Lo stato di bisogno attinente all’alimentazione, di norma, non integra lo stato di necessità.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 54)
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1. La questione
La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa in primo grado, dichiarava l’imputato colpevole del reato di furto, rideterminando la pena, riconoscendo la continuazione esterna con altro reato di furto, e confermando nel resto.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva vizio di motivazione ed erronea applicazione dell’art. 54 c.p. per non avere ravvisato la sentenza impugnata lo stato di necessità che aveva spinto l’imputato a sottrarre beni di genere alimentare, assumendo che lo stato di fissa dimora non dimostra di per sé la sussistenza della scriminante, e che la quantità dei beni sottratti non può essere ritenuta necessaria per soddisfare un bisogno primario.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato non meritevole di accoglimento, ritenendosi come esso non si fosse confrontato specificamente con la motivazione della sentenza impugnata che, sempre per la Corte di legittimità, si presentava immune dai prospettati vizi di legittimità, avendo escluso la configurabilità dell’invocata causa di giustificazione alla stregua di puntuali considerazioni e in difetto finanche di allegazione di elementi specifici idonei ad integrarla.
In ogni caso, ad avviso degli Ermellini, al di là dello specifico onere di allegazione incombente sull’imputato ai fini del riconoscimento della scriminante di cui all’art. 54 c.p. – come di ogni altra causa di giustificazione – si era correttamente ritenuto alla stregua delle emergenze in atti l’inconfigurabilità, nella fattispecie in esame, di un pericolo attuale di un danno grave alla persona, del requisito dell’assoluta necessità della condotta e di quello dell’inevitabilità del pericolo non volontariamente causato, la mancanza di proporzione tra fatto e pericolo, trattandosi tra l’altro di ben consistente quantitativo di generi alimentari, ne’ l’asserita situazione di indigenza è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale (Sez. 5, n. 3967 del 13/07/2015; Sez. 6, n. 27049 del 19/03/2008), essendo stato ritenuto che lo stato di bisogno dell’imputato non possa integrare di per sé la scriminante di cui all’art. 54 c.p., e che non possa essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all’assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l’aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo grave alla persona.
Oltre a ciò, era altresì fatto presente che nemmeno la circostanza della destinazione del bene a soddisfare un bisogno alimentare esclude la configurazione del furto, trattandosi pur sempre di un bene avente valore economico il cui impossessamento realizza un vero e proprio profitto laddove la destinazione al nutrimento si risolve nell’uso di cui l’autore dell’impossessamento fa del bene.
I giudici di piazza Cavour, dunque, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, affermavano che, in tema di operatività dello stato di necessità con riferimento al reato di furto di generi alimentari, pur dovendosi ritenere corretta una interpretazione di tale scriminante che si riferisca alla esigenza di far fronte a un bisogno quale può certamente essere anche quello alimentare, la cui mancata soddisfazione in determinate circostanze ben potrebbe compromettere la salute della persona, occorre potere escludere in modo assoluto la sussistenza di ogni altra concreta possibilità, priva di disvalore penale, di soddisfare diversamente quel bisogno evitando il danno altrui.
Sicché, in conclusione, si ribadiva il principio secondo cui lo stato di necessità, quale causa di non punibilità di cui all’art. 54 c.p., deve consistere in forze estranee alla volontà dell’agente, che costringono costui ad agire in modo contrario al diritto penale obbiettivo per sottrarre se stesso od altri al pericolo di un danno grave alla persona; il soggetto, in altri termini, si deve trovare di fronte all’alternativa o di attendere inerte le conseguenze di un danno inevitabile alla propria od all’altrui persona ovvero di sottrarsi ad esso mediante un’azione od un’omissione prevista penalmente dalla legge.
Tal che se ne faceva conseguire come non possa integrare la esimente dell’art. 54 citato lo stato di bisogno attinente all’alimentazione (eccetto i casi più gravi di indilazionabilità), perché la moderna organizzazione sociale, con vari mezzi ed istituti, appresta agli inabili al lavoro ed ai bisognosi quanto ad essi occorre, eliminando il pericolo di lasciarli privi di cure o di sostentamento quotidiano (Sez. 6, n. 711 del 18/04/1967; conf. 103819, anno 1967; 100667, 101577, anno 1966).
Orbene, per gli Ermellini, la Corte territoriale aveva fatto una corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza della medesima Cassazione in tema di stato di necessità e furto di generi alimentari, sopra richiamati, escludendo lo stato di necessità, per un verso, in difetto degli elementi dell’attualità e inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di previdenza sociale – circostanza rispetto alla quale nulla di concreto ha contrapposto il ricorrente -, per altro verso, perché anche la quantità dei beni sottratti (diverse confezioni di salumi e formaggi, per un valore complessivo di circa Euro 102,00) non era compatibile con l’esigenza di soddisfare un impellente bisogno primario: la causa di giustificazione dello stato di necessità deve essere, infatti, ricollegabile ad un bisogno impellente, e dunque a una sottrazione minimale, esigua, destinata ad una immediata soddisfazione dell’esigenza alimentare (non diversamente soddisfabile e purché pur sempre imposta dalla necessità di evitare il pericolo di un danno grave alla persona).
3. Conclusioni
Con la decisione in esame, la Suprema Corte, sulla scorta di precedenti conformi, giunge a formulare il principio di diritto secondo il quale non può integrare la esimente dell’art. 54 citato lo stato di bisogno attinente all’alimentazione (eccetto i casi più gravi di indilazionabilità), perché la moderna organizzazione sociale, con vari mezzi ed istituti, appresta agli inabili al lavoro ed ai bisognosi quanto ad essi occorre, eliminando il pericolo di lasciarli privi di cure o di sostentamento quotidiano.
Pur tuttavia, a fronte di tale approdo ermeneutico, al fine di evitare un rigido automatismo applicativo, la medesima Cassazione specifica che, comunque, deve stimarsi corretta una interpretazione di tale scriminante che si riferisca alla esigenza di far fronte a un bisogno quale può certamente essere anche quello alimentare, la cui mancata soddisfazione in determinate circostanze ben potrebbe compromettere la salute della persona, nella misura in cui si possa però escludere in modo assoluto la sussistenza di ogni altra concreta possibilità, priva di disvalore penale, di soddisfare diversamente quel bisogno evitando il danno altrui.
Tale pronuncia, quindi, così strutturata, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se possa ricorrere codesta causa di liceità, ove si verifichi una situazione di questo genere.
Ad ogni modo il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, sia perché, nell’elaborare il principio summenzionato, comunque consente la possibilità di riconoscere tale causa di giustificazione nei casi in cui ricorrano circostanze tali da impedire l’autore del reato ad avvalersi degli istituti in grado di provvedere ai suoi bisogni alimentari, sia perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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