La sentenza n°46/2003, resa dal Tribunale di Ragusa (*********************************à) in data 25.01.2006, costituisce nel panorama giurisprudenziale italiano un importante elemento di novità rispetto al diverso orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n°23271/2004 (Sul punto si confronti “****** e scommesse on line: La normativa italiana contrasta con i principi europei…….ma non troppo!, a cura di Avv.Sergio Guastella)
In disaccordo con l’orientamento del Supremo Giudice, infatti, il Tribunale di Ragusa ha ritenuto di dover disapplicare la normativa italiana di cui all’art.4 della legge 401/1989 considerando la stessa in contrasto con i principi comunitari di libera prestazione dei servizi e valutando il rilevato contrasto non giustificabile alla luce dei criteri ermeneutici indicati dalla Corte Europea.
La coraggiosa decisione contiene una pregevolissima disamina dell’evoluzione normativa e dello sviluppo giurisprudenziale registratisi in materia pervenendo ad una sentenza assolutoria sulla base di una motivazione attenta e precisa che contrasta e disattende con illuminato iter argomentativo i principi espressi dalla Suprema Corte di Cassazione.
Avv.Sergio Guastella
TRIBUNALE DI RAGUSA
In nome del PopoloItaliano
Il Tribunale Penale di Ragusa, in composizione monocratica, nella persona del Giudie Dott.Michelino Ciarcià, all’udienza Pubblica del 25.01.2006 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
Con motivazione non contestuale,
Nel procedimento penale
CONTRO
(Omissis)
Tutti rappresentati e difesi dall’******************** del Foro di Ragusa, di fiducia. Mai detenuti per questa causa.
IMPUTATI
(Omissis) : in ordine al reato di cui all’art.110 c.p. e art.4, comma 4 bis Legge 401/89 per avere, in concorso tra loro, il primo in qualità di titolare della omonima ditta individuale ed il secondo in qualità di collaboratore nella gestione, abusivamente esercitato l’organizzazione di scommesse clandestine su competizioni sportive nazionali ed estere tramite internet. In Ragusa il 15.32003;
(Omissis): in ordine al reato di cui all’art.4, comma 3 Legge 401/89 per avere partecipato a scommesse clandestine su eventi sportivi nazionali ed esteri tramite internet all’interno della ricevitoria (Omissis). In Ragusa il 15.03.2002.
………….. (Omissis)
Esaurita l’istruttoria dibattimentale, premette il decidente
IN FATTO
In data 15.3.2003 Ufficiali di P.G., appartenenti al Nucleo Polizia Tributaria di Ragusa, si recavano presso il locale in cui opera la ditta (Omissis) – servizi Internet- ed ivi constatavano che tale (Omissis) era collegato, via Internet, al sito WWW2. *********** per eseguire una scommesa calndestina.
A (Omissis), gerente, in quel momento, del locale, veniva richiesto di contattare il (Omissis), intestatario delle licenza, ma quello rispondeva di non poterlo fare in quanto non ne conosceva il recapito.
Esibiva su apposito invito:
- una serie di fogli riportanti dati realtivi alle quote di partite di calcio;
- appunti reltivi a risultati e gol di partite di calcio di vari campionati europei;
- promemoria riportante i dati relativi ad una scommessa di € 50,00 effettuata in data 13-3-03 con indicazione quale utente di (Omissis) e quale cliente di tale (Omissis);
- ricevuta attestante il trasferimento della somma di € 2100 in data 9-3-2003 a favore della Bric Agent Leni Ltd – Bick Center- eseguito da (Omissis), che venivano sottoposti a sequetro.
In immediata sequenza gli operanti verificavano gli apposti files ed accertavano che le ultime connessioni risultavano effettuate con il sito sopra citato.
Pertanto procedevano pure al sequestro:
1. di tre computers, completi di accessori;
2. di un apparecchio telefono fax;
3. di un router marca Zyxel.
Ad analoga misura veniva sottoposto l’intero locale.
