Giornalismo giudiziario e d’inchiesta: bilanciamento tra cronaca e privacy

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Con la nascita, in particolare, delle televisioni commerciali e ancor più con lo sviluppo e la diffusione esponenziale di testate native per il web, il tema della spettacolarizzazione dell’informazione è intervenuto prepotentemente nel dibattito non solo giurisprudenziale ma anche interno alle categorie professionali, chiamate anche ad autoregolamentare gli aspetti deontologici e professionali del giornalismo.
Non invadiamo in questa occasione il “campo altrui” con aspetti di etica professionale, anche se è bene ricordare che pure tali aspetti riguardano “l’altra metà del cielo”, ovvero tutti noi, cittadini fruitori e destinatari dell’informazione.
Restando “sul campo” di questa disamina, il diritto all’informazione costituzionalmente previsto e garantito ha due facce contestuali ed equipollenti: da un lato il diritto di informare e dall’altro quello di essere informati. Anzi, nell’attuale dibattito sulla moderazione dei social network e il contrasto alle fake news, si potrebbe dire che il diritto ad essere informati – in modo veritiero e corretto – finanche prevale sul diritto di informare.
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Indice

1. Profili normativi


Diritto alla riservatezza, interesse collettivo e partecipazione sociale. Concetti che potrebbero apparire antitetici ma che possono rivelarsi complementari e interdipendenti.
La Costituzionale ha un ruolo essenziale avendo instaurato precisi confini rispetto allo svolgimento dell’attività giornalistica; confini, sulla base dei quali, sono stati poi delineati i precetti deontologici, di cui alla Legge professionale 3 febbraio 1963, n. 69. 
Se l’art. 2 della Cost., a proposito del c.d. “diritto alla riservatezza”, afferma come sia compito della Repubblica riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo, inteso sia come singolo sia all’interno delle formazioni sociali ove si esplica la sua personalità, l’art. 21, comma 1 in cui rientra il c.d. “diritto di cronaca”, statuisce come tutti abbiano il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero tramite parola, scritto o altro mezzo di diffusione, aggiungendo al successivo comma che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
La Legge n. 69/1963 ha istituito l’Ordine professionale dei giornalisti, riportando importanti principi deontologici atti a guidare il corretto esercizio di tale mestiere (in primis, l’art. 2 avente ad oggetto “diritti e doveri”).
Da ultimi vanno inseriti in questo contesto il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, “Codice in materia di protezione dei dati personali”, subentrato alla previgente Legge n. 675/1996 e il D.Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, introdotto in attuazione del Regolamento dell’Unione Europea 24 maggio 2016, n. 679, noto come “GDPR” (General Data Protection Regulation). Per approfondire il diritto della privacy, consigliamo un valido strumento pratico per il Professionista che si occupa di privacy, il Formulario commentato della privacy.

FORMATO CARTACEO

Formulario commentato della privacy

Aggiornata alle recenti determinazioni del Garante, l’opera tratta gli aspetti sostanziali e le questioni procedurali legati al trattamento dei dati personali e a tutte le attività connesse. La normativa di riferimento viene commentata e analizzata, con un taglio che rende il volume un valido strumento pratico per il Professionista che si occupa di privacy. L’analisi delle ricadute operative della normativa è integrata dalle specifiche formule correlate; questa combinazione costituisce il valore aggiunto dell’opera che ben può aspirare a diventare un riferimento per gli operatori del settore. Giuseppe Cassano Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics della sede di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato nell’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista. Studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato oltre trecento contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi. Enzo Maria Tripodi attualmente all’Ufficio legale e al Servizio DPO di Unioncamere, è un giurista specializzato nella disciplina della distribuzione commerciale, nella contrattualistica d’impresa, nel diritto delle nuove tecnologie e della privacy, nonché nelle tematiche attinenti la tutela dei consumatori. È stato docente della LUISS Business School e Professore a contratto di Diritto Privato presso la facoltà di Economia della Luiss-Guido Carli. Ha insegnato in numerosi Master post laurea ed è autore di oltre quaranta monografie con le più importanti case editrici. Cristian Ercolano Partner presso Theorema Srl – Consulenti di direzione, con sede a Roma; giurista con circa 20 anni di esperienza nell’applicazione della normativa in materia di protezione dei dati personali e più in generale sui temi della compliance e sostenibilità. Ricopre incarichi di Responsabile della Protezione dei Dati, Organismo di Vigilanza e Organismo Indipendente di Valutazione della performance presso realtà private e pubbliche. Autore di numerosi contributi per trattati, opere collettanee e riviste specialistiche sia tradizionali che digitali, svolge continuativamente attività didattica, di divulgazione ed orientamento nelle materie di competenza.

