Furto aggravato con destrezza: problematiche applicative

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La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha ritenuto configurabile l’aggravante della destrezza (ex art. 625, co. I, n. 4, c.p.) qualora l’azione furtiva sia stata commessa all’interno di uno studio medico nel caso in cui il sanitario non sia presente (perchè “impegnato in attività di cura in una stanza contigua”).

Nel caso di specie, gli Ermellini sono pervenuti a siffatta conclusione decisoria posto che, a detta della Corte, la circostanza in commento consisterebbe “nella particolare abilità di cui si avvale l’autore del furto per sorprendere l’attenzione della persona offesa nella custodia della cosa, quando l’agente approfitti di una condizione contingentemente favorevole e di una frazione di tempo in cui la parte offesa ha momentaneamente lasciato la vigilanza sulla cosa perchè impegnata, nello stesso luogo di detenzione della cosa o in luogo immediatamente prossimo, per curare attività di vita o di lavoro”.

Ebbene, tale approdo ermeneutico non rappresenta un episodio isolato nel panorama nomofilattico dato che, già in precedenti occasioni, la Cassazione ha deciso in egual modo.

Ad esempio, nella sentenza n. 45488 dell’8/07/08, i Giudici di “Piazza Cavour” hanno dichiarato che integra “il reato di furto con destrezza la condotta di chi, approfittando del temporaneo allontanamento del proprietario per effettuare un prelievo allo sportello “self-service” di un centro commerciale, sottragga dall’abitacolo della vettura, lasciata incustodita ed aperta, danaro ed altri effetti personali”.

In quel caso, tuttavia, i Magistrati di legittimità, nel pervenire a quella decisione, hanno rilevato che per destrezza, si deve intendere “quella condotta significativamente volta all’approfittamento di una qualunque situazione di tempo e di luogo idonea ad attirare l’attenzione della persona offesa distogliendola dal controllo e dal possesso della cosa”[1].

In quella occasione, quindi, l’azione del ladro era finalizzata a distogliere l’attenzione del derubato mentre, come suesposto, in quella in esame, la persona derubata si era allontanata sua sponte dal luogo ove era avvenuto il delitto.

in un altro decisum e segnatamente, nella sentenza n. 35872 dell’8/05/07, la Sez. III, pur affermando che il furto di un’autovettura lasciata incustodita dal proprietario, momentaneamente allontanatosi, integrasse la circostanza aggravante della destrezza nel furto, ha ribadito come, per poter accertare la circostanza de qua, sia necessario appurare se il soggetto avesse agito al fine di approfittare “di una qualunque situazione di tempo e di luogo idonea a svisare l’attenzione della persona offesa, distogliendola dal controllo e dal possesso della cosa”[2].

Di talchè è evidente che pure in questo provvedimento, la Cassazione ha riaffermato la necessità che l’azione furtiva sia diretta nei confronti della persona al fine di distogliere la sua attenzione.

E’ chiaro quindi che la Cassazione, nella sentenza in commento, pur confermando principi di diritto già espressi in altre pronunce, ha applicato tale criterio ermeneutico ad un caso radicalmente diverso da quelli appena citati atteso che, in questa situazione, il ladro non ha intrapreso alcuna azione contro la vittima al fine di derubarlo, essendosi limitato ad approfittare della sua assenza sulla scena del delitto.

La decisione in commento, inoltre, presenta altri profili obiettivi di criticità.

Innanzitutto, tale filone ermeneutico contrasta con quell’indirizzo nomofilattico secondo il quale, in tema di furto aggravato, “la condotta di destrezza è quella qualificata da modalità dell’azione – connotata da particolare agilità e sveltezza, con mosse o manovre particolarmente scaltre – che si aggiungono all’attività di impossessamento e che si connotano per la loro idoneità a eludere la sorveglianza dell’uomo medio, impedendogli di prevenire la sottrazione delle cose in suo possesso opponendovisi tempestivamente e in costanza del fatto”[3] visto che, ciò “che caratterizza la destrezza, infatti, è la circostanza che l’agente si avvalga di una sua particolare abilità per distrarre la persona offesa, per indurla a prestare attenzione ad altre circostanze o, in sintesi, ad attenuare comunque la sua attenzione difensiva contro gli atti di impossessamento delle sue cose”[4].