Concluse le preliminari indagini (Omissis), quale titolare, (Omissis), quale collaboratore, e (Omissis), quale utente, venivano condannati con decreto penale del 17-2-04.
In seguito a rituale opposizione, nel corso dell’istruttoria dibattimentale si procedeva all’esame dei testi indicati in lista ed all’acquisizione dei documenti prodotti.
Indi le parti rassegnavano le conclusioni definitive siccome in epigrafe riportate:
Alla stregua delle argomentazioni prospettate, va osservato come la soluzione della presente fattispecie implichi un preventivo esame comparativo tra
IL SISTEMA MONOPOLISTICO ITALIANO E LA NORMATIVA COMUNITARIA
L’art. 4 l. n. 401 del 1989 punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni «chiunque esercita abusivamente l’organizzazione di scommesse che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario o su attività sportive gestite dal Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall’unione italiana per l’incremento delle razze equine (Unire)».
Più in particolare, con il comma 4-bis della medesima disposizione normativa (introdotta con la l. 23 dicembre 2000 n. 388 – Legge finanziaria), il legislatore ha esteso le medesime sanzioni a «chiunque svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero».
Infatti, ai sensi dell’art. 88 r.d. 18 giugno 1931 n. 773, testo unico delle leggi di pubblica sicurezza «non può essere conceduta licenza per l’ esercizio di scommesse, fatta eccezione per le scommesse sulle corse, nelle regate, nei giuochi di palla o pallone e in altre simili gare, quando l’esercizio delle scommesse costituisca una condizione necessaria per l’utile svolgimento della gara».
Nell’ ambito di un procedimento in cui gli imputati erano accusati di aver organizzato abusivamente scommesse clandestine e di essere proprietari di centri che avrebbero effettuato attività di raccolta e trasmissione di dati all’estero in materia di scommesse, il Tribunale di Ascoli Picano sollevava, avanti la Corte di Giustizia Europea, questione di compatibilità tra il sistema penale interno e la normativa comunitaria.
L’ attività illecita consisteva in una comunicazione da parte del giocatore al responsabile della Agenzia italiana delle partite sulle quali intendeva scommettere e nell’ indicazione della somma giocata, nell’ invio da parte della predetta agenzia – via internet – della richiesta di accettazione al bookmaker, che nel caso di specie era la Stanley International Petting di Liverpool, con indicazione degli incontri di calcio nazionali e delle puntate effettuate; infine, nella trasmissione, da parte del bookmaker – sempre via internet ed in tempo reale – della conferma della accettazione.
Nell’ ordinanza di rimessione, il Tribunale rilevava come, pur essendovi delle precedenti pronunce della Corte di giustizia in tema di scommesse, riguardanti in specifico la normativa interna italiana, le questioni sollevate non fossero pienamente riconducibili alle fattispecie che erano state in precedenza interpretate e regolate, giacché la materia, con la richiamata legge finanziaria, era stata oggetto di un’innovazione legislativa.
Contestualmente, con la stessa ordinanza di rimessione, veniva sollevata questione di legittimità costituzionale, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata.
Con ordinanza n. 85 del 2002, la Corte costituzionale si pronunciava al riguardo, rilevando la manifesta contraddittorietà dell’ ordinanza di rimessione, avendo il giudice sollevato contestualmente questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia, al fine di accertare la compatibilità della normativa de qua con l’ ordinamento comunitario e dunque la sua applicabilità in quello italiano, e questione di legittimità costituzionale, presupponendo necessariamente la sua applicabilità.
Pertanto, i giudici della Consulta dichiaravano la manifesta inammissibilità della questione, con ciò lasciando alla Corte di giustizia la decisione in merito.
Con la sentenza del 6-11-03 n. 243, c.d. ********, la Corte, nel ricostruire il contesto normativo, richiama innanzitutto le disposizioni che vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi all’ interno della Comunità.
