Funzione, nelle cauzioni, del pagamento a semplice richiesta scritta secondo il parere del giudice contabile

Lazzini Sonia 29/11/07
Sottoposto al giudice contabile una fattispecie di responsabilità da danno erariale per mancato incameramento di polizze definitive, aventi il pagamento a semplice richiesta scritta, a seguito di rescissione d’ufficio per inadempimento di tre contratti di appalto di lavori pubblici
 
Sussiste la grave negligenza del funzionario pubblico per non aver provveduto immediatamente alla richiesta di escussione della garanzia, poiché in presenza della clausola richiesta dall’articolo 30 comma 2 della L. 109/94 s.m.i.( che assicura al creditore garantito una disponibilità immediata di denaro con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale) , grava sull’Amministrazione il potere/dovere di agire nei confronti del della Banca o Compagnia di assicurazione
 
Accanto quindi ai numerosi pareri dei Tar e del Consiglio di Stato, ora anche il nostro giudice contabile (Sezione I giurisdizionale centrale d’appello – sentenza numero 200 decisa il 16 aprile 2004 e depositata il 27 maggio 2004) ci conferma la portata della clausola del “pagamento a semplice richiesta scritta” obbligatoriamente contenuta nelle cauzioni provvisorie e definitive, a fronte della Legge sugli appalti pubblici di lavori (cd Legge Merloni: L.109/94 s.m.i. – dpr 554/99 – D.m. 123 del 12 marzo 2004 entrato in vigore il 27 maggio 2004)
 
 
 
Già nel 2002 la Corte dei Conti, Sez dell’Emilia Romagna con la sentenza numero 1762 dell’ 1 luglio 2002 *** aveva sancito che:
 
“ (…) Nel caso di specie era in effetti prevista, nelle condizioni generali delle polizze che assistevano i tre contratti conclusi e poi rescissi d’ufficio, la clausola del pagamento “a semplice richiesta” (soltanto nella polizza della *** si richiedeva, come ulteriore requisito, l’allegazione della documentazione probatoria dell’inadempimento).
 
 Non possono, quindi, sussistere dubbi sul potere-dovere dell’Ufficio di procedere immediatamente all’incameramento delle cauzioni così prestate: il fatto che a ciò non si sia proceduto – determinando un ritardo di quasi quattro anni nel recupero di quanto spettante all’Amministrazione – non può non essere addebitato alla grave negligenza dei funzionari su cui incombeva l’obbligo di provvedere o di vigilare in merito” .
 
 
Interessante appare inoltre la seguente citazione:
 
 
la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare che la disposizione dell’art. 13 della legge 3 gennaio 1978 n. 1, che – per la costituzione di una cauzione a garanzia di obbligazioni verso lo Stato o altri enti pubblici – ammette anche, in luogo della fideiussione bancaria, le polizze cauzionali rilasciate da imprese di assicurazione autorizzate all’esercizio del ramo cauzioni, non impone un particolare tipo di polizza e non esclude, quindi, la possibilità che questa sia caratterizzata dalla presenza di una clausola di pagamento a semplice richiesta, che assicura al creditore garantito una disponibilità immediata di denaro con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale (cfr. Cass. civ., Sez. III, 4 aprile 1995, n. 3940).
 
 
I giudici di appello così concludono:
 
La Sezione sul punto ritiene pienamente condivisibile la tesi della Procura secondo cui “il tipo di polizza (per le fideiussioni) era caratterizzato dalla possibilità, per l’ente pubblico, attraverso apposita clausola generale, su semplice richiesta, di garantirsi la disponibilità immediata del denaro. Ciò appare sufficiente a dirimere ogni possibile paventato equivoco circa la decorrenza dell’entità della somma esigibile” e “il danno contestato era pari all’intera somma che le società assicuratrici erano tenute a versare in virtù delle clausole fideiussorie, a semplice richiesta, con il mero onere per l’amministrrazione, per uno solo dei tre contratti, di trasmettere la documentazione attestante l’inadempimento”.
 
Di *************
 
 
PRIMA APPELLO Sentenza 200 2004 Responsabilità 5/27/2004 200/2004A
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
CORTE DEI CONTI
 
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE
 
Composta dai seguenti magistrati:
 
Dott. ***************               Presidente
 
Dott. ******************        Consigliere
 
Dott. ******* VETRO                 Consigliere relatore
 
Dott. ***********                       Consigliere
 
Dott. ***************           Consigliere
 
Ha pronunziato la seguente
 
SENTENZA
 
Sugli appelli iscritti ai n. 16555 e 17096 del registro di segreteria, proposti dai sigg. Maria Teresa *****, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Pennini, presso cui è elett. dom. in Roma, via Circonvallazione Clodia n. 82, e Marco *****, rappresentato e difeso dall’avv. Gianni Emilio Iacobelli, presso cui è elett. dom. in Roma, via Panama n. 74, avverso la sentenza 2732002 n. 1762 2 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Emilia Romagna.
 
Visti gli atti della causa; uditi, nella pubblica udienza del 1642004, il consigliere relatore, l’avv. Giuseppe Pennini per ***** e, su delega dell’avv. Iacobelli, per ***** ed il V.P.G. Fiorenzo Santoro.
 
FATTO
 
Con sentenza 2732002 n. 1762 2 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Emilia Romagna è stato statuito quanto segue:
 
“ … L’ipotesi di danno erariale sottoposta al giudizio della Corte è collegata al tardivo incameramento di cauzioni definitive, prestate mediante polizze fideiussorie, in seguito alla rescissione d’ufficio, per inadempimento, di tre contratti d’appalto di lavori pubblici.
Secondo il Procuratore regionale il danno erariale derivante da tale ritardo è ascrivibile al comportamento gravemente colposo dei convenuti che, dal canto loro, con varie argomentazioni, respingono gli addebiti loro mossi.
Osserva preliminarmente la Sezione che la causa appare adeguatamente istruita grazie agli elementi conoscitivi già acquisiti: la domanda di ulteriori adempimenti istruttori avanzata dai difensori di alcuni convenuti deve pertanto essere respinta. …
Quanto al difetto di legittimazione passiva eccepito dal dott. ***** che a tal fine ha sostenuto di essere stato “addetto” all’ Ufficio contratti e non “responsabile” di tale Ufficio si osserva che, in tema di responsabilità amministrativa, l’organizzazione in senso formale rileva solo in quanto indicativa di una certa realtà fattuale, essendo soltanto quest’ultima decisiva in vista dell’attribuzione della responsabilità; le Sezioni Riunite di questa Corte (cfr. decisione n. 493/A del 30 maggio 1986) hanno avuto occasione di af­fermare che persino nell’ipotesi di investitu­ra illegittima non è esclusa la responsabilità amministrativa, dal momento che la stessa è collegata al concreto svolgimento delle fun­zioni, ancorché irritualmente conferite, in quanto ciò che rileva è la realtà fattuale.
Orbene, nel caso di specie non vi sono dubbi che il predetto operasse comunque al vertice dell’Ufficio contratti (fino al 18 novembre 1997); ciò risulta inequivocabilmente dalla comunicazione ufficiale del Magistrato per il Po (inviata al Procuratore Regionale con nota n.       10846 del 6 settembre 2000) nella quale il funzionario medesimo viene qualificato come “Capo Reparto fino al 18.11.1997” dell’Ufficio contratti.
L’eccezione anzidetta deve pertanto essere respinta.
Passando all’esame del merito, si os­serva innanzi tutto che la partecipazione del dott. ***** alle vicende descritte in narra­tiva appare del tutto marginale; infatti, stando alla comunicazione ufficiale del Magi­strato per il Po dianzi citata, egli divenne capo dell’Ufficio contratti a decorrere dal 19 novembre 1997, cioè circa dieci mesi dopo l’ordine presidenziale al medesimo ufficio di incamerare le cauzioni definitive relative ai tre contratti rescissi: il predetto deve per­tanto essere assolto in conformità, peral­tro, alla proposta formulata in udienza dal Pubblico Ministero dalla richiesta di con­danna formulata per il danno erariale di cui è causa.
Per gli altri convenuti risultano invece provati tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa.
Al riguardo giova innanzi tutto ricordare che la possibilità, prevista dal legislatore nell’interesse delle imprese appaltatrici, di prestare cauzioni definitive mediante polizze cauzionali, non riduce l’area dei diritti dell’Amministrazione per l’ipotesi di rescis­sione d’ufficio dei contratti per inadempimen­to degli aggiudicatari: la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare che la disposi­zione dell’art. 13 della legge 3 gennaio 1978 n. 1, che per la costituzione di una cauzione a garanzia di obbligazioni verso lo Stato o altri enti pubblici ammette anche, in luogo della fideiussione bancaria, le polizze cau­zionali rilasciate da imprese di assicurazione autorizzate all’esercizio del ramo cauzioni, non impone un particolare tipo di polizza e non esclude, quindi, la possibilità che questa sia caratterizzata dalla presenza di una clau­sola di pagamento a semplice richiesta, che assicura al creditore garantito una disponibi­lità immediata di denaro con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale (cfr. Cass. civ., Sez. III, 4 aprile 1995, n. 3940).
Nel caso di specie era in effetti prevista, nelle condizioni generali delle polizze che assistevano i tre contratti conclusi e poi re­scissi d’ufficio, la clausola del pagamento “a semplice richiesta” (soltanto nella polizza della ***** si richiedeva, come ulteriore requisito, l’allegazione della documen­tazione probatoria dell’inadempimento).
Non possono, quindi, sussistere dubbi sul poteredovere dell’ufficio di procedere imme­diatamente all’incameramento delle cauzioni così prestate: il fatto che a ciò non si sia proceduto, determinando un ritardo di quasi quattro anni nel recupero di quanto spettante all’Amministrazione, non può non essere adde­bitato alla grave negligenza dei funzionari su cui incombeva l’obbligo di provvedere o di vi­gilare in merito.
La giustificazione addotta dai convenuti se­condo cui detto ritardo dipese dall’orienta­mento dell’Amministrazione di voler comprende­re nelle voci di danno anche le condizioni di minor favore conseguibili in sede di rinnovo delle gare di appalto delle opere rimaste ineseguite non appare fondata per le ragioni di seguito esposte.
La disposizione dettata dal presidente del Magistrato per il Po con le lettere datate 16 e 17 gennaio 1997 ed indirizzate all’Ufficio contratti di procedere all’incameramento del­le cauzioni non risulta revocata né sospesa; né può ritenersi implicitamente revocata (o sospesa) in seguito alla proposizione del que­sito al Ministero in ordine alla dimensione del danno erariale risarcibile, giacché tale requisito (peraltro superfluo in presenza del parere del Comitato Tecnico Amministrativo e della dichiarata consapevolezza dell’eccedenza dei danni subiti rispetto ai massimali di po­lizza) non precludeva affatto l’acquisizione delle cauzioni anzidette, restando salva la possibilità per l’Amministrazione di agire per il risarcimento dei danni ulteriori o di re­stituire alle Società assicuratrici quanto ot­tenuto in più rispetto ai danni effettivamente sofferti.
Costituiscono indici eloquenti della gravità della colpa ravvisabile nel dott. *****, qua­le capo dell’Ufficio contratti (fino al 18 novembre 1997) e dell’ufficio Affari Legali: l’inottemperanza delle disposizioni impartite dal presidente del Magistrato per il Po circa l’incameramento delle cauzioni, 1’ingiustifi­cabile inerzia mantenuta per lungo tempo nono­stante i rilievi della Ragioneria dello Stato e della Delegazione della Corte dei conti e nonostante la semplicità della procedura da espletare, l’ulteriore inerzia (dai sei ai no­ve mesi) mantenuta anche dopo il ricevimento delle lettere con le quali le Società assicu­ratrici chiedevano la documentazione concer­nente la rescissione dei contratti per inadem­pimento.
Per quanto concerne i vice presidenti del Magistrato per il Po (dott. ***** e dott. ***), che si susseguirono nell’epoca in cui si svolsero le vicende in questione, si deve rilevare il mancato esercizio, da parte loro, delle funzioni di sorveglianza e di co­ordinamento.
A tale proposito si deve ricordare che, se­condo la giurisprudenza di questa Corte, va esclusa la responsabilità concorrente dei fun­zionari preposti a mansioni di controllo in tutti i casi in cui la particolare calliditas degli artifici posti in essere dall’autore del danno rende *****zzabile l’evento nonostante il corretto esercizio dei poteri di vigilanza e di controllo (cfr. Sez. I, 5 febbraio 1982, n. 16). Nel caso concreto non risulta essersi veri­ficata tale eventualità sicché appare configu­rabile una responsabilità amministrativa dei due dirigenti anzidetti.
Che dai comportamenti gravemente colposi sopra descritti sia poi derivato un danno era­riale commisurabile agli interessi moratori sulle somme in questione per il tempo corri­spondente al ritardo nel loro incameramento è fatto non contestabile.
Appurata l’esistenza, nel caso concre­to, di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa (rapporto di servizio, colpa grave, nesso di causalità, danno erariale) la Sezione osserva che l’impostazione del Procuratore regionale di calcolare detto danno in termini di interessi moratori (secondo il saggio legale, in favor rei) sulle somme da incamerare per il periodo che va dal mese di marzo 1997 (un mese dopo l’ordine di incameramento) alle date di effet­tiva acquisizione delle somme stesse appare corretta; ritiene, tuttavia, per quanto ri­guarda la quantificazione del danno erariale addebitabile, di dover fare ampio uso del po­tere riduttivo conferitole dalla legge (art. 52 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214).
Tale convincimento si basa in armonia con orientamenti già manifestati dalla giurispru­denza di questa Corte (cfr. Sez. I, 2 aprile 1990, n. 63; Sezioni Riunite, 14 dicembre 1988, n. 595; Sez. I, 26 novembre 1990, n. 244) sulla circostanza che una parte del ri­tardo (circa un quarto) è imputabile alle So­cietà assicuratrici.
Tale circostanza non esclude, ovviamente, la gravità della colpa, ma riduce il grado di in­cidenza del comportamento gravemente colposo dei convenuti sull’entità del danno sofferto dall’Amministrazione: si ritiene pertanto di dover ridurre il danno addebitabile a 16.000,00 euro, compresa la rivalutazione mone­taria.
Tale importo dovrà essere addebitato per il 50% al dott. *****, per il 25% alla dott.sa ***** e per il 25% al dott. ***** in re­lazione all’incidenza del comportamento di ciascuno di essi nella determinazione del dan­no erariale … cui devono aggiungersi gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza fino al saldo”.
 
