La Magistratura delle acque
Il 7 agosto 1501 furono istituiti a Venezia i Savi alle acque, magistratura formata da tre componenti, quale organo stabile, primo nucleo del vero e proprio magistrato, che esercitò la gestione unitaria dell’intero bacino idraulico dei fiumi convergenti sulla laguna e la competenza generale nel settore 1.
Ma perché una magistratura interamente dedicata alle acque, tenuto conto della fondamentale importanza che esse rivestirono per la Repubblica di Venezia? E, soprattutto, quale rilevanza ha oggi una simile istituzione?
Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia nel 2009, permette di comprendere attraverso le motivazioni del suo annoverare l’acqua tra i beni comuni, quale sia l’importanza dell’elemento idrico e, di conseguenza, per quale motivo il Tribunale delle acque sia preposto alla sua difesa. Beni comuni sono quei beni che sono proprietà di una comunità, e dei quali la comunità può disporre liberamente come patrimonio collettivo (foreste, mare, acque interne, infrastrutture e servizi di pubblica utilità), e il cui sfruttamento deve essere regolato per impedire che, mediante il loro depauperamento, si esauriscano 2.
I beni comuni
I beni comuni possono essere sostenibili, ed essere una risorsa fondamentale per la comunità e le nazioni, se le comunità coinvolte nel loro sfruttamento abbiano per esse regole funzionali alla loro sostenibilità, cioè garantiscano la rigenerazione naturale o sociale dei beni comuni stessi. Oltre il modello meramente competitivo è indispensabile l’instaurazione di un modello basato sulla cooperazione 3. Progettare le istituzioni in modo da incrementare la produzione e l’uso di ogni genere di bene comune è una sfida. Per giungere a tale obiettivo occorre avere un’azione collettiva e regole appropriate. Infatti, il buon governo dei beni comuni richiede una comunità attiva e regole in evoluzione che siano ben comprese e applicate. E ciò in quanto una risorsa vasta e complessa può dare origine a interessi tra loro in opposizione 4.
Gruppi ristretti e omogenei hanno più possibilità di riuscire a soddisfare un bene comune. Una comunità ha il diritto di vendere, coltivare e gestire i prodotti della foresta, ma non può venderne i terreni 5. Ogni bene comune ha proprie dinamiche, a dipendere dalla sua storia, dai valori culturali peculiari, dalla natura delle risorse, e così via. Sussiste, inoltre, la tendenza a considerare tutto come una merce in vendita. In questo contesto, considerare i beni comuni significa allineare nel modo più adeguato le questioni di carattere economico e sociale. Considerare i beni comuni significa, così, dare nuovi approcci di carattere descrittivo,
costitutivo ed espressivo. E’ descrittivo, in quanto identifica modelli di governo della comunità, altrimenti non esaminati; è costitutivo, poiché con nuovi principi permette di costruire nuove comunità; è espressivo, poiché permette una nuova solidarietà sociale e un legame personale con un insieme di risorse 6.
Il valore delle acque
Le acque costituiscono un fatto che si può considerare sotto una molteplicità di fattori: economici, giuridici, sociali, fisici, chimici, e non solo. Dall’esperienza concreta e tangibile di un fatto così complesso si evince che la tutela delle acque poggia su alcuni pilastri, che ne costituiscono il fondamento.
Un pilastro consiste nell’adempimento dei doveri inderogabili previsti dall’articolo 2 della Costituzione, come doveri di solidarietà politica, economica e sociale stabiliti nel quadro del testo costituzionale 7.
Si evince, in secondo luogo, un altro pilastro dall’articolo 9 della Costituzione, collegato alle materie della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di cui all’articolo 117, comma, 1 lettera s) della Costituzione, quale risulta a seguito della riforma del Titolo V, avvenuta con L. costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3.
Attraverso un’evoluzione compiuta nel tempo, la dottrina è giunta a ritenere questo tipo di tutela un valore primario della Repubblica, assoluto e non disponibile 8, che non consiste soltanto nella mera conservazione delle bellezze naturali, ma comporta anche la più ampia tutela della comunità umana che vi è insediata, comprendendo le modificazioni avvenute mediante l’antropizzazione. E’ da considerarsi, dunque, per paesaggio l’ambiente, e cioè la valenza culturale che afferisce il rapporto uomo-ambiente 9.
