Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e necessario “overruling”

E’ stato definito “overruling” il pronunciamento giurisprudenziale della Suprema Corte a SS.UU. Civili che, con sentenza n. 192462010, in tema di termini di comparizione – costituzione in materia di opposizione a d.i., ha statuito che sussiste un effetto automatico di dimidiazione dei termini di costituzione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sia dell’opponente che dell’opposto per il sol fatto che sia stata proposta l’opposizione ad un decreto ingiuntivo, provvedimento giurisdizionale conclusivo del procedimento monitorio in quanto, si riporta testualmente: “l’art. 645 cpc prevede che in ogni caso di opposizione i termini a comparire sono ridotti alla metà”.

Da tale autorevole orientamento si discosta la sentenza n. 1182010, pubblicata il 31122010, del Tribunale di Brindisi – Sezione Distaccata di Fasano, ove (estratto): “Rileva, tuttavia, codesto giudicante … che ogni qual volta il legislatore abbia voluto prevedere un termine processuale il cui mancato rispetto intedeva sanzionare, mediante il potere giudiziario, con declaratoria di improcedibilità, inammissibilità, nullità assoluta e relativamente assoluta (o “assolutamente relativa”, secondo alcuni autori), nel corpus normativo del codice di rito ha sempre ed espressamente utilizzato il verbo “dovere” e, per il caso che occupa, vedansi gli artt. 163, 163 bis, 165, 166 e 167, dove tale verbo è sempre ed espressamente presente. Peraltro si evidenzia che, contrariamente a quanto affermato dalle Sezioni Unite, la scrittura testuale dell’art. 645, co. 2, ultima parte è: <<i termini di comparizione sono ridotti alla metà>> e non, come nella prefata recentissima sentenza: <<in ogni caso di opposizione i termini a comparire sono ridotti alla metà>>. Ne deriva che la S.C. a SS.UU. ha attribuito a tale norma (art. 645 cpc) un quid pluris che il legislatore non ha, tuttavia, positivizzato nella stessa. Dunque, proprio per le esigenze di <<coerenza sistematica>> richiamate in 192462010 ritiene questo giudicante che in ossequio alla <<euritmia del sistema>> invocata dal Giudice delle Leggi nel 2008 deve dichiararsi improcedibile solo il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in cui l’opponente che abbia utilizzato termini di comparizione dimidiati si sia poi costituito tardivamente, come dal precedente giurisprudenziale rappresentato da ultimo da Cass. Civ. n. 114362009”.

E tuttavia proprio in materia di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo permane la necessità di un “overruling”, che sia, dunque, diverso, da quello rappresentato da Cass. SS.UU. Civili n. 192462010 e che di seguito si rappresenta.

Si intende porre un ragionevole dubbio sulla indefettibile necessità che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la causa si svolga sì secondo i canoni dell’ordinario giudizio di cognizione, come pacificamente dottrina e giurisprudenza da sempre insegnano, ma solo tra le originarie parti del procedimento monitorio opposto e dunque propugnare un “overruling” in ordine alla autorizzazione della chiamata di un terzo in tale giudizio in favore della declaratoria di inammissibilità di tale chiamata, ove solo proposta, e di estromissione del terzo, ove la chiamata sia stata autorizzata.

Per dirla col Carnelutti, si chiede di risolvere ciò che chi scrive sente come: “l’angoscioso dilemma tra il comodo conformismo, attaccato a ciò che è stato sempre deciso (stare decisis) e la coscienza inquieta che ogni volta vuol rifare i suoi calcoli”, rammentando che lo stesso Insigne Dotto in Giurisprudenza ha fornito la seguente risposta: “tutto dipende dal giudice in cui ci si imbatte; l’alea della causa è spesso in questo contrasto: tra il giudice logico ed il giudice sensibile, tra il giudice consequenziario ed il giudice precursore; tra il giudice che per non commettere un’ingiustizia è disposto a ribellarsi alla tirannia della giurisprudenza ed il giudice che per salvare la giurisprudenza è disposto a lasciar stritolare negli inesorabili ingranaggi della sua logica un uomo vivo” (tutte citazioni tratte da “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”).

Punto di partenza è certamente la sentenza Cass. Civ. n. 8718 0 per cui: “in tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l’opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo nell’ambito dell’onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti. Ne consegue che il disposto dell’art. 269 cpc, che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con il procedimento instaurato tramite l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento, non potendo le parti originariamente esser altri che il soggetto istante per l’ingiunzione di pagamento ed il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta, così che l’opponente (cui è altresì preclusa, nella qualità di convenuto sostanziale, la facoltà di chiedere lo spostamento dell’udienza, nonché quella di notificare l’opposizione a soggetto diverso dal creditore procedente in ingiunzione) deve necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo”.

Su questo decisum si è orientata la giurisprudenza successiva, sempre di legittimità ed in preponderante maggioranza di merito.

La dottrina [Conte in: “Ruolo sostanziale delle parti nell’opposizione a decreto ingiuntivo ed oneri processuali (chiamata in causa del terzo, domanda riconvenzionale e termine per la formulazione delle eccezioni) in GI 2003, 1820], tuttavia, ha già avuto modo di contestare l’orientamento della S.C. sostenendo:

  1. il fatto che nel giudizio di opposizione a d.i. le parti hanno un ruolo sostanziale non coincidente con quello formale non può portare ad uno “stravolgimento” di quelle che il legislatore ha voluto fossero le modalità introduttive di questo processo con notifica dell’atto introduttivo e costituzione a mo’ di attore dell’opponente, per cui tutto quanto può deve esser compiuto nell’atto introduttivo (in termini: Tribunali di: Milano [2811 2 e 289 5], Catania [194 4], Casale Monferrato [2212 3], Reggio Calabria [245 4] e Bologna [52 8]) sicchè l’opponente deve, nel caso di specie, già citare il terzo cui ritiene la causa comune e non chiederne autorizzazione al GI;

  2. l’opponente non può che convenire in giudizio l’opposto e non altri;

  3. l’opposto, a seguito dello svolgimento delle difese dell’opponente, se ritiene la causa comune ad un terzo deve chiederne la chiamata in causa al GI ai sensi dell’art. 269 cpc e dunque a pena di decadenza nella comparsa di risposta con richiesta di differimento della prima udienza.