A cura di Giuseppe Cassano, Enzo Maria Tripodi, Cristian Ercolano | Maggioli Editore 2022

2. Soluzioni giurisprudenziali


Con l’ordinanza n. 30522 depositata il 3 novembre 2023, la Cass. civ., I Sez., ha dichiarato di voler apertamente tutelare l’operato del giornalismo d’inchiesta, che si differenzia dal giornalismo canonico per l’attività di informazione, ricerca ed acquisizione indipendente, da parte del professionista, riconoscendo sia ampia tutela ordinamentale a tale tipologia di attività sia una disciplina meno rigorosa rispetto al canone di verità.
Come si legge dalla decisione, i giudici hanno affermato come tale attenuazione sia da ricondurre all’art. 21 Cost., allorquando “detto giornalismo indichi motivatamente un «sospetto di illeciti con il suggerimento di una direzione di indagine agli organi inquirenti o una denuncia di situazioni oscure che richiedono interventi amministrativi o normativi per potere essere chiarite, sempre che riguardino temi sociali di interesse generale, alla condizione che «il sospetto e la denuncia» siano esternati sulla base di elementi obiettivi e rilevanti; infatti, nel giornalismo d’inchiesta il sospetto deve mantenere il proprio carattere «propulsivo e induttivo di approfondimento», essendo autonomo e, di per sé, ontologicamente distinto dalla nozione di attribuzione di un fatto non vero”.
Secondo la Cassazione, sarà essenziale guardare alla deontologia ovvero alla lealtà e alla buona fede che ha contraddistinto l’operato professionale del giornalista, per comprendere se trattasi o meno di un’azione puramente diffamatoria. Lealtà e buona fede che, considerati sic et simpliciter, risultano tuttavia essere principi eccessivamente aleatori, soprattutto per la difficoltà probatoria, non indifferente, che comportano.
Con tali criteri, la Suprema Corte ha anche dimostrato un certo discostamento, che può trovare la propria giustificazione nella particolare branca di giornalismo in questo caso specifico considerata, rispetto ai corollati della libertà di stampa e del diritto di cronaca, fissati dalla risalente sentenza sempre di legittimità (Cass. civ., Sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259), ovvero la veridicità del fatto pubblicato, la pertinenza della medesima e la continenza espressiva.
Con l’ordinanza n. 12773 del 10 maggio 2024, la stessa I Sez. Civ. della Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’argomento, consolidando l’orientamento già precedentemente assunto, anche in via più risalente (Cass. civ., n. 14727/2018; Cass. civ., n. 16506/2019), osservando come il diritto di critica, differentemente dal diritto di cronaca che connota il giornalismo ordinario di informazione, sfocia in un giudizio che, in quanto tale, sarà di natura soggettiva, rispetto ai fatti pubblicati, a patto che sia orientato ad una verità, se non assoluta, ma ragionevolmente presunta per le fonti di provenienza o per altre circostanze oggettive in cui la notizia risulta inquadrata.

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3. Giornalismo giudiziario e il ruolo di responsabilità del professionista


Nell’ambito di tale forma di giornalismo, sarà fondamentale che vi sia un interesse pubblico alla notizia, il fatto corrisponda a verità e che sussista sempre la continenza espositiva. Il giornalista sarà, inoltre, chiamato a verificare che l’informazione da pubblicare sia essenziale.
Il caso di scuola è la divulgazione mediante stampa (tanto cartacea quanto digitale) dei nomi di soggetti indagati o arrestati. La pubblicazione potrà avvenire solo se sussistente un preciso interesse pubblico, in assenza di specifici divieti giudizialmente imposti e laddove la notizia sia stata lecitamente acquisita. Onde evitare un’indebita lesione del principio di non colpevolezza, il giornalista dovrà poi precisare anche lo status in cui si trova il procedimento giudiziario. In questo stesso contesto si inserisce il caso della diffusione delle immagini segnaletiche e dei soggetti sottoposti alla misura dell’arresto.
Già con provvedimento dell’8 aprile 2003, il Garante per la protezione dei dati personali aveva esplicitato come non fosse consentito procedere alla pubblicazione sui giornali ovvero alla trasmissione in televisione delle immagini di persone arrestate in manette o sottoposte ad ulteriore strumento coercitivo di natura fisica, allorquando lesive del decoro della persona.
In particolar modo, le foto segnaletiche possono essere sottoposte alla divulgazione solamente per fini di giustizia e di polizia ovvero in virtù di motivi di interesse pubblico, dovendo tutelare il diritto alla riservatezza e la dignità del soggetto coinvolto.
Un altro profilo concerne la diffusione dei nomi di persone condannate e dei destinatari di provvedimenti giurisdizionali. In linea generale, tali dati possono essere divulgati ma potrebbero soggiacere al regime di segretezza. Anche se, rispetto al caso degli indagati, vigeranno paletti meno restrittivi, essendo già intervenuto un provvedimento da parte dell’Autorità giudiziaria, con maggiore certezza rispetto alla colpevolezza del soggetto, sarà, sempre e comunque, onere del giornalista effettuare una valutazione, caso per caso, verificando che non vi siano ragioni impeditive alla diffusione, altresì rispetto alla tutela della vittima, la quale potrà venir lesa, soprattutto sul piano psichico, dalla divulgazione di tali notizie.
Come chiarito dal Garante con un recente comunicato del 6 maggio 2024, in relazione alle altre immagini concernenti notizie su arresti, indagini e processi queste, “per essere oggetto di pubblicazione, dovranno essere state acquisite e poi impiegate in modo lecito e corretto, ai fini di una diffusione coscienziosa della notizia, evitando episodi di c.d. “spettacolarizzazione” da parte dei mass-media”.
Il giornalista dovrà sempre fare riferimento anche alla volontà della vittima del reato, la quale potrebbe opporsi alla pubblicazione dei propri dati. Stesso meccanismo di bilanciamento dovrebbe, parimenti, applicarsi rispetto alla divulgazione dei nomi di testimoni, di familiari e conoscenti.

