Partendo dal dettato costituzionale e previa disamina della normativa nazionale e regionale che prevede e disciplina il percorso istitutivo di nuovi Comuni in territorio italiano (la prima) e calabrese (la seconda), il contributo si propone di illustrare le fasi della (possibile) formazione di un ente risultante dal processo di fusione di tre realtà territoriali locali già esistenti ma distinte, vale a dire il capoluogo di provincia Cosenza e le confinanti città di Rende e Castrolibero. In particolare, dopo aver dato spazio all’atto che ha avviato il procedimento, ci si soffermerà sul referendum richiesto dalla legge, che, già indetto con Decreto del Presidente della Regione Calabria, si svolgerà nei tre Comuni interessati alla fusione nella giornata del 1° dicembre 2024. Nel contributo sarà svolta, infine, qualche breve considerazione in ordine al particolare quesito referendario che riguarda la scelta del nome da assegnare al nuovo Comune.
Indice
1. La normativa di riferimento per la fusione di enti locali
Nel nostro ordinamento, è riconosciuta a ciascuna Regione – articolo 133, cpv., Costituzione – la facoltà di istituire entro i confini del proprio territorio «nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni». La stessa Carta fondamentale prevede che ciò avvenga «sentite le popolazioni interessate» e per il tramite di una legge regionale idonea a definire le forme e le modalità attraverso cui giungere alla nuova entità territoriale-amministrativa. Così, l’iter procedimentale che dovrà condurre alla costruzione di un nuovo Comune nel territorio di una Regione – così la norma sopra indicata –, soggiace a una riserva di legge regionale e necessità di apposita consultazione popolare. Quanto a quest’ultima, essa assume i caratteri di un vero e proprio referendum, connotato da un’efficacia solamente locale poiché riservato ai soli cittadini residenti entro i confini dei territori interessati alla formazione del nuovo ente e che giocoforza produrrà effetti limitatamente al territorio di appartenenza degli elettori chiamati al voto. La doppia ratio (della riserva di legge regionale e dell’obbligo di chiamare i cittadini interessati a consultazione popolare) è da individuare, per un verso, nella volontà del legislatore costituzionale di evitare possibili arbitrii istituzionali derivanti dalla possibilità di disporre modifiche territoriali attraverso l’impiego di meri atti amministrativi, mentre risponde, per altro verso, all’esigenza di escludere che l’istituzione di un nuovo Comune sia imposta d’autorità e senza il necessario ‟ascolto” delle popolazioni coinvolte.
Il legislatore nazionale ha previsto, rifacendosi ai dettami della Costituzione, la possibilità per le Regioni di «modificare le circoscrizioni territoriali dei comuni sentite le popolazioni interessate – così l’articolo 15, comma 1, del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali[1] –, nelle forme previste dalla legge regionale». Il comma secondo accorda ai Comuni che hanno dato avvio a un procedimento di fusione la facoltà (e non l’obbligo: nella fattispecie, tali enti – si legge infatti nella disposizione in parola – «possono») di definire lo statuto del nuovo ente anche prima dell’istituzione di esso; statuto che, in tal caso, necessita dell’approvazione di tutti i consigli comunali e conserverà vigore fino alle modifiche che a esso apporteranno gli organi del Comune di nuova formazione.
Dalla normativa nazionale si evince come il legislatore guardi con favore alla fusione tra Comuni, così rispondendo a esigenze di economia per così dire ordinamentale-territoriale. Esso, infatti, ammette a beneficio dei Comuni di nuova istituzione all’esito di un processo di fusione l’erogazione di appositi contributi statali straordinari, che andranno ad aggiungersi a quelli regionali.
Val la pena di soffermarci su questa particolare modalità di costituzione di un nuovo Comune, vale a dire quella che avviene per fusione, ossia mediante l’accorpamento di due o più enti contigui in un’unica realtà amministrativa dotata di proprie funzioni, organi e apparati[2].
