Gestione individuale portafogli: presunzione nesso causale

Allegati

di Giovanni Cedrini, Luca Zamagni ed Andrea Gattei – Axiis Network Legale
Con l’Ordinanza pubblicata in data 21/09/2023, la Suprema Corte di Cassazione ha cassato parzialmente la sentenza della Corte d’Appello di Bologna impugnata dagli investitori.
Il caso merita di essere analizzato con particolare riferimento alle peculiarità del contratto di gestione individuale di portafogli ed alla presunzione legale di sussistenza del nesso causale, in presenza dell’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, alla luce del disposto dell’art. 23 D.Lgs. n. 58/1998 (TUF).

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Corte di Cassazione -sez. I civ.- ordinanza n. 3186 del 21-09-2023

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Indice

1. La vicenda processuale su contratto di gestione patrimoniale: il primo grado di giudizio e la sentenza del Tribunale di Rimini


Gli investitori convenivano in giudizio un istituto di credito per sentir dichiarare la nullità del contratto di gestione patrimoniale, da loro stipulato nell’anno 2000, per la violazione dell’art. 30 TUF ovvero la declaratoria di responsabilità.
A sostegno della domanda, riferivano di non aver ricevuto un’adeguata informazione/comunicazione in ordine:

  • alla possibilità di recedere, trattandosi di contratto sottoscritto fuori sede;
  • alle caratteristiche ed ai rischi economici della gestione;
  • alla modifica unilaterale della linea di gestione operata dalla Banca;
  • alle perdite subìte.

Il Tribunale di Rimini dichiarava la nullità dei contratti gestori per violazione dell’art. 30 TUF, ritenendo che l’avviso riportato nel testo contrattuale relativo allo jus poenitendi non consentisse all’investitore di ricevere una informativa preventiva, chiara e trasparente ed evidenziando, altresì, come l’avviso non fosse neppure visibilmente distinto dalle altre clausole contrattuali. Di conseguenza, non poteva ritenersi soddisfatto il disposto dell’art. 30 TUF che presuppone la garanzia di effettiva conoscenza in capo all’investitore della facoltà di recedere anche alla luce del breve spatium deliberandi concesso dalla norma precitata.

2. (segue): il secondo grado di giudizio e la riforma della sentenza di primo grado da parte della Corte di Appello di Bologna


La sentenza del Tribunale di Rimini veniva appellata dall’intermediario finanziario avanti alla Corte di Appello di Bologna, la quale accoglieva il gravame stabilendo come non fosse occorsa alcuna violazione dell’articolo 30 TUF, dato che la precitata disposizione non prevede alcun obbligo di evidenziazione grafica della clausola di recesso o di particolare redazione dell’informativa sul recesso. La Corte d’Appello escludeva, inoltre, la necessità di una specifica approvazione per iscritto, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., della predetta clausola, dal momento che la facoltà di recesso (nel caso di specie) era prevista a favore del contraente debole.
Accolto il gravame principale, la Corte di Appello passava all’esame delle diverse domande e difese svolte in primo grado, così come riproposte dagli appellati e, per quanto di interesse ai fini del presente contributo, riferiva la mancata prova, di cui sarebbe onerato il cliente, del nesso causale tra l’inadempimento della Banca (accertato) e le perdite subite.

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3. (segue): L’Ordinanza n. 27015/2023della Prima Sezione della Corte di Cassazione


La Suprema Corte ha rigettato i motivi attinenti alla ritenuta violazione dell’art. 30 TUF, ribadendo i principi fissati recentemente in un caso analogo con l’Ordinanza n. 24839/2023.
I ricorrenti lamentavano altresì (con tre autonomi motivi di impugnazione) la violazione e la falsa applicazione da parte del Giudice di secondo grado [1] [2] [3]:

  • dell’art. 115 c.p.c., per non aver tenuto conto della circostanza che la Banca avesse omesso di dare comunicazione dell’intervenuta modificazione unilaterale della strategia di gestione;
  • dell’art. 112 c.p.c., per aver omesso di valutare la modificazione unilaterale della strategia di gestione;
  • degli artt. 116 c.p.c., 2, 21, 28, 37, 38, 41, 42, 43 Regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998 e 7 del contratto di gestione, ribadendo che il mutamento della strategia di gestione comportava la modificazione dei parametri fissati dal contratto, in contrasto con le clausole che vietavano alla Banca di variare la linea di gestione e le imponevano di avvisarli preventivamente.

