Garanzie aleatorie “atipiche”: dal contratto di assicurazione ai nuovi strumenti finanziari

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La disposizione dell’art. 1933, primo comma, c.c., che esclude la spettanza dell’azione per il pagamento di debiti di giuoco o di scommesse, non trova applicazione a quei contratti – come il contratto di assicurazione cui sia apposta la clausola di beneficio del cambio a favore dell’assicuratore per la eventualità che il corso di conversione della valuta in cui è espresso il credito per le operazioni di esportazione oggetto della copertura assicurativa, risulti superiore al corso di cambio garantito (clausola che non incide sulla qualificazione generale del contratto, il quale assolve la funzione propria dell’assicurazione, e che comunque potrebbe, se mai, configurarsi come contratto atipico valido, siccome diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela in quanto non in contrasto con la legge, l’ordine pubblico e il buon costume) – i quali, pur caratterizzati dall’alea, non sono riconducibili alla nozione di giuoco e di scommessa.
 
FATTO
La Benati S.p.a. stipulava con la SACE due diverse polizze aventi ad oggetto l’assicurazione rispettivamente, del credito derivante da una esportazione di merci in Pakistan e del rischio del cambio collegato alla variazione dei cambi per i contratti stipulati in valuta estera. Con tale seconda polizza si prevedeva, altresì, il beneficio di cambio a favore dell’assicuratore nel caso in cui il corso di conversione della valuta in cui veniva espresso il credito fosse risultato superiore al corso di cambio garantito.
In virtù di tale clausola la SACE citava la Benati Spa per il pagamento della somma di £ 1.744.044.774, oltre interessi ex art. 1283 c.c., a titolo di differenza cambio.
Il Tribunale di Roma accoglieva le richieste di parte attrice e condannava la società convenuta al pagamento di quanto dovuto.
L’appello interposto dalla Benati Spa avverso la sentenza del Tribunale di Roma veniva rigettato.
Contro tale pronuncia la Benati Spa propone ricorso per Cassazione articolato in tre motivi.
Sotto il primo profilo la ricorrente denunciava la falsa interpretazione, anche per illogicità, dell’art. 1882 c.c. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 del cod. proc. civ. avendo la corte d’appello respinto l’ eccezione relativa alla mancanza di causa del contratto di assicurazione.
Contrariamente a quanto affermato dalla corte, la ricorrente sostiene che il beneficio di cambio, inserito in un contratto di assicurazione, assume una valenza significativa tale da incidere sulla qualificazione del contratto stesso, snaturandone profondamente la qualità, si che il contratto, lungi dall’avere lo scopo di copertura di un rischio, assume la qualifica di un accordo avente come scopo una scommessa. Secondo la ricorrente, nel caso in esame, la clausola di rischio di cambio e la clausola di beneficio di cambio alterano la struttura del contratto di assicurazione. Secondo tale lettura, pertanto, il rapporto dedotto in giudizio sarebbe nullo per mancanza di causa.
Sotto il secondo profilo, invece, si denuncia la violazione e falsa interpretazione dell’art. 1322 c.c. laddove la Corte d’Appello afferma che, nel presente caso, anche qualora non si trattasse di rapporto di assicurazione, ci si troverebbe di fronte ad un contratto atipico, demandato dall’art. 1322 c.c. all’autonomia dei privati, purché meritevole di tutela, laddove la meritevolezza viene riconosciuta a quei contratti che risultino non in contrasto con la legge, l’ordine pubblico ed il buon costume.
La ricorrente censura la lettura fatta dalla corte e che fa coincidere meritevolezza e liceità ed afferma come nel presente caso non si tratterebbe né di contratto di assicurazione (per i motivi di cui alla prima doglianza), né di contratto atipico, bensì di un tipico contratto di giuoco, cioè di un accordo con il quale è previsto che le prestazioni patrimoniali dei giocatori siano subordinate al verificarsi di un evento futuro ed incerto.Conseguenza di tale qualificazione sarebbe la mancanza di tutela dell’azione prevista dall’art. 1933 c.c. per i contratti di giuoco o scommessa.
La Cassazione respinge tali censure affermando la non configurabilità, nel caso in esame, delle fattispecie del giuoco e della scommessa e la conseguente inapplicabilità dell’art. 1933 c.c..
La Cassazione non esamina neanche il primo motivo di ricorso relativo alla mancanza di causa, ritenendo la ratio decidendi contenuta nella seconda motivazione della corte d’appello di per sé idonea a sostenere l’impianto della sentenza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
COMMENTO
 
   1. Nel caso in commento la Suprema Corte ha ritenuto sussistente un rapporto di natura assicurativa, escludendo che si trattasse di contratto innominato configurabile con le fattispecie astratte, gioco e scommessa, di cui all’articolo 1933 del codice civile, considerando che, tuttalpiù, nel presente caso, si sarebbe potuto parlare di contratto atipico, comunque valido, perchè diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ex articolo 1322, comma 2, del codice civile, in quanto non contrario alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume.
La sentenza annotata offre interessanti spunti di riflessione sotto molteplici profili, primo fra tutti il rapporto intercorrente tra la causa ed il tipo contrattuale, e, di pari passo, tra la causa e la qualificazione del contratto.
Sotto un altro profilo la decisione della Corte pone l’accento sulla nozione di interesse meritevole di tutela, così come lo stesso viene richiamato dall’art. 1322 c.c..
Quel che occorre preliminarmente rilevare è come la SC nell’affrontare la questione de quo, pur giungendo ad una conclusione senz’altro condivisibile circa la non applicabilità della disciplina dell’art. 1933 c.c. al rapporto contrattuale sottoposto alla sua attenzione, non svolga un’indagine particolarmente approfondita ed esauriente della fattispecie oggetto del processo, limitandosi ad una (forse) frettolosa qualificazione del contratto come contratto di assicurazione, pur non escludendo la possibilità che si tratti di un contratto atipico, comunque meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c..
La particolarità dello strumento contrattuale utilizzato ed avente ad oggetto l’assicurazione del credito d’esportazione dal rischio derivante dal cambio sfavorevole e, contestualmente, la previsione del beneficio di cambio a favore dell’assicuratore qualora il cambio fosse stato superiore al corso garantito, avrebbe, forse, dovuto indurre la Corte ad una maggiore riflessione circa l’esatta qualificazione del contratto, anche per giungere ad una più convincente ed articolata motivazione in ordine all’inapplicabilità dell’art. 1933 c.c..
Com’è noto, allorché si parla di qualificazione del contratto, ci si riferisce alla sua valutazione giuridica secondo i criteri distintivi della materia contrattuale. Tale valutazione prescinde dalla denominazione fatta dalle parti, per cui la qualificazione operata dai contraenti non è da ritenersi vincolante. Secondo l’orientamento prevalente[1], la funzione principale della qualificazione è quella di assegnare il contratto ad un determinato tipo, ricercando quale sia la causa concreta del contratto[2].
Esaminando il contenuto del contratto, l’interprete indaga quale sia l’interesse effettivamente perseguito dalla parti e se esso coincida, oppure no, con uno degli interessi negoziali tipici.
Il mero criterio formalistico basato sulla coincidenza degli effetti giuridici con la disciplina di un tipo legale è insufficiente a qualificare correttamente il contratto, come è evidente quando la causa concreta che questo è diretto a realizzare risulta incompatibile col tipo legale adottato[3].
D’altra parte, la semplice non coincidenza del regolamento negoziale con quello legale non basta ad escludere la qualifica del contratto secondo quel tipo, per cui, quando le particolari finalità dell’operazione sono compatibili col tipo legale il contratto si qualifica in base a quest’ultimo con la conseguente applicazione della relativa disciplina. Occorre però dire che le finalità particolari conservano la loro rilevanza ai fini di un trattamento del contratto aderente alla realtà dell’operazione che le parti hanno voluto porre in essere, per cui la presenza di particolari finalità può rendere appropriata una deroga al regolamento legislativo.
Nel caso in esame, pertanto, occorre verificare se, aldilà della denominazione di contratto di assicurazione data dai contraenti, la previsione del cambio favorevole abbia assunto per le parti una valenza tale da consentire non più la qualificazione del contratto come assicurazione ma come contratto atipico nel quale, alla causa propria del contratto di assicurazione si sostituisca o, eventualmente, si affianchi anche la causa propria di altri contratti.
   2. Per dare compiutezza all’indagine che si cercherà di svolgere, l’ulteriore quesito al quale occorrerà dare una risposta è se a tale contratto atipico possa essere riconosciuta tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.; a tale compito, d’altronde, si è obbligati anche dall’analisi dei motivi del ricorso oggetto del giudizio di Cassazione, nonché da quanto affermato dalla stessa Corte.