Passando ad esaminare il merito, la Corte afferma che – come riconosciuto dal Governo nazionale – la normativa italiana disciplinante i bandi di gara per le attività di scommessa all’ interno del territorio, in quanto concepita in modo che solo alcuni soggetti possano ottenere la concessione, contiene evidentemente delle restrizioni alla libertà di stabilimento.
Sotto il profilo della compatibilità della normativa con l’ art. 49 Ce, la Corte si riporta, poi, alle proprie precedenti pronunce nelle quali era già stato precisato che «l’ importazione di documenti pubblicitari e di biglietti di lotteria in uno Stato membro per far partecipare gli abitanti di detto Stato membro ad una lotteria organizzata in un altro Stato membro, si ricollega ad un’ attività di servizi (sentenza 24 marzo 1994, causa C-275/92, *********).
Analogicamente, l’attività consistente nel far partecipare i cittadini di uno Stato membro a giuochi di scommesse organizzati nel primo Stato membro, si ricollega ad un’ attività di servizi ai sensi dello art. 50 Ce».
Da ciò consegue – secondo la Corte – che, nel caso di specie, l’art. 49 Ce debba trovare applicazione con riguardo ai servizi che la ******* offre via internet a destinatari che si trovino in un altro Stato membro; di tal che, limitazioni imposte a detta attività costituiscono anche una restrizione alla libera prestazione di servizi.
In particolare, ciò vale, sia per il divieto penalmente sanzionato, di cui all’art. 4 l. n. 401, cit., di partecipare a scommesse organizzate in Stati membri diversi da quello sul cui territorio risiede il giocatore, sia per quello posto, dalla medesima norma, per gli intermediari di agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore con sede in uno Stato membro diverso da quello in cui svolgono la propria attività.
Premesso ciò, la Corte afferma che le descritte restrizioni potrebbero essere ammesse solo a titolo di misure derogatorie, espressamente previste dagli art. 45 e 46 Ce, ovvero nel caso in cui fossero giustificate, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza, da motivi imperativi di carattere generale.
Come già in altre precedenti pronunce, la Corte, infatti, precisa che le restrizioni alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi per risultare giustificate, oltre a trovare fondamento in ragioni imperative di interesse generale, devono anche essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di esso.
Pertanto sarà il giudice nazionale a dover verificare che le restrizioni imposte dalla normativa italiana non eccedano quanto necessario per conseguire l’obiettivo perseguito.
In particolare, dovrà accertare se le sanzioni penali, imposte a chi effettui scommesse nel proprio domicilio in Italia via internet con un bookmaker situato in un altro Stato membro ed agli intermediari – che facilitino la prestazione di servizi da parte di un bookmaker di un altro Stato membro – non siano sproporzionate, anche in considerazione del fatto che la partecipazione alle scommesse risulta incoraggiata dalla politica del Governo.
Fissati gli enunciati principi, ritiene l’odierno decidente che il passaggio logico successivo è quello di esaminare quale sia, nel recepimento di tali principi,
LO STATO DELLA GIURISPRUDENZA ITALIANA
La tensione fra diritto comunitario e normativa penale interna è al centro dell’ attenzione della dottrina la quale sottolinea i non trascurabili effetti dispiegati dall’ avanzata del diritto di matrice europeista sull’ ordinamento penale nazionale.
Interprete di siffatta conflittualità, la giurisprudenza, nei suoi vari livelli, ha percorso un movimento altalenante che va ora verso un eccesso di chiusura del sistema penale interno, ora verso una incondizionata «apertura europeista».
La Cassazione, dopo la citata sentenza della Corte Europea, si è decisamante schierata per il primo indirizzo stabilendo che “in tema di attività organizzata per la accettazione e raccolta di scommesse, le disposizioni di cui all’art. 4 l. 13 dicembre 1989 n. 401, ed in particolare quelle di cui al comma 4 bis del citato articolo che sanzionano lo svolgimento di attività organizzata per la accettazione e raccolta anche per via telefonica e telematica di scommesse o per favorire tali condotte in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 del r.d. 18 giugno 1931 n. 773, non sono in contrasto con i principi comunitari della libertà di stabilimento (art. 43 trattato Ue) e della libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea (art. 49), atteso che la normativa nazionale persegue finalità di controllo per motivi di ordine pubblico idonee a giustificare, ai sensi dell’art. 46 del trattato, le restrizioni nazionali ai citati principi comunitari ( Cassazione penale, sez. un., 26 aprile 2004, n. 23271).
