterne la fruttuosità. Inoltre, nel caso di revocatoria del fondo patrimoniale, essendo quest’ultimo un atto a titolo gratuito, l’unico “elemento soggettivo” rilevante è la conoscenza del pregiudizio arrecato al creditore (scientia fraudis), anche per mezzo di un atto anteriore al sorgere del credito se dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento, da parte dei coniugi o del terzo costituente (e non al terzo beneficiario della disposizione).
Il pregiudizio ai danni del creditore richiesto dall’art. 2901 c.c., non corrisponde ad un vero e proprio “danno ingiusto” risarcibile, né deve farsi coincidere con il venire meno delle garanzie patrimoniali del debitore. Al contrario, esso è integrato anche dalla semplice maggiore difficoltà del creditore a soddisfare il proprio diritto e ciò sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Il creditore risulta pregiudicato, pertanto, non solo quando il patrimonio del debitore diventa incapiente ma anche nell’ipotesi in cui il medesimo creditore, a seguito dell’atto di disposizione, sia costretto ad intraprendere procedure maggiormente dispendiose, aleatorie o lunghe.
Il Legislatore, difatti, assicura un’adeguata tutela non solo ai crediti già esistenti al momento della costituzione del fondo patrimoniale, ma anche all’aspettativa di credito sorta precedentemente alla costituzione del fondo. Infine, il termine di prescrizione dell’azione revocatoria è di cinque anni.
Il contenuto normativo dell’art. 2901 c.c. potrebbe estendersi, per via interpretativa analogica, anche alle ipotesi di cui all’art. 2929 bis c.c., e, pertanto, oltre che ai crediti già esistenti, anche alle aspettative di credito; non si capirebbe il motivo per il quale, infatti, dovrebbe essere trattata diversamente l’aspettativa di credito nel giudizio per revocatoria ex art. 2901 c.c. rispetto all’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità ex art. 2929 bis c.c. Quest’ultimo strumento di difesa procedurale, infatti, è nato per offrire al creditore una tutela aggiuntiva e più veloce di quella prevista dall’art. 2901 c.c.; tuttavia, sembrerebbe pregiudizievole per il creditore l’utilizzo di un istituto che per portata applicativa difetti di alcuni elementi rispetto a quella di cui all’art. 2901 c.c..
Pertanto, anche qualora esista un’aspettativa di credito dovrebbe essere considerato presente il requisito dell’eventus damni e presunto quello della scientia fraudis sia per l’applicazione dell’azione revocatoria che per l’applicazione dell’art. 2929 bis c.c.
Oltre che con l’intervento del Legislatore, l’intento di limitare la portata dell’art. 170 c.c. è stato perseguito parallelamente anche da svariate pronunce Giurisprudenziali, tra le quali la sentenza della Suprema Corte, n. 300 del 24 febbraio 2016, che ha tentato di inquadrare la portata applicativa dell’istituto del fondo patrimoniale fornendo un’interpretazione estensiva del concetto di bisogni familiari.
Infatti cita testualmente la sentenza “in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, contrattuale o extracontrattuale, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicchè anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale potrebbe considerarsi contratto per soddisfare tale finalità”.
Interpretazione giurisprudenziale
Ancora un’ulteriore sentenza (Cass. Civ. n. 26/2014), chiarisce che le esigenze familiari devono essere considerate in senso relativamente ampio, quali quelle volte al pieno soddisfacimento e all’armonico sviluppo della famiglia nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, con esclusione solo delle esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi.
Proprio sull’interpretazione offerta dagli Ermellini, la quale, esclude i debiti contratti per soddisfare esigenze voluttuarie o speculative dal novero dei debiti contratti per appagare i bisogni familiari, sorgono ulteriori problemi di interpretazione sistematica, in parte dissipati dalla Sentenza della Suprema Corte n. 23163/2014 la quale statuisce invece che ”le spese voluttuarie o caratterizzate da fini speculativi rilevano al fine di escludere la pignorabilità quando esse non ineriscano direttamente beni costituiti in fondo patrimoniale; qualora invece i debiti siano contratti per la gestione e l’amministrazione di questi stessi beni, essi debbono intendersi necessariamente riferiti ai bisogni della famiglia, anche quando inerenti, come detto a spese a carattere voluttuario o comunque evitabili”.