Avverso la sentenza di primo grado hanno proposto appello Maria Teresa ***** e Marco *****.
 
La prima ha formulato le seguenti censure:
 
“ Travisamento dei fatti. L’appellante ricoprì la funzione di vice presidente – ad interim- del Magistrato per il Po dal I giugno 1997 al 10 dicembre 1997.
 
Nessuna delle comunicazioni, richieste, sollecitazioni, rilievi richiamati nella citazione e nella sentenza e relativi agli adempimenti amministrativi circa l’incameramento delle cauzioni, è intervenuta o riguarda l’arco temporale di vice presidenza della dott. *****. ( Parere CTA del 22/7/96; lettere a firma del vice presidente ***** all’ufficio contratti del 17 gennaio 1997; decreto del Magistrato del Po del 30.1.97; rilievi della Ragioneria del 4.2.97, nota di assicurazioni alla Ragioneria a firma del vice presidente ***** in data 21/2 e del 10/3/97 ed infine la lettera della Corte dei conti del 6 ottobre 1998).
Questo fatto andava considerato sotto un duplice profilo. In primo luogo con riferimento all’inspiegabile comportamento del vice presidente *****, il quale da un lato aveva assicurato di provvedere all’incameramento delle cauzioni (21.2 e 10/3/97), dall’altro non aveva disposto (come poteva e doveva conseguenzialmente a quanto affermato nelle comunicazioni) l’effettivo incameramento, né aveva segnalato la relativa pratica come sospesa (cosa che avrebbe consentito a chiunque, in caso di successione nella carica, a quel momento non ipotizzata né prevedibile), di provvedere all’adempimento.
Tutto ciò andava poi riferito alla situazione degli uffici, a seguito della vacanza improvvisa della carica di vice presidente, durata per un certo tempo, in relazione alla sostituzione del dott. *****.
 Non vi fu, in relazione al conferimento dell’incarico (ad interim) di vice presidente del magistrato del Po un regolare passaggio di consegne con il precedente titolare delle funzioni, né con alcuno che avesse nel periodo di mancanza del titolare svolto tali funzioni. In tali circostanze la mancata segnalazione della pratica come sospesa, aveva un’incidenza decisiva, non superabile con il generico riferimento agli obblighi connessi alla funzione di vigilanza e di coordinamento.
Non poteva essere compreso tra gli obblighi il compito di rivedere tutte le pratiche dell’ufficio anche quelle che non risultavano “pendenti”.
Le pratiche relative all’incameramento delle cauzioni (si ripete non segnalate da alcuno all’attenzione della dott.ssa *****) non risultavano pendenti, come del resto in fatto dichiarato dal responsabile ufficio contratti, e come si evince dalle note (21/2/97 e 10/3/97), né risultavano scoperti numeri di protocollo riconducibili alle pratiche stesse.
 Si consideri, infine, che nel periodo di permanenza della dott.ssa ***** nella carica di vice presidente, non pervenne (come innanzi precisato) alcun documento che potesse riportare in evidenza le pratiche ancora insolute, ma non segnalate come tali.
Si deve infine ribadire che l’incameramento delle cauzioni avrebbe potuto essere disposto con semplici lettere alle compagnie assicuratrici, che non furono inspiegabilmente inoltrate dal vice presidente dott. ***** contemporaneamente alle note del 16/17 gennaio 97, nonostante le assicurazioni fornite alla Ragioneria con le note del 21 febbraio e 10 marzo 97 (che di fatto determinarono la chiusura formale delle pratiche, con lo scarico dei relativi numeri di protocollo).
Se pure le lettere non avessero sortito immediatamente i loro effetti, avrebbero consentito, mediante l’instaurarsi di un eventuale contraddittorio, la conoscenza del problema da parte della dott.ssa *****, rimasta totalmente all’oscuro della vicenda, non essendo intervenuto alcun atto riconducibile a tali pratiche durante il periodo della permanenza in carica.
Tutto ciò indubbiamente esclude la semplice colpa del funzionario subentrato con incarico provvisorio (in via di emergenza) ad interim, e comunque quella connotazione di colpa grave (presupposto della responsabilità amministrativa patrimoniale) individuata con riferimento al compito del vice presidente, considerato in via generale, prescindendo dalle situazioni di fatto alle quali va rapportata la valutazione dell’intensità della colpa.
Contraddittorietà della motivazione e nell’imputazione del danno.
Il Procuratore regionale aveva chiesto nella citazione la condanna dei convenuti al risarcimento del danno con ripartizione degli addebiti secondo la parte da ciascuno avuta nella vicenda. La sentenza della Corte dei conti ha addebitato il danno risarcibile, in relazione all’inosservanza “del comportamento di ciascuno di essi nella determinazione del danno stesso”.
Tuttavia, trattandosi di danno relativo alla perdita di interessi legali per il ritardato incameramento delle cauzioni, non vi può essere dubbio che uno dei parametri di valutazione dovesse riguardare il ritardo a ciascuno imputabile con riferimento al periodo di esercizio delle funzioni durante il quale poteva essere disposto l’incameramento delle cauzioni. 
La dott.ssa ***** ha esercitato la funzione di vicepresidente solo per il periodo dal I giugno 97 al 10 dicembre 97 (meno di sei mesi).
La valutazione della Corte dei conti non attribuisce alcun peso al dato temporale, riportando l’attribuzione del danno esclusivamente all’esercizio della funzione di vice presidente, prescindendo quindi dal tempo e dai comportamenti a ciascuno riferiti.
Per quanto riguarda il comportamento si deve anzitutto rilevare che l’appellante nel passaggio di consegne non segnalò all’attenzione di altri ciò che non era stato posto alla sua attenzione, e di cui era rimasta sempre all’oscuro. Solo il 6 ottobre 1998, in relazione alla lettera della Corte dei conti, il vice presidente in carica (dott. *****) ebbe notizia della questione ancora pendente, nonostante che la pratica non fosse stata evidenziata come tale. A seguito di tale lettera venne avviata la richiesta di parere al Ministero dei lavori pubblici ai fini della quantificazione del danno. Le considerazioni svolte nella sentenza impugnata circa l’inutilità di tale richiesta, (che ritardò di circa un anno l’incameramento delle cauzioni) ai fini dell’individuazione di una colpa grave, non potevano essere affatto riferite alla dott.ssa *****. …”.
 
Nell’appello di Marco ***** è stato eccepito:
 
“1)Difetto di legittimazione passiva – errata valutazione dei presupposti di fatto nella sentenza impugnata – attribuzione di funzione sulla base di un documento estraneo al procedimento e non avente natura di accertamento.
Nell’invito a dedurre del 27.9.2000 la Procura ha contestato ai convenuti un atteggiamento dì inerzia tale da produrre il mancato incameramento delle tre cauzioni inerenti i contratti rescissi definendo danno erariale la sorte capitale pari all’importo delle cauzioni sulla base di un’errata valutazione dei fatti atteso che le cauzioni sono state tutte integralmente introitate dall’amministrazione.
Errata valutazione consistente inoltre nella diretta imputazione al comparente di responsabilità esorbitanti la posizione funzionale a lui attribuita all’interno dell’ufficio, atteso che il ***** era addetto e non responsabile all’ufficio contratti (cfr. delibera e ordine di servizio n. 560 del 20.11.1996, doc. 2 allegato ) … oltre che impegnato per la notoria vacanza di organico all’interno dell’ufficio (doc. 1 allegato) nelle più svariate mansioni con un impegno lavorativo diuturno e particolarmente gravoso .
La sua posizione funzionale e la sua subordinazione alle superiori direttive esclude in re ipsa una sua diretta legittimazione nell’ambito del presente giudizio, attesa la presenza e il diretto continuo interessamento da parte della gerarchia sovraordinata dell’ufficio (cfr. pianta organica del Magistrato per il Po) e tanto, anche a mente di quanto previsto dall’art. 17 del DL n. 29/1993 in ordine alla potestà sostitutiva del dirigente in caso di inerzia (anche se insussistente nel caso di specie) .
E’ pur vero che la stessa Corte dei conti Emilia Romagna ed anche codesto Collegio hanno ravvisato la responsabilità del dipendente anche a prescindere dal formale inquadramento … ma nel caso di specie l’esimente dedotta opera in ogni caso in quanto al ***** non venne mai conferita la responsabilità dell’Ufficio contratti tanto da essere definito formalmente dalla stessa amministrazione di appartenenza ivi addetto.
Nessuno degli atti del procedimento reca la sua firma in rappresentanza dell’amministrazione …
Sul punto della imputazione della responsabilità si legge in motivazione che il ***** sarebbe stato al vertice, “capo reparto dell’ufficio contratti fino al 18.11.1997”, inequivocabilmente risultando tale circostanza dalla nota inviata al Procuratore regionale n. 10846 del 6.9.2000. E’ evidente l’errore nella valutazione del fatto prospettato in quanto la qualificazione dei ***** al vertice del suddetto ufficio è fatta sulla base di un documento successivo ai fatti di cui è causa e soprattutto in aperto contrasto con la documentazione riversata in atti dalla quale si evince che il medesimo era addetto presso il medesimo ufficio e non a capo dello stesso. … Ma l’interpretazione della posizione dell’appellante all’interno dell’ufficio non tiene conto assolutamente della prova scritta offerta nella produzione del fascicolo di I grado e segnatamente nell’ordine di servizio 439/9.4.1992 mai revocato in cui il ***** viene indicato quale istruttore delle pratiche e non responsabile dell’ufficio e nel caso di specie tanto le disposizioni di incameramento delle cauzioni quanto il quesito al Ministero pervengono dal vertice dell’amministrazione e soprattutto, logicamente, dimostrano la decisione di posporre l’incameramento all’acquisizione del parere da parte dell’Amministrazione centrale (mai pervenuto) e soprattutto dopo la effettiva determinazione dei danni da richiedere alle compagnie.
 
