Funzione rieducativa della pena e presupposti delle misure premiali

Laface Nadia 13/01/11

L’articolo 27 della Costituzione enuncia “Le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato” , così sancendo il principio del finalismo rieducativo della pena, la cui giustificazione etica e logica, evidentemente, non può non fare riferimento alle specifiche esigenze specialpreventivo-risocializzative del condannato.

In particolare, la funzione della prevenzione speciale è quella di eliminare o ridurre il pericolo che il soggetto ricada in futuro nel reato; essa fa riferimento ad un concetto di relazione, presupponendo la necessità del reinserimento del reo nella comunità dalla quale si era estraniato, mediante l’azione sugli stessi fattori che avevano determinato il perpetrarsi del delitto.

La rieducazione si traduce, pertanto, in una solidaristica offerta di opportunità, affinché al soggetto sia data la possibilità di un progressivo reinserimento sociale, correggendo la propria antisocialità e adeguando il proprio comportamento alle regole giuridiche.

Peraltro, la rieducazione deve passare da un lato necessariamente dalla preventiva creazione di motivazioni che inducano ai comportamento socialmente corretti, e, dall’altro, essa non può che realizzarsi attraverso strumenti pedagogici tendenti alla responsabilizzazione e alla consapevolezza della conseguenza delle proprie azioni; pertanto, accanto all’ideologia dei diritti del condannato, occorre affermare anche quella dei doveri.

A tali esigenze viene data rilevanza dal legislatore attraverso la creazione di un sistema sanzionatorio differenziato, sistema che consentirà al giudice, nell’ambito della discrezionalità accordatagli dagli artt. 132 e ss. c.p., di effettuare le opportune valutazioni al fine di rendere la pena adeguata, nella natura e nella misura, anche al recupero sociale del reo.

In tale quadro si inserisce il sistema della premialità progressiva –inteso quale graduale attenuazione della pena, ove possibile, parallelamente alla dimostrata progressiva riacquisizione delle abitudini sociali- e il sistema delle misure alternative alla detenzione.

In particolare, le misure alternative cumulano, insieme alla finalità specialpreventiva, il duplice vantaggio di ridurre l’ambito applicativo della tradizionale pena detentiva, e di rafforzare la funzione generalpreventiva del sistema penale, trattandosi semplicemente di differenti forme di “penalità”, alternative non alla pena in generale ma soltanto alla pena detentiva.

La recente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione specifica i presupposti, per la concessione delle misure premiali, orientati a tali finalità rieducative:

  • Sentenza n. 31739 del 01/07/2010. Assumono rilievo, ai fini del giudizio di revoca del beneficio della semilibertà, le condotte che, per natura, modalità di commissione ed oggetto, siano tali da arrecare grave “vulnus” al rapporto fiduciario che deve esistere tra il condannato semilibero e gli organi del trattamento dovendosi valutare se il complessivo comportamento del condannato riveli l’inidoneità al trattamento e quindi l’esito negativo dell’esperimento. (Nella specie, erano state valorizzate, a fondamento della revoca, le reiterate frequentazioni di soggetti coinvolti in un vasto traffico di stupefacenti, che documentavano l’uso strumentale delle prescrizioni dei benefici premiali).

– Sentenza n. 16441 del 10/02/2010. La detenzione domiciliare non è soggetta a revoca automatica per il solo fatto che il soggetto ammesso al beneficio venga successivamente sottoposto ad una misura cautelare, dovendo invece verificarsi in concreto se gli elementi indicati nell’ordinanza di custodia cautelare siano o meno sintomatici del fallimento dell’esperimento rieducativo ovvero di un concreto pericolo di commissione di altri reati.

– Sentenza n. 41914 del 29/09/2009. La semilibertà, in quanto misura alternativa alla detenzione che consente al detenuto di trascorrere parte del giorno all’esterno, sia pure in attività lavorative e socializzanti, non può essere deliberata se non all’esito di previe e positive esperienze di concessione di altre misure alternative meno impegnative, nel medesimo contesto territoriale di fruizione della semilibertà medesima.