Di conseguenza qualsiasi debito contratto per la gestione e l’amministrazione dei beni inseriti nel fondo patrimoniale è da intendersi pignorabile, a prescindere dalle ragione voluttuarie o speculative per il soddisfacimento delle quali sia stato generato. I debiti invece contratti per spese voluttuarie o speculative che non ineriscono a detti beni, secondo l’interpretazione fornita dalla Giurisprudenza, sono escluse dalla pignorabilità.
Dall’analisi delle predette pronunce giurisprudenziali sorgono, tuttavia, alcune perplessità: in primis, ritenendo pignorabili i beni inseriti all’interno di un fondo patrimoniale, qualora i debiti siano stati contratti per lo svolgimento di attività imprenditoriale (dato per presupposto che l’attività imprenditoriale stessa possa, generando un reddito, soddisfare i bisogni della famiglia) (sentenza n. 300/2016), non può successivamente escludersi da detti debiti quelli contratti generalmente per fini speculativi (sentenza n. 23163/2014). Infatti, il concetto di speculazione si concretizza nella ricerca di un utile o di un profitto e, pertanto, risulta complicato giustificare l’esclusione di detti debiti e l’inclusione, invece, di quelli contratti nello svolgimento di attività imprenditoriale, essendo la speculazione stessa carattere fondamentale e obiettivo primario dell’attività di ogni imprenditore.
Inoltre, non sembra reggere la parificazione delle conseguenze previste per i debiti contratti per soddisfare esigenze voluttuarie e pertanto “di scarsa importanza” e/o comunque evitabili e quelli contratti per esigenze speculative, che invece possono consistere propriamente nello svolgimento dell’attività imprenditoriale generatrice di reddito per la famiglia e di conseguenza fondamentali per il suo sviluppo.
La premialità dell’istituto, nei confronti debitore, potrebbe infatti essere maggiormente condivisa qualora lo stesso sia stato spinto a contrarre il debito per l’esigenza di speculare o comunque di generare un reddito tramite la propria attività imprenditoriale, piuttosto che per soddisfare esigenze meramente voluttuarie.
In conclusione potrebbe ritenersi meritevole la tutela prevista da quegli istituti che creano un vincolo di indisponibilità sui beni del debitore, generando un eccezione all’art. 2470 c.c., in quanto soddisfino l’esigenza del legislatore di proteggere chi svolga un’attività potenzialmente rischiosa, come l’attività d’impresa, dal rischio imprenditoriale, ed in quanto assicurano allo stesso quantomeno la possibilità di continuare a soddisfare le esigenze basilari della propria famiglia.
L’istituto però così come applicato non solo sembra permettere di raggiungere questa finalità, ma tante altre, tra cui, principalmente l’elusione del principio contenuto nell’art. 2470 c.c.
Sarebbe, pertanto, auspicabile un’ulteriore riforma da parte del legislatore, o comunque un intervento interpretativo ancora più incidente da parte della Giurisprudenza, la quale potrebbe individuare un limite numerico o di valore ai beni inseribili all’interno del fondo patrimoniale, o limitarli unicamente alla casa familiare o ad una determinata percentuale di valore sul patrimonio totale.
E’ condivisibile, pertanto, che l’ordinamento giuridico tenda al contemperamento degli interessi del creditore e della famiglia (da considerarsi come centro di sviluppo della persona umana) soprattutto alla luce dei rischi di natura economica che sulla stessa si abbattono in caso di svolgimento di attività d’impresa, motore economico della società, ma è necessario fare attenzione a non eccedere nella tutela prestata e ledere in tal modo i principi fondamentali del nostro ordinamento.
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