Né ai fini della colpa, quale conseguenza della intrinseca consapevolezza della eccedenza dei danni effettivamente patiti dall’amministrazione rispetto ai massimali di polizza, può trarsi alcun argomento nei confronti dell’appellante atteso che ad esempio per l’appalto FE- E- 697 il danno accertato è risultato ben inferiore al massimale garantito ( danno accertato 1ire 17.997.180 a fronte di un massimale di lire98.872.698).
2) Inesistenza di responsabilità e di colpa in capo all’appellato – mancata valutazione dell’elemento temporale da parte del giudice del I grado – contraddittorietà della sentenza: se il ***** non era più addetto all’ufficio contratti dal 18.11.1997 tanto da essere sostituito dal ***** in quella data e ciò è pacifico nella stessa sentenza, non si comprende per quale ragione quest’ultimo sia stato assolto nonostante in servizio presso quell’ufficio per gli oltre due anni successivi trascorsi fino alla conclusione del procedimento, nel mentre il ***** ormai non più facente parte di quel reparto sia stato invece ritenuto responsabile anche per il periodo durante il quale non vi svolse più alcun compito.
Se infatti il *****, per la circostanza di essere subentrato al ***** nella data indicata, è andato assolto perché addirittura ritenuto estraneo al procedimento, a maggior ragione l’appellante avrebbe dovuto ottenere lo stesso provvedimento. …
3)    Errata determinazione del danno nella sentenza di I grado – ulteriori profili di inesistenza di colpa a carico del *****: mancavano integralmente i presupposti per l’esercizio dell’azione proposta. Una prima valutazione dove essere fatta in ordine alla sussistenza e alla consistenza del danno ventilato dalla procedente Procura ed identificato genericamente nel mancato utilizzo delle somme da incamerare a causa della colpevole inerzia dei convenuti.
La decorrenza del ritardo viene fissata dal mese di marzo 1997 atteso che le polizze assegnavano alle compagnie assicuratrici il termine di pagamento di trenta giorni a semplice richiesta senza poter tener conto che in quella data, logicamente, l’unica somma esigibile dall’amministrazione era pari alle sole spese di pubblicità e non al complessivo importo comprensivo della differenza sul diverso prezzo di riaffidamento degli appalti rispetto a quello dei contratti rescissi.
Quindi, per ipotesi (e per assurdo) dal mese di marzo 1997 diversamente da quanto ritenuto dalla Procura precedente. sarebbero maturati interessi moratori esclusivamente sui minori importi di lire 27.421.650 per il contratto SAPO E-351, di lire 17.997.180 per le spese pubblicitarie del contratto FE-E-697 e di lire 27.421.650 per quelle relative al contratto SAPO-E-350 con un determinante abbattimento dell’importo richiesto.
 A ciò si aggiunga che in ogni caso (ferma l’inconfigurabilità della responsabilità), non potrebbe imputarsi come voce di danno a carico del funzionario anche il periodo trascorso successivamente alla formalizzazione della richiesta di liquidazione delle cauzioni alle compagnie assicurative, periodo per il quale in caso di ritardo ogni responsabilità sarebbe da imputare esclusivamente a queste ultime.
Solo per quest’ultimo punto la Corte ha accolto le tesi di questa difesa …
Sempre in punto di elemento soggettivo occorre inoltre evidenziare che è di tutta evidenza che l’Ufficio del Magistrato del Po nella sua massima rappresentanza stabilì sin dall’inizio del procedimento la necessità di accertare complessivamente l’ammontare del danno da richiedere alle compagnie assicuratrici, non limitando tale richiesta esclusivamente alle spese di pubblicità ma, anche e ovviamente, alla più consistente causale costituita dalla differenza con il diverso prezzo di riaffidamento degli appalti. Tale orientamento sul quale l’azione del ***** non poteva assolutamente inferire è dimostrato dal quesito tempestivamente inoltrato con la nota del 4.3.1997 (doc. 4 e 5) a firma del vertice del Magistrato per il Po nonché nelle risposte sempre a firma del vice presidente ai rilievi della Ragioneria (doc. da 11 a 15), con le quali si comunicava il congelamento delle procedure di recupero nelle more della determinazione complessiva del danno.
Nella corrispondenza intercorsa poi con la Delegazione della Corte dei conti , il Magistrato del Po con note a firma del presidente ***** (rilievo Corte dei conti n. 60 del 30.10.1998 e risposta del 8.6.1999) confermava l’orientamento predetto e la necessità di attendere la risposta al quesito da parte del Ministero dei Lavori Pubblici, risposta poi mai intervenuta.
Nelle more della risposta da parte del Ministero, l’ufficio cui il ***** era preposto (e la sua funzione all’interno dello stesso si è esaurita alla data del subentro dell’altro funzionario, pure convenuto nel presente giudizio, in data 18.11.1997) secondo le indicazioni dell’organo sovraordinato, ha posto in essere la dovuta attività istruttoria esecutiva per la predisposizione delle nuove gare, definitivamente esaurite con il riaffidamento dei lavori in data 18 e 19.5.1998 (cfr. verbali allegati ) . La decisione di richiedere alle Compagnie assicuratrici la liquidazione delle cauzioni è avvenuta dopo la determinazione del maggior danno all’esito del riaffidamento degli appalti e circa venti giorni dopo il sollecito della risposta al quesito al Ministero dei Lavori Pubblici da parte del presidente del Magistrato del Po nel marzo 1999 (doc. 5 allegato).
 
Nella prospettata successione degli eventi, appare evidente l’assoluta mancanza di colpa a carico del ***** atteso che l’attività amministrativa da lui posta in essere si è svolta nell’effettivo rispetto delle indicazioni dei superiori, né poteva a lui imputarsi la violazione di qualsivoglia norma di legge o di regolamento attesa la impossibilità, per carenza di rappresentanza dell’Ufficio connessa alla sua posizione funzionale, di effettuare (qualora possibile e logicamente compatibile) una preventiva richiesta di incameramento delle cauzioni. …
Ma tutta la fattispecie oggetto del giudizio … non consentiva, a sommesso avviso della scrivente difesa, di ravvisare ipotesi di dolo o di colpa da parte dell’intero Ufficio del Magistrato del Po, atteso che verosimilmente e sulla base della documentazione in atti effettivamente la scelta di richiedere lumi al Ministero competente in ordine ai criteri di determinazione del danno, tempestivamente operata, fu atto di buona amministrazione.
Né nelle more del quesito mai evaso dal Ministero vi fu inerzia degli uffici interessati atteso che le gare vennero tempestivamente bandite e solo all’esito delle stesse fu possibile una complessiva determinazione del danno da richiedere alle Compagnie.
Con la limitazione della responsabilità amministrativa ai soli casi di colpa grave il legislatore ha, in linea di massima, inteso escludere, ai fini dell’accertamento della responsabilità, la sufficienza della semplice violazione di norme aventi contenuto generico e rivolte alla genericità dei pubblici dipendenti, dovendosi viceversa ritenersi sussistere “in re ipsa” una situazione di colpa grave nella violazione di specifiche regole rivolte alla specifica categoria di dipendenti cui il convenuto appartiene …
Nel caso oggetto del presente giudizio, l’accertamento dell’azione amm.va avrebbe consentito al giudice del 1 grado di escludere in limine qualsivoglia profilo di colpa , anche in relazione poi alla considerazione, effettivamente ignorata nell’atto di citazione e che invece incide in ordine alla valutazione dell’elemento soggettivo, che le cauzioni furono tutte effettivamente incamerate dall’amministrazione …”.
 
L’appellante ha concluso chiedendo l’accoglimento dell’appello e, in via subordinata, adempimenti istruttori.
 
Nelle conclusioni scritte la Procura generale, riguardo all’appello di Maria Teresa *****, ha osservato: 
 
"Il tardivo incameramento di quasi quattro anni delle cauzioni è ascrivibile, senza ombra di dubbio, al comportamento gravemente colposo dei convenuti in prima istanza.
Va in proposito sottolineato che la possibilità, prevista dal legislatore, nell’interesse delle imprese appaltatrici, di prestare cauzioni definitive mediante polizze, non riduce l’area dei diritti dell’amministrazione per l’ipotesi di rescissione d’ufficio, in seguito all’inadempimento delle ditte aggiudicatarie.
Questo tipo di polizza, in particolare, era nella specie caratterizzato dalla possibilità per l’ente pubblico, attraverso apposita clausola generale inserita nel contratto, e sua semplice richiesta, di garantirsi la disponibilità immediata del denaro.
Tutto ciò non è peraltro negato dalla ricorrente, la quale tende a riversare la responsabilità su altri soggetti che non avrebbero segnalato la circostanza della necessità dell’incameramento; la medesima oppone, inoltre, di avere esercitato la funzione per il periodo di servizio 1 giugno 10 dicembre ’97 (nella memoria presentata alla Sezione regionale si indicava il periodo 28 maggio 15 dicembre ’97: pagina 17 sentenza), vale a dire in un arco temporale che non avrebbe formato oggetto di rilievi in sentenza. Nulla di più errato.
La decisione di primo grado ha puntualizzato (pagina 30 sentenza) che i vice presidenti dott.ssa ***** e dottor ***** "si susseguirono nell’epoca in cui si svolsero le vicende in questione, si deve rilevare il mancato esercizio, da parte loro, delle funzioni di sorveglianza e di coordinamento".
Va osservato che l’appellante, contrariamente a quanto si deduce, era in attività proprio nell’epoca in cui erano state appena emanate le disposizioni del presidente, con lettere datate 16 e 17 gennaio ’97, con cui si intimava di procedere all’incameramento della cauzione sulla scorta del parere favorevole alla rescissione del Comitato tecnico amministrativo emesso nell’adunanza del 22 luglio ’96.
Va poi aggiunto che, in data 4 febbraio ’97, la Ragioneria dello Stato muoveva rilievi evidenziando l’esigenza di provvedere all’incameramento del deposito.
Come può agevolmente constatarsi, si tratta di avvenimenti verificatisi in costanza di servizio della ricorrente che aveva il dovere, essendo certamente a conoscenza dei fatti, di intervenire per sollecitare gli uffici agli adempimenti nell’interesse dell’amministrazione.
Non risponde al vero l’asserzione, contenuta nell’atto di impugnazione, secondo cui la richiesta di parere al Ministero fu avviata dopo il rilievo della Corte (6 ottobre ’98), poiché lo stesso fu in realtà richiesto molto tempo prima ossia in data 4 marzo ’97, come risulta dagli atti processuali (vedi pagina 6 sentenza), in epoca, cioè, precedente l’insediamento nella carica della dottoressa Maria Teresa *****.
Per quel che attiene ai contestati parametri di valutazione, c’è da rimarcare che il giudicante, dopo aver fatto ampio uso del potere riduttivo, quantificando il danno in 16.000 euro, ha equamente ripartito il pregiudizio, imputando il maggior peso, data l’incidenza del comportamento, al dottor *****, responsabile dell’ufficio contratti e suddividendo la restante quota in misura del 25% ai due vice presidenti, tenendo conto sostanzialmente della durata e dell’arco temporale di riferimento delle rispettive cariche, nel cui periodo era senz’altro possibile e doveroso provvedere ". 
 
Riguardo all’appello di Marco ***** la Procura generale ha osservato: 
 
"Le doglianze riguardanti il preteso difetto di legittimazione passiva in dipendenza, secondo la tesi difensiva, della qualità di addetto all’ufficio e non di responsabile si dimostrano prive di fondamento.
In disparte l’aspetto di contraddittorietà insito nel ricorso, laddove si afferma che "il ***** era preposto" all’ufficio, va in ogni caso puntualizzato che, ai fini della titolarità esterna e della funzione, devesi aver riguardo all’attività realmente svolta e della quale è investito il soggetto.
In tema di responsabilità, infatti, vige il consolidato principio giurisprudenziale in base al quale l’organizzazione formale è solo indicativa, ma è la realtà fattuale (vedi ad esempio il funzionario di fatto) che si rileva decisiva ai predetti fini (Sezioni Riunite n. 493/A del 30 maggio 86), dovendosi fare riferimento alle mansioni effettivamente esercitate, ancorché irritualmente o per nulla conferite.
Nel caso in esame non può revocarsi in dubbio che il ***** non era in rapporto di subordinazione, bensì era posto al vertice dell’ufficio contratti come capo reparto fino al 18 novembre ’97 (vedi nota al Procuratore regionale 6 settembre 2000 del Magistrato del Po. Tanto basta ad eliminare qualsiasi sospetto di difetto di legittimazione passiva nei confronti del ricorrente il quale, peraltro, aveva il dovere di rappresentare quanto era a sua conoscenza ai vertici dell’ente di appartenenza.
Va ancora rimarcato che la facoltà, prevista dalla legge, nell’interesse delle imprese appaltatrici, di prestare cauzioni definitive mediante polizze non riduce l’area dei diritti dell’amministrazione per l’ipotesi di rescissione d’ufficio, in seguito all’inadempimento delle ditte aggiudicatarie. Questo tipo di polizza era caratterizzato dalla possibilità, per l’ente pubblico, attraverso apposita clausola generale, su semplice richiesta, di garantirsi la disponibilità immediata del denaro. Ciò appare sufficiente a dirimere ogni possibile paventato equivoco circa la decorrenza dell’entità della somma esigibile, di cui è cenno nell’atto di impugnazione. Non meritano di essere condivise, infine, le subordinate richieste di ulteriori istruttorie … ".
 