Com’è noto, il giudizio di meritevolezza è il presupposto essenziale ed ineliminabile per valutare l’ idoneità dello strumento contrattuale, posto in essere dalle parti anche al di fuori dei tipi previsti dalla legge, a produrre effetti giuridici.
Quello relativo al giudizio di meritevolezza costituisce, senz’ altro, uno dei temi più interessanti del dibattito civilistico, nel quale si è impegnata la migliore dottrina sin dal suo apparire nel codice del 1942[4]; tuttavia, a causa della sua portata e dei molteplici aspetti che lo riguardano, non può certo trovare esauriente trattazione nell’ angusto ambito della presente indagine, ai fini della quale ci si può limitare a rilevare come, il controllo di meritevolezza è stato inteso sia come giudizio autonomo[5], sia come assorbito nel giudizio di liceità[6], da ciò deriva che a proposito del contenuto del giudizio di meritevolezza ex art. 1322 cpv. c.c., le posizioni, tanto della dottrina quanto della giurisprudenza, non sono uniformi, sia per quanto riguarda i criteri di determinazione usati, sia per le conclusioni cui esse giungono[7].
All’interno di questo dibattito può inserirsi la posizione assunta dalla Cassazione nella pronuncia annotata, la quale identifica il giudizio di meritevolezza con il controllo di liceità del contratto e sul presupposto della sua liceità fonda la tutela del rapporto de quo, aderendo alle conclusioni della Corte d’Appello, e sulla scia di altre pronunce citate dalla stessa Cassazione, nonchè di quella dottrina[8] che prospetta una coincidenza tra il giudizio di meritevolezza e quello di liceità[9], soprattutto in relazione al requisito della conformità all’ ordine pubblico[10]. Il ritenere che il giudizio di meritevolezza di cui all’ art. 1322 cpv., c.c., coincida, sostanzialmente, con l’ accertamento della non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ ordine pubblico e al buon costume, fa si che, secondo il ragionamento della Corte d’Appello prima e della Cassazione poi, non si possa negare tutela giuridica a quei contratti incensurabili sotto il profilo causale.
   Poiché il problema della causa, nel presente caso, investe entrambe le polizze, le quali apprestano una disciplina unitaria e coerente dell’operazione nel suo insieme, la valutazione di liceità, per la Cassazione, si risolve, in ultima analisi, nell’ accertamento della liceità di tutta l’operazione posta in essere.
   3. Passando ad analizzare più da vicino il contratto de quo, non può non rilevarsi che, prima facie, così come il contratto di assicurazione, anche il contratto in esame presenti dei caratteri propri del contratto aleatorio, dal momento che, alla sua conclusione, le parti ignoravano quali potevano essere le conseguenze economiche del verificarsi dell’evento dedotto in contratto né, potevano sapere con certezza se tale evento si sarebbe verificato. Inoltre, stante la mancata determinazione, al momento della conclusione, del quantum della prestazione, appare in tutta evidenza come contenuto spiccatamente aleatorio[11]del contrattosia comune ad entrambe le parti, in quanto ambedue sono soggette all’alea[12].
Il rischio assunto dalle parti consiste, per entrambe, nella probabilità di una perdita che, in seguito al verificarsi del cambio di valuta, avrebbe potuto interessare il loro patrimonio. In questo rischio può essere ravvisato l’oggetto del contratto de quo[13], mentre la causa comune può essere ricercata nello scambio dei rischi, in quanto l’interesse soddisfatto dal rapporto rende, comunque, necessaria, per entrambe le parti, l’assunzione del rischio.
L’obbligo assunto da una parte nei confronti dell’altra è quello di effettuare la prestazione convenuta solo se, ed in quanto, si verifichi un determinato evento (deprezzamento o apprezzamento del rapporto di cambio di una valuta rispetto ad un’altra); le modalità con cui si verificherà l’evento faranno sorgere la suddetta obbligazione in capo ad un soggetto piuttosto che all’altro ed anche l’entità della prestazione sarà determinata dalla misura dell’evento. Si rileva come a fronte di una reciprocità di obbligazioni, l’obbligo di eseguire la prestazione dovuta sorge solo a carico di una delle parti, a seconda che le variazioni del rapporto di cambio abbiano determinato il sorgere dell’obbligo di compensare l’altra degli svantaggi conseguenti alle variazioni suddette, oppureil diritto di ricevere dalla controparte una somma pari all’incremento patrimoniale determinato dalla variazione favorevole del cambio.
Di certo la finalità di controllo e di copertura del rischio di variazione del rapporto di cambio tra le valute insita nel contratto in esame ha indotto la Cassazione ad assimilarlo al contratto di assicurazione, ma tale assimilazione, allo stesso tempo, sembra negata dal fatto che, in questo caso, la prestazione a carico dell’assicurato non si sostanzia in un premio quale corrispettivo della copertura del rischio ma nell’assunzione, a sua volta, di un rischio altrettanto pari a quello della società assicuratrice, dove la somma versata a titolo di premio, stante l’importo contenuto, ha piuttosto natura di commissione o di provvigione.
Certamente nulla quaestio per quanto riguarda la qualificazione della prima polizza avente ad oggetto l’assicurazione del credito a copertura di un’esportazione di merci in un paese estero, tale pratica è senz’altro molto diffusa nella prassi commerciale tanto che innumerevoli sono le compagnie assicuratrici (prima fra tutte la stessa SACE[14]) che offrono tali servizi; la materia, peraltro, è stata anche fatta oggetto, così come l’assicurazione dei rischi derivanti da cambio sfavorevole, di un apposita previsione normativa[15]. Quel che, invece, introduce un elemento di novità rispetto al tradizionale schema dei contratti d’assicurazione è certamente la previsione del beneficio di cambio a favore dell’assicuratore, nell’eventualità che il corso di conversione della valuta fosse risultato superiore al corso di cambio garantito. E’ indubitabile che tale clausola presenti tratti e caratteristiche estranee al rapporto assicurativo “classico” in virtù del quale, così come previsto dall’art. 1882 c.c., un soggetto (assicuratore) dietro pagamento di un premio, si obbliga a garantire indenne l’assicurato dal danno derivategli da un sinistro o, comunque, da un evento a lui sfavorevole[16]; nella nozione tradizionale di assicurazione, infatti, nessun altro vantaggio è previsto per l’assicuratore se non la corresponsione del premio e/o il non verificarsi dell’evento, mentre nessuno svantaggio può derivare all’assicurato che non sia già stato calcolato ed accettato nella previsione del premio da versare[17].
Laddove l’assicurazione realizza lo scopo tipico di proteggere da un danno conseguente ad un sinistro, il cui verificarsi non è né certo né necessario, essendo sufficiente la condizione per cui l’evento dedotto in contratto possa verificarsi e la funzione dell’assicurazione consiste nel tutelare l’interesse del soggetto ad avere la certezza attuale del risarcimento del danno nell’eventualità del verificarsi dell’evento, nella fattispecie sottoposta al giudizio della SC, invece, un ulteriore elemento viene ad introdursi ed a caratterizzare il rapporto assicurativo: la previsione e l’assunzione del rischio da parte dell’assicurato che, a fronte della garanzia di un evento a lui contrario, (una differenza di cambio sfavorevole) e, oltre al “costo” assicurativo (rectius premio), si assume, a sua volta, l’ alea, in caso di una variazione di cambio favorevole, di corrispondere la differenza economica vantaggiosa alla controparte.
In ciò consiste il nucleo del rapporto contrattuale: la sicurezza di ottenere dall’altra parte una copertura economica in grado di annullare gli svantaggi che potrebbero derivare da un non favorevole mutamento dei cambi, del quale la c.d. “assicuratrice” si assume l’alea, a fronte dell’assunzione, per il c.d. “assicurato”, dell’obbligo inverso di corrispondere alla controparte l’eventuale incremento economico percepito in virtù di un mutamento favorevole dei cambi stessi. La società c.d. assicuratrice, dal canto suo, può bilanciare in tal modo le varie prestazioni nei confronti di una pluralità di “clienti” laddove ad una percezione di vantaggi economici fa da contraltare una erogazione di denaro a vantaggio di altri clienti garantiti.
Qui la differenza con il contratto di assicurazione emerge con evidenza guardando alla prestazione della società esportatrice: non un premio in misura fissa quale corrispettivo della copertura del rischio (in misura fissa è versata solo una provvigione di valore relativamente irrisorio rispetto alla portata economica dell’intera prestazione) ma, a seconda del valore dei cambi, essa dovrà eseguire una prestazione di carattere economico di eguale valore al vantaggio ricavato dal cambio favorevole e del quale si priva a favore della società per la copertura del rischio inverso.