Segnatamente, la giurisprudenza ha asserito che a seguito dello sviluppo della materia urbanistica, dalla seconda metà degli anni ’80 del XX secolo è maturata la considerazione secondo la quale era da ritenersi che essa comprendesse tutto ciò che concerne l’uso dell’intero territorio (e non solo degli aggregati urbani) ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti di ogni genere con le relative infrastrutture 10.
La tutela del paesaggio
In questo modo la tutela del paesaggio non era più da intendersi in modo statico ma dinamico, secondo due direzioni: prima di tutto, il paesaggio non afferisce soltanto alle bellezze naturali, ma ad ogni preesistenza, la flora, la fauna in quanto costituiscono l’ambiente nel quale vive l’uomo; in secondo luogo, la tutela del paesaggio investe ogni intervento umano che operi nel divenire del medesimo. Ne consegue pertanto che il paesaggio consiste nella continua modificazione della natura e delle precedenti opere dell’uomo, e che la sua tutela è il controllo e la direzione degli interventi che assicurino un’ordinata modificazione dell’ambiente modellato nei secoli perchè non venga distrutto, anche se nella sua interezza non può essere sottratto ai mutamenti che l’uomo necessariamente vi apporta 11.
Secondo la giurisprudenza costituzionale, «queste disposizioni hanno finalità di prevenzione e riduzione dell’inquinamento, risanamento dei corpi idrici inquinati, miglioramento dello stato delle acque, perseguimento di usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, mantenimento della capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici e della capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e diversificate, mitigazione degli effetti delle inondazioni e della siccità, protezione e miglioramento dello stato degli ecosistemi acquatici, degli ecosistemi terrestri e delle zone umide direttamente dipendenti dagli ecosistemi acquatici sotto il profilo del fabbisogno idrico. Sono scopi che attengono direttamente alla tutela delle condizioni intrinseche dei corpi idrici e che mirano a garantire determinati livelli qualitativi e quantitativi delle acque» (sentenza n. 254 del 2009; in senso analogo, sentenza n. 246 del 2009) 12.
Ne consegue che la disciplina statale in materia di tutela delle acque deve essere ascritta all’area delle riforme economico-sociali, sia per il suo «contenuto riformatore», sia per la sua «attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza»13.
Rileva poi l’importanza vitale della risorsa idrica, essenziale sia per il consumo umano che per la funzione di ausilio alla vita di tutte le specie animali e vegetali.
L’indicazione dei criteri generali per un corretto e razionale uso dell’acqua risponde dunque a un interesse unitario che esige un’attuazione uniforme su tutto il territorio nazionale e non tollera discipline differenziate nelle sue diverse parti.
Le istanze oggetto di dialettica e di bilanciamento nelle scelte ad essa relative – fabbisogno idrico, tutela dei corpi idrici e degli ecosistemi, biodiversità, necessità produttive dell’economia “idrodipendente” – non possono infatti che essere ponderate unitariamente con un’operazione che solo il legislatore statale può compiere. In questo contesto devono essere qualificate come «norme fondamentali delle riforme economico-sociali» non solo le disposizioni statali direttamente espressive del modello regolatorio in tema di tutela delle acque, ma anche le previsioni, solo apparentemente di dettaglio, che siano collegate alle prime da un rapporto di coessenzialità o di necessaria integrazione 14.
Il quadro normativo
La necessità di disciplinare la materia delle acque pubbliche è stata percepita già in epoca risalente, come risulta dagli scritti del giurista Giandomenico Romagnosi 15.
Varie sono le opinioni dottrinali e giurisprudenziali in materia di giurisdizione nell’ottemperanza di una sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Il grande giurista romano Francesco Pacelli, sommo esperto nella materia delle acque pubbliche, ha indicato come la cognizione dei ricorsi in materia di acque pubbliche, essendo pertinenti alla convenienza, all’opportunità e alle modalità di esecuzione dei giudicati relativi ad atti dell’amministrazione attiva richiederebbe, e forse ancor più che la stessa pronuncia sull’azione principale, quella speciale competenza tecnica per la quale il legislatore ha ritenuto di istituire i Tribunali delle acque pubbliche 16.