Nella pubblica udienza del 1642004 l’avv. Pennini, per il ***** e la *****, si è riportato ai motivi degli appelli, ribadendo, per quest’ultima, che la contestata negligenza era frutto di mera presunzione.
 
Infatti, la ***** era totalmente all’oscuro dell’evento dannoso, non essendole pervenuta alcuna informativa in merito per tutto il periodo della carica, oltre tutto in assenza di formale passaggio di consegne.
 
Inoltre era da ritenere illogico l’addebito conseguente ad una inadempienza durata anni in relazione ad una funzione espletata per pochi mesi.
 
Il P.M. per l’appello ***** ha osservato che se l’appellante avesse disposto il tempestivo incameramento della cauzione non vi sarebbe stato alcun danno per cui l’inadempienza copriva l’intero periodo di tempo.
 
Per l’appello ***** ha precisato che questi era funzionario al vertice dell’ufficio contratti e dell’ufficio legale, come risultava dall’organigramma dell’ufficio e che il danno contestato era pari all’intera somma che le società assicuratrice erano tenute a versare in virtù delle clausole fideiussorie, a semplice richiesta, con il mero onere per l’amm.ne, per uno solo dei tre contratti, di trasmettere la documentazione attestante l’inadempimento, senza che rilevasse l’effettiva quantificazione del danno, salvo eventuale conguaglio in un momento successivo.
 
In sede di replica il difensore ha ribadito che la richiesta di incameramento delle cauzioni poteva avvenire in qualsiasi momento durante l’intero arco temporale di durata dell’inadempienza, per cui non si comprendeva l’accollo alla sola ***** dell’intero danno.
 
Ha poi precisato, in relazione alla circostanza che sia l’appello ***** che l’appello ***** erano stati notificati ad Alessandro ***** ed a Paolo ***** (l’***** condannato ma non appellante ed il ***** assolto dal giudice di primo grado), che la notifica non doveva essere intesa come chiamata in causa dei predetti.
 
Sul punto il P.M., concordemente al difensore, ha aggiunto che l’***** ed il ***** non avevano alcun titolo per essere presenti, anche in applicazione della sentenza n. 192003QM delle SS.RR..
 
DIRITTO
 
1)La sentenza di primo grado “assolve ***** Paolo dalla richiesta di condanna formulata per il danno erariale di cui è causa e condanna ***** Marco, ***** Maria Teresa, ***** Alessandro al pagamento, in favore dell’erario, delle somme, rispettivamente, di euro 8.000, 4.000 e 4.000, cui debbono aggiungersi gli interessi legali”.
 
Il primo problema da risolvere riguarda:
 
a)L’eventuale chiamata in giudizio del *****, tenuto conto che nell’appello ***** si è contestato che “se il ***** non era più addetto all’ufficio contratti dal 18.11.1997 tanto da essere sostituito dal ***** in quella data e ciò è pacifico nella stessa sentenza, non si comprende per quale ragione quest’ultimo sia stato assolto nonostante in servizio presso quell’ufficio per gli oltre due anni successivi trascorsi fino alla conclusione del procedimento, nel mentre il ***** ormai non più facente parte di quel reparto sia stato invece ritenuto responsabile anche per il periodo durante il quale non vi svolse più alcun compito”.
 
b)L’eventuale chiamata in giudizio dell’*****, tenuto conto che, nell’appello *****, è stata censurata la “errata determinazione del danno”.
 
Come si è visto, “sul punto il P.M., concordemente al difensore”, ha sostenuto che “l’***** ed il ***** non avevano alcun titolo per essere presenti, anche in applicazione della sentenza n. 192003QM delle SS.RR.”.
 
Peraltro tale affermazione lascia adito a dubbi, dal momento che nella citata sentenza n. 18 delle SS.RR. è scritto:
 
“Se quelli innanzi delineati sono la dislocazione degli interessi e la domanda oggetto del giudizio di primo grado, questi non possono mutare nel processo di appello almeno nei limiti nei quali essi vengano dedotti nel gravame, con conseguenze sia in ordine alla domanda sia in ordine agli interessi sia in ordine ai contraddittori che debbono essere presenti nel giudizio. Va allora affermato che l’unitarietà e parzialità dell’obbligazione risarcitoria implica in grado di appello il litisconsorzio processuale necessario tra tutti i soggetti presenti in primo grado quando oggetto del gravame sia l’esistenza o la quantificazione e la ripartizione del danno fatto valere nell’originario atto di citazione. … L’appellante, investendo con i motivi di gravame punti della decisione impugnata, segna i limiti del giudizio in grado di appello ed i limiti del litisconsorzio che si estende a tutti i soggetti in posizione confliggente con l’interesse dedotto e la cui posizione quale risulta nella sentenza impugnata viene messa in contestazione. … Va allora affermato il litisconsorzio necessario in appello fra tutti i soggetti investiti dai motivi di gravame di ciascun appellante ed in particolar modo relativi all’esistenza ed alla ripartizione del danno”.
 
Alla luce di tali principi, se, come affermano le SS.RR. nella citata sentenza, sussiste “in grado di appello il litisconsorzio processuale necessario tra tutti i soggetti presenti in primo grado quando oggetto del gravame sia l’esistenza o la quantificazione e la ripartizione del danno fatto valere nell’originario atto di citazione” ed il litisconsorzio “si estende a tutti i soggetti in posizione confliggente con l’interesse dedotto”, non si comprende come possa sostenersi che “l’***** ed il ***** non avevano alcun titolo per essere presenti, anche in applicazione della sentenza n. 182003QM”, dal momento che, come sopra ricordato, nell’appello *****, è stata censurata la “errata determinazione del danno” nonché la circostanza che il ***** “sia stato assolto nonostante in servizio presso quell’ufficio per gli oltre due anni successivi trascorsi fino alla conclusione del procedimento, nel mentre il ***** ormai non più facente parte di quel reparto sia stato invece ritenuto responsabile anche per il periodo durante il quale non vi svolse più alcun compito”.
 
Tanto precisato, occorre stabilire se debba accettarsi la tesi concordemente prospettata dalle parti, secondo cui l’***** ed il ***** non debbano essere chiamati in causa o se, al contrario, debba ordinarsi l’integrazione del contraddittorio in linea con la citata decisione delle SS.RR.
 
Va posto nella massima evidenza che le SS.RR., nella materia in esame, non hanno avuto un indirizzo uniforme, ma anzi hanno assunto nel tempo determinazioni diametralmente opposte.
 
Infatti la sentenza n. 182003 si pone in insanabile contrasto con la precedente sentenza n. 52001 con la quale si è concluso nel senso che:
 
“Nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile, ove all’unicità del danno faccia riscontro una pluralità di condotte dannose, tali condotte sono autonomamente valutabili ai fini dell’attribuzione del danno ai compartecipi: consegue che in grado di appello, salvo l’ipotesi di inscindibilità o dipendenze di cause ex art. 331 c.p.c., non è configurabile il c.d. litisconsorzio necessario, sia sostanziale sia processuale. L’ammissibilità dell’appello di parte privata è subordinato alla sussistenza dello specifico interesse alla revisione scaturente dalla soccombenza, totale o parziale, in primo grado; in particolare, la parte privata non è legittimata ad interporre appello avverso il compartecipe assolto in primo grado o condannato per un quota inferiore per la mancanza di specifico interesse, dal momento che la sentenza d’appello pronunziata in assenza di eventuali corresponsabili non arreca pregiudizio agli assenti né perde di utilità se limitata ai corresponsabili presenti. È consentito al giudice d’appello un accertamento di tipo incidentale nei confronti di soggetti presenti in primo grado e non in fase di gravame, al solo fine dell’esatta determinazione della quota di danno da porre a carico dei soggetti in giudizio e senza che tale accertamento possa esplicare alcun effetto sulle posizioni, divenute definitive, degli assenti ".
 
In particolare, nella sentenza n. 52001, il collegio ha escluso che "nel giudizio d’appello debba necessariamente riprodursi la situazione soggettiva del giudizio di primo grado, con la presenza in tale fase di tutti i soggetti presenti in primo grado ed in quella fase condannati o assolti. … tale evenienza, come ha ricordato il procuratore generale, si verificava in vigenza del sistema c.d. reale, peraltro abbandonato e sostituito fin dalla 1865 da quello c.d. personale, basato sul concetto di interesse al quale è ispirato anche il regolamento di procedura per i giudizi dinanzi alla Corte dei conti… La soluzione del necessario coinvolgimento in grado di appello di tutti coloro che sono stati parte in primo grado non è più compatibile con il nuovo contesto normativo nel quale verrebbe ad inserirsi: detto sistema dovrebbe infatti operare al cospetto di una riforma legislativa (novelle del 1994 e del 1996) che ha insistito sul concetto della valutazione delle singole responsabilità, con condanna di ciascuno per la parte che ha preso nella produzione dell’evento dannoso… Ciò che resta unitario in fattispecie di danno erariale è solo l’ammontare complessivo di tale danno, mentre sono e restano distinti e rilevanti i fatti-comportamento, ossia gli apporti causali individuali e quindi le condotte dei compartecipi. Ciascuna di esse è produttiva non del danno (unico nel suo ammontare) di cui viene chiesto l’integrale risarcimento, bensì della limitata quota dello stesso danno, a tale comportamento direttamente ed esclusivamente riconducibile in virtù del nesso di derivazione causale tra ciascuna singola condotta e l’evento dannoso nel suo complesso… Nella sua struttura interna anche l’atto collegiale è il risultato del concorso di una pluralità di atti collegati nell’ambito di un procedimento amministrativo a sua volta articolato su procedimenti e provenienti da soggetti diversi, posti anche su piani differenziati e nell’esercizio di funzioni diverse. Con la conseguenza che, poiché il giudice contabile conosce, in via principale, non di atti amministrativi, ma di fatti e di comportamenti, ciascuno degli atti del procedimento deliberativo mantiene la sua autonomia ed è quindi apprezzabile nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze giuridiche anche in ordine alle responsabilità individuali, tra cui quella gestoria rimessa alla giurisdizione della Corte dei conti. Tutto ciò a conferma del principio secondo cui nel giudizio di responsabilità dinanzi a questa Corte dei conti i singoli e distinti comportamenti degli eventuali compartecipi nella produzione dell’evento dannoso concorrono alla costituzione del rapporto che non è unitario ma, in linea di principio, divisibile”.
 
A questo punto occorre approfondire i motivi per i quali le SS.RR., nell’ultima sentenza, sono pervenute a conclusioni diametralmente opposte, rispetto a quella accolte nella precedente, al fine di stabilire quale sia la soluzione preferibile.
 
a)Nella sentenza n. 182003 è scritto che “l’unitarietà dell’obbligazione risarcitoria, direttamente desumibile dalla lettura dell’art. 1 comma 1 quater della legge n. 20/94, è confermata anche dal successivo comma 1 quinquies, secondo il quale nel caso in cui al comma 1 quater, i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidalmente. È allora evidente che, presupponendo la solidarietà l’unicità della obbligazione, il richiamo al caso di cui al comma 1 quater implica di necessità che detto comma preveda un’ipotesi d’obbligazione unica anche se non solidale ma parziaria. La soluzione è poi coerente con l’art. 2055 secondo il quale se è unico il fatto dannoso imputabile a più persone si determina un’obbligazione risarcitoria unitaria".
 
L’affermazione secondo cui “la solidarietà presuppone l’unicità dell’obbligazione” si pone in contrasto con l’insegnamento della suprema Corte.
 