Seppur dichiarati inammissibili in quanto non attinenti alla ratio decidendi della sentenza impugnata, i tre motivi (esaminati congiuntamente) hanno permesso alla Suprema Corte di ribadire alcuni principi concernenti i contratti di gestione individuale di portafogli confermando, in particolare, la correttezza della decisione di secondo grado laddove aveva ritenuto fondati gli inadempimenti contestati dagli investitori alla Banca.
La Corte ha sottolineato ancora una volta che l’obbligo di attenersi alle caratteristiche della gestione, come definita contrattualmente con il cliente (imposto dall’art. 24 TUF all’intermediario), costituisce un argine insuperabile alla discrezionalità attribuita dall’ordinamento alla banca nell’esecuzione di un rapporto di gestione individuale di portafogli.
Così si è pronunciata la Suprema Corte: “costituisce violazione degli obblighi previsti dall’art. 24 del d.lgs. n. 58 del 1998 per il servizio di gestione di portafogli, i quali comprendono, tra l’altro, quello di attenersi alle caratteristiche della gestione pattuita con il cliente ed alle istruzioni da lui impartite circa le operazioni da compiere, si da potersi escludere che, in difetto di un’espressa manifestazione di volontà, lo stesso cliente possa pretendere dall’intermediario una modificazione unilaterale della precedente strategia di investimento (cfr. Cass. Sez. I, 24/05/2012 n. 8237).
La Cassazione, entrando nello specifico della questione, ha ribadito come gli elementi che definiscono le caratteristiche della linea di gestione individuale di portafogli (quali il benchmark[4], il grado di rischio, le operazioni che l’intermediario può compiere senza autorizzazione preventiva, il ricorso alla leva finanziaria, le modalità di utilizzazione degli strumenti derivati) costituiscanoil parametro fondamentale cui l’intermediario deve attenersi nell’esecuzione del rapporto nonché un termine di raffronto indispensabile ai fini della valutazione della diligenza del suo comportamento [ ]” in considerazione degli obblighi di correttezza gravanti sul gestore (cfr. Cass. Sez. I 27/10/2020, n. 23568; 15/05/2020, n. 9024; 21/04/2016 n. 8089)”.
La Corte evidenzia altresì come sia meritevole di vaglio ai fini della declaratoria di responsabilità, sempre alla luce degli obblighi di correttezza gravanti sul gestore, la condotta della Banca che, a mente della strategia pattuita con il cliente, mantenga “nel portafoglio determinati titoli precedentemente acquistati” nonostante mutamenti “sopravvenuti dello scenario di mercato”.
La rilevanza attribuita dalla normativa finanziaria alla linea di gestione pattuita viene ribadita dalla Suprema Corte valorizzando la duplice finalità, ovvero “in funzione del contenimento dei rischi che l’intermediario è autorizzato ad assumere”, nell’ambito comunque di scelte che devono essere prudenziali, ed in funzione del raggiungimento degli obiettivi prefissati con il cliente.
A conclusione della ricostruzione operata, la Suprema Corte afferma come gli obblighi informativi gravanti sul gestore in caso di perdite ex art. 28 Reg. Consob 11522/1998 rafforzino ulteriormente l’argine alla discrezionalità attribuita all’intermediario costituito dalle specifiche caratteristiche della gestione pattuite con il cliente.
In particolare, la Corte ha precisato quanto segue: “Del resto,  è proprio la rilevanza decisiva che, nell’ambito del contratto in esame, riveste l’indicazione delle caratteristiche, ai fini dell’individuazione degli obblighi di comportamento gravanti sull’intermediario, a giustificare la previsione dell’obbligo, posto a carico dell’intermediario dall’art. 28 del regolamento Consob, d’informare prontamente l’investitore, nel caso in cui il patrimonio affidatogli abbia subìto una riduzione per effetto di perdite superiori ad una determinata percentuale del suo controvalore, e ciò essenzialmente al fine di consentirgli di determinarsi liberamente e consapevolmente in ordine all’eventuale esercizio della facoltà di recesso, oppure di concordare con lui eventuali modificazioni della strategia d’investimento, che l’intermediario non è autorizzato a variare di propria iniziativa ed all’insaputa del cliente”.

