Furto: le Sezioni Unite sulla natura non patrimoniale del fine di profitto

Allegati

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 41570 del 12 ottobre 2023) hanno chiarito la natura del fine di profitto nel reato di furto il quale può essere anche non patrimoniale.

Per approfondimenti si consiglia: Dibattimento nel processo penale dopo la riforma Cartabia

Indice

Corte di Cassazione – Sezioni Unite – Sentenza n. 41570 del 12/10/2023

cassazione-41570-2023.pdf 889 KB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

1. I fatti

La decisione delle Sezioni Unite scaturisce dal ricorso dell’imputato avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo che aveva confermato la decisione di primo grado condannandolo alla pena di mesi otto di reclusione e di 300 di multa, avendolo ritenuto responsabile del reto di cui all’art 624-bis cod. pen., per avere strappato di mano il telefono cellulare alla persona offesa. Secondo quanto rilevato in primo grado, il gesto dell’imputato era da ricondurre ad un movente di ritorsione e di dispetto nei confronti della persona offesa, dopo che quest’ultima aveva chiamato i carabinieri, richiedendone l’intervento a seguito di un litigio con l’imputato. Da questo punto di vista, non era configurabile il reato di violenza privata finalizzato ad impedire alla persona offesa di chiamare le forze dell’ordine; piuttosto la condotta dell’imputato rappresentava una reazione all’iniziativa della donna.
In più, non è stata ritenuta applicabile la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen. in quanto il cellulare sottratto ha un apprezzabile valore economico e quindi non poteva ritenersi sussistente un danno di speciale tenuità.
I motivi di ricorso presentati dall’imputato si diramavano in:
– erronea applicazione della legge penale (art. 624-bis cod. pen.), mancanza o illogicità della motivazione e travisamento della prova, rilevando che la Corte d’appello, aderendo ad un orientamento non pacifico, ha ritenuto sussistente il dolo specifico di profitto richiesto dalla norma nonostante l’agente abbia agito non per conseguire un’utilità economico-patrimoniale, ma per impedire l’arrivo dei carabinieri;
– erronea applicazione della legge penale (art. 62, n. 4 cod. pen.) e difetto o illogicità della motivazione, per avere la Corte territoriale affrontato in termini assertivi la richiesta di riconoscimento della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, senza tenere conto del fatto che a) il valore economico del bene sottratto non era mai emerso durante il processo; b) che, anzi, risultava si trattasse di modello obsoleto già all’epoca dei fatti; c) che la sottrazione si era protratta per breve tempo.
Sussistendo, effettivamente, diversi orientamenti in ordine alla nozione di profitto, la Settima Sezione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite per la risoluzione del contrasto.

Potrebbero interessarti:
Il profitto del reato tra confisca diretta e confisca per equivalente
A proposito di furto con strappo (Cassazione Penale, sez. II, 11 dicembre 2013, n. 49832)

