Non sussiste un nesso di pregiudizialità tra il processo penale e quello amministrativo contabile, anche quando entrambi sono basati sui medesimi fatti; infatti, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, è stato abrogato l’art. 3 del vecchio codice di rito, che prevedeva il cosiddetto principio della pregiudizialità penale. Pertanto, è pacifica l’affermata autonomia dei due giudizi, penale e contabile.
La disposizione di cui all’art. 295 c.p.c. – applicabile al giudizio contabile in virtù del rinvio dinamico di cui all’art. 26 del R.D. n. 1038 del 1933 – può trovare applicazione soltanto nei casi in cui il giudice ne ravvisi la necessità, tenuto conto della stretta pregiudizialità tra i fatti illeciti oggetto del processo penale e il danno contestato avanti al giudice contabile.
Il giudizio contabile di responsabilità amministrativa è diverso dal processo penale, perché questo mira a sanzionare le condotte illecite qualificate dalla legge come reati; invece, il giudizio di responsabilità amministrativo/contabile ha natura essenzialmente risarcitoria e assume finalità ripristinatorie delle risorse pubbliche indebitamente sottratte all’Amministrazione titolare – in termini di maggiore spesa o minore entrata – attraverso la condanna degli autori del comportamento illecito alla restituzione del quantum del pregiudizio arrecato.
Il danno da disservizio è ontologicamente pregiudizio patrimoniale, esso presuppone che sia provata una distorsione dell’azione pubblica al fine cui l’azione stessa deve essere indirizzata, con conseguente dispendio di denaro pubblico; l’ipotesi di responsabilità amministrativo contabile per danno da disservizio deve essere adeguatamente provata, ai sensi dell’art. 2697 c.c. in tutti i suoi elementi costitutivi, esso rappresenta, appunto, un pregiudizio effettivo, concreto e attuale, che coincide con il maggiore costo dell’attività amministrativa, nella misura in cui questa si riveli inutile.
La lesione all’immagine pubblica dell’amministrazione rientra nell’ambito di giurisdizione della Corte dei Conti, dove non rilevano le singole figure di reato commesse dal responsabile convenuto in giudizio, bensì le conseguenze, in termini di pregiudizio, subite dall’amministrazione pubblica proprio a causa del comportamento illecito tenuto dal proprio dipendente.
Ogni azione dannosa compiuta dal pubblico dipendente in violazione dell’art. 97 Cost. in dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici e, a maggior ragione, in presenza di commissione di reati e di illeciti, comporta un’alterazione dell’identità della pubblica amministrazione e, più ancora, nell’apparire di una sua immagine negativa in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile e non responsabilizzata.
In merito alla qualificazione del danno all’immagine, il giudice può avvalersi, nella determinazione equitativa ex art. 1226 c.c., di criteri oggettivi, soggettivi e sociali quali la capacità esponenziale dell’Ente danneggiato, la natura delle funzioni esercitate, l’ampiezza e la diffusione data dai mass media all’illecito, le modalità di realizzazione dell’illecito e la rilevanza del danno patrimoniale diretto eventualmente arrecato, oltre alla qualifica rivestita dall’autore dell’illecito e la sua collocazione nell’amministrazione di appartenenza, intesa come capacità di rappresentarla all’esterno.
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