Quanto alla normativa calabrese, la Legge regionale n. 13 del 5 aprile 1983 detta[3] le regole che riguardano la chiamata dei cittadini alla consultazione popolare per la fusione. In particolare, vengono ai nostri fini in considerazione le disposizioni di cui agli articoli 40[4] e 41 di essa: la prima, laddove dispone che «prima di procedere all’approvazione di ogni progetto di legge che comporti l’istituzione di nuovi Comuni ovvero mutamenti delle circoscrizioni e delle denominazioni comunali, il Consiglio regionale delibera l’effettuazione del referendum consultivo obbligatorio» (comma 1); nella norma in parola si legge, inoltre, che «la deliberazione del consiglio regionale indica il quesito da sottoporre a votazione con riferimento agli estremi della relativa proposta di legge» (comma 2) e, infine, che nel caso di istituzione di nuovi Comuni, al referendum consultivo sono chiamati «tutti gli elettori residenti nei comuni interessati dalla variazione territoriale». La seconda delle disposizioni sopra richiamate (articolo 41 della legge in parola), ai nostri fini rileva nella parte in cui attribuisce al Presidente della Giunta regionale il potere di indire «il referendum consultivo con proprio decreto […] fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 60 e il 90 giorno successivo alla pubblicazione del decreto stesso nel Bollettino Ufficiale della Regione».
La Legge regionale n. 15 del 24 novembre 2006[5], così come risultante dalle modifiche a essa apportate dall’art. 4, comma 1, della Legge regionale n. 24 del 26 maggio 2023[6], dispone, all’articolo 5, che la «istituzione di un nuovo Comune mediante fusione di uno o più comuni contermini deve essere preceduta da un referendum consultivo svolto secondo le vigenti disposizioni legislative regionali».
Il processo di fusione tra Comuni rientra altresì nell’ambito di applicazione dello Statuto della Regione Calabria, del quale vengono in considerazione gli articoli 4 e ss., e in particolare l’articolo 12, in forza del quale si indice « referendum consultivo su questioni di interesse regionale allorquando ne faccia richiesta il quaranta per cento dei Consiglieri regionali ovvero il dieci per cento del corpo elettorale» (comma 1); la consultazione popolare è valida «se vi ha partecipato il trenta per cento degli aventi diritto» (comma 2). L’articolo 13 dello Statuto, poi, attribuisce alla legge regionale il compito di disciplinare le consultazioni referendarie regionali.
Occorre soffermarsi, infine, sulla Carta europea dell’Autonomia locale, firmata a Strasburgo dagli Stati membri del Consiglio d’Europa il 15 ottobre 1985 e ratificata da noi con la Legge 30 dicembre 1989, n. 439. Essa contiene perlopiù dichiarazioni di principio, con contenuto spesso non precettivo ma, diversamente, definitorio e generico, volte ad assicurare e garantire la tutela delle autonomie locali: ai nostri fini, rileva l’articolo 5 della Carta, che prevede la preliminare consultazione – «eventualmente mediante referendum, qualora ciò sia consentito dalla legge» – delle collettività interessate per le modifiche che riguardano i limiti locali territoriali.
Sullo stesso tema, leggi anche l’articolo: Unione e fusione dei Comuni nella legislazione italiana
2. L’atto di impulso e la consultazione popolare per la fusione Cosenza-Rende-Castrolibero
La proposta di Legge regionale n.177/12^, presentata da alcuni consiglieri regionali calabresi nel mese di aprile del 2023, contiene una serie di disposizioni volte a regolare la fase procedimentale transitoria che dovrà condurre alla formazione, in provincia di Cosenza, di un nuovo Comune risultante dalla fusione di tre entità amministrative distinte ma tra loro territorialmente contigue, le cui aree urbane, peraltro, già si caratterizzano per non presentare significative soluzioni di continuità fisica[7]. Nell’articolato della proposta in parola si assume che alla data del 1° febbraio 2025[8] sarà istituito, all’esito della fusione dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero, un Comune unico la cui area territoriale andrà a comprendere i territori già appartenenti ai tre distinti enti locali ora autonomi, con contestuale estinzione di questi ultimi nonché decadenza dalle funzioni dei sindaci, giunte e consigli comunali e cessazione dalle rispettive cariche.