Con ciò il giudice di legittimità ha smentito l’ opposta opzione esegetica, fatta propria invece dalla giurisprudenza di merito, che da anni è massicciamente orientata a disapplicare le incriminazioni contenute nell’ art. 4 della l. 13 dicembre 1989, n. 401 in forza del primato del diritto comunitario ( ex multis, Tribunale del Riesame di Catania del 25-6-2004 e Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala 6-6-2004, Tar Abruzzo SEnt. del 25-5-2005 n. 661, successive alla citata pronuncia delle Sezioni Unite).
In altri casi, non condividendo l’orientamento restrittivo sopra esposto, ma non volendo negare la funzione nomofilattica della Suprema Corte, i giudici di prime cure si sono orientati a ricorrere nuovamente alla Corte Europea presso la quale risultano pendenti vari ricorsi ( Tribunale di Larino, Teramo, Palermo e, da ultimo, Viterbo, ordinanza del 25-10-2005 , in Diritto & Giustizi@.it del 25-11-05).
Ulteriore via, battuta dalla giurisprudenza di merito, seppure in consistenza numericamante minoritaria, è quella del ricorso alla Consulta presso la quale pendono ricorsi per questioni di legittimità costituzionale degli artt. 88 TULPS, come richiamato dall’art. 4 , comma 4 bis legge 401/89 ( Tribunale di Teramo, ordinanza del 26-10-2004 in D&G n. 44/04).
Da ultimo sull’ identica linea delle Sezioni Unite si è posto il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5203 del 1- Marzo 29- Settembre 2005 con la quale ha statuito che la normativa italiana in materia di scommesse e pronostici, la dove esige per l’ esercizio di tali attività sia la concessione amministrativa sia l’ autorizzazione di polizia, persegue finalità di controllo per motivi di ordine pubblico e tale finalità legittima la restrizione del principi comunitari della libertà di stabilimanto e della libera prestazione di servizi ( in D & G n. 45 del 10.12.2005 , pag. 75).
Tale pronuncia, al pari di quella delle Sezioni Unite sopra citata, rappresenta, invero, un filone giurisprudenziale minoritario, mentre, di gran lunga prevalente, è quello «disapplicativo» che, forte anche della progressiva evoluzione dell’ orientamento della Corte costituzionale e della Corte europea, ha da subito recepito i principi della diretta applicabilità delle norme comunitarie.
L’ attenzione prestata dai giudici di merito alla prevalenza del diritto comunitario sul diritto penale si coglie nell’ estrema varietà delle questioni affrontate.
Proprio la materia di giochi e scommesse è stata oggetto, negli ultimi anni, di ripetute pronunce disapplicative delle previsioni incriminatrici contenute nell’art. 4 della l. n. 401 del 1989.
Il problema è sorto, per lo più, in seguito a provvedimenti cautelari di sequestro delle apparecchiature informatiche utilizzate dai centri di trasmissione dati, ritenuti corpo del reato o cose pertinenti al reatodi cui al citato art. 4 comma 4-bis l. n. 401 del 1989.
I tribunali della libertà chiamati ad esprimersi sulle istanze di riesame, pur ravvisando la sussistenza del fumus commissi delicti, sono venuti costantemente denunciando l’incompatibilità della citata violazione con gli artt. 43 e 46 Trattato Ce, che prevedono i diritti di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi nell’ ambito dei paesi dell’ Unione Europea.
