Fondo privato gravato da usi civici: ammessa alienabilità

Con sentenza n. 119/2023 la Consulta dichiara la legittimità del trasferimento di un terreno privato gravato da usi civici.
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Indice

1. Cosa sono gli usi civici


L’uso civico, risalente all’epoca medioevale e al sistema feudale della proprietà terriera, è un diritto di godimento collettivo esercitato dai membri di una determinata comunità su terreni di proprietà pubblica o privata. Da un punto di vista funzionale, l’uso civico garantisce ai membri della collettività cui esso appartiene di svolgere talune attività su fondi di proprietà pubblica o privata (quali a titolo esemplificativo: attività di pascolo, caccia, pesca, estrazione mineraria, semina, raccolta di legna, funghi e di altre risorse naturali), al fine di trarne utilità. Da un punto di vista normativo, le principali disposizioni di riferimento sono attualmente contenute nella legge 16 giugno 1927, n. 1766 riguardante il riordinamento degli usi civici, nella legge 20 novembre 2017, n. 168 norme in materia di domini collettivi e, per quanto attiene la disciplina del vincolo paesaggistico sulle terre gravate da uso civico, nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (“Codice dei beni culturali”).


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2. La bipartizione “iura in re aliena” e “iura in re propria”


Con la legge n. 1766 del 1927 il legislatore, come recentemente chiarito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza 10 maggio 2023, n. 12570, pur non fornendo un’espressa nozione di uso civico «li qualifica indistintamente come riconducibili a due diversi diritti di godimento delle terre che ne costituiscono oggetto: l’uso civico propriamente detto e il c.d. demanio civico». Quanto detto è tra l’altro desumibile anche dall’art. 1 della suddetta legge, laddove stabilisce che le disposizioni ivi contenute si applicano per l’accertamento e la liquidazione degli usi civici. Invero, il procedimento di liquidazione degli usi civici, consistente nella loro soppressione tramite assegnazione al Comune di una porzione del terreno su cui essi gravano a titolo di “compenso per la liquidazione”, è proprio degli usi civici esercitati su fondi privati. Il medesimo procedimento non riguarda invece gli usi civici gravanti su fondi pubblici. Sulla scorta del binomio “usi civici gravanti su fondi di proprietà privata” e “usi civici gravanti su fondi appartenenti al demanio civico” che connota la legge n. 1766 del 1927, il prevalente orientamento interpretativo ha elaborato, sul piano sistematico, la bipartizione “iura in re aliena” (gravanti sulla proprietà privata) e “iura in re propria” (riferiti al demanio civico), riconnettendo a ciascuna delle due categorie un differente regime giuridico. Proprio tale ultima classificazione, come verrà chiarito nel prosieguo della trattazione, ha condotto la Corte Costituzionale, con sentenza 15 giugno 2023, n. 119, a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017, nella parte in cui, riferendosi ai beni indicati dall’art. 3, comma 1, non esclude dal regime dell’inalienabilità le terre di proprietà di privati sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano uso civico non ancora liquidato.

3. La pronuncia della corte costituzionale


L’intervento della Consulta prende avvio dalla questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Viterbo in relazione all’art. 3, comma 3, della legge 20 novembre 2017, n. 168, poiché ritenuto in contrasto con gli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione. In particolare è stato evidenziato che la suddetta legge, includendo tra i beni collettivi di cui all’art. 3, comma 1, anche quelli previsti alla lettera d) della stessa disposizione, ovvero «le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici 2 non ancora liquidati», ha determinato l’applicabilità della disciplina contenuta all’art. 3, comma 3, che rinvia al primo comma, anche alle terre di proprietà privata gravate da uso civico, con la conseguenza che anche queste ultime sono state assoggettate al regime «dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale», tradizionalmente ritenuto applicabile solo alle terre pubbliche gravate da uso civico. Il Giudice delle leggi, come anticipato, dopo un accurato approfondimento della questione giuridica posta, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma impugnata poiché ritenuta in contrasto con gli artt. 3 e 42, secondo comma, della Costituzione. La Corte spiega infatti che, in caso di alienazione del fondo privato prima della liquidazione degli usi civici su esso gravanti, la conservazione della sua destinazione è garantita sia dalla natura giuridica degli usi civici in re aliena, sia dalla permanenza del vincolo paesaggistico, non essendo pertanto necessario introdurre uno specifico divieto di alienazione del bene. Per quanto, in particolare, attiene il primo aspetto, la Consulta afferma che «i diritti di uso civico in re aliena, pur non riconducibili ad alcuno dei diritti reali tipizzati dal legislatore codicistico, presentano i tratti propri della realità: l’inerenza e lo ius sequelae, l’immediatezza e l’autosufficienza, l’assolutezza e l’opponibilità erga omnes. Sono, dunque, proprio i caratteri tipici della realità a rendere la tutela e l’esercizio dei diritti di uso civico del tutto indifferenti alla circolazione del diritto di proprietà: gli usi civici seguono il fondo, chiunque ne sia titolare, grazie all’inerenza, e i componenti della collettività continuano a poter esercitare tutte le facoltà che gli usi civici conferiscono loro, essendo il diritto immediatamente opponibile a chiunque.» Per quanto invece riguarda il secondo aspetto, ovvero la permanenza del vincolo paesaggistico, viene precisato che «la proprietà privata gravata da usi civici reca con sé il vincolo paesaggistico e questo assicura che il proprietario non possa introdurre, né possa essere autorizzato ad apportare “modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” (art. 146, comma 1, cod. beni culturali), i quali – nello specifico – si identificano, per l’appunto, con la conservazione degli usi civici». Dalla ricostruzione offerta dalla Corte, di cui si è stato dato brevemente atto, emerge quindi che la proprietà privata circola unitamente agli usi civici e al vincolo paesaggistico ad essa riferiti, con la conseguenza che chiunque acquisti il fondo non può compiere atti lesivi del godimento degli usi civici che su esso continuano a gravare. La Corte costituzionale conclude affermando che l’inalienabilità della proprietà privata gravata da usi civici in re aliena non ancora liquidati, introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge n. 168 del 2017, è estranea a qualsivoglia interesse di carattere generale, posto che l’ordinamento offre ulteriori strumenti idonei a garantire la conservazione funzionale del fondo, senza contestualmente elidere il diritto del proprietario al trasferimento il proprio fondo. Ne consegue dunque che, la permanenza nel nostro sistema giuridico della suddetta disposizione si tradurrebbe in un’ingiustificata compressione della proprietà privata e dei diritti ad essa connessi, nonché in un’illegittima limitazione dell’autonomia negoziale del proprietario di un fondo privato gravato da usi civici in re aliena.

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Silvia Pascucci

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