2. Furto e profitto: l’analisi delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla seguente questione di diritto: “se il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, sia circoscritto alla volontà di trarre dalla sottrazione del bene una utilità di natura esclusivamente patrimoniale, ovvero possa consistere anche in un fine di natura non patrimoniale“.
L’analisi della Suprema Corte parte da un primo maggioritario orientamento secondo il quale la nozione di profitto “non si identifica necessariamente con un’utilità patrimoniale alla quale tenda l’agente: in altri termini, in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non richiede la volontà di trarre un’utilità patrimoniale del bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta“.
L’orientamento minoritario, invece, ritiene che “allo scopo di preservare la funzione delimitatrice della tipicità, assegnata al dolo specifico, quale requisito di fattispecie, dalla teoria generale del reato, occorre che nel delitto di furto esso s’identifichi nella finalità del soggetto agente di conseguire un incremento della propria sfera patrimoniale eventualmente anche per la capacità strumentale del bene di soddisfare un bisogno umano, materiale o spirituale, che si profila come fine ulteriore dell’azione“.
Riprendendo il concetto di interpretazione della legge e il principio della determinatezza in materia penale consacrato dall’art. 25, secondo comma, Cost., le Sezioni Unite ritengono di aderire al primo degli orientamenti citati, ribadendo che “la scelta di circoscrivere la nozione di profitto all’ambito strettamente patrimoniale non può trovare fondamento in un significato univoco della parola ‘profitto’ nel linguaggio comune; quest’ultima ricorre infatti in espressioni prive di qualunque correlazione con la sfera del lucro economico, finendo per identificarsi, come attestato nei dizionari di lingua italiana, in un giovamento o vantaggio, sia fisico che intellettuale o morale o pratico (si pensi al trar profitto da una lezione o da una cura)“.
Tale analisi procede affermando che “occorre confrontarsi con il rilievo secondo il quale una onnicomprensiva nozione di profitto oggetto del dolo specifico del delitto di furto, che vada ad abbracciare indistintamente sia il vantaggio economico, sia l’utilità, materiale o spirituale, sia il piacere o soddisfazione che l’agente si procuri, direttamente o indirettamente, attraverso l’azione criminosa, tradirebbe la funzione selettiva e garantistica della tipicità penale, ampliando a dismisura la sfera del furto a discapito di quella del danneggiamento o estendendola a fatti non meritevoli di sanzione penale, pervenendo, in definitiva ad un’interpretatio abrogans del detto elemento essenziale, degradato ad un profitto in re ipsa, coincidente con il movente dell’azione: movente che sempre esiste, non potendo concepirsi che un uomo agisca se non sospinto da un motivo“.
Insomma, per le Sezioni Unite “il profitto rilevante, quale connotato della specifica direzione della volontà che va a svolgere un’ulteriore funzione delimitatrice rispetto al mero profilo oggetto della condotta di sottrazione e di impossessamento, è quello che, indipendentemente dalla sua idoneità ad essere apprezzato in termini monetari, viene tratto immediatamente dalla costituzione dell’autonoma signoria sulla res e non quello che può derivare attraverso ulteriori passaggi dall’illecito“.

3. La decisione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite sono, infine, addivenute alla conclusione che “il profitto rilevante è quello che deriva dal possesso penalisticamente inteso, ossia dalla conservazione e dal godimento del bene. Ora chi distrugge, disperde, deteriora, rende in tutto o in parte inservibile un bene esercita senz’altro atti di dominio, ma ove questi siano fini a se stessi, il profitto che l’autore si ripromette discende da condotte che il legislatore tipizza rispetto ad altra fattispecie incriminatrice e non dal possesso della cosa“.
Sulla base di quanto detto finora, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore“.
Da qui, la decisione della Corte riguardo ai motivi di ricorso suindicati: il primo motivo sarebbe infondato in quanto, appunto, “il carattere non direttamente lucrativo dell’obiettivo avuto di mira non vale ad escludere il fine di profitto richiesto dalla norma incriminatrice“.
Il secondo motivo, invece, è stato dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato e per alcuni profili generico in quanto “si osserva che del tutto assertivamente il ricorrente deduce il carattere obsoleto del telefono, in tal modo non riuscendo a scardinare la tenuta argomentativa della sentenza impugnata“.

Volume consigliato per approfondire

FORMATO CARTACEO

Dibattimento nel processo penale dopo la riforma Cartabia

Nel presente volume viene esaminata una delle fasi salienti del processo penale, il dibattimento, alla luce delle rilevanti novità introdotte dalla Riforma Cartabia con l’intento di razionalizzare i tempi del processo di primo grado e di restituire ad esso standards più elevati di efficienza, come la calendarizzazione delle udienze, la ridefinizione della richiesta di prova e la nuova disciplina della rinnovazione della istruzione dibattimentale.L’opera, che contempla anche richiami alla nuovissima disciplina relativa al Portale deposito atti penali (PDP), è stata concepita come uno strumento di rapida e agile consultazione a supporto dell’attività dell’avvocato.Oltre a quelle previste dal codice di rito penale, la trattazione passa in rassegna tutte le ipotesi in cui si svolge il dibattimento, come il procedimento innanzi al giudice di pace, il processo penale minorile e  quello previsto in materia di responsabilità degli enti.Il testo è corredato da tabelle riepilogative e richiami giurisprudenziali e da un’area online in cui verranno pubblicati contenuti aggiuntivi legati a eventuali novità dei mesi successivi alla pubblicazione.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB) e giornalista pubblicista. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.

Antonio Di Tullio D’Elisiis | Maggioli Editore 2023

Riccardo Polito

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento