La questione era stata rimessa ai giudici di legittimità con ordinanza n. 652/2017 della Sezione V penale in cui si poneva il seguente quesito di diritto«se rientri nella nozione di privata dimora, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., il luogo dove si esercita un’attività commerciale o imprenditoriale (nella specie, ristorante)».
Una certa posizione dottrinale[2] sottolineava all’indomani dell’ entrata in vigore del 624 bis c.p che “ la disposizione in esame non parla più di abitazione e. anche allo scopo di eliminare qualsivoglia incertezza interpretativa , fa riferimento alla più ampia figura di luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora. In questa maniera il legislatore del 2001 s’è rifatto a quel concetto già elaborato dalla giurisprudenza di legittimità ai fini dell’ applicazione della disciplina sostanziale della violazione di domicilio di cui al 614 c.p nonché della disciplina dell’ intercettazioni ambientali allorquando si è asserito che per privata dimora debba ritenersi oltre all’abitazione vera e propria , quei luoghi che assolvono , attualmente e concretamente, la funzione di proteggere la vita privata ( riposo, alimentazione , occupazioni di svago o professionali) di coloro che li proteggono : ciò conformemente all’ art 614 c.p appositamente richiamato dall’ art 266 c.p.p comma 2 con la conseguenza che non tutti i locali dai quali il possessore abbia il diritto di escludere le persone a lui non gradite possono considerarsi luogo di privata dimora , in quanto lo ius excludendi alios rilevante ai fini dell’applicabilità dell’art 614 c.p non è fine a se stesso ma serve a tutelare il diritto alla riservatezza nello svolgimento di alcune manifestazioni della vita privata della persona che l’art14 Cost garantisce proclamando l’inviolabilità del domicilio”.
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L’ermeneutica prevalente in giurisprudenza di legittimità richiamata nell’ordinanza di rimessione, partendo dalla considerazione che il concetto di privata dimora sia più ampio di quello di abitazione, ne dà una interpretazione estensiva, tanto da ricomprendervi tutti i luoghi, non pubblici, nei quali le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata.
Si è ritenuto, pertanto, configurabile il delitto previsto dall’art. 624-bis cod. pen. in ordine al furto commesso: all’interno di un ristorante in orario di chiusura (Sez. 2, n. 24763 del 26/05/2015, Mori, Rv. 264283); in un bar-tabacchi in orario di chiusura (Sez. 5, n. 6210 del 24/11/ 2015, Tedde, Rv. 265875); all’interno di un cantiere edile allestito nel cortile di un immobile in cui erano in corso lavori di ristrutturazione (Sez. 5, n. 2768 del 01/10/2014, Baldassin, Rv. 262677); all’interno di un’edicola (Sez. 5, n. 7293 del 17/12/2014, Lattanzio, Rv. 262659); in uno studio odontoiatrico (Sez. 5, n. 10187 del 15/02/2011, Gelasio, Rv. 249850); in una farmacia durante l’orario di apertura (Sez. 4, n. 37908 del25/06/ 2009, Apprezzo, Rv. 244980); all’interno di un ripostiglio di un esercizio commerciale (Sez. 5, n. 22725 del 05/05/2010, Dunca, Rv. 247969);
in una baracca di un cantiere edile adibito a spogliatoio (Sez. 5, n. 32093 del 25/06/ 2010, Truzzi, Rv. 248356). S
Secondo altro orientamento, anch’ esso riportato nella pronuncia in commento invece, esulano dalla nozione di privata dimora quei luoghi che consentano comunque l’accesso al pubblico, tranne i locali annessi o accessori nei quali l’ingresso è inibito senza autorizzazione del titolare. Si afferma, invero, che non commette il reato di furto in abitazione il soggetto che si introduca all’interno di un esercizio commerciale in orario notturno, trattandosi di un locale non adibito a privata dimora in ragione del mancato svolgimento di attività commerciali che caratterizza le ore di chiusura (Sez. 4, n. 11490 del 24/01/ 2013, Pignalosa, Rv. 254854).
Secondo i giudici di legittimità che il luogo adibito a privata dimora debba avere determinate caratteristiche, sarebbe il frutto di un’evoluzione normativa partita con il Codice Zanardelli per poi arrivare al Codice Rocco e culminare nella legge 26 marzo 2001, n. 128, con cui venne inserito nel corpo del codice penale l’art 624 bis.