Prima di passare ad esaminare l’ipotesi se tale clausola possa essere idonea a configurare una nuova figura contrattuale, occorre verificare se, nonostante tale clausola, il contratto che qui ci interessa presenti ancora elementi sufficienti per essere qualificato come contratto di assicurazione.
Come si è visto, la funzione assicurativa si esprime nel garantire all’assicurato la tutela dell’interesse ad essere risarcito ed in questo consiste la causa del contratto e la giustificazione del pagamento del premio[18]. In relazione a quest’aspetto, pertanto, si può dire che nell’assicurazione vi è una comunione di interessi, posto che entrambi i soggetti desiderano che l’evento non si verifichi: l’assicurato perché ha interesse alla conservazione del bene e l’assicuratore per non dover pagare l’indennità. In questo senso può dirsi che l’assicurazione si differenzia dagli altri contratti sinallagmatici ove, al contrario, vi è un conflitto di interessi tra le parti regolato dallo scambio, o per meglio dire, dalla esecuzione della rispettive prestazioni.
Nell’assicurazione c’è una coincidenza di interessi dal momento che entrambe le parti desiderano che l’evento non si verifichi: l’assicurato perché desidera conservare il bene e l’assicuratore per non dover sborsare l’indennizzo. Per l’assicurato il contratto stipulato con l’assicuratore ha una valenza protettiva e cautelativa e non speculativa[19], mentre, l’assunzione del rischio è stata definita come una prestazione di garanzia o sicurezza nella quale consisterebbe la prestazione in senso giuridico dell’assicuratore, prestazione complessa di servizio di impresa di cui la prestazione pecuniaria aleatoria costituirebbe solo una componente[20]. In questa condizione si è ravvisata la corrispettività delle prestazioni: il pagamento del premio trova il suo corrispettivo nella garanzia fornita dall’assicuratore indipendentemente dal verificarsi del sinistro, mentre l’obbligazione corrispettiva dell’assicurato è qualificata dall’art. 1882 cc. come “premio”[21].
   4. Da queste brevi e superficiali riflessioni in ordine al contratto di assicurazione, si evince come la qualificazione del contratto in esame (aldilà del nomen attribuitogli dalle parti) quale contratto di assicurazione presenti qualche difficoltà, infatti, nel presente caso, come si è già avuto modo di evidenziare, gli obiettivi delle parti contraenti, differentemente a quanto dianzi detto a proposito del contratto di assicurazione, non sono perseguiti tramite il pagamento di un premio e l’assunzione di un rischio ripartito con criteri attuariali, bensì gravando entrambi i contraenti nell’alea giuridica connessa all’oscillazione dei cambi.
Alla luce di tali considerazioni occorre rilevare come, a ben vedere, tra i due contratti l’elemento comune può essere rinvenuto solo nella similare finalità economica di copertura del rischio, per cui, ad un primo sguardo, i caratteri del contratto de quo appaiono più simili a quelli del contratto di assicurazione che a quelli di altre fattispecie contrattuali, infatti, come si è sottolineato, il contratto in esame, così come il contratto di assicurazione, è un contratto aleatorio e le parti, al momento della sua conclusione, non sanno quali potranno essere le conseguenze economiche del verificarsi dell’evento né, sanno se tale evento si verificherà.
Però, la circostanza non trascurabile che nel presente contratto la parte assicurata si obbliga a sua volta a prestare la garanzia e ad assumersi il rischio di un andamento dei parametri di riferimento sfavorevole per la controparte, fa si che si abbia, in sostanza, uno scambio reciproco di prestazioni di garanzia laddove ciascuna parte sembra assumere la duplice veste di “assicurato” e di “assicuratore”. Il pagamento del c.d. differenziale alle scadenze pattuite sarà un onere che graverà in capo all’una o all’altra parte a seconda dell’evoluzione dei parametri di riferimento. A tale riguardo si può rilevare una analogia con il pagamento dell’indennizzo a favore dell’assicurato al verificarsi dell’evento negativo ed il premio versato rappresenterebbe il corrispettivo di un contratto atipico di assicurazione composto da una quota dovuta per l’assunzione del rischio e da una quota per la copertura delle spese di gestione.
Il contratto che qui interessa, dunque, pur appartenendo al genus dei contratti aleatori non può essere definito un contratto di assicurazione tout court.
   5.Tuttavia, di non meno difficile soluzione si presenta il quesito circa la configurabilità, nel presente caso, delle fattispecie del gioco e della scommessa[22].
A proposito di queste due figure contrattuali può dirsi, con la necessità di sintesi imposta dalla trattazione, che con esse le parti si sfidano a una competizione all’esito della quale il soccombente dovrà effettuare una prestazione patrimoniale al vincitore. Normalmente, nel gioco, la competizione è incentrata su di una gara tra le stesse parti, mentre, nella scommessa, la sfida riguarda il pronostico su un certo fatto o evento. A tale proposito corre l’obbligo di rilevare come la dottrina sia sostanzialmente concorde nell’affermare la distinzione tra le due figure, seppure con divergenze in ordine ai diversi contenuti e alle diverse configurazioni[23]. Ovviamente, a causa della portata limitata della presente riflessione, non si potrà dare rilievo alle varie posizioni, tuttavia, poiché si rende necessario alla soluzione del problema che qui interessa, non si può non dare atto della differenza esistente tra le due figure e che la dottrina più recente ha ritenuto di rintracciare nella partecipazione, o meno, dei contraenti all’evento dedotto in contratto, al loro concorrere,o meno, al verificarsi dello stesso: per cui sarà da considerarsi “gioco” la puntata sull’esito di una gara alla quale partecipano i contraenti, mentre sarà “scommessa” la puntata sul risultato di un evento rispetto al quale i contraenti non hanno alcun potere di determinazione[24].
Tale distinzione tra le due figure, tuttavia, viene superata dall’applicazione della stessa disciplina per entrambe, nonché dalla lettura che, generalmente, si da delle due fattispecie intese come “figura sostanzialmente unitaria”[25], la cui finalità è costituita tanto dalla competizione quanto dallo scopo di lucro[26], per cui la ragione pratica del contratto è costituita, essenzialmente ed inscindibilmente dalla c.d. causa ludendi e dalla causa lucrandi[27].
Se una analogia può essere rilevata tra il contratto de quo e il contenuto giuridico della scommessa, laddove si volesse rilevare il prevalente aspetto speculativo dell’operazione posta in essere tra le parti, occorre, tuttavia, verificare se, nel nostro caso, tale similitudine possa giustificare l’applicabilità della cosiddetta “eccezione di gioco” di cui all’art. 1933 cc. A tale proposito si deve notare che qualora l’unica ragione che ha indotto le parti alla stipula del negozio fosse quella di conseguire un vantaggio fine a se stesso, senza che si realizzi alcun altro risultato economicamente definibile come utile per l’una o per l’altra parte, allora sarebbe da negare tutela giuridica a colui che, nell’ambito della scommessa o del gioco, risulta essere creditore della prestazione, ma alla luce dell’operazione posta in essere dalle parti è discutibile che il contratto de quo possa essere assimilato a tali figure dal momento che esso esprime una causa che ben può essere ricondotta ad una più ampia funzione di sicurezza e di garanzia economica. Anche se, non si può negare che, così come con l’assicurazione, sussista una forte analogia anche con il contenuto giuridico della scommessa[28]; tuttavia, una differenza importante è costituita dal fatto che mentre nella scommessa il rischio è una creazione artificiale al solo scopo di determinare una incidenza nella situazione patrimoniale dei contraenti, nel contratto in esame il rischio (non creato dalle parti) si riflette sulla causa del contratto come elemento socialmente apprezzabile.
Ovviamente, la soluzione sarebbe diversa nel caso in cui entrambe le parti perseguissero fini meramente speculativi, mentre, lo stesso non può dirsi quando una di esse stipula un contratto, come quello di cui trattasi, per coprire concreti rischi di variazione del cambio in relazione all’esercizio di un’attività imprenditoriale, ricorrendo ad un altro soggetto che abbia, per lo stesso importo, l’esigenza contraria. Secondo la prevalente interpretazione[29] può parlarsi di carattere meramente speculativo del contratto, paragonabile al gioco e alla scommessa, solo laddove tale carattere rappresenti l’unico scopo comune cui le parti tendono, mentre è sufficiente che almeno una delle parti realizzi un interesse meritevole di tutela per essere sottratti all’applicazione dell’eccezione di cui all’art. 1933 c.c.[30]
Nel presente caso, analizzando le esigenze che le due polizze mirano a soddisfare, si evidenzia come l’intera operazione sia stata posta in essere da un lato con l’obiettivo di assicurare il rischio di variazione del corso delle valute, dall’altro, con l’intento di investire sulle stesse variazioni dei cambi in un’ottica speculativa: sotto questo secondo profilo, non si nega che l’operazione possa sembrare assimilabile alla scommessa, tuttavia ben potrebbe essere annoverata tra quelle scommesse lecite e pienamente tutelate dall’ordinamento giuridico[31] e come tale sottratta all’eccezione dell’art. 1933 c.c..