Come precisato dalla Cassazione nella sentenza 841999 n. 12325, costituisce "jus receptum che l’obbligazione solidale passiva risarcitoria – come quella dei corresponsabili del fatto illecito – non fa sorgere un rapporto unico ed inscindibile e non dà luogo a litisconsorzio necessario nemmeno in sede d’impugnazione e neppure sotto il profilo della dipendenza di cause (v. per riferimenti: Cass. 4.10.1981 n. 5372) bensì a rapporti giuridici distinti, anche se fra loro connessi, e potendo il creditore ripetere da ciascuno di quei condebitori l’intero suo credito, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale che può svolgersi utilmente anche nei confronti di uno solo dei coobbligati (v. Cass. 30.5.1990 n. 5082)”.
 
Nel caso esaminato dalla Cassazione risulta che “l’attore, con l’originario atto di citazione, ha proposto una domanda di risarcimento del danno derivante da uno stesso fatto illecito, addebitandolo all’impresa, esecutrice di lavori stradali, ed al Comune, per conto del quale quei lavori venivano eseguiti, rispettivamente per colpa ed imperizia nell’esecuzione e per colpa "in vigilando", convenendoli contestualmente in giudizio per sentirli condannare al conseguente pagamento. Orbene con tale domanda non si è dato luogo ad una causa inscindibile con pluralità di parti bensì ad una mera connessione di cause distinte con litisconsorzio passivo facoltativo (v. Cass. 4.5.1979 n. 3158), atteso che a norma dell’art. 2055 cod. civ. si è in presenza della responsabilità solidale di tutti i soggetti imputabili del fatto dannoso, ancorché le condotte lesive siano fra loro autonome e pur se diversi siano i titoli di responsabilità di tali persone, dato che l’unicità del fatto dannoso, considerata dalla norma suddetta, deve essere riferita unicamente al danneggiato, senza potere essere intesa come identità delle azioni giuridiche dei danneggianti e neppure come identità delle norme giuridiche da essi violate (v. Cass. 4.3.1993 n. 2605; Cass. 20.8.1977 n. 3817)”.
 
b)”Il principio della personalità della responsabilità sancito dall’art. 1 comma 1 della legge n. 201994 letto alla luce dei principi fissati dall’art. 111 Cost. novellato comporta anche che il convenuto in giudizio possa far valere l’esistenza di comportamenti illeciti di altri soggetti per dimensionare la propria responsabilità. … Se viene posto in discussione il comportamento di un soggetto che sta nel processo (sia perché inizialmente chiamato dal procuratore regionale, sia perché chiamato ai sensi dell’art. 102 o dell’art. 107 c.p.c.) il giudice (d’appello) non può che pronunziarsi con pienezza di cognizione dovendo stabilire l’illiceità del comportamento e la parte che il suo autore ha preso nella causazione del danno a fini di ripartizione. … Il litisconsorzio si estende a tutti i soggetti in posizione configgente con l’interesse dedotto e la cui posizione quale risulta nella sentenza impugnata viene messa in contestazione. … Risulta giuridicamente inammissibile che, in un medesimo giudizio, in un grado si affermi con effetto di giudicato l’inesistenza di responsabilità di un soggetto e che nel successivo grado se ne affermi, invece, sia pure incidenter tantum, la responsabilità con un evidente aggiramento della preclusione del giudicato”.
 
Al riguardo si osserva che, se è ovvio “che il convenuto in giudizio possa far valere l’esistenza di comportamenti illeciti di altri soggetti per dimensionare la propria responsabilità” ciò non comporta affatto che tali soggetti possano, per tali motivi, essere chiamati in giudizio.
 
Come esattamente rilevato dalle stesse SS.RR. nella sentenza n. 52001 “parte privata non è legittimata ad interporre appello avverso il compartecipe assolto in primo grado (o ivi condannato per quota inferiore) per la mancanza di specifico interesse”. Infatti, “è consentito al giudice d’appello accertamento di tipo incidentale nei confronti di soggetti presenti in primo grado e non in fase di gravame, al solo fine dell’esatta determinazione della quota di danno da porre a carico dei soggetti in giudizio e senza che tale accertamento possa esplicare alcun effetto sulle posizioni, divenute definitive, degli assenti”.
 
Proprio perché la statuizione è rivolta esclusivamente alla “esatta determinazione della quota di danno da porre a carico dei soggetti in giudizio”, non sussiste alcun “aggiramento della preclusione del giudicato”.
 
Ma c’è di più. La tesi propugnata nell’ultima sentenza delle SS.RR. comporterebbe proprio la violazione del giudicato formatosi sulle posizioni dei soggetti per i quali la decisione di primo grado non sia stata tempestivamente impugnata da parte dei soggetti interessati.
 
Anche sul punto occorre richiamare la giurisprudenza della suprema Corte.
 
Nella già citata sentenza n. 123251999, riguardante una domanda di risarcimento del danno derivante da uno stesso fatto illecito, addebitato all’impresa, esecutrice di lavori stradali, ed al Comune, per conto del quale quei lavori venivano eseguiti, convenuti contestualmente in giudizio per sentirli condannare al conseguente pagamento, la Cassazione ha precisato: “Considerato che, con riguardo all’indicata domanda di risarcimento del danno, il Tribunale ha ritenuto l’esclusiva responsabilità del Comune e che siffatta decisione non è stata oggetto d’impugnativa da parte dell’attore, è precluso al giudice d’appello di ulteriormente provvedere su quella stessa pretesa, dovendosi tener presente che la preclusione nascente da giudicato si traduce in un ostacolo a che il giudice possa nuovamente riesaminare e pronunciare sul medesimo oggetto”.
 
Va anche ricordata la sentenza della Cassazione n. 129131997 riguardante il caso di un dipendente che ha convenuto in giudizio l’Istituto previdenziale ed il Ministero del tesoro per una questione attinente il trattamento di fine rapporto per il quale il Tribunale ha individuato il debitore nel solo Ministero.
 
Nella causa la Cassazione ha osservato:
 
“Preliminarmente la Corte rileva che il ricorso risulta notificato al solo Ministero e non anche all’Inadel che pur è stata parte dei precedenti gradi di giudizio. E tuttavia tale omissione non comporta l’applicazione della regola prevista dall’art. 331 c.p.c.. Tale norma prevede, infatti, per le cause inscindibili o fra loro dipendenti, la integrazione del contraddittorio, innanzi al giudice dell’impugnazione, nei confronti delle parti per le quali la decisione non è stata impugnata. Trattasi, come noto, di norma, che, atteso il litisconsorzio di natura sostanziale o processuale esistente fra le parti, tende a provocare la partecipazione al giudizio di impugnazione di tutte le parti del grado precedente essendo stato impedito, nei confronti di tutte, per effetto dell’impugnazione, il passaggio in giudicato della decisione: per consentire loro di partecipare ad un processo che attiene ad un bene della vita che coinvolge un loro interesse. Ne consegue che detta partecipazione – nonostante la situazione di litisconsorzio sostanziale esistente fra le parti, come nella fattispecie in cui la creazione di un nuovo rapporto previdenziale in capo all’Inadel comporta il coinvolgimento di tre soggetti – non necessita allorché la fase d’impugnazione non possa avere alcuna incidenza sugli interessi del soggetto cui non sia stata notificata la impugnazione. E tale è la situazione in cui trovasi l’Inadel la cui estraneità alla obbligazione risarcitoria per il ritardato pagamento dell’eccedenza decretata dal Tribunale è coperta per difetto d’impugnazione, dal giudicato interno: sicché rimane per tale Istituto indifferente la questione relativa alla liquidazione di tale danno”.
 
In conclusione, conformemente alla giurisprudenza della Cassazione, in accoglimento della richiesta concordemente formulata dalle parti, non va disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di ***** e *****, la cui posizione è ormai intangibile, per intervenuto giudicato.
 
2)Appello *****.
 
La ***** ha sostenuto:
 
a)”L’appellante ricoprì la funzione di vice presidente – ad interim- del Magistrato per il Po dal I giugno 1997 al 10 dicembre 1997.
 
b)” Non poteva essere compreso tra gli obblighi il compito di rivedere tutte le pratiche dell’ufficio anche quelle che non risultavano pendenti”.
 
c)”La dott.ssa ***** è rimasta totalmente all’oscuro della vicenda, non essendo intervenuto alcun atto riconducibile a tali pratiche durante il periodo della permanenza in carica”.
 
Tali argomentazioni sono state ribadite nella discussione orale.
 
Orbene, preso atto che la ***** ha ricoperto la funzione per un periodo limitato nel tempo, che non poteva ritenersi compreso negli obblighi generici di vigilanza il controllo delle singole pratiche insolute, che effettivamente tutti gli atti indicati in citazione non riguardano il periodo di permanenza nella carica, risultava rientrare nell’onere probatorio a carico dell’attore la dimostrazione che comunque la convenuta era a conoscenza della vicenda e che aveva mantenuto una colpevole inerzia causativa di danno erariale.
 
Tuttavia il P.M. non ha fornito alcuna prova sul punto né in sede di conclusioni scritte, né in udienza, sebbene sollecitato in merito dal difensore.
 
D’altra parte le conclusioni sono chiaramente errate dove si afferma che “l’appellante, contrariamente a quanto si deduce, era in attività proprio nell’epoca in cui erano state appena emanate le disposizioni del presidente, con lettere datate 16 e 17 gennaio ’97”, dopo aver riconosciuto che “la medesima oppone di avere esercitato la funzione per il periodo di servizio 1 giugno 10 dicembre ’97 (nella memoria presentata alla Sezione regionale si indicava il periodo 28 maggio 15 dicembre ’97)”.
 
In conclusione, l’appello va accolto, non avendo la Procura provata l’esistenza del requisito soggettivo dell’azione di competenza e cioè la colpa grave.
 
3)Appello *****.
 
a)”Il ***** era addetto e non responsabile dell’ufficio contratti”.
 
L’eccezione è infondata.
 
Come giustamente osservato dal P.M., il *****, come da organigramma dell’ufficio, non era in rapporto di subordinazione, bensì era posto al vertice dell’ufficio contratti e dell’ufficio legale e, comunque, aveva il dovere di rappresentare quanto era a sua conoscenza ai vertici dell’ente di appartenenza.
 
b)”Mancata valutazione dell’elemento temporale. Il ***** non era più addetto all’ufficio contratti dal 181197 tanto da essere sostituito dal ***** a tale data”.
 
Nella sentenza di primo grado è puntualizzato che per circa dieci mesi il ***** non ottemperò all’ordine presidenziale all’ufficio di appartenenza di incamerare le cauzioni definitive, mentre il ***** subentrò dopo tale periodo per cui la sua “partecipazione alle vicende appare del tutto marginale”.
 
A prescindere dalla posizione del *****, assolto in primo grado con sentenza ormai passata in giudicato, in mancanza di impugnativa da parte del P.M., la circostanza indicata dalla Sezione regionale denota una inescusabile inerzia del ***** che ha omesso, per colpa grave, di predisporre gli atti necessari per l’incameramento tempestivo delle cauzioni, cagionando così un rilevante danno erariale.
 
Peraltro, il fatto che il ***** non è stato al vertice dell’ufficio per tutto il periodo durante il quale è perdurata l’inadempienza merita di essere considerato ai fini della riduzione dell’addebito.
 
c)”Errata determinazione del danno”.
 
Nell’appello vengono indicate le circostanze che avrebbero comportato “un determinante abbattimento dell’importo richiesto”.
 
La Sezione sul punto ritiene pienamente condivisibile la tesi della Procura secondo cui “il tipo di polizza (per le fideiussioni) era caratterizzato dalla possibilità, per l’ente pubblico, attraverso apposita clausola generale, su semplice richiesta, di garantirsi la disponibilità immediata del denaro. Ciò appare sufficiente a dirimere ogni possibile paventato equivoco circa la decorrenza dell’entità della somma esigibile” e “il danno contestato era pari all’intera somma che le società assicuratrici erano tenute a versare in virtù delle clausole fideiussorie, a semplice richiesta, con il mero onere per l’amm.ne, per uno solo dei tre contratti, di trasmettere la documentazione attestante l’inadempimento”.
 
In conclusione, il ***** va condannato al risarcimento del danno erariale, il cui ammontare, per il motivo indicato al punto b), può essere ridotto da 8.000 a 6.000 (seimila) euro, con pagamento delle spese di giudizio nella misura del 50 % per il primo grado e di 13 per il grado d’appello.
 