“Previa abrogazione dell’art. 625, primo comma, n. 1, cod. pen., è stata introdotta una ipotesi autonoma di reato definita in rubrica come “Furto in abitazione e furto con strappo”, con l’evidente scopo di ampliare la tutela penale non solo sotto il profilo patrimoniale, ma anche personale.
E ciò è tanto vero che l’approvazione della legge n. 128 del 2001 era stata preceduta dalla presentazione al Parlamento, da parte del Governo, del disegno di legge n. 5925, nel quale il reato di furto in abitazione, attraverso la previsione nel codice penale di un art. 614-bis, era stato inserito nel Libro II, Titolo XII (“Delitti contro la persona”), al fine di rafforzare «la tutela del domicilio non tanto nella sua consistenza oggettiva, quanto nel suo essere proiezione spaziale della persona, cioè ambito primario ed imprescindibile alla libera estrinsecazione della personalità individuale».
Tale originaria impostazione non poteva non riflettersi nella formulazione del “nuovo” art. 624-bis, pur mantenendosi la collocazione dello stesso nei reati contro il patrimonio.
Si è visto già come, a fronte della rubrica che fa riferimento al furto in abitazione, il testo normativo ricomprende qualsiasi luogo destinato in tutto in parte a privata dimora o nelle pertinenze di esso.
L’ampliamento dell’ambito di applicabilità della “nuova” fattispecie anche a luoghi che non possano considerasi abitazione in senso stretto risulta dettato, da un lato, dalla necessità di superare le incertezze manifestatesi in giurisprudenza in ordine alla definizione della nozione di abitazione e, dall’altro, di tutelare l’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione.
Deve, però, trattarsi, come si evince dalla ratio della norma, di luoghi che abbiano le stesse caratteristiche dell’abitazione, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto”.[3]
Ritengono le Sezioni Unite che vada confermato l’orientamento che interpreta la disciplina dettata dall’art. 624-bis cod. pen. come estensibile ai luoghi di lavoro soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione (accertamento questo riservato ai giudici di merito).
Potrà, quindi, essere riconosciuto il carattere di privata dimora ai luoghi di lavoro se in essi, o in parte di essi, il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento).
La conferma che i luoghi di lavoro, di per sé, non costituiscano privata dimora si ricaverebbe, infine, dal terzo comma dell’art. 52 cod. pen. (aggiunto dall’art. 1 della legge 13 febbraio 2006, n. 59), nel quale si afferma che la disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.Va, quindi, affermato a parere dei giudici il seguente principio di diritto:
“Ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 624-bis cod. pen., i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624-bis cod.pen. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare” .
La pronunzia delle Sezioni Unite è , a parer nostro perfettamente condivisibile .
Non si potrebbe infatti estender la nozione di privata dimora a luoghi che non siano effettivamente esplicazione di attività della vita privata non occasionali.
Riteniamo contrariamente a una certa autorevole tesi propugnata in dottrina[4] che non possa assolutamente estendersi automaticamente il concetto di privata dimora a tutti i luoghi in cui i soggetti si trattengon in modo anche transitorio per esplicar attività della vita privata. Infatti come opinan i giudici di legittimità nella pronuncia in discorso, “se la nozione di privata dimora comprendesse automaticamente tutti i luoghi in cui il soggetto svolge atti della vita privata non si sarebbe stato alcun bisogno di prevedere all’art 52 terzo comma l’applicazione della norma anche ai luoghi di svolgimento di attività commerciale, professionale o imprenditoriale”. Si violerebbe inoltre, compiendo quest’operazione estensiva, il principio di tassatività delle fattispecie penali che rimane un cardine del diritto penale e si applicherebbe ingiustificatamente una sorta di analogia in “malam partem” contravvenendo alle regole fondamentali dell’ordinamento penalistico. Una critica va compiuta allo stesso legislatore il quale eliminando dalla norma il concetto di furto in abitazione e introducendo quello più ampio di privata dimora ha dato adito interpretazioni giurisprudenziali concordanti non garantendo così una perfetta e corretta applicazione della formazione di cui all’art 624 bis c.p
S’auspica, de iure condendo, che venga fatta chiarezza sul punto magari compiendo un “revirement”e introducendo nuovamente la nozione di furto in abitazione nel corpo della normazione.
[1] Cass.sez.un 22 Giugno 2017 31345
[2] M. BACCI art 2 legge 26 marzo 2001 nr. 128 Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini in Leg.pen 2002 pag 387
[3] Cass. Sezioni Unite penali 31345/2017
[4] F. MANTOVANI
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