4. La decisione della Corte di Cassazione


La Suprema Corte ha ritenuto parzialmente fondato l’ulteriore motivo di ricorso con cui gli investitori denunciavano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 23, comma VI, e 24, comma 1, TUF, dell’art. 1711 c.c. nonché degli artt. 37, 38, 41, 42, e 43, del regolamento Consob n. 11522 del 1998 e, infine, dell’art. 7[5] del contratto di gestione.
In particolare, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la sentenza impugnata laddove aveva escluso che la mera modificazione della strategia d’investimento fosse riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 1711 c.c.; invero, tale fattispecie presuppone che il mandatario “abbia perseguito uno scopo diverso da quello prefissatosi dal mandante, e con esso incompatibile” che non è ravvisabile nel caso di specie.
La Suprema Corte ha, invece, accolto il motivo laddove era stata stigmatizzata la violazione e la falsa applicazione di legge in tema di nesso causale alla luce del disposto dell’art. 23 TUF.
In particolare, la Corte di legittimità ha ritenuto erronea la decisione di secondo grado che, dopo aver accertato l’inadempimento posto in essere dalla Banca, ha escluso la sussistenza del nesso causale in virtù della circostanza riferita nella CTU espletata, secondo la quale non era possibile stabilire “se le perdite fatte registrare dalla gestione patrimoniale fossero riconducibili alle scelte di investimento concretamente compiute dalla Banca”.
L’Ordinanza in commento ricorda, invero, che “L’art. 23, comma sesto, del d.lgs. n. 58 del 1998, disponendo che «nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta», ha infatti introdotto una presunzione legale di sussistenza del nesso causale, ricollegabile all’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, per effetto della quale l’intervenuto accertamento dell’inosservanza dei predetti obblighi dispensa l’investitore dalla prova della riconducibilità del danno subìto al comportamento dell’intermediario, ponendo a carico di quest’ultimo l’onere di dimostrare di non aver potuto evitare il danno, nonostante l’uso della specifica diligenza richiesta” (cfr. Cass., Sez. I, 11/11/2021, n. 33596; 28/07/2020, n. 16126; 17/04/2020, n. 7905)[6].

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Note

  1. [1]

    In dottrina, con riferimento alle disposizioni del Regolamento Consob ritenute violate dagli investitori, si è rilevato come: “Poiché vi è un diretto rapporto fra la discrezionalità rimessa all’intermediario e i rischi che questi ponga in essere comportamenti negligenti od opportunistici, avvalendosi dell’asimmetria informativa che caratterizza il rapporto, il servizio di gestione è regolato da norme più articolate e stringenti di quelle previste per gli altri servizi finanziari. In particolare, nel contratto di gestione devono essere indicati: le categorie di strumenti finanziari e eventualmente entro quali limiti possono entrare a far parte del portafoglio di investimento; il genere di operazioni consentite con riguardo agli strumenti finanziari di volta in volta acquisiti, con indicazione di quante non si possono compiere senza una preventiva autorizzazione del cliente; la misura massima della leva finanziaria che l’intermediario è autorizzato ad impiegare; un oggettivo parametro di riferimento (benchmark) coerente con i rischi connessi alla gestione, il quale consente di valutare gli andamenti e risultati della stessa. [ ] Le disposizioni che presiedono all’attività finanziaria, tra cui, in particolare, gli artt. 21, 23 e 26 T.U.F. e gli artt. 42 e 43, Reg. Consob n. 11522 del 1998, hanno carattere imperativo perché dirette a tutelare interessi di carattere generale, anche di rango costituzionale (art. 47 Cost.), quali: il regolare funzionamento dei mercati, la tutela dei risparmiatori uti singuli, il risparmio pubblico, come elemento di valore dell’economia nazionale, la stabilità del sistema finanziario, l’efficienza del mercato dei valori mobiliari, con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica.” (Responsabilità del gestore nell’esecuzione del contratto idi gestione individuale di patrimoni mobiliari, Le Società, n. 1, 01.01.2021).    

  2. [2]

    Il quale prevedeva espressamente la facoltà in capo al cliente di richiedere – in ogni tempo – di variare la linea di investimento prescelta, nonché la facoltà in capo alla Banca – qualora le istruzioni impartite dal cliente fossero tali da risultare incongruenti con le caratteristiche della linea di investimento prescelta dal cliente stesso di chiedere al cliente la variazione della linea di investimento prescelta e, in mancanza, provvedere alla vendita degli strumenti finanziari acquistati ed al conseguente reimpiego della liquidità ottenuta secondo scelte di investimento compatibili con la linea di investimento prescelta.

