Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la ordinanza con cui il Gip del tribunale aveva negato l’autorizzazione all’accesso presso il carcere di un medico chirurgo specialista in psichiatria, psichiatria forense e psicoterapeuta, al fine di sottoporre a visita specialistica un detenuto in custodia cautelare, con la sentenza n. 30970/2024 la Corte di Cassazione – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui il diniego era illegittimo poiché, a tutela del diritto alla salute dei detenuti, gli stessi possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un esercente la professione sanitaria di loro fiducia, senza che sia consentito al giudice di sindacarne le ragioni o i motivi – ha affermato che è abnorme, in quanto emesso in difetto di potere, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari non consenta, per ragioni estranee ad esigenze di accertamento dei fatti per i quali è procedimento, all’ indagato detenuto in custodia cautelare in carcere di essere visitato a proprie spese da un medico di sua fiducia. Per orientarsi nel complicato mondo delle esecuzioni abbiamo pubblicato il Formulario annotato dell’esecuzione penale -Aggiornato al correttivo Riforma Cartabia e al decreto Carceri
Indice
1. Il fatto: il GIP nega la visita di un medico di fiducia
Tizio, detenuto in custodia cautelare, ha chiesto l’accesso presso l’istituto di un medico chirurgo specialista in psichiatria, al fine di essere sottoposto a visita specialistica. Il GIP, limitandosi a fare proprio il parere negativo del PM, ha rigettato la richiesta.
Il detenuto ricorre così in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 11, comma 12, ord. pen., norma che espressamente prevede, a tutela del diritto alla salute dei detenuti, che gli stessi «possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un esercente la professione sanitaria di loro fiducia», senza che sia consentito al giudice di sindacarne le ragioni o i motivi. Per orientarsi nel complicato mondo delle esecuzioni abbiamo pubblicato il Formulario annotato dell’esecuzione penale -Aggiornato al correttivo Riforma Cartabia e al decreto Carceri
Formulario annotato dell’esecuzione penale
Con il presente Formulario – aggiornato al D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31 (c.d. correttivo Riforma Cartabia) e alla Legge 8 agosto 2024, n. 112, di conversione del D.L. n. 92/2024 (c.d. decreto Carceri) – gli Autori perseguono l’obiettivo di guidare l’operatore del diritto penale verso la conoscenza dei vari istituti che caratterizzano la fase dell’esecuzione penale di una sentenza di condanna divenuta irrevocabile, analizzando tutte le misure alternative alla detenzione praticabili, attraverso un testo che si caratterizza per la sua finalità estremamente pratica e operativa, ma anche per la sua struttura snella che ne consente un’agevole e mirata consultazione.Il formulario rappresenta un valido strumento operativo di ausilio per l’Avvocato penalista, mettendo a sua disposizione tutti gli schemi degli atti difensivi rilevanti nella fase dell’esecuzione penale, contestualizzati con il relativo quadro normativo di riferimento, spesso connotato da un elevato tecnicismo, e corredati da annotazioni dirette ad inquadrare sistematicamente l’istituto processuale evidenziando questioni problematiche, riferimenti giurisprudenziali e suggerimenti per una più rapida e completa redazione dell’atto difensivo.L’opera è corredata da un’utilissima appendice con pratici schemi riepilogativi in grado di agevolare ulteriormente l’attività del professionista. Le formule sono disponibili anche online in formato personalizzabile.Valerio de GioiaConsigliere della Corte di Appello di Roma.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma.
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2. La sentenza
Con sentenza n. 30970 del 29 luglio, la Suprema Corte dichiara il ricorso fondato.
Dal tenore letterale dal norma emerge che i detenuti e gli internati possono chiedere di essere vistati a proprie spese da un medico di fiducia senza che ricorrano limiti e condizioni, se non la necessità di curarsi; soltanto per gli imputati, ovverosia per i detenuti per i quali pende il processo, la norma chiede l’autorizzazione del giudice che procede.