   6. A questo punto dell’indagine, forse può essere interessante rilevare come la stessa problematica che ha investito il contratto de quo, in un passato abbastanza recente, abbia interessato i c.d. contratti differenziali[32] e, tra questi, in particolare i contratti di swaps che, seguendo un recente orientamento della Cassazione, si possono definire come quei contratti con i quali le parti si scambiano, in una o più date prefissate, somme di denaro secondo determinati parametri, (in termini di tassi di interessi o di cambio) applicati ad uno stesso ammontare di riferimento[33].
In base alla definizione normativa che ne da il regolamento della Banca d’Italia del 2 luglio 1991, per swap si intende “il contratto derivato con il quale le parti si scambiano due flussi finanziari relativi ad attività o passività espresse rispettivamente in valute o tassi d’interessi diversi”e l’oggetto dello swap è ravvisato nel c.d. differenziale sui tassi d’interesse o sui tassi di cambio applicati al capitale di riferimento. L’obbligazione nel suo complesso riguarda l’obbligo delle parti di corrispondersi il risultato economico dello swap alle condizioni ed al tempo stabiliti.
Il meccanismo che questi contratti consentono di realizzare è quello di un riequilibrio degli opposti e speculari rischi corsi da due operatori economici distribuendo e neutralizzando, per entrambi, vantaggi e svantaggi. Per cui la cessione del risultato economico utile conseguito da uno dei contraenti sul corso dei tassi o dei cambi servirà, in sostanza, ad indennizzare l’altra della perdita subita[34]. Da ciò si ricava che, la struttura stessa di uno swap o si volge ad un fine speculativo o non è idonea ad esprimere alcuna peculiare funzione economica sociale, a meno che questa non venga espressamente indicata[35].
Qui è appena il caso di accennare al vasto dibattito intorno alla configurazione giuridica di questi nuovi strumenti contrattuali, incentrato anch’esso, soprattutto, intorno alle figure dell’assicurazione e del giuoco o scommessa[36].
Il problema della qualificazione del contratto di swap già si pose con l’entrata in vigore della legge n. 1 del 1991, allorché si dubitava che gli swaps rientrassero nella nozione di valore mobiliare, ma il problema fu risolto con il loro esplicito inserimento tra gli “strumenti finanziari” operato dall’art. 1, co. 2, D. L.vo n. 58 del 24.02.98, per cui oggi sono esplicitamente annoverati tra gli strumenti finanziari.
Tuttavia, già sotto la vigenza della legge n.1 del 1991, sia la dottrina[37] che la giurisprudenza[38], superato il dibattito circa la qualificazione giuridica degli swaps,avevano riconosciuto cittadinanza nel nostro ordinamento a questo nuovo tipo di contratti, ritenendo che gli stessi, aldilà dell’incertezza letterale e di interpretazione, fossero da ricomprendere nella norma di cui all’art. 1 della L. 2 gennaio 1991, n. 1, la quale, nel farne espressa previsione, ne riconosceva in ogni caso la liceità e la meritevolezza degli interessi tutelati.
Per un raffronto comparativo con la questione che qui interessa, se si guardano le conclusioni in merito alla causa del contratto di swap cui è pervenuta la dottrina e le si confrontano con la giurisprudenza[39], si vede come entrambe ritengano lo swap un negozio causale e come la dottrina[40], in particolare, sostenga l’esistenza di una causa (aleatoria piuttosto che commutativa) socialmente tipica, meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c..
   7. Alla luce delle riflessioni fin qui svolte, sembra di poter affermare che il contratto de quo, sia da definirsi atipico, in quanto non può annoverarsi, o almeno non del tutto, in alcun tipo contrattuale, pur presentando elementi di affinità con alcuni di essi[41].
Per una maggiore completezza, seppur nei limiti della presente trattazione ed in modo non esaustivo, a questo punto l’indagine non può non prendere in considerazione l’ipotesi che, nel caso presente, ci si trovi di fronte ad un contratto atipico con il quale le parti, combinando schemi legali diversi, perseguano lo scopo di raggiungere obiettivi ulteriori rispetto a quelli dei singoli tipi (c.d. contratto misto) oppure se in esso sia ravvisabile un collegamento di più negozi (c.d. collegamento negoziale)[42].
Premesso che il contratto misto è, di solito, definito come il risultato dell’unione di più contratti tipici, v’è, tuttavia, una notevole disparità di vedute circa la disciplina ad essi applicabile e che non si riconduce, nelle singole posizioni, alle tre teorie dell’assorbimento, della combinazione e dell’applicazione analogica, ma presenta molteplici implicazioni e sfaccettature[43].
Così alcuni distinguono tra le ipotesi in cui il contratto misto presenti, concretamente e con netta prevalenza, un tipo[44], ed allora sarà governato dalla disciplina di quest’ultimo – e non troverà quindi applicazione l’art. 1322 c.c. – e quelle per cui tale prevalenza non sia ravvisabile; ed in tal caso il quesito si proporrebbe perché verrebbe addirittura a sfumare la categoria del contratto misto, così che si dovrebbe più propriamente parlare di contratto atipico, disciplinato, in via analogica, dalla regola particolare dell’uno o dell’altro tipo, e non solo dalla disciplina generale del codice sostanziale.
Secondo altri, invece[45], di contratto misto si potrebbe parlare solo in presenza di elementi rientranti ciascuno in un negozio tipico, voluti per sé, nella loro funzione tipica e senza alcuna dipendenza o subordinazione l’uno dall’altro, reciprocamente combinati ed esso sarebbe da ricomprendere nella categoria dei contratti innominati, stante l’impossibilità di creare categorie intermedie tra questi ultimi ed i contratti tipici. Per questi troverebbero applicazione le disposizioni particolari di ciascun tipo, mentre nell’ipotesi di preponderanza di un tipo negoziale, non ci si troverebbe più di fronte ad un contratto misto, ma di un contratto tipico, con conseguente applicazione della disciplina propria di quest’ultimo. Sarebbe, in quest’ultimo caso, escluso il richiamo all’art. 1322 c.c.
Altri ancora[46], pur escludendo l’esistenza di un tertium genus tra contratti tipici e atipici, non prendono posizione in merito alla norma da applicare, lasciando che la scelta sia rimessa alle concrete esigenze che, di volta in volta, dovranno far propendere per il ricorso all’una o all’altra delle precedenti teorie. In tal caso l’applicazione del giudizio di meritevolezza dipenderà proprio dall’adozione, caso per caso, dell’una o dell’altra teoria.
Per mediare tra le opposte letture, si è preso spunto da una figura contrattuale tipica, nel suo eventuale contenuto misto, e si è svolta una più ampia indagine con il proposito di accertare l’esistenza di una categoria a sé dei contratti misti, ricollegabile ad una disciplina autonoma ed unitaria[47]. Si è, così, giunti ad affermare l’esistenza attuale della categoria, ma con un ambito molto ristretto, visto che essa finirebbe col comprendere soltanto le ipotesi di mistione bilaterale di prestazioni caratteristiche di tipi legali a schema così detto ampio, e cioè in cui il corrispettivo della prestazione non sia rigidamente predeterminato. Ne rimarrebbero, invece, escluse le ipotesi di mistione unilaterale e di mistione bilaterale in caso di mistione fra prestazioni caratteristiche di tipi a schema ristretto, o l’uno a schema ristretto e l’altro a schema ampio.
Tuttavia, questa teoria non sembrerebbe del tutto soddisfacente soprattutto laddove, come nel presente caso, l’attribuzione a carico di una sola parte delle prestazioni peculiari di diversi schemi, ferma restando a carico dell’altra l’adempimento di quella tipica e comune ad ognuno di essi, possa assumere rilevanza sul piano della disciplina concreta, determinando l’insufficienza sia della teoria dell’assorbimento che di quella dell’analogia[48].
E così, quando ci si trovi al cospetto di un contratto che presenti elementi di diversi schemi tipici ci si deve chiedere se le parti abbiano inteso semplicemente integrare quella parte derogabile dello schema contrattuale facendo ricorso ad elementi di altre fattispecie nominate, ed allora lo schema legale tipico dovrà essere sempre quello cosiddetto principale, e cioè solo parzialmente derogato o se, invece, con la nuova disciplina si siano poste delle regole incompatibili con il permanere del tipo negoziale. In questo caso delle due l’una: o si è dato vita ad un altro schema tipico, o si è realizzata una funzione atipica.