In questo modo, la giurisdizione del Consiglio di Stato ex art. 27, comma 1, n. 4) R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 in materia di ottemperanza è, così, ritenuta dal Pacelli inadeguata, in favore della giurisdizione del Tribunale Superiore delle acque pubbliche. Le sentenze del Tribunale delle acque pubbliche in grado di appello sono esecutive, e il ricorso in cassazione non ne sospende l’esecuzione. Tanto si evince dall’articolo 205 del T.U. sulle acque pubbliche17, in combinato disposto con l’articolo 520 c.p.c. del 1865.
Ora il procedimento di cassazione è svolto secondo le norme del codice del 1942, ove non vi sia uno specifico rimando alle norme del T.U. o al codice del 1865. A norma dell’art. 206 del T.U.18, il quale afferma che l’esecuzione della decisione avviene in via amministrativa, salvo per la parte relativa alle spese. Il Consiglio di Stato avanti il quale è proposto il ricorso annulla il rifiuto ad ottemperare la sentenza per eccesso di potere.
L’esecuzione in forma amministrativa
Non vi possono essere incidenti di esecuzione, in quanto si tratta di esecuzione in forma amministrativa. L’amministrazione che aveva emesso il provvedimento può emetterne uno nuovo, con efficacia retroattiva e corretto dei vizi che avevano dato luogo all’annullamento 19.
Casetta ha, sul punto, sostenuto, che la disciplina dell’esecuzione della decisione si fa in via amministrativa, ad eccezione della parte relativa alla condanna alle spese (articolo 206 T.U. acque). In caso di mancata esecuzione da parte dell’amministrazione, si può utilizzare il rimedio del giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo. La cui sentenza è impugnabile per revocazione nei casi previsti dall’articolo 395 c.p.c., e alle Sezioni unite della Corte di Cassazione ex articolo 111 della Costituzione 20.
Altra autorevole dottrina ha ritenuto applicabile anche al Tribunale sulle acque la disciplina afferente all’articolo 27, n. 4 del Regio decreto sul Consiglio di Stato. Ciò con particolare riferimento alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi alle pronunce degli organi giurisdizionali competenti21. La giurisprudenza ha, per parte sua, affermato in modo salomonico, e confermando sue precedenti pronunce 22, che appartiene alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque il giudizio di ottemperanza alle sentenze rese dal medesimo tribunale in unico grado, in sede di legittimità, in materia di acque pubbliche e su interessi legittimi, mentre appartiene alla giurisdizione del complesso Tar – Consiglio di Stato (secondo le rispettive competenze interne, in rapporto all’ambito
territoriale di operatività dell’ente pubblico chiamato a ottemperare ex articolo 37 L. Tar) il giudizio di ottemperanza relativo alle pronunce emesse dal tribunale superiore in grado di appello, in materia di acque pubbliche e su diritti soggettivi 23.
L’efficacia delle sentenze
Sono immediatamente esecutive le sentenze in mancanza di contraria disposizione del T.U. in materia di acque pubbliche, e dal combinato disposto dell’articolo 208 del T.U. in materia di acque pubbliche e 112, comma 2, lettera b) del codice del processo amministrativo. Sussiste pertanto la giurisdizione del Tsap quando la sentenza non sia auto-applicativa, e la pubblica amministrazione che abbia subito condanna abbia emesso atti elusivi o in violazione della sentenza, ovvero sia rimasta inerte o vi abbia dato soltanto parziale esecuzione. Le sentenze del Tsap sono immediatamente applicative. In applicazione dell’art. 114, comma 4, lettera e) del c.p.a., il Tsap può condannare l’amministrazione inottemperante a versare una somma di
denaro alla parte che ha agito in ottemperanza.