Il GI del Tribunale di Brindisi – Sezione Distaccata di Fasano con ordinanza del 1752010 ha condiviso il richiamato minoritario orientamento dottrinario sub 2 e ha statuito per declaratoria di inammissibilità della chiamata del terzo così motivando: “Sulla richiesta di autorizzazione alla chiamata di terzo svolta da parte opposta, essa è da dichiarare inammissibile, essendo il presente giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sorto tra le odierne parti processuali, dunque qualsivoglia altra azione nei confronti di terzi estranei al rapporto obbligatorio dedotto nel procedimento monitorio va tutelata con autonomo giudizio che sarà incardinato e dunque sospeso ex art. 295 cpc sino a definizione del presente, costituendo questo l’antecedente tecnico e logico giuridico di quello”.

La sentenza della S.C., capostipite dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario richiamato, n. 8718 0, è datata 27 Giugno 2000.

Ad avviso di chi scrive la S.C. non ha saputo cogliere il momento storico di grande cambiamento che ha vissuto negli ultimi dieci anni e poco più il Nostro Paese.

Difatti.

Con una gestazione di esatti nove mesi successivi al 276 0, il Parlamento Italiano partorì (è il caso appropriato di dire) la Legge n. 89 del 2432001, pubblicata in G.U. n. 78 del 342001, in rubrica: “Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 cpc”, meglio nota come cd. Legge Pinto.

Ma già prima vi era stata la modifica dell’art. 111 Cost. con Legge Costituzionale n. 2 del 231199 per cui al cpv di detto articolo, dopo la nota affermazione per cui sin dal ’47 fu promulgato: “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giuice terzo ed imparziale”, è stata inserita la seguente frase: “La legge ne assicura la ragionevole durata”.

Ancora: la giurisdizione contabile non si è mai stancata nell’affermare che la P.A. (e qui, si noti, si amministra giustizia) deve esser informata ai principi di: efficacia, efficienza ed economicità ed è notoria la prassi ormai diffusa nel nostro Paese della cd. “semplificazione”, tanto da istituire un Ministero per apposito studio e abrogazione di leggi superfetanti.

Il tutto per dire che: a parere di chi scrive per l’applicazione del principio del giusto processo civile in materia di opposizione a decreto ingiuntivo è necessario, interpretando letteralmente la voluntas legislatoris, che l’opposizione a decreto ingiuntivo si svolga sì “secondo le norme del ordinario davanti al giudice adito” (ultimo comma art. 645 cpc) ma sempre e solo tra le stesse parti del procedimento instauratosi in fase monitoria.

Dunque la frase testè riferita di cui all’art. 645 , u.c., cpc altro significato non ha se non che si è, con l’opposizione al decreto ingiuntivo, garantito alle parti litiganti un giudizio per la formazione di piena prova, potendo dunque espletarsi: prova per interpello e per testi, giuramento, ctu, ispezioni, riproduzioni meccaniche, esperimenti, disconoscere e verificare le scritture private, proporre querela di falso, chiedere il rendimento di conti e l’esibizione delle prove e non più svolgersi un procedimento, quale il monitorio, a prova limitata se non a quella documentale e condizionata poi alle caratteristiche di cui agli artt. 634 – 636 cpc cui si rinvia, per brevità.

Il che, già di per sé, non è di poco conto per attuare l’art. 111 della Costituzione!

Inoltre v’è da soffermare l’attenzione su un altro dato: nel momento in cui il GI autorizza la chiamata del terzo, egli ha recato un pre – giudizio alla causa in quanto ha già, di fatto, anche se implicitamente, a rigor di logica, revocato il decreto ingiuntivo opposto, la qual cosa deve invece avvenire solo ad istruttoria conclusa, precisate le conclusioni ed in uno alla decisione.

Se dunque opposto eo opponente in sede di giudizio di opposizione a d.i. ritengano la causa comune ad un terzo, a sommesso avviso della scrivente, altra via non resta che percorrere quella dell’instaurazione di un nuovo giudizio ordinario contenzioso che deve sì esser iscritto a ruolo ma subito dopo sospeso ex art. 295 cpc dal GI in attesa della definizione del procedimento ordinario di opposizione a d.i. che valuti sulla inesistenza della debitoria dell’opponente nei confronti dell’opposto e sarà poi onere dell’attore del giudizio sospeso riassumerlo e farvi valere le risultanze processuali del giudizio di opposizione a d.i. ed è questo secondo (per ordine temporale) giudizio l’unico ove il terzo è deputato a difendersi ed a contrastare con ogni mezzo la domanda attorea.

Diversamente: quid iuris del terzo che voglia nel giudizio di opposizione a d.i. proporre potenzialmente chiamata in causa di un altro terzo, proporre domande riconvenzionali eo trasversali?

Si pensi … e si concluda: ne risulterebbe un processo kafkiano!

Avv. Porfilio Mariarosaria

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