Il problema, nel primo caso, sarà quello d’origine, e cioè quello del giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322, cpv., c.c..
Sotto un diverso profilo il caso sottoposto all’attenzione del Giudice di legittimità, potrebbe, forse, considerarsi il risultato di un collegamento tra più negozi, finalizzati ad attuare una operazione economica unitaria, con un certo grado di interdipendenza dei rispettivi effetti, per cui, forse, si dovrebbe parlare di due distinti ed autonomi momenti contrattuali, collegati teleologicamente in un unico procedimento.
In tal caso, ciascun contratto, come negozio a sé stante, avrebbe una propria ragione giustificativa, una propria causa[49], alla luce della quale valutarne l’ammissibilità e la liceità, ciò proprio perché nei contratti collegati ogni singolo contratto conserva una distinta individuazione giuridica[50].
   8. Guardando alla fattispecie concreta, invece, non si può non rilevare l’esistenza di un’unica ragione giustificativa, un’unica causa, dell’ intera operazione decisa dalle parti che avrebbe indotto i contraenti a stipulare non due o più contratti tra di loro collegati, ma una operazione unitaria di cui entrambe le prestazioni costituiscono gli elementi necessari. Per tale motivo, si è indotti a ritenere che trattasi di una fattispecie contrattuale unitaria, piuttosto che di un insieme combinato di schemi legali diversi o il collegamento tra più negozi[51].
Si può pertanto concludere che il contratto in esame è un contratto atipico con una causa unitaria e autonoma che persegue interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.   
A tale riguardo si ritiene utile premettere come, ad avviso di chi scrive, una volta superato, come si è cercato tentativamente di fare, l’ostacolo costituito dall’applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 1933 c.c., si aderisca o meno a quelle che, come si è visto, sono le posizioni della Suprema Corte in ordine al criterio in base al quale eseguire il giudizio di meritevolezza, il risultato non cambia, nel senso che il contratto de quo, risulterebbe, in ogni caso meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c..
Infatti, pur non condividendo le argomentazioni della Cassazione in ordine alla coincidenza del giudizio di meritevolezza con quello di liceità e ritenendo, invece, di dover sottoporre il contratto de quo ad un vaglio più approfondito di quello operato dai giudici di merito, prima, e da quelli di legittimità, poi, tenendo conto di parametri più ampi di quelli offerti dall’art. 1343 c.c., non si può non riconoscere rilevanza e tutela giuridica al contratto di cui trattasi.
In primis, come per tutti i contratti, siano essi tipici o atipici, anche per il contratto de quo si pone un problema di controllo della causa, si tratta, in definitiva, di cercare quale sia la causa concreta, la quale deve essere sottoposta ad un duplice vaglio, essa, cioè, non deve violare i limiti generali imposti all’autonomia privata (art. 1343 c.c.) e dev’essere socialmente meritevole di tutela (art. 1322, cpv., c.c.)[52], rilevando subito come la causa non potrebbe essere meritevole di tutela qualora l’interesse perseguito non risultasse conforme alle esigenze della comunità rilevanti secondo i parametri costituzionali[53]
   L’ indagine, dunque, deve essere volta ad accertare se il rapporto, nel suo concreto atteggiarsi, sia sostanzialmente rispettoso di quei principi inderogabili posti a fondamento non dell’ uno o dell’ altro settore dell’ ordinamento, ma dell’ ordinamento stesso nella sua unità e globalità, quale risulta dai principi costituzionali[54].
   Sottoporre i contratti atipici al vaglio dei principi costituzionali comporta che si debba giungere a negare tutela giuridica a quegli accordi che, pur non perseguendo finalità illecite, siano in contrasto con le esigenze tutelate dalla Costituzione. Tali esigenze sono così assunte come criteri per stabilire, in concreto, la meritevolezza degli interessi espressi nel contratto.
Quanto più rispondano a questa primaria funzione, tanto più tali strumenti meriteranno riconoscimento e tutela da parte dell’ ordinamento.
 Quello che rileva, pertanto, è l’ intento delle parti di stipulare un contratto atipico che trova la propria giustificazione causale nell’alea assunta da entrambi i contraenti in cambio di un vantaggio economico, sia esso configurabile come un arricchimento patrimoniale oppure come una mancata perdita.
   Nel caso che qui interessa, si può giustificare la rilevanza giuridica del rapporto posto in essere ritenendo meritevole di tutela l’ esigenza, per entrambi i contraenti, di sottrarre il proprio patrimonio al rischio cui può dar luogo il mutamento dei cambi nei negozi con i paesi esteri; la conformità all’ art. 1322 cpv. c.c., inoltre, può essere ravvisata nella certezza che attraverso tali strumenti viene data allo svolgimento dei rapporti economici tra le parti, realizzando, allo stesso tempo, un efficace strumento di tutela patrimoniale per ambedue i contraenti.
L’esigenza della valutazione "in concreto" della causa quale elemento essenziale del negozio si risolve nella sintesi degli interessi dei contraenti, per cui, nel presente caso, accantonata (per i motivi suesposti) l’ipotesi che il contratto oggetto del giudizio di Cassazione possa considerarsi, nel suo insieme, senz’altro come contratto di assicurazione ed escluso che ad esso sia applicabile la disciplina dell’art. 1933 cc, seguendo un percorso alternativo a quello seguito dai giudici di legittimità si può giungere a riconoscere rilevanza e tutela al rapporto quale contratto aleatorio atipico, meritevole di tutela, oltre che lecito, che, al fine di evitare il rischio economico connesso all’oscillazione dei cambi, le parti hanno concluso tramite l’incrocio delle due prestazioni caratterizzanti il rapporto de quo, nel cui ambito si giustifica il pagamento del differenziale sui cambi e che si innesta sull’operazione assicurativa sottostante.


[1] L’operatore del diritto, nel procedere all’ identificazione del rapporto contrattuale, alla sua denominazione ed all’ individuazione della disciplina che lo regola, deve procedere alla valutazione "in concreto" della causa intesa quale elemento essenziale del negozio, tenendo presente che essa si prospetta come strumento di accertamento, per l’interprete, della generale conformità a legge dell’ attività negoziale posta effettivamente in essere, della quale va accertata la conformità ai parametri normativi dell’art. 1343 c.c. (causa illecita) e 1322, comma 2, c.c. (meritevolezza di tutela degli interessi dei soggetti contraenti secondo l’ordinamento giuridico), così, Cass. 19.02.2000, n. 1898, in Giust. Civ., 2001, I, 2481. In dottrina, v. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1998, 419 ss..
[2] Nel senso che il controllo sull’autonomia privata, invece, debba procedere tenendo distinte le nozioni di tipo (inteso come struttura negoziale) e di causa (intesa come specifico assetto di interessi variabili in ogni particolare operazione economica, ancorchè dello stesso tipo), v. COSTANZA, Contratti atipici. Validità, elasticità del tipo, disciplina applicabile, in Corr. Giur., 1992, p. 891 ss..
[3]Ancora BIANCA, op. cit., pp. 446-447. In dottrina non è pacifico che la qualificazione del contratto debba procedere in base alla causa ma si ritiene che la stessa finalità possa essere perseguita mediante schemi negoziali diversi v. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, p. 62 e COSTANZA, Il contratto atipico, Milano, 1981, p. 188, mentre l’individuazione dell’elemento qualificante nella causa non offrirebbe i criteri per la determinazione della funzione specifica per il singolo tipo (così DE NOVA, op. cit., p. 64). Si rileva, inoltre, che i criteri utilizzati dal legislatore per tipizzare i contratti sono discontinui ed eterogenei e che non solo la causa ma anche altri elementi possono, di volta in volta, risultare rilevanti al fine di distinguere una figura tipica da un’altra (cfr. SACCO, Il contratto, in Tratt. Vassalli, Torino, 1975, p. 820; DE NOVA, op. cit., p. 70; COSTANZA, op. loc. ult. cit.). A tali obiezioni si replica che l’interesse concretamente perseguito risulta normalmente diverso se sono diverse le posizioni giuridiche conferite, se poi la causa è la stessa può allora dubitarsi che gli schemi negoziali adoperati siano sostanzialmente diversi; inoltre, la ricerca di modelli negoziali tipici deve procedere attraverso un’interpretazione che tenga conto non solo della realtà dalla quale storicamente è scaturita la norma ma soprattutto dalla realtà sociale nella quale la norma acquista effettivo significato come regola operante della vita di relazione, questo raccordo con la realtà sociale consente di identificare il significato dell’operazione economica che caratterizza le varie figure negoziali ed il grado di rispondenza dei modelli originari con le nuove esigenze della pratica negoziale. Occorre accertare, attraverso l’interpretazione, quali concreti interessi le parti hanno inteso perseguire mediante la loro operazione. Infine, la rilevanza di altri elementi si spiega solo in quanto essa si riflette sulla funzione dell’operazione e cioè in quanto incide sulla causa, v. BIANCA, op. cit., p. 447 ss..