Lungo il solco tracciato dal progetto legislativo regionale, il Consiglio regionale della Calabria ha disposto, con la Deliberazione n. 308 del 26 luglio 2024, il referendum consultivo obbligatorio, che, in forza dell’indizione di esso mediante Decreto del Presidente della Giunta regionale[9], dovrà svolgersi nella giornata dell’1 dicembre 2024 tra gli elettori residenti nelle aree interessate all’estinzione dei tre Comuni e alla conseguente fusione di essi nella c.d. – così comunemente definita, anche dai media locali – “Città unica”.
Il provvedimento presidenziale definisce i quesiti da sottoporre al consenso popolare. Quesiti che risultano formulati nei seguenti termini: «1) Volete voi che sia approvata la proposta di legge n. 177/XII e che sia istituito un nuovo comune derivante dalla fusione dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero? ; 2) Quali delle seguenti denominazioni volete che assuma il nuovo comune derivante dalla fusione dei comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero? a) Cosenza; b) Cosenza Rende Castrolibero; c) Nuova Cosenza».
Prima di andare avanti, non si può fare a meno di soffermarsi su quel particolare aspetto che è rappresentato dallo sbilanciamento a favore del capoluogo Cosenza nell’approdo relativo alla denominazione della c.d. Città unica; è di tutta evidenza, infatti, l’irragionevolezza di tale scelta, anche e specialmente in considerazione del fatto che, risiedendo gli elettori chiamati al voto referendario per la maggior parte nel capoluogo, non è difficile prevedere il risultato della volontà popolare. Irragionevolezza dettata da ragioni di (in)opportunità, dal momento che il dato letterale, più che ridursi a una mera sottigliezza terminologica, rischierebbe di evocare nell’immaginario collettivo un’ipotesi di incorporazione più che di fusione tra Comuni contigui.
3. Considerazioni conclusive
Sono stati proposti all’Organo di Giustizia amministrativa regionale diversi e distinti ricorsi, con il fine dichiarato di modificare il processo di estinzione dei comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero e contestuale fusione di essi in un unico ente o di porre termine a esso. Così, si sono rivolti al TAR Calabria due dei tre Comuni coinvolti nel procedimento attivato dal Consiglio regionale calabrese – Cosenza e Castrolibero – nonché un Comitato cosentino e un’Associazione di Rende.
La decisione dei Giudici amministrativi di Catanzaro – con buon grado di verosimiglianza parziale, ovvero non anche sul merito – è attesa per la prima decade di novembre.
Pur non conoscendo nel particolare i motivi addotti dai diversi ricorrenti e le specifiche ragioni poste a fondamento delle rispettive domande, nelle righe che seguono ci si propone tuttavia di svolgere qualche breve considerazione con riguardo a uno dei ricorsi. Considerazione formulata peraltro sulla base di quanto appreso dai media[10]. Così, si evince dalla carta stampata e da alcune testate online che il ricorso proposto dal Comitato Cosenza per il NO alla Fusione-Per una Città Policentrica per il tramite dell’avvocato Rossella Barberio farebbe leva sui particolari “passaggi” procedimentali rappresentati dalla Deliberazione del Consiglio regionale che ha disposto il referendum consultivo e dal Decreto presidenziale che lo ha indetto; passaggi asseritamente illegittimi per violazione della relativa disciplina contenuta nel Testo unico degli Enti locali, da un lato, e di cui alla Carta europea dell’Autonomia locale, dall’altro. La Legale a cui il sopra menzionato Comitato ha conferito mandato avrebbe sollevato, inoltre, questione di legittimità costituzionale della Legge regionale n. 24 del 2023 sul rilievo della violazione di una serie corposa di dettami costituzionale, nonché della Legge regionale n. 13 del 1983 poiché quest’ultima imponendo un generico referendum consultivo si porrebbe in contrasto con l’articolo 12 dello Statuto della Regione Calabria, che, a sua volta, richiede ai fini della validità della consultazione referendaria il quorum del trenta per cento degli aventi diritto al voto.
