La Corte di Cassazione ha recentemente chiarito, con sentenza n. 45471, data ud. 14 luglio 2023 che, ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione, la nozione di privata dimora deve essere estesa ai luoghi in cui la persona compie, anche in modo transitorio, atti della vita privata.
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Indice
1. I fatti
La pronuncia della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso dell’imputato avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro che ha, in parte, riformato la decisione di primo grado, resa a esito di giudizio celebrato con rito abbreviato, per i reati di cui all’art. 624-bis e 648 cod. pen. e, ritenuta la continuazione tra i predetti reati, ha rideterminato la pena in anni due di reclusione ed euro 600 di multa, confermando nel resto la sentenza del Tribunale di Cosenza.
Dagli atti risulta che l’imputato, dopo essersi introdotto in un appartamento – in quel momento aperto perché oggetto, insieme ed altri appartamenti contigui, di lavori di ristrutturazione – si impossessava di un portafogli e di un cellulare, sottraendo tali beni al proprietario, operaio di quel cantiere, che li deteneva all’interno del giubbotto, collocato nella predetta abitazione.
Il ricorso era affidato a due motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, erroneamente individuato dalla Corte territoriale quale furto in abitazione, sulla base della riconduzione, a sua volta errata, del cantiere-abitazione in cui è avvenuto alla fattispecie di “privata dimora“; 2) violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte d’appello applicato la circostanza attenuante della speciale tenuità del danno, dato il lievissimo pregiudizio cagionato, avendo peraltro l’imputato – fermato subito dopo l’avvenuto impossessamento della merce sottratta – immediatamente restituito la refurtiva alla persona offesa.
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2. Furto in abitazione e nozione di “privata dimora”: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare infondato il ricorso presentato dall’imputato, si sofferma, per ciò che in questa sede rileva, sul concetto di “privata dimora”, chiarendo che questo “deve intendersi in senso più esteso rispetto al concetto di ‘abitazione’, in quanto essa nozione va riferita al luogo nel quale la persona compia, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata“.
La Suprema Corte, poi, confuta la tesi del ricorrente secondo la quale non è sufficiente compiere atti tipici della vita privata in un luogo, anche lavorativo, per affermare che questo rientri nella nozione di privata dimora.
Infatti, la Corte afferma il contrario, “a condizione – beninteso – che si tratti di luoghi preclusi all’accesso di terzi, che abbiano le stesse caratteristiche dell’abitazione, in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità, da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto“.
Quanto al dedotto vizio di travisamento della prova relativo all’operaio “al momento disoccupato” – profilo che la difesa trae da una dichiarazione, verbalizzata al momento della querela, della persona offesa, e che viene valorizzata al fine di dimostrare la mera occasionalità della presenza della persona offesa all’interno dello stabile – questo, ad avviso della Corte, “non esclude, evidentemente, che la stessa si trovasse – in quel preciso momento storico e in quel cantiere edile – nell’appartamento in via di ristrutturazione in cui è stato commesso il furto e in cui svolgeva (o aveva fino ad allora svolto, poco importa) mansioni di operaio“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione non ha ritenuto fondati i motivi di ricorso dell’imputato.
Infatti, nel caso di specie, la Suprema Corte ha osservato che la Corte territoriale ha applicato i principi sopraesposti chiarendo come nel cantiere 1) fosse precluso l’accesso a terzi non autorizzati senza il consenso dell’avente diritto; 2) gli operai vi lavorassero in maniera non occasionale; 3) erano in corso i lavori edili al momento dell’ascritto furto, sicché l’imputato doveva ragionevolmente immaginare che vi fossero operai intenti ad attività lavorativa.
Per ciò che concerne il travisamento della prova, invece, la Corte osserva come il dato sia “del tutto estraneo alle circostanze che assumono rilievo ai fini della qualificazione del luogo come privata dimora“.
Quindi, la Cassazione ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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