[4] Nel progetto originale del codice del 1942, l’ art. 1322 cpv., doveva fungere da limite all’ autonomia privata la quale non poteva travalicare i confini della legalità e della liceità. Secondo la tesi tradizionale, che trova il suo più autorevole esponente in BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1950, i privati non possono porre in essere dei contratti privi di una causa che sia rispondente all’ "utilità sociale"; il controllo di meritevolezza doveva fungere da strumento, come risulta dalla stessa Relazione ministeriale, per realizzare la funzionalizzazione dei rapporti privati in direzione degli interessi generali della società che, al tempo della redazione del codice civile, coincidevano con quell’ ideologia politica che si era tradotta nello stato corporativo. Successivamente tale tesi è stata rivisitata, seppure da una diversa angolazione e con finalità diverse, da parte di quella dottrina che, sulla scia della rivalutazione delle clausole generali in chiave ideologico-politica, ha proposto un’ interpretazione dell’ art. 1322 cpv. c.c. volta a sottolineare la funzionalizzazione degli affari privati alla realizzazione del principio di solidarietà economico-sociale. In tal senso il giudizio di meritevolezza si configura come uno strumento volto a subordinare l’ efficacia e la vincolatività dei contratti stipulati dai privati alla loro conformità con i più generali disegni dell’ economia nazionale. Cfr., in tal senso, BARCELLONA, Intervento sociale e autonomia privata nella disciplina dei rapporti giuridico-economici, Milano, 1969, p. 228 ss.; LUCARELLI, Solidarietà e autonomia privata, Napoli, 1970, p. 170 ss.; NUZZO, Utilità sociale e autonomia privata, Milano, 1975, p. 97 ss..
[5] Nel senso che l’ art. 1322, cpv., c.c., non possa essere ricompreso nel giudizio di liceità, stante la diversa funzione del giudizio di meritevolezza, volto alla valutazione dell’ idoneità dello strumento "atipico" ad assurgere a modello giuridico di regolamento degli interessi, rispetto a quello di liceità, volto a salvaguardare l’ ordinamento giuridico dalla presenza di quegli accordi i cui contenuti siano in contrasto con i propri canoni regolamentari, cfr. GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. Dir. civ., 1979, I, p. 62. Tale A., precisando la distinzione tra i concetti di causa e tipo, ha concluso per l’ applicazione del giudizio di meritevolezza al tipo, cioè allo schema negoziale astrattamente considerato, del quale si deve indagare l’ idoneità ad assurgere a modello giuridico di regolamentazione del rapporto. Tale indagine implica, del resto, l’ analisi dell’ intento delle parti e della serietà del loro impegno, prescindendo da qualsiasi riferimento normativo, in tal modo distinguendo giudizio di meritevolezza, intesa, quest’ ultima, come "giuridicizzabilità" in astratto dello schema, e controllo di liceità, intesa, a sua volta, come "giuridicizzazione" in concreto del rapporto (p. 99). Sulla scia di quest’ ultima ricostruzione della funzione dell’ art. 1322, cpv., c. c., inteso come strumento volto a vagliare l’ attitudine dello schema negoziale atipico ad avere rilevanza giuridica, si prospetta un definitivo distacco del giudizio di meritevolezza dai criteri indicati nell’ art. 1343 c. c., ed una sua utilizzazione per la valutazione di conformità con i principi fondamentali dell’ ordinamento e con i principi costituzionali, delle forme contrattuali atipiche, cfr. COSTANZA, Il contratto atipico, cit., 1981, p. 32 ss. e, più di recente, ID., Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, cit., p. 430. Quella parte della dottrina che configura il controllo di meritevolezza come un giudizio autonomo rispetto a quello di legittimità ha indicato, quali criteri su cui fondare la meritevolezza degli interessi perseguiti, la serietà dell’ intento e cioè l’ effettiva volontà delle parti di giuridicizzare il rapporto, così GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, cit., p. 52 ss..
[6] Tra i fautori della teoria della funzionalizzazione dei rapporti privati c’ è chi idendificando il giudizio di meritevolezza con l’ assenza di contrarietà della causa ai principi dell’ ordine pubblico, finisce per negare autonoma operatività all’ art. 1322 cpv. c.c., facendolo coincidere, come d’altronde fa la Cassazione nella presente pronuncia, con le norme relative al controllo di liceità, di cui agli artt. 1343 e 1418 c.c.. Cfr., in tal senso, PALERMO, Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970, p. 175 ss.; DI MAJO, Il controllo giudiziale sulle condizioni generali di contratto, in Riv. dir. comm., 1970, 1, p. 211 ss.; G. B. FERRI, Meritevolezza degli interessi e utilità sociale, in Riv. dir. comm., 1971, II, p. 88; R. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1969, p. 261 ss.; ID. , Contratti in generale, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Libro quarto, Delle obbligazioni (art. 1321-1352), Bologna-Roma, 1970, sub art. 1322, p. 43 . Non è mancato chi, portando alle estreme conseguenze la coincidenza tra giudizio di meritevolezza e giudizio di liceità, ha ravvisato nell’ art. 1322 cpv. c. c. una norma discriminatoria, in contrasto con l’ art. 3 Cost., ove ad essa si assegnasse un ruolo diverso da quello svolto dall’ art. 1343 c. c., concludendo per la disapplicazione della norma stessa. Cfr. STOLFI, Teoria generale del negozio giuridico, Padova, 1960, p. 203.
[7] Una soluzione originale è stata poi proposta da chi ha individuato nell’ art. 1322 cpv. c. c. una funzione di filtro fra promesse futili o capricciose, non sorrette da alcun adeguato interesse, e promesse fornite di idonea causa giustificatrice cfr. in tal senso GORLA, Il contratto, Milano, 1953, 1, p. 227.
[8] Cfr. PALERMO, op. loc. ult. cit.; DI MAJO, op. loc. ult. cit..
[9] Nel senso che la meritevolezza debba identificarsi con la liceità, v. SACCO, Il Contratto, cit., p. 571, il quale sostiene che la regola dell’art. 1322, cpv., c.c. è una superfetazione inutile.
[10] Inquadra i problemi di meritevolezza e di utilità sociale nel più ampio discorso del rispetto dell’ ordine pubblico STOLFI, op. loc. ult. cit.. V., anche, G.B. FERRI, Meritevolezza dell’ interesse, cit., p. 88., non sembra configurabile una contrarietà di tali contratti ai principi fondamentali del nostro ordinamento.
[11] Per i riferimenti bibliografici, tra gli altri, si veda NICOLO’, voce “Alea”, in Enc. Dir., Milano, 1958, I, p. 1024 ss.; BOSELLI, voce “Alea”, in Noviss. Dig. It., Milano, 1958, p. 468; LIPARI, Alea e rischio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, p. 830; SCALFI, Corrispettività ed alea nel contratto, Milano 1960; ID., Alea, in Digesto civ., vol. I, Torino, 1987, p. 253; DI GIANDOMENICO, Il contratto e l’alea, Padova, 1987; GABRIELLI, Alea e rischio nel contratto, Napoli, 1997; BALESTRA., Il contratto aleatorio e l’alea normale, Padova, 2000.
[12] Per un’indagine,anche, storica dei contratti aleatori è interessante quanto riportato da SCALFI, in Alea, in Digesto civ., cit,, dove si può leggere come la parola alea derivi dalla latina alea, che significa giuoco, con particolare riferimento al gioco dei dadi (l’aleatorium indicava la stanza nella quale si giocava ai dadi). Dato l’imprescindibile carattere di incertezza di quest’ultimo, si è da sempre utilizzato il termine alea per indicare genericamente che una situazione possa svolgersi in favore o in sfavore di una persona, oppure ad un tempo in favore di una e a sfavore dell’altra e viceversa. Sulla base di questo concetto, il Code Napoléon elaborò la distinzione, già introdotta da Domat (Les loix civiles dans leur ordre naturel, I, Paris, 1777, livre I, tit. I, Sez. I, n. 4) e Pothier (Ouvres, Traité des obligations, n. 13, Bruxelles, 1829), tra contratti commutativi e contratti aleatori. L’art. 1964 del Code Napoléon stabiliva «Le contrat aléatoire est une convention réciproque dans les effets, quant aux avantages et aux pertes, soit pour l’une o pleusieurs d’entre elles, dépendent d’un evenement incertain». La distinzione è stata successivamente adottata, all’art. 1101, anche dal legislatore italiano del 1865. Nel linguaggio comune, si confonde spesso l’alea con il rischio; i due concetti tuttavia si differenziano, nel senso che, mentre il primo sta ad indicare uno stato dove c’è da sperare e da temere insieme, ossia la probabilità di ottenere una situazione di vantaggio con una pari probabilità di subire una perdita, il secondo esprime l’aspetto prettamente negativo di questa incertezza, in quanto sta ad indicare, in senso proprio, il «pericolo di un male» (Tommaseo, Dizionario dei sinonimi della lingua italiana, Milano, 1945, 3021 e segg.).