Ebbene, per quest’ultimo aspetto, vale a dire con riguardo alla supposta illegittimità costituzionale della Legge regionale n. 13 del 1983 per incompatibilità con la norma statutaria sopra richiamata, val la pena osservare che, pur sfuggendo il rapporto tra statuto regionale ordinario e legge regionale al criterio gerarchico – si tratta, infatti, di fonti entrambe primarie[11] – ma ragionando, diversamente, in termini di competenza, lo statuto prevale sulla legge regionale nelle materie a questo riservate (c.d. contenuto necessario). Ebbene: attesa una riserva di statuto in materia di referendum, ciò implicherebbe l’incostituzionalità sopravvenuta della legge 13 del 1983 (che, si ricordi, è precedente allo Statuto della Regione Calabria), a meno di invocare la sola imposizione statutaria, ciò che presupporrebbe, però, una disapplicazione della legge regionale in contrasto.
Per una disamina ampia delle questioni giuridiche che si avvitano attorno al processo di fusione intrapreso dal Consiglio regionale calabrese, si rimanda sin d’ora a una prossima nota che lo scrivente si propone di comporre in un’apposita analisi del(l’imminente) pronunciamento del Tar Calabria. Per ora, sulla scorta delle considerazioni appena svolte, sembra potersi affermare che la procedura adottata dalla Regione Calabria, che risulta ruotante, nelle previsioni astratte ai vari livelli, attorno alle prerogative del Consiglio regionale, con riguardo all’aspetto appena evocato si discosta dal dettato normativo.
In conclusione, se è vero che talora l’invocazione del diritto può recare anche il rischio di piegarsi a (peraltro legittime) convenienze politiche e a (altrettanto legittime) istanze di carattere economico e sociale o potrà apparire intrisa di implicazioni di tipo campanilistico, è pure realistica la possibilità di individuare, come si è visto, qualche passaggio debole nelle pieghe della fase procedimentale adottata dalla Regione Calabria.
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Note
[1] Decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, Titolo II, Capo I, così come risultante dalle modifiche apportate dalla Legge n. 56 del 7 aprile 2014 e dalla Legge n. 68 del 2 maggio 2014.
[2] Un richiamo alla contiguità territoriale è contenuto nell’articolo 16, comma 1, del Testo unico 267 del 2000, nella parte in cui dispone che negli enti autonomi locali istituiti mediante fusione di due o più Comuni «contigui» lo statuto comunale può prevedere l’istituzione di municipi in alcune aree del territorio.
[3] Così rubricata: Norme di attuazione dello Statuto per l’iniziativa legislativa popolare e per i referendum e pubblicata nel BUR n. 26 del 14 aprile 1983.
[4] Così come modificato dall’art.1, comma 1, della Legge regionale n. 17 del 30 maggio 2012.
[5] Rubricata Promozione dell’esercizio associato di funzioni e servizi ai Comuni.
[6] Rubricata Riordino territoriale ed incentivazione delle forme associative di Comuni
[7] La Proposta di legge è rubricata Istituzione del nuovo Comune derivante dalla fusione dei Comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero.
[8] Data in seguito posticipata di due anni.
[9] Decreto del Presidente della Regione n. 59 del 08 ottobre 2024, con oggetto Indizione referendum consultivo obbligatorio “Modifica dei confini territoriali dei comuni di Cosenza, Rende e Castrolibero della provincia di Cosenza”.
[10] Gazzetta del Sud, ed. cartacea del 24 ottobre 2024; Cosenza Channel, 23 ottobre 2024.
[11] Gli statuti regionali ordinari non possono essere considerati alla stregua di una costituzione regionale, poiché l’ordinamento ammette che le Regioni siano dotate di autonomia ma non di sovranità, prerogativa che appartiene solamente allo Stato.
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