  3. [3]

    Gli articoli del Reg. Consob 11522/1998 ratione temporis applicabili prevedevano: 37 (il contratto deve riportare le caratteristiche della gestione) e 38 (le caratteristiche della gestione sono date dalla categoria degli strumenti finanziari nei quali può essere investito il patrimonio, la tipologia di operazioni che l’intermediario può effettuare, la misura massima della leva finanziaria ed il parametro oggettivo di riferimento), art. 41 (leva finanziaria), 42 (parametri oggettivi di riferimento) e 43 Reg. Consob (gli intermediari dispongono l’esecuzione delle operazioni sulla base delle strategie di investimento preventivamente definite tenendo conto delle informazioni relative agli investitori e alle disposizioni “particolari impartiti dagli stessi”). 

  4. [4]

    In un caso analogo, avente ad oggetto la medesima tipologia di contratto di gestione patrimoniale, la Suprema Corte ha recentissimamente affermato come “nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, il “benchmark”, cioè la linea d’investimento prescelta dal cliente, di cui all’art. 42 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, importa la costituzione di obblighi di condotta da parte del gestore, rappresentando un parametro di riferimento coerente con i rischi della gestione, al quale devono essere commisurati i risultati di questa; pertanto il “benchmark” prescelto, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l’adeguatezza dell’attività dell’intermediario, derivandone che, ove la gestione sia risultata in contrasto con il predetto parametro e, quindi, con i rischi contrattualmente assunti dall’investitore, l’intermediario risponde delle perdite che il cliente abbia subìto in conseguenza” (Cass. Civ. n. 24839/2023; in senso conforme Cass. Civ. n. 23568/2020).
    In ordine all’importanza del benchmark, si è espressa anche autorevole dottrina: “infatti, l’obiettivo del benchmark è quello di offrire uno strumento utile per valutare il rischio tipico del mercato in cui il portafoglio investe e supportare l’investitore nella valutazione dei risultati ottenuti dalla gestione di un certo portafoglio titoli. Per fare ciò il benchmark viene strutturato in modo da essere rappresentativo di un determinato mercato: pertanto, ogni benchmark dovrebbe essere caratterizzato da quattro elementi fondamentali: 1) trasparenza: gli indici devono essere calcolati con regole replicabili dall’investitore, questo principio permette di anticipare i periodici cambiamenti della composizione degli indici stessi; 2) rappresentatività: gli indici devono essere rappresentativi delle politiche di gestione del portafoglio; 3) replicabilità: gli indici dovrebbero essere completamente replicabili con attività acquistabili direttamente sul mercato; 4) hedgeability: è preferibile che gli indici siano anche sottostanti di contratti derivati così da permettere una copertura tempestiva dei portafogli e l’abbassamento dei costi di transazione” (Responsabilità del gestore nell’esecuzione del contratto idi gestione individuale di patrimoni mobiliari, Le Società, n. 1, 01.01.2021). 

  5. [5]

    Il quale, si ricorda, prevedeva espressamente la facoltà in capo al cliente di richiedere – in ogni tempo – di variare la linea di investimento prescelta, nonché la facoltà in capo alla Banca – qualora le istruzioni impartite dal cliente fossero tali da risultare incongruenti con le caratteristiche della linea di investimento prescelta dal cliente stesso di chiedere al cliente la variazione della linea di investimento prescelta e, in mancanza, provvedere alla vendita degli strumenti finanziari acquistati ed al conseguente reimpiego della liquidità ottenuta secondo scelte di investimento compatibili con la linea di investimento prescelta.

  6. [6]

    La pronuncia in commento si pone in continuità con l’orientamento di Cass. Civ. n. 29607/2018, secondo cui “Sempre questa Corte (Cass. 3914/2018; Cass. 12544/2017), con specifico riguardo al profilo del riparto dell’onere probatorio sul nesso di causalità tra condotta inadempiente dell’intermediario e danno dell’investitore, ha precisato che “in tema di distribuzione dell’onere della prova nei giudizi relativi a contratti d’intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativo delineato dal D.Lgs. n. 58 del 1998, artt. 21 e 23 (TUF) e dal reg. Consob n. 11522 del 1998, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa dell’operazione finanziaria, dal momento che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario, costituisce di per s§ un fattore di disorientamento dell’investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento”, con la conseguente considerazione che “tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze che risultino atte a deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa” (in senso conforme anche Cass. Civ. n. 12544/2017).

Avv. Luca Zamagni

Andrea Gattei

Giovanni Cedrini

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