[13] Il contratto è aleatorio se il rischio incide immediatamente e direttamente sull’oggetto stesso del contratto, per cui si ritiene che la prestazione dedotta in contratto può determinarsi solo in funzione del rischio: oggetto del contratto, in realtà, è proprio il rischio.
[14] Servizi Assicurativi del Credito Estero, istituita con il D.L. 30.09.03, n. 269, conv. con L. 24.11.03, n. 326, in suppl. ord. n. 181 a G.U. 25.11.03, n. 274.
[15] Si veda, in proposito, il D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 143. Disposizioni in materia di commercio con l’estero, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), e dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59, in G.U. del 13.05.98, n. 109. 
[16] Tale evento può essere configurato tanto come danno emergente quanto come lucro cessante, inteso anche soltanto come profitto sperato. Son esclusi da tale nozione tutti quegli eventi, di per sé indifferenti, per i quali l’alea sia creata artificialmente per fini non assicurativi ma ludici.
[17] In merito al contratto di assicurazione, ex multis, GAMBINO, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964; SCALFI, Assicurazione (contratto di), in Digesto comm., vol. I, Torino, 1987, 333; ID., L’assicurazione tra rischio e finanza, Milano, 1992; LA TORRE, Echi dell’antico dibattito sul contratto di assicurazione, in Assicuraz., 1995, I, 491; STEIDL, Il contratto di assicurazione, II ed., Milano, 1990; GAMBINO, Contratto di assicurazione: profili generali, in Encicl. giur., vol. III, Roma, 1988; FANELLI, Le assicurazioni, in Tratt. Dir. civ. comm,. diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1973, p. 33; DE GREGORIOe FANELLI, Diritto delle assicurazioni – vol. II: Il contratto di assicurazione – Testo riveduto, integrato e annotato da La Torre, Milano, 1987; VOLPE PUTZOLU, L’assicurazione, in Tratt. Dir. civ., diretto da Rescigno, Torino, 1985, p. 55.
[18] Per un approfondimento di tale aspetto si rimanda a SCALFI, Assicurazione (contratto di), cit., p. 336.
[19] Così, SALANDRA, Dell’assicurazione, in Commentario al Codice Civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1969, p. 185, ss.
[20] In tal senso, SOTGIU, La prestazione dell’assicuratore, in Assicurazioni, 1959, I, p. 379 ss.
[21] Per una trattazione più approfondita si rinvia a FERRI, L’impresa nella struttura del contratto di assicurazione, in Studi sulle assicurazioni raccolti in occasione del cinquantennio dell’INA, Roma, 1963, p. 114; ss. GAMBINO, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, cit., p. 377 ss..
[22] Vedi, FUNAIOLI, Il gioco e la scommessa, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, Torino, 1950; BUTTARO, Gioco, scommessa, in Comm. Cod. civ., a cura di ScialoJa e Branca, Bologna-Roma, 1970; VALSECCHI, voce Giuochi e scommesse, (dir. civ.), in Enc. Dir., XIX, Milano, 1970, p. 55 ss.; ID., Il giuoco e la scommessa, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1986; MOSCATI, Gioco e scommessa, in Digesto civ., Torino, 1993, vol. IX, 11; PARADISO, I contratti di gioco e scommessa, Milano, 2003;
[23] Per un approfondimento della problematica, v. PARADISO, op. cit., p. 44 ss. ed ivi i riferimenti alla dottrina prevalente.
[24] Cfr., in tal senso, PARADISO, op. cit., p. 47.
[25] Così PARADISO, op. cit., p. 49.
[26] Questa, in estrema sintesi, la conclusione cui giunge la dottrina più recente, per tutti, v. PARADISO, op.cit., p. 53;
[27] Nega in nodo assoluto che possa esserci compatibilità tra le due cause, VALSECCHI, Giuoco e scommessa, cit, p. 16 ss..
[28] E’ da sottolineare come la causa lucrandi della scommessa vada intesa non quale conseguimento di un lucro che si realizzerà per uno solo dei contraenti o potrrebbe anche non realizzarsi per alcuno, quanto come acquisizione di una occasione favorevole, di una opportunità di guadagno, così BIANCA, Diritto civile, vol. IV: L‘obbligazione, Milano, 1990, p. 796.
[29] In tal senso, BUTTARO, op. cit., p. 20 ss..
[30] Cfr., in tal senso, C. Appello Milano, sez. I, 26 gennaio 1999, in I Contratti, n. 3/2000, p. 255 ss.. La Corte d’Appello, in particolare, rileva come dalla normativa del codice civile in tema di gioco e scommessa (artt. 1933-1935) emerga una piena tutela giuridica anche di fattispecie contrattuali qualificabili quali scommesse quando queste realizzano anche interessi ritenuti dall’ordinamento meritevoli di tutela, come, ad esempio, in ambito di competizioni sportive (art. 1934 c.c.), oppure in tema di lotterie autorizzate (art. 1935 c.c.) nonché in materia di contratti di borsa (ex art. 5 r.d.l. 14 maggio 1925, n. 601) oppure, più di recente, in tema di contratti uniformi a termine su strumenti finanziari (ex art. 23, 4° co., l. 2 gennaio, 1991, n. 1): in tali casi ci si troverebbe in presenza di una c.d. “gestione controllata dei rischi” (così FERRARIO, Commento a C. Appello Milano, sez. I, 26 gennaio 1999, ibidem, p. 264. A tali esempi si dovrebbe aggiungere, ad avviso di chi scrive, anche la previsione di cui all’art. 18, 4° co., d.lg. n. 415/1996 che esclude espressamente l’applicazione dell’art. 1933 c.c. ai contratti derivati a condizione che essi si pongano “nell’ambito di un servizio di investimento”.
[31] Si è rilevato come sia decisiva per la piena tutelabilità la qualità degli interessi perseguiti, tant’è che i contratti di borsa e le scommesse sportive ricevono tutela pur in presenza del riferimento a un rischio del tutto artificiale, che non grava sulle parti prima o fuori dal contratto, così PARADISO, op. cit., p. 78.
[32] E’qui appena il caso di riferire, per brevi cenni, come nell’ordinamento giuridico tedesco il Differenzeschaft sia espressamente disciplinato e come la dottrina tedesca applichi ai contratti differenziali previsti dal BGB al § 764, la disciplina della scommessa. Per i riferimenti all’ordinamento tedesco ed alla dottrina, si rimanda a GHISELLI, Profili civilistici e fiscali degli strumenti finanziari derivati (options, futures, swaps,caps, floors, collars), in Boll. Trib., 1997, n. 17, p. 1254; INZITARI, Swap (contratto di), in Contratto e impresa, 1988, pp. 597 ss..
[33] Cfr., Cass. 15.03.2001, n. 3753, in Foro it., 861. In dottrina, per la definizione di swap, v. tra gli altri, DE JULIS, Lo swap d’interessi o di divise nell’ordinamento italiano, in Banca,borsa e tit. credito, 2004, p. 392; CAPUTO NASSETTI, Profili civilistici dei contratti finanziari “derivati”, Milano, 1997, p. 37; GHISELLI, Profili civilistici e fiscali degli strumenti finanziari derivati (options, futures, swaps,caps, floors, collars), cit., pp. 1256-57; SQUILLACE, La l. 2 gennaio 1991 n. 1 e i contratti di “swap”, in Giur. comm., 1996, II, p. 85; CAVALLO BORGIA, Nuove operazioni dirette alla eliminazione del rischio di cambio, in Contratto e impresa, 1988, p. 400 ss.; INZITARI, Swap (contratto di), cit., pp. 598 ss..
[34] INZITARI, op. cit., p. 602.
[35] Così DE JULIS, op. loc. cit..