– Sentenza n. 30525 del 30/06/2010. La valutazione dell’esito negativo dell’affidamento in prova al servizio sociale si differenzia dalla revoca dell’affidamento in prova previsto dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario, che può intervenire nel corso della prova determinandone la cessazione, perché, se ai fini della revoca il tribunale è chiamato a valutare la gravità di singoli, specifici episodi per verificare se essi siano incompatibili con la prosecuzione della prova, quando si tratti di stabilirne l’esito occorre procedere ad una valutazione globale dell’intero periodo per decidere se sia o no avvenuto il recupero sociale del condannato.

L’ordinamento penitenziario ( L. 354/1975), inoltre, nella stessa ottica rieducativa, ha introdotto all’art. 47 bis l’istituto dell’affidamento in prova in casi particolari, nei confronti di persona tossicodipendente o alcooldipendente che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi; e, attraverso l’art. 54, prevede che al condannato che abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione, è concessa, ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, un periodo di liberazione anticipata pari a quarantacinque giorni ogni semestre di pena scontata. Occorre notare che, ai fini della concessione della liberazione anticipata, anche un comportamento del condannato posto in essere dopo il ritorno in libertà può giustificarne retroattivamente il diniego, quando venga considerato, con giudizio globale, dimostrativo di una non effettiva partecipazione del condannato stesso alla precedente opera di rieducazione ed espressione del suo sostanziale rifiuto di risocializzazione (Sentenza Cass. Pen. n. 37345 del 27/09/2007 ).

  1. In ultimo, si segnala che la L. 199/2010, ha introdotto una nuova disciplina finalizzata all’esecuzione delle pene detentive inferiori all’anno in luoghi esterni al carcere (abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza).

  2. Dal punto di vista della natura giuridica, tale beneficio è strutturato quale speciale modalità di esecuzione della pena volta ad attuare il principio del finalismo rieducativo sancito dall’art. 27 della Costituzione; conferma dell’esattezza di tale inquadramento giuridico, si riscontra attraverso la disamina delle tassative condizioni ostative alla concessione del beneficio, precluso a:

  3. a) agli autori di delitti di particolare allarme sociale di cui all’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario (Legge 26 luglio 1975, n. 354);

  4. b) ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza (ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale);

  5. c) ai soggetti sottoposti al regime di sorveglianza particolare in carcere, ai sensi dell’art. 14-bis dell’ordinamento penitenziario. Tale articolo prevede che possano essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare i condannati, gli internati e gli imputati: che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero turbano l’ordine negli istituti; che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli altri detenuti o internati; che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti nei loro confronti. In tal caso il regime di sorveglianza particolare è disposto con provvedimento motivato dell’amministrazione penitenziaria previo parere del consiglio di disciplina, integrato da due esperti, sentita anche l’autorità giudiziaria che procede.

  6. d) quando vi sia la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistano specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti;

  7. e) quando non sussista l’idoneità e l’effettività del domicilio, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.

Tale legge rappresenta una parziale attuazione del Piano straordinario penitenziario approvato nel Consiglio dei Ministri del 13 gennaio 2010. Il piano mira ad attuare una politica di deflazione carceraria attraverso una riforma legislativa del sistema sanzionatorio che consenta un più agevole accesso a forme di detenzione domiciliare, nonchè la possibilità di messa alla prova dell’imputato di reati puniti con pena detentiva non superiore a tre anni.

Anche quest’ultima misura della messa in prova ha come naturali destinatari i soggetti bisognosi di reinserimento sociale ma, non essendo completamente sprovvista di una componente affittiva, lascia salva anche la funzione punitivo-intimidatrice della condanna, condizionata al buon esito di un periodo di prova controllato ed assistito. La sospensione condizionale della pena con messa alla prova, infatti, strutturata quale fattispecie a formazione progressiva riguardo agli effetti estintivi del reato, si fonda su preminenti esigenze di prevenzione speciale che giustificano una rinuncia al principio di inderogabilità della pena.

Laface Nadia

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