PER QUESTI MOTIVI
 
La Sezione I giurisdizionale centrale d’appello:
 
1)Dichiara che non va integrato il contraddittorio nei confronti di Alessandro ***** e di Paolo *****.
 
2)Assolve dalla domanda attrice Maria Teresa *****.
 
3)Condanna Marco ***** al pagamento di 6.000 (seimila) euro, con pagamento delle spese di giudizio nella misura del 50 % per il primo grado 375,01 (trecentosettantacinque/01) e di 13 per il grado d’appello, pari ad euro 101,24 ( centouno/24).
 
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1642004.
 
IL RELATORE                                                                IL PRESIDENTE
 
 f.to Antonio Vetro                                                f.to Claudio De Rose
 
Depositata in data 27/05/2004
 
IL DIRIGENTE
 
f.to Maria Fioramonti
 
 
**** Corte dei Conti, Sez dell’Emilia Romagna – sentenza numero 1762 dell’ 1 luglio 2002
 
 
REPUBBLICA ITALIANA SENT.1762/02/R IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI – SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER L’EMILIA-ROMAGNA
 
composta dai seguenti magistrati:
 
 dott. Giovanni D’ANTINO SETTEVENDEMMIE   Presidente
 
 dott. Massimo DE MARIA                  Consigliere
 
 dott. Pietro SULLO             Consigliere relatore
 
 Visti gli atti di citazione in data 28 febbraio 2001 ed in data 30 agosto 2001;
 
 Visti gli altri atti e documenti di causa;
 
 Uditi nella pubblica udienza del 27 marzo 2002, con l’assistenza del Segretario dott. Nicoletta NATALUCCI, il Consigliere relatore, dott. Pietro SULLO, l’avv. Giuseppe COLIVA e l’avv. Gianni Emilio IACOBELLI in difesa del dott. Marco B., l’avv. Giorgio GOTELLI in difesa del dott. Paolo V., l’avv. Giuseppe PENNISI in difesa della dott.sa Maria Teresa B., l’avv. Massimo COLIVA in difesa del dott. Alessandro A. nonché il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Paolo NOVELLI;
 
ha pronunciato la seguente
 
S E N T E N Z A
sul giudizio di responsabilità, iscritto al n. 22063 del registro di segreteria, instaurato dal Procuratore Regionale della Corte dei Conti per l’Emilia-Romagna nei confronti di B. Marco (elettivamente domiciliato presso lo Studio dell’avv. Giuseppe Coliva a Bologna in Via Galliera n. 19), V. Paolo (elettivamente domiciliato presso lo Studio dell’avv. Giorgio Gotelli a Parma in Piazza Garibaldi n. 17), B. Maria Teresa (elettivamente domiciliata presso lo Studio Zanarelli e Associati a Bologna in Via Clavature n. 22), A. Alessandro (elettivamente domiciliato presso lo Studio dell’avv. Massimo Coliva a Bologna in Via Galliera n. 19).
 
Ritenuto in
 
E[s E[201s FATTO
 La Delegazione Regionale della Corte dei Conti e la Ragioneria dello Stato presso il Magistrato per il Po segnalavano alla Procura Regionale di questa Corte che, in esito alla rescissione d’ufficio per inadempimento di tre contratti di appalto di lavori pubblici, il Magistrato per il Po non aveva provveduto all’incameramento delle cauzioni definitive, prestate mediante polizze fideiussorie.
 
 Per il primo di detti contratti (siglato SAPO-E-350), dell’importo netto di lire 1.598.520.000, aggiudicato per gara pubblica all’impresa IXXs.p.a., era stata prestata garanzia fideiussoria, da tenere come cauzione definitiva, dalla società assicuratrice Centurion s.p.a. (in seguito assorbita dalla Axa Assicurazioni s.p.a.) per un importo di lire 159.855.000.
 
 Per il secondo contratto (siglato SAPO-E-351) dell’importo netto di lire 1.508.062.000, aggiudicato per gara pubblica all’Impresa G.C.P. C.P. s.p.a., era stata prestata garanzia fideiussoria, da tenere come cauzione definitiva, dalla società assicuratrice ***** s.p.a. per un importo di lire 150.810.000.
 
 Per il terzo contratto (siglato FE-E-297) dell’importo netto di lire 988.726.988, aggiudicato per gara pubblica all’Impresa TX G., era stata prestata garanzia fideiussoria, da tenere come cauzione definitiva, dalla società assicuratrice Levante Nord Italia s.p.a. per un importo di lire 98.872.698.
 
 In seguito all’inadempimento delle imprese aggiudicatarie, il Magistrato per il Po avviava la procedura di rescissione dei contratti.
 
 Pertanto il Comitato Tecnico Amministrativo, con voti unanimi n. 11396, n. 11395 e n. 11485, nelle adunanze del 22 luglio 1996 e del 1° ottobre 1996, esprimeva parere favorevole alla rescissione dei contratti con incameramento della cauzione definitiva nonché carico alla ditta dei danni derivanti dalla indizione di un nuovo appalto.
 
 In conformità a tali pareri il Vice Presidente del Magistrato per il Po, con lettere datate 16-17 gennaio 1997 – destinate alla Divisione Amministrativa ed all’Ufficio Contratti – invitava a provvedere all’annullamento dei decreti presidenziali di approvazione dei rispettivi contratti nonché dei contratti medesimi (annullamento formalmente disposto con decreti sottoscritti dal presidente del Magistrato del Po in data 30 gennaio 1997), incaricava la Divisione Amministrativa (III. Reparto) di dar corso all’indizione di nuove gare e disponeva che l’Ufficio Contatti “contestualmente all’annullamento del pubblico repertorio” provvedesse all’incameramento delle cauzioni definitive a suo tempo prestate dalle imprese.
 
 In data 4 febbraio 1997 la Ragioneria dello Stato muoveva al Magistrato per il Po alcuni rilievi, nel presupposto dell’obbligo che incombe all’Amministrazione, in caso di inadempienze contrattuali, di esperire l’azione di risarcimento dei danni conseguenti, chiedendo tra l’altro:
 
1) se si fosse provveduto a determinare il danno sofferto comprensivo delle spese sostenute per pubblicità e per la procedura della gara esperita;
 
2) se si fosse proceduto all’incameramento del deposito cauzionale; 
 
3) se l’importo della cauzione coprisse l’ammontare del danno o se fosse necessario agire in giudizio per il maggior danno ex art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1962, n. 1063.
 
 Il Magistrato per il Po, con risposte del 21 febbraio e del 10 marzo 1997, riferiva che gli importi delle cauzioni coprivano largamente le spese di pubblicità per le gare esperite, che le cauzioni erano prossime ad essere incamerate, che sarebbe stato rivolto un quesito all’Avvocatura dello Stato per sapere se nell’ambito del maggior danno potesse essere ricompresa l’eventualità di una proposta economica meno vantaggiosa per l’Amministrazione rispetto a quella propria del contratto rescisso.
 
 In data 6 ottobre 1998 la Delegazione della Corte dei Conti chiedeva al Magistrato per il Po se si fosse provveduto ad incamerare i depositi cauzionali; in data 30 ottobre 1998 inviava allo stesso Ufficio un’ulteriore richiesta di chiarimenti, non ritenendo esaustivi quelli forniti con lettera del 16 ottobre 1998.
 
 Con risposta dell’8 giugno 1999 il Magistrato per il Po riferiva che, con riguardo all’incameramento delle cauzioni, in data 4 marzo 1997 era stato rivolto un quesito al Ministero dei Lavori Pubblici in relazione alla quantificazione del danno, quesito rimasto senza risposta sicché era stato inviato un sollecito “onde poter definire in che misura aggredire le cauzioni delle quali in precedenza era stato disposto l’incameramento”; riferiva, inoltre, che nel frattempo una delle imprese appaltatrici era fallita cosicché la Compagnia assicuratrice aveva ritenuto non più operante la polizza fideiussoria e che per le rimanenti due polizze l’Amministrazione aveva destinato, in data 25 marzo 1999, la richiesta alle Società assicuratrici di versare i corrispondenti importi delle polizze fideiussorie relative ai contratti di appalto rescissi.
 
 In risposta la società AXA Assicurazioni (incorporante della CENTURION Assicurazioni, fideiussore della IXXs.p.a.), in data 29 giugno 1999, e la Società LEVANTE NORDITALIA Assicurazioni, in data 13 agosto 1999, chiedevano la quantificazione esatta del danno; ottenutala in data 18 aprile 2000, provvedevano al pagamento rispettivamente in data 11 maggio 2000 (lire 159.855.000) e in data 16 novembre 2000 (lire 17.997.180); anche la Società assicuratrice ***** s.p.a., che in un primo tempo aveva eccepito il venir meno della validità della polizza relativa al contratto SAPO-E-351, in seguito a quantificazione sempre del 18 aprile 2000, provvedeva al pagamento in data 27 dicembre 2000 (lire 150.810.000).
 
 Nel frattempo (14 febbraio 2000) il Procuratore Regionale di questa Corte aveva chiesto notizie in ordine al versamento delle cauzioni definitive, con corredo di tutta la documentazione necessaria, sia all’Ufficio Legale e Contenzioso sia all’Ufficio Contratti del Magistrato per il Po.
 
 L’Ufficio Legale, con nota del 17 marzo 2000, riferiva che le Società assicuratrici non avevano ancora provveduto a versare le cauzioni prestate, mentre la ***** non aveva accolto la richiesta di garanzia cosicché era stato rivolto un quesito all’ Avvocatura Distrettuale dello Stato ed inviava parte della documentazione e della corrispondenza, comunque non posteriore alla richiesta del 25 marzo 1999, destinata all’AXA Assicurazioni.
 
 In data 18 agosto 2000 il Procuratore Regionale chiedeva le generalità del responsabile dell’Ufficio Contratti e dell’Ufficio Amministrativo del Magistrato per il Po, ottenendo risposta in data 6 settembre 2000.
 
 La Procura Regionale di questa Corte per l’Emilia-Romagna ha quindi rivolto, in data 27 settembre 2000, al dott. Marco B. (Capo dell’Ufficio Contratti fino al 18 novembre 1997), al dott. Paolo V. (Capo dell’Ufficio Contratti dal 19 novembre 1997), alla signora A. Roberta (Capo reparto della II. Sezione amministrativa) e, successivamente, anche ai Vice Presidenti del Magistrato per il Po – dott. Maria Teresa B. e dott. Alessandro A. – l’invito a depositare documenti e controdeduzioni in conformità a quanto stabilito dall’art. 5, 1° comma, del decreto legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito con modificazioni con la legge 14 gennaio 1994, n. 19 e dall’art. 1, comma 3, del decreto legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito con modificazioni con la legge 20 dicembre 1996, n. 639, contestando loro l’inerzia ed il ritardo con il quale erano state avviate le procedure dirette ad incamerare le cauzioni definitive con conseguente danno per l’Amministrazione.
 
 La stessa Procura Regionale, non ritenendo le argomentazioni addotte in replica idonee a giustificare un eventuale provvedimento di archiviazione (fatta eccezione per la signora Allodi, risultata estranea alla vicenda), con atti di citazione (datati 28 febbraio 2001 e 30 agosto 2001) debitamente notificati, ha invitato i sunnominati a comparire innanzi alla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per l’Emilia-Romagna, all’udienza poi fissata dal Presidente della stessa Sezione per la data odierna, per sentirsi ivi condannare a risarcire all’Erario il danno cagionato pari a £. 42.628.130, con ripartizione degli addebiti secondo la parte da ciascuno presa nella vicenda, oltre agli interessi al saggio legale sino al soddisfo, ed a rifondere le spese di giudizio.
 
 A fondamento della domanda si osserva, innanzi tutto, che la prestazione di polizze fideiussorie per l’ammontare corrispondente alle cauzioni definitive, per la loro minore onerosità per le imprese appaltatrici, già da molti anni ha preso il posto, nel settore degli appalti pubblici, delle altre modalità parimenti previste nel decreto del Presidente della Repubblica n. 1063/1962 (art. 3) che richiedevano il versamento in titoli od in numerario.
 
 Si osserva, inoltre, che nelle condizioni generali delle polizze che assistevano i contratti di cui trattasi era previsto il pagamento a semplice richiesta dell’ Amministrazione entro trenta giorni (art. 5 polizza Levante Assicurazioni, art. 1 polizza Centurion Assicurazioni, art. 1 polizza *****); soltanto nella polizza della ***** era previsto, come ulteriore requisito, l’ allegazione della documentazione probatoria dell’ inadempimento.
 