[36] La tutela giuridica di tali contratti è certamente ravvisabile nell’art. 23, 4° co., della L. n.1 del 1991, laddove si legge che “Ai contratti indicati nel comma 1 non si applica l’art. 1933 del codice civile”. Tale previsione non deve sembrare casuale, infatti essa testimonia come il legislatore si sia posto il problema dell’assimilabilità di questi nuovi strumenti finanziari alla fattispecie tipica della scommessa e che l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1933 c.c. sia testimone della scelta di inserire tali contratti tra le scommesse lecite e tutelate dall’ordinamento.
[37] PREITE, Recenti sviluppi in tema di contratti differenziali semplici (in particolare caps, floors, swaps, index futures), in Dir. comm. internaz., 1992, p. 173 ss; PERRONE, Contratti di swap con finalità speculative ed eccezione di gioco, in Banca, borsa e tit. credito, 1995, II, p. 87.
[38] Trib. Milano, 11 maggio 1995, in Banca, borsa e tit. credito, 1996, II, p. 442.
[39] Per quanto riguarda la giurisprudenza, dopo aver qualificato il contratto in vario modo, in qualche pronuncia non esitò a qualificarlo anche come scommessa (Trib. Milano, 24.11.1993, ord., in. Giur. comm., 1994, II, p. 455), tuttavia, tale pronuncia fu smentita dallo stesso Tribunale (Trib. Milano, 20.02.1997, in Banca, borsa e tit.credito, 2000, II, p. 90-91) nonché dalla Corte d’Appello (App. Milano, 26.01.1999, cit., p. 257, ), che, condividendo espressamente la tesi prevalente in dottrina, dichiarò come si possa parlare di carattere meramente speculativo del contratto, paragonabile al giuoco o alla scommessa solo laddove simile carattere rappresenti l’unico scopo comune cui le parti tendono con la conclusione del contratto, mentre, laddove l’impegno a termine delle valute rientra nell’oggetto dell’attività al quale sono abilitati gli operatori finanziari, le operazioni di swap rientrano nell’attività specifica tutelata dall’ordinamento.
[40] V. ROPPOIl contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2001, p. 443; INZITARI, op. cit., p. 2461; AGOSTINELLI, Le operazioni di swap e la struttura contrattuale sottostante, in Banca, borsa e tit. credito, 1997, I, p.123; PERRONE, op.cit., p.38
[41] Si richiama, a tal proposito, la posizione di quella parte della dottrina che mette in guardia contro la frequente, “pericolosa” tendenza volta a ricondurre nell’ambito dei contratti tipici le nuove figure emergnti nel mondo degli afari, v. BIANCA, Diritto civile, 3, cit., p. 452, secondo il quale il pericolo consiste nel “forzare le singole esperienze contrattuali entro gli schemi conosciuti, anche quando si tratta di schemi scarsamente appropriati”, o, ancora, il pericolo di “voler ridurre la realtà dei nuovi tipi sociali alla somma o alla combinazione di figure tipiche riflettenti altri interessi pratici della vita di relazione. La possibilità di ricondurre singoli elementi del contratto a tipiche operazioni negoziali non vale in effetti a cogliere la funzione unitaria ed autonoma della prestazione”.
[42] Per una distinzione tra contratto misto e contratto collegato resta di fondamentale importanza lo studio di GIORGIANNI, Negozi giuridici collegati, in Riv. It. Sc. Giur., 1937, p. 275 ss..
[43] ROPPO, Contratto, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, Torino 1989, p. 120.
[44] CORBO, Tipicità, contratto misto e giurisprudenza: qualche breve riflessione (Nota a T. Monza, 12 novembre 1985), in Giur. di Merito, 1987, p.75.
[45] CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico, nel diritto privato italiano, Napoli 1948 (rist. 1956), 217.
[46] SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, cit., p. 133.
[47] CATAUDELLA, La donazione mista, Milano 1970, p. 39.
[48] Si è, infatti, sostenuto che, non essendo la sussunzione che un momento dell’interpretazione con cui ricercare la disciplina da applicare ad un determinato negozio, e poiché la singola disciplina concorre a determinare la funzione della fattispecie, non è possibile una contemporanea sussunzione in differenti fattispecie astratte perché quella concreta non può essere riconosciuta che da un’unica funzione qualificante. Così, BISCONTINI, Onerosità, corrispettività, e qualificazione dei contratti. Il problema della donazione mista, Napoli 1984, 128.
[49] In realtà, pur potendosi configurare, in astratto, la causa di ciascuno dei due contratti collegati, va da sé che questa causa comprende anche l’esistenza e l’operatività dell’altro contratto, proprio perché ciascun contratto si giustifica anche attraverso l’altro.
[50]“Le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono dar vita a distinti e diversi contratti, contestuali o non contestuali, i quali, pur caratterizzandosi ciascuno in funzione della propria causa, conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale e rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, vengono concepiti e voluti funzionalmente e teleologicamente collegati fra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, sì che le vicende dell’uno debbono ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità o l’efficacia; l’anzidetto collegamento può peraltro assumere carattere unilaterale, nel senso che la dipendenza logica e giuridica è limitata per volontà ad uno solo dei contratti, destinato quindi a subire l’influenza dell’altro”, così Cass. 6 settembre 1991 n. 9388, in Mass. Giur. It., 1991. Ed ancora: “Il collegamento contrattuale, che può risultare tipizzato legislativamente, come nel caso della sub locazione, o può essere espressione dell’autonomia negoziale, è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, ciascuno dei quali, pur conservando una causa autonoma, è finalizzato ad un unico regolamento di interessi, sicché le vicende che investono uno dei contratti, quali quelle relative all’invalidità, l’inefficacia o la risoluzione, possono ripercuotersi sull’altro. Pertanto il criterio distintivo fra contratto unico e contratto collegato non è dato da elementi formali quali l’unità o la pluralità di documenti contrattuali (ben potendo un contratto essere unico anche se ricavabile da più testi e, per converso, un unico testo riunire più contratti) e la mera contestualità delle stipulazioni, ma dall’elemento sostanziale consistente nell’unicità e pluralità degli interessi perseguiti”, così Cass. 27 aprile 1995 n. 4645, in Giust. civ., 1996, I, 1093, con nota di Chiné. E più recentemente: «Le parti, nella loro autonomia negoziale, possono effettuare collegamenti fra contratti diversi, in modo da perseguire un risultato economico unitario e complesso attraverso il coordinamento dei vari negozi, ciascuno dei quali, pur conservando una causa autonoma, è finalizzato ad un unico regolamento di interessi. E tuttavia, in ipotesi siffatte, se pure il collegamento dei contratti delineato dalle parti può determinare un vincolo di reciproca dipendenza tra di essi, così che le vicende relative all’invalidità, all’inefficacia o alla risoluzione dell’uno possono ripercuotersi sugli altri, detto collegamento non esclude che i singoli contratti si caratterizzino ciascuno in funzione di una propria causa e conservino una distinata individualità giuridica», v. Cass. 25 agosto 1998 n. 8410, in Contratti, 1999, 336, nota di GRISSINI.
[51] Il collegamento negoziale presuppone la pluralità dei contratti, dovendosi altrimenti parlare di contratto complesso. La differenza tra contratto collegato e contratto complesso procede con riferimento alla causa; in entrambi i contratti si ha una pluralità di prestazioni, ma nel contratto complesso esse sono riconducibili ad un solo rapporto, caratterizzato da un’unica causa. Nel collegamento negoziale, invece, si hanno autonome prestazioni, ognuna inquadrabile in distinti schemi causali. Cfr., in tal senso, BIANCA, Il contratto, cit., p. 456 ss. ed ivi la bibliografia e la giurisprudenza richiamata, anche con riferimento ai contratti misti ed al negozio indiretto.
[52] Così BIANCA, Il contratto, cit., p.432.
 
[54] Cfr. in tal senso LUCARELLI, op. cit., p. 171 ss.; in particolare, per il richiamo ai principi costituzionali, v. NUZZO, op. cit., p. 98 ss., per il quale: "L’ interesse sociale emergente nell’ ordine costituzionale….può reagire sulla causa in concreto dell’ atto determinandone l’ illiceità, in quanto l’ interesse con questo perseguito sia con esso contrastante". Sulla scia di tale Autore, la clausola di meritevolezza dell’ interesse viene identificata con la conformità alle esigenze della comunità rilevanti secondo i parametri costituzionali da BIANCA,op.cit., p. 431 ss.. Ai principi costituzionali quale contenuto della regola di meritevolezza si rifà anche LISERRE, Autonomia negoziale e obbligazione di mantenimento del coniuge separato, in Riv. trim. dir. proc. civ.,1975, p. 489 ss..  

De Franco Rossella

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