La giurisprudenza di merito, dal canto suo, ha avallato tale percorso interpretativo, affermando in egual misura che, in “tema di furto aggravato, la destrezza si ravvisa quando la condotta dell’agente sia connotata da particolare agilità e sveltezza, con mosse o manovre particolarmente scaltre, tali da eludere la sorveglianza dell’uomo medio, impedendogli di prevenire la sottrazione delle cose in suo possesso”[5].

Difatti, secondo i giudici di merito, “la condotta di destrezza è quella condotta significativamente volta all’approfittamento di una qualunque situazione di tempo e di luogo idonea a sviare l’attenzione della persona offesa, distogliendola dal controllo e dal possesso della cosa”[6].

Orbene, declinando tale filone ermeneutico a casi analoghi a quello in esame, la conclusione decisoria sarebbe stata sicuramente diversa da quella adottata in questo decisum.

Invero, la Cassazione, alla luce di tale diverso percorso argomentativo, ha escluso la sussistenza dell’aggravante della destrezza in un caso analogo e, segnatamente, laddove “il ladro si impossessi di un bene presente all’interno di un autoveicolo lasciato temporaneamente incustodito dal proprietario”[7].

Ebbene, tale indirizzo nomofilattico è preferibile per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, vi sono considerazioni di ordine teleologico.

Infatti, dal momento che la “ratio dell’aggravante della destrezza – che è quella di sanzionare più pesantemente l’aggressione al patrimonio altrui in condizioni di minorata difesa delle cose di fronte all’abilità dell’agente”[8] e dato che la destrezza “persegue l’obiettivo di eludere la vigilanza della vittima sulla cosa”[9], va da sé che una azione può considerarsi tale nella misura in cui sia compiuta con abilità e con scaltrezza;  cosa questa ben diversa dal limitarsi a prevelare una res lasciata incustodita.

In secondo luogo, autorevole dottrina ha avallato da tempo tale costrutto interpretativo.

In effetti, già subito dopo l’entrata in vigore del Codice Rocco, è stato rilevato che il “concetto di “destrezza” “comprende tutti quei modi di commissione del delitto che consistono nell’esplicazione d’una speciale abilità fisica del ladro, tale da poter eludere, sviare o impedire che si ridesti l’attenzione dell’uomo medio, anche se in concreto non consegua lo scopo”[10].

Del resto, anche il  più recente “sapere giuridico” ha evidenziato in egual modo che il concetto di destrezza, “per unanime definizione di dottrina e giurisprudenza, indica una particolare abilità, astuzia, sveltezza nel commettere il fatto”[11] posto che la destrezza “presuppone l’esistenza di una abilità straordinaria, e cioè deve evidenziare una capacità superiore e tale comunque da saper evitare la vigilanza normale dell’uomo medio”[12].

Inoltre, vi sono  considerazioni storicistiche[13] che militano a sostegno di questo assunto.

Tali ragioni sono state esemplarmente evidenziate nella sentenza emessa dal Tribunale di Rovereto in data 22/01/02 in cui il giudice di prime cure ha preso atto che:

  1. l’art. 12 della legge 25 giugno 1999, n. 205 (“Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario”), rendendo procedibile a querela di parte il delitto di furto “salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61 numero 7) e 625”, persegue una chiara finalità deflattiva e dunque, sarebbe “palesemente contrario alla ratio legis un orientamento interpretativo che, attraverso l’attribuzione del significato più ampio del furto possibile alle singole ipotesi previste dall’art. 625 c.p., rendesse marginale, per non dire del tutto eccezionale, la stessa configurazione semplice, perseguibile a querela, vanificando il risultato perseguito il legislatore”;

  2. la modifica apportata dalla la legge 26 marzo 2001, n. 128 (“Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini”) “proprio in considerazione del contemporaneo aumento di pena previsto per il furto semplice di cui all’art. 624 c.p., perlomeno con riguardo al limite edittale minimo, appare avvalorare “l’indicazione che anche le altre ipotesi previste dall’art. 625 c.p., rimaste circostanze, debbano essere interpretate in senso restrittivo”.