4. Giornalista e blogger: l’equiparazione del Garante


Una precisazione importante riguarda l’equiparazione statuita dal Garante, con il provvedimento n. 29 del 27 gennaio 2016, tra la figura del giornalista (professionista o pubblicista) e quella del blogger.
È stato statuito come la disciplina della privacy debba essere applicata anche all’attività di un blog, in virtù di quanto previsto dagli artt. 136 ss. del Codice che amplia la normativa sul trattamento dei dati personali in ambito giornalistico, altresì, ad ogni ulteriore attività di manifestazione del pensiero comportante trattamenti di dati personali, realizzata anche da persone che non esercitano l’attività giornalistica vera e propria.
Una pronuncia di primaria rilevanza, avendo esteso il medesimo novero di disposizioni regolatrici e tutele anche allo spazio del blog che si differenzia di gran lunga dalla classica testata giornalistica, tanto cartacea quanto digitale, per la sua maggiore libertà espositiva, oltre che per l’assenza, almeno in buona parte dei casi, di un adeguato titolo per il corretto svolgimento dell’attività giornalistica.
In modo corretto il Garante ha inteso stabilire che oggetto della propria tutela fosse il “bene della vita” – in questo caso la privacy – non rilevando la qualifica di chi “tratta il dato”: che sia giornalista o chiunque altro cittadino., attraverso qualsiasi mezzo.

5. Conclusioni


La preferenza normativa è stata quella di puntare su criteri generali, evitando l’introduzione di disposizioni rigide alla luce della vastità delle vicende di cronaca (tanto per contenuto quanto per soggetti coinvolti) che potrebbero venirsi ad instaurare.
Gli elementi da considerare possono rilevarsi davvero svariati e mutevoli nel corso del tempo (pensiamo, ad esempio, all’interesse sociale rispetto alla singola notizia). In questo senso si è preferito attribuire maggiore autonomia in capo al divulgatore, rimettendo a lui un senso di grande consapevolezza e di sensatezza rispetto ad una minuziosa opera di standardizzazione che non sarebbe in grado di adattarsi ad ogni singolo caso concreto, soprattutto in un’ottica di medio-lungo arco temporale.
Il blogger – come qualsiasi cittadino attraverso i propri canali social – non potrà ritenersi “libero da ogni limitazione” per non essere un “giornalista professionista” ma dovrà rispettare la medesima normativa e il medesimo rigore, per altro senza potersi avvalere di “attenuanti o scriminanti, non essendo “parte attiva” del diritto di informazione inteso come diritto di informare.
Il professionista generalmente inteso, il quale avrà il maggior onere di responsabilità rispetto ad un operato corretto, sarà, quindi, chiamato ad acquisire lecitamente i propri dati, ad operare una previa attività di selezione rispetto alla sussistenza di eventuali interessi o limitazioni di senso contrario, in un’ottica generale di responsabilità e di autonomia nello svolgimento della propria attività tanto d’inchiesta quanto informativa, coniugando i corollari dell’attività giornalistica ed i confini imposti dalle diverse fonti normative.
Ma proprio per non creare un odioso precedente di standardizzazione e di limitazione della libertà di stampa, ribadendo principi generali – per altro riferiti ad una ampia letteratura e giurisprudenza – il “lasciare all’autodeterminazione” ed alla consapevolezza non significa “assenza di regolamentazione”.
Anzi, significa un maggiore carico e delega di responsabilità sul singolo oltre che una maggiore spinta propulsiva ad una revisione ed un’analisi in concreto da parte degli organi di autodisciplina (nella fattispecie l’Ordine nazionale dei giornalisti) che dovrebbe intervenire con maggiore rigore sia nell’aggiornamento di linee guida deontologiche, sia nell’attuazione in concreto – attraverso i suoi organi di disciplina – per dare indicazioni chiare e coerenti nella pratica professionale.
Lasciare “le cose come stanno” è il primo passo per non lasciare altra scelta rispetto all’intervento non solo giurisprudenziale ma anche normativo primario, con seri rischi, in questo caso, di lesioni del diritto di informazione più generale.

Michele Di Salvo

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