3. Il principio
«E’ abnorme, in quanto emesso in difetto di potere, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari non consenta, per ragioni estranee ad esigenze di accertamento dei fatti per i quali è procedimento, all’indagato detenuto in custodia cautelare in carcere di essere visitato a proprie spese da un medico di sua fiducia».
Presupposto ciò, il provvedimento impugnato nel caso di specie ha chiaramente violato la normativa di riferimento.
Ciò perché ha opinato l’esigenza di sindacare le ragioni dell’effettiva necessità della visita medica, finendo per frustrare immotivatamente quello che costituisce un vero e proprio diritto, costituzionalmente garantito, del richiedente
Ed anche e soprattutto perché ha esercitato un potere non riconosciuto dall’ordinamento, sindacando le modalità di esercizio di un diritto in relazione al quale il legislatore non ha previsto alcun preventivo vaglio dell’autorità giudiziaria, se non quello, nel caso in esame: non esercitato, dell’apprezzamento di possibili pregiudizi per l’accertamento in corso.
4. Il processo
Il difensore di C. B., detenuto in custodia cautelare chiedeva al giudice per le indagini preliminari di autorizzare l’accesso presso l’Istituto di un medico chirurgo specialista in psichiatria, psichiatria forense e psicoterapeuta, «al fine di sottoporre a visita specialistica il signor C. B., quanto prima», di somministrare allo stesso test diagnostici, nonché al fine di farlo conferire con i sanitari in servizio presso l’istituto e di fargli prendere visione del fascicolo sanitario del detenuto.
Con l’ordinanza impugnata il GIP, limitandosi a fare proprio il parere negativo del pubblico ministero (che aveva rilevato che l’istanza «non documenta le ragioni per le quali sarebbe necessario il ricorso ad una visita specialistica di un professionista esterno», ed è, dunque «meramente esplorativa»; che il detenuto può essere sottoposto ad un periodo di osservazione psichiatrica all’interno dell’istituto, come previsto dall’art. 112 d.P.R. n. 230 del 2000; che eventuali accertamenti sulla capacità di intendere e di volere del detenuto devono essere svolti nella forma della perizia in incidente probatorio), rigettava la richiesta.
Il difensore di fiducia ha presentato ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza, articolando due motivi con i quali denuncia la mancanza ovvero la illogicità della motivazione e la violazione degli artt. 3 e 32 Cost, e dell’art. ll, comma 12, ord. pen., norma che espressamente prevede, a tutela del diritto alla salute dei detenuti, che gli stessi «possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un esercente la professione sanitaria di loro fiducia», senza che sia consentito al giudice di sindacarne le ragioni o i motivi.
Il Procuratore Generale ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato, poiché il diritto del detenuto – riferibile all’art. 32 Cost. – a ricevere in carcere, a proprie spese, la visita e la cura cli medici di sua fiducia può essere frustrato solo in ragione di «specifiche e ineludibili esigenze cautelari, da individuarsi in concreto, non indicate nella fattispecie de qua».
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5. Motivi della decisione
Secondo la Corte il ricorso è fondato.
Occorre premettere – sostengono i giudici – quanto alla possibilità di impugnare il provvedimento, che il ricorso, seppur articolando motivi che deducono violazioni di alcune puntuali disposizioni di legge, prospetta la possibilità di apprezzare nell’ordinanza del giudice fiorentino i tratti propri del provvedimento abnorme, perché emesso in difetto di potere e perché capace di interferire con un diritto costituzionalmente riconosciuto all’indagato detenuto: il ricorrente non ha espressamente evocato la categoria dell’abnormità, ma ha implicitamente ad essa fatto riferimento nel prospettare i vizi del provvedimento, laddove ha denunciato che esso ha di fatto comportato una inammissibile estensione dell’autorizzazione a casi non contemplati dalla legge, evocando «riferimenti normativi che fuoriescono dal perimetro di verifica demandato»: la prospettazione dei caratteri dell’abnormità fa sì che anche un provvedimento ordinariamente inoppugnabile – quale potrebbe essere quello cli specie – possa essere soggetto al sindacato di legittimità, ponendosi la categoria dell’abnormità come deroga al regime di tassatività oggettiva dei rimedi impugnatori.