 Le asserzioni dei convenuti – secondo cui il ritardo in questione era dovuto all’ orientamento dell’Amministrazione di voler comprendere nelle voci di danno anche le condizioni di minor favore conseguibili in seguito al rinnovo delle gare di appalto – non sono condivise dal Procuratore Regionale sulla base dei seguenti argomenti:
 
 1) già nel gennaio del 1997 il Presidente del Magistrato per il Po, nel disporre che gli uffici dessero corso alla rescissione dei contratti, incaricava l’Ufficio Contratti di procedere, contestualmente alla rescissione, all’incameramento delle cauzioni definitive;
 
 2) l’inerzia mantenuta al riguardo dall’anzidetto Ufficio non può essere giustificata in ragione dell’attesa (risultata poi vana) della risposta al quesito indirizzato al Ministero giacché l’Amministrazione aveva già ottenuto in proposito il parere del Comitato Tecnico Amministrativo;
 
 3) l’incameramento delle cauzioni poteva avvenire immediatamente, senza attendere l’ indizione di nuove gare d’appalto, giacché era chiaro, sin da allora (come risulta dal quesito indirizzato al Ministero in data 4 marzo 1997), che i nuovi affidamenti non sarebbero stati in grado di ripetere le condizioni di particolare vantaggio spuntate nelle precedenti gare.
 
 Il Procuratore Regionale rileva quindi che gli Uffici del Magistrato per il Po rimasero inerti per tutto il 1997 ed il 1998, se si esclude la semplice (ed inutile) richiesta di ricognizione delle polizze fideiussorie, destinata alle società assicuratrici nel novembre del 1998, che non rivestiva la forma (né produceva gli effetti) di una denuncia di inadempimento e di escussione della garanzia: soltanto in data 25 marzo 1999 venivano inviate alle Società assicuratrici le formali richieste di pagamento e, in seguito ad apposite lettere delle predette (datate rispettivamente 29 giugno 1999, 13 agosto 1999, 18 aprile 2000), soltanto in data 18 aprile 2000 veniva loro comunicata la quantificazione del danno.
 
 Tenuto conto del fatto che gli importi delle polizze fideiussorie erano quanto meno esigibili, il Procuratore Regionale ha individuato il danno, derivante dal ritardo nel loro incameramento, nel mancato beneficio che avrebbe potuto trarre l’Amministrazione dalla disponibilità immediata delle somme in questione; lo ha quindi determinato, sulla base dei corrispondenti interessi moratori calcolati secondo il saggio legale per il periodo che va dal marzo 1997 (ritenuta data iniziale del ritardo inescusabile) alle date di effettivo pagamento delle cauzioni (rispettivamente 11 maggio 2000, 16 novembre 2000 e 27 dicembre 2000), in lire 42.628.130 da addebitare ai responsabili dell’Ufficio Contratti e dell’Ufficio Legale nonché ai Vice Presidenti del Magistrato per il Po succedutisi nell’arco di tempo in cui si svolse la vicenda.
 
 Per quanto riguarda l’elemento psicologico della responsabilità amministrativa, negli atti di citazione si osserva che esso va individuato nell’ingiustificabile inerzia mantenuta per lungo tempo (nonostante i rilievi della Ragioneria dello Stato e della Delegazione della Corte dei Conti), nella semplicità della procedura risolvibile in pochi atti, nella consapevolezza dell’eccedenza dei danni effettivamente patiti rispetto ai massimali garantiti dalle polizze fideiussorie per i lavori destinati a nuovi appalti, nella inottemperanza alla specifica direttiva impartita dal Vice Presidente del Magistrato per il Po, nell’ulteriore inerzia mantenuta anche in seguito alle risposte delle Società assicuratrici; per quanto riguarda i Vice Presidenti del Magistrato per il Po l’anzidetto elemento viene individuato nel mancato esercizio delle funzioni di sorveglianza e di coordinamento.
 
 Gli atti di citazione si concludono lasciando impregiudicata ogni altra questione in merito al danno complessivo subito dall’ Amministrazione per effetto dell’inadempimento delle imprese appaltatrici, anche oltre i massimali di polizza.
 
 In data 9 giugno 2001 il dott. Paolo V. si è costituito in giudizio depositando una memoria, recante a margine delega di rappresentanza e difesa a favore dell’avv. Giorgio Gotelli di Parma. 
 
 In detta memoria, dopo un riepilogo delle vicende che hanno condotto al presente giudizio – con la precisazione che “il procrastinarsi dell’incameramento delle cauzioni definitive non era dovuto a colposa inerzia del personale preposto all’istruttoria delle pratiche, ma all’osservanza di superiori direttive” – si afferma, in primo luogo l’ insussistenza del nesso di causalità tra il comportamento del convenuto ed il danno erariale.
 
 Si osserva, infatti, che il convenuto subentrò al dott. Marco B. quale responsabile dell’Ufficio Contratti con decorrenza 19 novembre 1997, cioè circa dieci mesi dopo la disposizione del Vice Presidente del Magistrato per il Po diretta all’incameramento delle cauzioni definitive, disposizione di cui non fu informato e di cui venne a conoscenza soltanto in data 17 novembre 1998, allorché il Reparto Affari Legali ebbe a comunicare alle Società assicuratrici l’annullamento del contratto di appalto e chiedere la conferma dell’ operatività delle polizze fideiussorie, per la cui escussione, anche in seguito, fu sempre l’anzidetto Reparto ad attivarsi.
 
 In secondo luogo, nella memoria si afferma l’insussistenza dell’elemento soggettivo essendo la competenza dell’Ufficio Contratti (secondo apposito Ordine di servizio) limitata alla stipulazione dei contratti mentre spettava al Reparto Affari Legali “la cura della trattazione delle vertenze, diffide e, comunque, questioni legali”.
 
 Per quanto riguarda il danno, nella memoria si afferma che esso non può ricomprendere interessi oltre la data di richiesta formale di escussione delle fideiussioni e si chiede che la responsabilità venga addossata a ciascuno dei soggetti chiamati in causa secondo la specifica efficienza causale nella produzione del danno, trattandosi di responsabilità parziaria e non solidale.
 
 Conclusivamente nella memoria si chiede:
 
1) in via istruttoria, l’espletamento di ulteriori accertamenti istruttori; 
 
2) nel merito, la reiezione della domanda attrice;
 
3) in subordine, l’applicazione dei principi del “giusto processo” sanciti dall’art. 111 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2, e l’esercizio del potere riduttivo del danno.
 
 In data 3 ottobre 2001 il dott. Maria Teresa B. si è costituito in giudizio depositando una memoria, recante a margine delega di rappresentanza e difesa a favore degli avvocati Giuseppe e Sebastiano Pennisi.
 
 In tale memoria, dopo la precisazione che la convenuta svolse la funzione di Vice Presidente del Magistrato per il Po dal 28 maggio al 15 dicembre 1997, si eccepisce, innanzi tutto, l’improcedibilità della citazione per mancanza dell’invito preventivo a controdedurre; si osserva poi che nessuna conoscenza ha avuto la convenuta stessa, durante lo svolgimento dell’incarico, delle pratiche in questione, non segnalatele né come arretrate né come sospese: tale circostanza e la situazione oggettiva dell’Ufficio (in relazione alla confusione ed al disordine delle pratiche) la esimono da ogni responsabilità in merito al danno de quo; conclusivamente si chiede, in via pregiudiziale, la dichiarazione di improcedibilità della citazione e, in subordine, e nel merito, il proscioglimento della convenuta da ogni addebito.
 
 Il dott. Alessandro A. si è costituito in giudizio depositando una memoria in data 9 ottobre 2001 seguita, in data 23 ottobre 2001, da altra memoria recante a margine delega di rappresentanza e difesa a favore dell’avv. Massimo Coliva di Bologna.
 
 In dette memorie si afferma l’insussistenza dell’elemento della colpa grave sulla base delle seguenti argomentazioni.
 
 Il dott. A., nominato Vice Presidente del Magistrato per il Po a decorrere dal 16 dicembre 1997, soltanto in data 2 novembre 1998 – in seguito al Foglio di osservazioni del 30 ottobre 1998 della locale Delegazione della Corte dei Conti – ebbe modo di constatare la situazione relativa alle pratiche in questione, non essendo stato al riguardo informato dalla dott.sa Maria Teresa B., che l’aveva preceduto nell’incarico; si attivò immediatamente chiedendo alle Società assicuratrici, con note del 17 novembre 1998, la conferma dell’integrità e dell’operatività delle polizze fideiussorie e sollecitando il Ministero, con nota del 3 marzo 1999, a dare una risposta al quesito a suo tempo posto.
 
 La necessità di tale quesito viene giustificata sulla base della considerazione che i versamenti per l’incameramento delle cauzioni definitive sarebbero affluiti in conto entrate tesoro del bilancio dello Stato mentre per la restituzione alle stesse Società assicuratrici si sarebbero dovuti costituire appositi fondi da iscrivere nel bilancio del Ministero dei Lavori Pubblici (con inevitabili ritardi).
 
 Non essendo pervenuta dal Ministero alcuna risposta, il convenuto provvide ad escutere, con note del 25 marzo 1999, la AXA Assicurazioni e la Levante Nord Italia Assicurazioni: nella memoria si afferma che il tempo intercorso tra la conoscenza delle pratiche di cui trattasi (2 novembre 1998) e l’invio alle Società assicuratrici di formali richieste di pagamento (25 marzo 1999) esclude l’esistenza di una colpa grave in capo al convenuto, che cessò peraltro dall’incarico il 5 agosto 1999.
 
 Per quanto attiene al danno erariale, nella memoria si contesta la quantificazione offerta dal Procuratore Regionale tenendo conto che i contratti prevedevano il termine di trenta giorni per il pagamento dell’indennità (termine decorrente dal momento in cui l’indennità diviene certa, liquida ed esigibile), che alla data di rescissione del contratto erano certe soltanto le spese di pubblicità e che nella determinazione del danno stesso si deve valutare anche il ritardo dipendente dal comportamento delle Società assicuratrici.
 
 Conclusivamente, nella memoria si chiede la reiezione (per infondatezza) di ogni domanda proposta nei confronti del dott. A. e la prova per testi sulle circostanze enunciate in narrativa.
 
 In data 23 ottobre 2001 si è costituito in giudizio il dott. Marco B. depositando una memoria, recante a margine delega di rappresentanza e difesa a favore degli avvocati Gianni Emilio Iacobelli e Giuseppe Coliva, nella quale, dopo un riepilogo delle vicende che hanno condotto al presente giudizio, si eccepisce, in primo luogo, il difetto di legittimazione passiva essendo il convenuto “addetto e non responsabile all’Ufficio Contratti” e soggetto alla presenza ed al diretto continuo interessamento da parte della gerarchia sovraordinata.
 
 In secondo luogo, nella medesima memoria, si eccepisce l’errata determinazione del danno in quanto la decorrenza del ritardo dovrebbe fissarsi al trentesimo giorno successivo alla registrazione da parte della Ragioneria dello stato dei nuovi contratti (28 agosto 1998) e non al marzo 1997 – giacché in questa data l’unica somma esigibile dall’Amministrazione era pari alle sole spese di pubblicità – ed in quanto non potrebbe imputarsi al funzionario il danno derivante dal ritardo successivo alla formalizzazione della richiesta di liquidazione delle cauzioni definitive.
 
 Per quanto riguarda l’elemento psicologico, nella memoria si nega l’esistenza di una colpa grave stante l’orientamento del Magistrato per il Po di accertare preventivamente l’ammontare del danno erariale da richiedere alle Società assicuratrici (come risulterebbe dal quesito, di cui è sostenuta l’opportunità, rivolto al Ministero in data 4 marzo 1997): si ricorda che, nel frattempo, il convenuto pose in essere l’attività istruttoria per la predisposizione delle nuove gare, definitivamente esaurite con il riaffidamento dei lavori il 18 ed il 19 maggio 1998 (con conseguente determinazione del maggior danno) dopo di che (25 marzo 1999) fu richiesta alle Società assicuratrici la liquidazione delle cauzioni.
 