Sulla questione a tema di questo articolo appare utile un recente contributo, secondo il quale ai sensi dell’art. 112 c.p.a. l’ottemperanza delle sentenze esecutive (anche se non passate in giudicato) mira a “conseguire l’attuazione” della sentenza e non la cristallizzazione dello status quo in attesa della decisione passata in giudicato. Pertanto, l’attuazione di tutto quanto disponga la sentenza esecutiva si conforma all’applicazione del principio di effettività, il quale impone la concreta esecuzione di quanto stabilito dal diritto sostanziale. Ciò a prescindere dal giudicato, se l’ordinamento stabilisce che la sentenza sia (provvisoriamente) esecutiva (fattispecie relativa all’annullamento di un diniego di autorizzazione unica per la realizzazione di un impianto idroelettrico in quanto basato su un parere della soprintendenza reso tardivamente e non in seno alla conferenza di servizi).
Ciò allo scopo di arrestare, anche solo parzialmente, l’attuazione in ottemperanza della sentenza del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, il procedimento tipico previsto dalla legge è quello della sospensione dell’esecutività della sentenza, di cui all’art. 111 c.p.a., per i casi di “eccezionale gravità”
1 http://www.archiviodistatovenezia.it/siasve/cgi-bin/pagina.pl?Tipo=ente&Chiave=298
2 C. HESS-E. OSTROM, La conoscenza come bene comune, Massachussets Institute of Technology 2007, trad. it. Milano
2009, Prefazione, p. XXIII.
3 C. HESS-E. OSTROM, La conoscenza come bene comune, Prefazione p. XXV.
4 C. HESS-E. OSTROM, La conoscenza come bene comune, p. 48.
5 C. HESS-E. OSTROM, La conoscenza come bene comune, p. 54- 59.
6 C. HESS-E. OSTROM, La conoscenza come bene comune, p. 29-34.
7 A. BARBERA, Commento all’articolo 2 della Costituzione, in AA. VV., Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, Bologna 1978, p. 92-120.
8 Corte costituzionale, sentenze n. 151/1986 e 22/2016.
9 F. MERUSI, Commento all’articolo 9 della Costituzione, in AA. VV., Commentario della Costituzione. Principi fondamentali, Bologna 1978, p. 445.
10 Corte costituzionale, sentenza n. 239/1982.
11 F. MERUSI, Commento all’articolo 9 della Costituzione, cit. p. 445-446.
12 Corte costituzionale, sentenza n. 229/2017.
13 Corte costituzionale, sentenze n. 229/2017 e 323/1998.
14 Corte costituzionale, sentenza n. 229/2017.
15 G. ROMAGNOSI, Della condotta delle acque e Della ragione civile delle acque, Milano 1842-43.
16 F. PACELLI, Le acque pubbliche, Padova 1934, p. 716-720; sul punto, si veda anche p. 741.
17 L’art. 205 del R. D. 11 dicembre 1933 n. 1775 (G. U. 8 gennaio 1934 n. 5) afferma: “Le sentenze emesse dal
Tribunale superiore in grado di appello sono esecutive a norma dell’articolo 554 del codice di procedura civile; il
ricorso per cassazione non ne sospende la esecuzione.”
18 Questo l’articolo 206: L’esecuzione delle decisioni emesse dal Tribunale superiore sui ricorsi previsti dall’articolo
143, si fa in via amministrativa, eccetto che per la parte relativa alle spese.
19 C. M. PRATIS, Tribunale superiore delle acque pubbliche, in AA. VV., Novissimo Digesto Italiano, Torino 1973, p. 731.
20E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2015, p. 997-1000.
21 G.CASTELLI-AVOLIO, Commento alle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici, Napoli 1936, p. 649; C. M. PRATIS,
Tribunale regionale delle acque pubbliche, in Novissimo Digesto italiano, Vol. XX, 1957-1975, p. 731.
22Tribunale superiore delle acque pubbliche, sentenza del 27 ottobre 2005, in Foro Amministrativo, Consiglio di Stato, 2005, Vol. IV, p. 3115-3116; Trib. Sup. acque, 21 luglio 2004, n. 88, ivi 2004, 3469; Tribunale superiore delle acque, sentenza del 20 gennaio 1995, in Consiglio di Stato, 1995, II, 123.
23 Tribunale superiore delle acque pubbliche, sentenza del 1 luglio 2010, in Foro Amministrativo, Consiglio di Stato, 2010, Vol. II, p. 1722-1724.
24 G. MARI, Sul limite della non irreversibilità degli effetti nell’attuazione in sede di ottemperanza di sentenze meramente esecutive, in Federalismi.it, 2016.
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