Sempre questo giudice, quindi, alla luce di tale combinato disposto, perveniva alla conclusione (che lo scrivente condivide pienamente) secondo cui da un lato, attraverso la procedibilità a querela di parte per il furto semplice di cui all’art. 624 c.p., si deve escludere che possano avere una rilevanza penale “fatti bagattellari o che comunque non presentano un concreto ed effettivo danno in relazione agli interessi della vittima”; dall’altro, al contempo, si deve “punire con maggior rigore e attraverso una più precisa tipizzazione legislativa e, dunque, con minore discrezionalità per il Giudice, i fatti che al contrario sono più gravi o che, comunque, hanno sollecitato la presentazione della querela da parte della vittima”.

Fermo restando dunque la preferenza per questo secondo filone interpretativo siccome più consono al dettato normativo e alla ratio di questo istituto, rimane il problema di capire se il fatto sottoposto al vaglio di legittimità della Corte di Cassazione nella sentenza in esame, avrebbe potuto essere diversamente circostanziato.

Orbene, è da escludersi in nuce l’aggravante del mezzo fraudolento posto che, com’è noto,  “l’espressione “mezzo fraudolento”, presa in considerazione per la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 625, n. 2, c.p., comprende ogni attività fraudolenta o insidiosa, improntata ad astuzia o scaltrezza, atta a soverchiare e sorprendere la contraria volontà del detentore della cosa, eludendo gli accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa delle proprie cose”[14].

E’ palese che, nel caso di specie, questa circostanza non ricorra dal momento che il ladro si è impossessato della cosa mobile altrui limitandosi a prelevarla dove si trovava (impossessamento di un portafoglio sottratto da una borsa lasciata incustodita) senza approntare alcun mezzo fraudolento.

Peraltro, ad ulteriore conforto dell’insussistenza di questa aggravante nel caso de quo, vi sono anche considerazioni di ordine finalistico posto che la “ratio dell’aggravante del mezzo fraudolento consiste nell’esigenza di più severa repressione nei confronti di chi rivela maggiore criminosità nel superare con la frode la custodia apprestata dall’avente diritto”[15].

Nella fattispecie in esame, invece, alla luce di quanto emerge dalla sentenza in esame, parrebbe invece configurabile l’aggravante della c.d. “minorata difesa” prevista dall’art. 61, n. 5, c.p. .

In effetti, dal momento che il furto è stato  “commesso in uno studio medico approfittando dell’assenza del medico impegnato in attività di cura in una stanza contigua”, sembra evidente che il ladro abbia approfittato dell’attività professionale del dottore al fine di commettere l’illecito penale de quo.

Sembra quindi che (l’uso dell’ipotetico è d’obbligo visto che non si conoscono gli atti processuali), quest’aggravante avrebbe potuto applicarsi nel caso in questione dato che tale circostanza è “integrata per il solo fatto, oggettivamente considerato, della ricorrenza di condizioni utili a facilitare il compimento dell’azione criminosa”[16] posto che il soggetto attivo del reato, in tale ipotesi, ha agito al fine “di trarre un vantaggio dalle circostanze inerenti alla situazione data”[17].

Del resto, a prescindere di quale circostanza avrebbe dovuto applicarsi nel caso in esame, sarebbe comunque auspicabile, in punto de iure condendo, un intervento del legislatore che integri il quadro delle circostanze previste per il delitto di furto e precisamente, novellando l’art. 625, co. I, n. 4, c.p. inserendo alla locuzione “se il fatto è commesso con destrezza”, l’inciso “o con ogni altro mezzo atto a sorprendere l’altrui buona fede”.

Difatti, in tal guisa, verrebbero ad essere sanzionate quelle condotte che, pur non compiute con particolare scaltrezza e astuzia, sono comunque parimenti riprovevoli  in quanto compiute ai danni di chi, per svariati motivi, non è in grado, nel frangente temporale in cui si consuma un furto, di prestare la dovuta attenzione ai beni di sua proprietà.