Si deve poi osservare che l’art. 11, comma 12, ord. pen., nella vigente formulazione, introdotta dall’art. 1 d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, prevede che «I detenuti e gli internati possono richiedere di essere visitati a proprie spese da un esercente di una professione sanitaria di loro fiducia. L’autorizzazione per gli imputati è data dal giudice che procede, e per gli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, per i condannati e gli internati è data dal direttore dell’istituto. Con le medesime forme possono essere autorizzati trattamenti medici, chirurgici e terapeutici da effettuarsi a spese degli interessati da parte di sanitari e tecnici di fiducia nelle infermerie o nei reparti clinici e chirurgici all’interno degli istituti, previ accordi con l’azienda sanitaria competente e nel rispetto delle indicazioni organizzative fornite dalla stessa».
Pronunciandosi in un caso del tutto sovrapponibile a quello di specie, la Corte (Sez. 4, n. 27499 del 23/05/2019, Mandolesi, n.m.; cfr., peraltro, negli stessi, e condivisibili, termini, Sez. 1, n. 58489 del 10/10/2018, Monterisi, Rv. 276153 – 01, e Sez. 3, n. 49808 del 14/11/2019, Mandolesi, n.m.) ha già avuto modo di osservare che la norma contenuta nell’art. 11, comma 12, orci. pen. affonda le sue radici nel diritto alla salute del detenuto, riflesso del diritto sancito dall’art. 32 Cost., sicché deve essere letta ed interpretata alla luce di questo diritto fondamentale dell’individuo.
Si evince dal tenore letterale della nonna che i detenuti e gli internati possono chiedere di essere visitati a proprie spese da un medico di fiducia senza che ricorrano limiti o condizioni, se non la necessità di curarsi; soltanto per gli imputati, ovverosia per i detenuti per i quali pende il processo – ed anche per gli indagati, in forza della disposizione estensiva di cui all’art. 61, comma 2, cod. proc. pen. – la norma richiede l’autorizzazione del giudice che procede (peraltro soltanto fino alla sentenza di primo grado), e questo all’evidente finalità – non già di sindacare in qualche modo l’iniziativa individuale di sottoporsi a visita e cura, ma – di verificare se ed in quali termini l’iniziativa possa avere incidenza negativa sugli accertamenti processuali in corso.
Ne consegue che il provvedimento impugnato ha violato la normativa di riferimento, non solo perché ha opinato l’esigenza – in realtà non prevista dalle norme di riferimento – di sindacare le ragioni della effettiva necessità della visita medica, finendo per frustrare immotivatamente quello che costituisce un vero e proprio diritto, costituzionalmente garantito, del richiedente, ma anche e soprattutto, a monte, perché ha esercitato un potere non riconosciuto dall’ordinamento, sindacando le modalità di esercizio di un diritto in relazione al quale il legislatore non ha previsto alcun preventivo vaglio dell’autorità giudiziaria, se non quello, nel caso in esame: non esercitato, dell’apprezzamento di possibili pregiudizi per l’accertamento in corso.
Deve, dunque, essere affermato il seguente principio di diritto: «E’ abnorme, in quanto emesso in difetto di potere, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari non consenta, per ragioni estranee ad esigenze di accertamento dei fatti per i quali è procedimento, all’indagato detenuto in custodia cautelare in carcere di essere visitato a proprie spese da un medico di sua fiducia».
Il provvedimento impugnato deve pertanto essere annullato, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altro giudice per le indagini preliminari, non solo per la eccentricità del contenuto decisorio ma, ancor prima, perché lo stesso è stato adottato in difetto di potere, trattandosi di provvedimento non consentito dalla legge.
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