 Si cita, infine, giurisprudenza di questa Corte per concludere con le seguenti richieste:
 
1) preliminarmente, l’estromissione dal giudizio del comparente stante il difetto di legittimazione passiva per i fatti di cui è causa;
 
2) nel merito, la reiezione integrale della domanda in quanto infondata in fatto e in diritto;
 
3) la condanna in ogni caso della soccombente al pagamento delle spese, diritti ed onorari del procedimento;
 
4) in via istruttoria, l’acquisizione presso il Magistrato per il Po nonché presso il Ministero dei Lavori Pubblici di tutti gli atti relativi al procedimento di cui è causa nonché (per il caso di contestazione sulle circostanze di fatto) l’ammissione di prova testimoniale in ordine alla carenza di organico dell’Ufficio.
 
 Nell’odierna pubblica udienza (alla quale la discussione della causa è stata rinviata dal 24 ottobre 2001) l’avv. Giuseppe COLIVA e l’avv. Gianni Emilio IACOBELLI in difesa del dott. Marco B., l’avv. Giorgio GOTELLI in difesa del dott. Paolo V., l’avv. Giuseppe PENNISI in difesa della dott.sa Maria Teresa B., l’avv. Massimo COLIVA in difesa del dott. Alessandro A. nonché il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Paolo NOVELLI hanno ribadito e precisato le argomentazioni e le richieste formulate negli atti scritti precedentemente depositati.
 
 In tale stato la causa è stata riservata per la decisione.
 
Considerato in
 
E[s E[202s DIRITTO
 I. – L’ipotesi di danno erariale sottoposta al giudizio della Corte è collegata al tardivo incameramento di cauzioni definitive, prestate mediante polizze fideiussorie, in seguito alla rescissione d’ufficio, per inadempimento, di tre contratti d’appalto di lavori pubblici.
 
 Secondo il Procuratore Regionale il danno erariale derivante da tale ritardo è ascrivibile al comportamento gravemente colposo dei convenuti che, dal canto loro, con varie argomentazioni (di cui si è detto in narrativa), respingono gli addebiti loro mossi.
 
 II. – Osserva preliminarmente la Sezione che la causa appare adeguatamente istruita grazie agli elementi conoscitivi già acquisiti: la domanda di ulteriori adempimenti istruttori avanzata dai difensori di alcuni convenuti deve pertanto essere respinta.
 
 L’eccezione di improcedibilità della citazione, per mancata notificazione dell’invito a controdedurre, opposta dal difensore della dott.sa B., deve poi essere respinta in quanto infondata: tale avviso risulta, infatti, ritualmente notificato ai sensi dell’art. 140 del codice di procedura civile e della legge 20 novembre 1982, n. 890.
 
 Quanto al difetto di legittimazione passiva eccepito dal dott. B. – che a tal fine ha sostenuto di essere stato “addetto” all’ Ufficio Contratti e non “responsabile” di tale Ufficio – si osserva che, in tema di responsabilità amministrativa, l’organizzazione in senso formale rileva solo in quanto indicativa di una certa realtà fattuale, essendo soltanto quest’ultima decisiva in vista dell’ attribuzione della responsabilità; le Sezioni Riunite di questa Corte (cfr. decisione n. 493/A del 30 maggio 1986) hanno avuto occasione di affermare che persino nell’ipotesi di investitura illegittima non è esclusa la responsabilità amministrativa, dal momento che la stessa è collegata al concreto svolgimento delle funzioni, ancorché irritualmente conferite, in quanto ciò che rileva è la realtà fattuale.
 
 Orbene, nel caso di specie non vi sono dubbi che il predetto operasse comunque al vertice dell’Ufficio Contratti (fino al 18 novembre 1997): ciò risulta inequivocabilmente dalla comunicazione ufficiale del Magistrato per il Po (inviata al Procuratore Regionale con nota n. 10846 del 6 settembre 2000) nella quale il funzionario medesimo viene qualificato come “Capo Reparto fino al 18.11.1997” dell’Ufficio Contratti.
 
 L’eccezione anzidetta deve pertanto essere respinta.
 
 III. – Passando all’esame del merito, si osserva innanzi tutto che la partecipazione del dott. V. alle vicende descritte in narrativa appare del tutto marginale; infatti, stando alla comunicazione ufficiale del Magistrato per il Po dianzi citata, egli divenne Capo dell’Ufficio Contratti a decorrere dal 19 novembre 1997, cioè circa dieci mesi dopo l’ordine presidenziale al medesimo Ufficio di incamerare le cauzioni definitive relative ai tre contratti rescissi: il predetto deve pertanto essere assolto – in conformità, peraltro, alla proposta formulata in udienza dal Pubblico Ministero – dalla richiesta di condanna formulata per il danno erariale di cui è causa.
 
 Per gli altri convenuti risultano invece provati tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa.
 
 Al riguardo giova innanzi tutto ricordare che la possibilità, prevista dal Legislatore nell’interesse delle imprese appaltatrici, di prestare cauzioni definitive mediante polizze cauzionali, non riduce l’area dei diritti dell’Amministrazione per l’ipotesi di rescissione d’ufficio dei contratti per inadempimento degli aggiudicatari: la Suprema Corte ha avuto occasione di affermare che la disposizione dell’art. 13 della legge 3 gennaio 1978, n.1, che – per la costituzione di una cauzione a garanzia di obbligazioni verso lo Stato o altri enti pubblici – ammette anche, in luogo della fideiussione bancaria, le polizze cauzionali rilasciate da imprese di assicurazione autorizzate all’esercizio del ramo cauzioni, non impone un particolare tipo di polizza e non esclude, quindi, la possibilità che questa sia caratterizzata dalla presenza di una clausola di pagamento a semplice richiesta, che assicura al creditore garantito una disponibilità immediata di denaro con effetti analoghi a quelli del deposito cauzionale (cfr. Cass. civ., Sez. III, 4 aprile 1995, n. 3940).
 
 Nel caso di specie era in effetti prevista, nelle condizioni generali delle polizze che assistevano i tre contratti conclusi e poi rescissi d’ufficio, la clausola del pagamento “a semplice richiesta” (soltanto nella polizza della ***** si richiedeva, come ulteriore requisito, l’allegazione della documentazione probatoria dell’inadempimento).
 
 Non possono, quindi, sussistere dubbi sul potere-dovere dell’Ufficio di procedere immediatamente all’incameramento delle cauzioni così prestate: il fatto che a ciò non si sia proceduto – determinando un ritardo di quasi quattro anni nel recupero di quanto spettante all’Amministrazione – non può non essere addebitato alla grave negligenza dei funzionari su cui incombeva l’obbligo di provvedere o di vigilare in merito.
 
 La giustificazione addotta dai convenuti secondo cui detto ritardo dipese dall’ orientamento dell’Amministrazione di voler comprendere nelle voci di danno anche le condizioni di minor favore conseguibili in sede di rinnovo delle gare di appalto delle opere rimaste ineseguite non appare fondata per le ragioni di seguito esposte.
 
 La disposizione dettata dal Presidente del Magistrato per il Po, con le lettere datate 16 e 17 gennaio 1997 ed indirizzate all’Ufficio Contratti, di procedere all’incameramento delle cauzioni non risulta revocata né sospesa; né può ritenersi implicitamente revocata (o sospesa) in seguito alla proposizione del quesito al Ministero in ordine alla dimensione del danno erariale risarcibile, giacché tale quesito (peraltro superfluo in presenza del parere del Comitato Tecnico Amministrativo e della dichiarata consapevolezza dell’eccedenza dei danni subiti rispetto ai massimali di polizza) non precludeva affatto l’acquisizione delle cauzioni anzidette, restando salva la possibilità per l’Amministrazione di agire per il risarcimento dei danni ulteriori o di restituire alle Società assicuratrici quanto ottenuto in più rispetto ai danni effettivamente sofferti.
 
 Costituiscono indici eloquenti della gravità della colpa ravvisabile nel dott. B., quale Capo dell’Ufficio Contratti (fino al 18 novembre 1997) e dell’Ufficio Affari Legali: l’inottemperanza delle disposizioni impartite dal Presidente del Magistrato per il Po circa l’incameramento delle cauzioni, l’ ingiustificabile inerzia mantenuta per lungo tempo nonostante i rilievi della Ragioneria dello Stato e della Delegazione della Corte dei Conti e nonostante la semplicità della procedura da espletare, l’ulteriore inerzia (dai sei ai nove mesi) mantenuta anche dopo il ricevimento delle lettere con le quali le Società assicuratrici chiedevano la documentazione concernente la rescissione dei contratti per inadempimento.
 
 Per quanto concerne i Vice Presidenti del Magistrato per il Po (dott. B. e dott. A.), che si susseguirono nell’epoca in cui si svolsero le vicende in questione, si deve rilevare il mancato esercizio, da parte loro, delle funzioni di sorveglianza e di coordinamento.
 
 A tale proposito si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va esclusa la responsabilità concorrente dei funzionari preposti a mansioni di controllo in tutti i casi in cui la particolare calliditas degli artifici posti in essere dall’autore del danno rende *****zzabile l’evento nonostante il corretto esercizio dei poteri di vigilanza e di controllo (cfr. Sez. I, 5 febbraio 1982, n. 16).
 
 Nel caso concreto non risulta essersi verificata tale eventualità sicché appare configurabile una responsabilità amministrativa dei due dirigenti anzidetti.
 
 Che dai comportamenti gravemente colposi sopra descritti sia poi derivato un danno erariale – commisurabile agli interessi moratori sulle somme in questione per il tempo corrispondente al ritardo nel loro incameramento – è fatto non contestabile.
 
 IV. – Appurata l’esistenza, nel caso concreto, di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa (rapporto di servizio, colpa grave, nesso di causalità, danno erariale) la Sezione osserva che l’impostazione del Procuratore Regionale – di calcolare detto danno in termini di interessi moratori (secondo il saggio legale, in favor rei) sulle somme da incamerare per il periodo che va dal mese di marzo 1997 (un mese dopo l’ordine di incameramento) alle date di effettiva acquisizione delle somme stesse – appare corretta; ritiene, tuttavia, per quanto riguarda la quantificazione del danno erariale addebitabile, di dover fare ampio uso del potere riduttivo conferitole dalla legge (art. 52 del Testo unico delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214).
 
 Tale convincimento si basa – in armonia con orientamenti già manifestati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. I., 2 aprile 1990, n. 63; Sezioni Riunite, 14 dicembre 1988, n. 595; Sez. I, 26 novembre 1990, n. 244) – sulla circostanza che una parte del ritardo (circa un quarto) è imputabile alle Società assicuratrici.
 
 Tale circostanza non esclude, ovviamente, la gravità della colpa, ma riduce il grado di incidenza del comportamento gravemente colposo dei convenuti sull’entità del danno sofferto dall’Amministrazione: si ritiene pertanto di dover ridurre il danno addebitabile a 16.000,00 euro, compresa la rivalutazione monetaria.
 
 Tale importo dovrà essere addebitato per il 50% al dott. B., per il 25% alla dott.sa B. e per il 25% al dott. A. in relazione all’incidenza del comportamento di ciascuno di essi nella determinazione del danno erariale. 
 
 Alla stregua delle suesposte considerazioni si deve affermare la responsabilità amministrativa dei convenuti dott. B., dott.sa B. e dott. A. per gli importi anzidetti, cui devono aggiungersi gli interessi legali dalla data di deposito della presente sentenza fino al saldo.
 
 Le spese seguono la soccombenza.
 
E[s E[203s PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE
 
PER L’EMILIA-ROMAGNA
definitivamente pronunciando,
 
ASSOLVE
 
 V. Paolo dalla richiesta di condanna formulata per il danno erariale di cui è causa e
 
CONDANNA
 B. Marco, B. Maria Teresa, A. Alessandro al pagamento, in favore dell’Erario, delle somme, rispettivamente, di euro 8.000,00, euro 4.000,00 ed euro 4.000,00 – cui devono aggiungersi gli interessi legali dalla data di deposito della sentenza fino al saldo – nonché al pagamento delle spese di giudizio che all’atto della pubblicazione della presente sentenza si liquidano in EURO 750,02 (EURO settecentocinquanta/due centesimi).
 
 Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 27 marzo 2002.
 
   L’ESTENSORE        IL PRESIDENTE
 
f.to   (Pietro SULLO) f.to(Giovanni D’ANTINO SETTEVENDEMMIE)
 
 
 
Depositata in Segreteria in data 01 luglio 2002
 
             Il Direttore della Segreteria
 
f.to Dott.ssa Valeria SamaE[s
 
Fine modulo
 
 

Lazzini Sonia

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