Fermo restando che tale circostanza, al di là della sua collocazione codicistica, sarebbe applicabile in via residuale solo cioè ove non ricorra non solo l’aggravante della destrezza ma anche quella del mezzo fraudolento e della (c.d.) minorata difesa.

[1] Cass. Sez. 1, 27.02.1998, n. 3763; Sez. 2, 21.02.1972, n. 326.

[2] In senso conforme: Cass., Sez. 1, 25.3.1998, n. 3763.        

[3] Cass. pen., sez. IV, 19/04/07, n. 42672.

 

[4] Cass. pen., sez. IV, 22/12/09, n. 11079. In senso conforme: Cass. pen., sez. IV, 13/11/98, n. 13491: “In tema di furto aggravato, la destrezza si ravvisa quando la condotta dell’agente sia connotata da particolare agilità, sveltezza, callido artificio ed atteggiamenti, mosse o manovre particolarmente scaltre ed ingannevoli, tali da eludere la pur vigile attenzione dell’uomo medio impedendogli di prevenire la sottrazione delle cose in suo possesso opponendovisi tempestivamente ed in costanza del fatto, senza che perciò possa assumere rilievo il fatto che la sottrazione sia scoperta anche subito dopo il suo avverarsi”.

[5] Tra le tante: Tribunale di Torino, sez. V, 8/06/10.               

[6] Corte di Appello di Reggio Calabria, 27/03/08, n. 712.        

[7] Cass. pen., sez. IV, 17/02/09, n. 14992. In senso similare: Cass. pen., sez. V, 16/03/11, n. 26560: “Non può ravvisarsi la circostanza aggravante della ” destrezza ” (art. 625 n. 4, c.p.) nell’impossessamento della merce esposta sugli scaffali nei grandi magazzini. Tale aggravante, infatti, presuppone comunque un’abilità, sia pure non necessariamente eccezionale, per far sì che il derubato non possa accorgersi della sottrazione, e l’approfittamento di una qualunque situazione di tempo e di luogo idonea appunto a sviare l’attenzione della persona offesa, distogliendola dal controllo che normalmente viene esercitato sulla cosa al fine di garantirsene il possesso. Sono situazioni, queste, che non ricorrono nell’ipotesi del furto di che trattasi, per la cui realizzazione non è richiesto un “quid pluris” rispetto all’ordinaria materialità del fatto-reato, ossia a quanto comunemente necessario per porre in essere la condotta furtiva consistente nella sottrazione della cosa e nel conseguente suo impossessamento”.

[8] Cass. pen., sez. V, 23/03/05, n. 15262.

[9] Fiandaca – Musco, Diritto penale Parte speciale, Bologna, Zanichelli Editore, 2002, pag. 82.

[10] Avv. V. Manzini, Trattato di DIRITTO PENALE italiano SECONDO IL CODICE DI RITO, Volume Nono, parte prima, Torino, Unione Tipografico Editrice Torinese, 1938, pag. 214.

[11] Fiandaca – Musco, Diritto penale Parte speciale, Bologna, Zanichelli Editore, 2002, pag. 81.

[12] Ibidem, pag. 81.                  

[13] Ovvero quelle che mirano “a ricostruire la volontà espressa del legislatore al momento dell’emanazione delle norme” (Fiandaca – Musco, Diritto penale, Parte Generale, Bologna, Zanichelli editore, 2001, pag. 106).

[14] Cass. pen., sez. IV, 8/05/07, n. 26432. In senso conforme: Cass. pen., sez. IV, 27/04/06, n. 24232: “In tema di furto aggravato, per mezzo fraudolento deve intendersi qualunque attività che sorprenda o soverchi con insidia ed astuzia la contraria volontà del detentore, violando le difese e gli accorgimenti posti dal soggetto passivo a difesa della cosa”.

[15] Cass. pen., sez. II, 21/10/83, Fonti: Cass. pen. 1985, 879 (s.m.).

[16] Cass. pen., sez. I, 24/11/10, n. 1319.

[17] Fiandaca – Musco, Diritto penale, Parte Generale, Bologna, Zanichelli editore, 2001, pag. 397.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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