E ciò proprio in adesione al fondamentale principio secondo cui ogni disposizione di diritto comunitario che presenti i requisiti della chiarezza, precisione ed incondizionalità (come quelle direttamente promananti dal Trattato Ce), è immediatamente applicabile perché di rango superiore rispetto alle norme nazionali, potendo subire, nell’ ordinamento interno, restrizioni unicamente in relazione alle esigenze di «ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica» e sempre che siano funzionali alla tutela di tali esigenze e non si rivelino sproporzionate rispetto allo scopo (art. 43 Trattato Ce).
Rilievo critico fondamentale, da parte di tale filone giurisprudenziale maggioritario, è la considerazione che la incriminazione in parola non sia per nulla supportata dall’obiettivo pubblicistico di evitare infiltrazioni della criminalità organizzata nell’ attività di scommesse, men che meno da quello di contenere le occasioni di gioco.
Ed anzi, il fatto che sul territorio italiano sia consentito un cospicuo numero di lotterie e giochi a premi, per lo più basati sulla mera casualità e con poste miliardarie, dimostra che il nostro legislatore non abbia affatto perseguito obiettivi pubblicistici di riduzione delle opportunità di gioco.
La conclusione rassegnata da tale giurisprudenza si appunta sulla ritenuta sproporzione ed inadeguatezza delle restrizioni nazionali, penalmente sanzionate, alle libertà comunitarie rispetto ai meri obiettivi di gettito fiscale realmente perseguiti dal legislatore italiano.
La dimostrazione di una simile ratio legis è rinvenuta, per lo più, nella stessa evoluzione della disciplina nazionale in materia di giochi e scommesse che, nell’ultimo decennio, ha profondamente mutato la sua primigenia configurazione, espandendo la dimensione dell’offerta.
L’iter logico argomentativo fin qui seguito, impone al decidente di ripercorrere brevemente
L’ EVOLUZIONE LEGISLATIVA IN MATERIA DI SCOMMESSE
Prima della modifica del 2001 dell’ art. 88 t.u.l.p.s., il sistema positivo si presentava caratterizzato nel suo complesso dal generale divieto di esercizio delle scommesse: in tale regime, era di palmare evidenza la finalità di contenere e di disincentivare il più possibile l’accesso massivo al gioco d’azzardo od ai pronostici in tutte le sue forme da parte degli utenti.
In base a tale normativa originaria , l’esercizio di pubbliche scommesse su competizioni sportive era sempre soggetto all’ autorizzazione di polizia di cui all’art. 88 t.u.l.p.s. e, pertanto, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, punito dall’ art. 4 l. n. 401 del 1989 l’ esercizio non autorizzato di scommesse su competizioni sportive, anche se esso si svolgesse solo in parte in territorio italiano per conto di operatori stranieri.
Dopo frammentari interventi ( attuati sempre nel contesto di norme di carattere finanziario) l’assetto normativo è totalmente mutato: all’ iniziale divieto, il legislatore italiano ha contrapposto la diffusa possibilità di esercizio di scommesse su eventi sportivi, anche esteri, introducendo il regime di affidamento «in concessione» della gestione delle lotterie e di altri giochi amministrati dallo Stato indifferentemente a privati od a società, purché offrissero «adeguate garanzie sotto il profilo economico».
In particolare, con l. n. 549 del 1993, si stabilisce che la raccolta delle giocate del lotto e dei concorsi pronostici deve essere effettuata direttamente presso le ricevitorie a ciò espressamente autorizzate, non essendo ammessa alcuna forma di intermediazione (art. 3 comma 228).
Con altre innovazione si attribuisce, poi, al Coni la facoltà di affidare la gestione delle scommesse ad esso riservate a persone fisiche, società o altri enti che offrano adeguate garanzie (art. 3 comma 229).
Il regolamento emanato in base a questa legge (d.P.R. n. 169 del 1998) prevede la possibilità che il ministero delle Finanze, d’ intesa con il ministero per le Politiche agricole, attribuisca la concessione dell’ esercizio delle scommesse sulle corse dei cavalli a persone fisiche e società con idonei requisiti anche in ordine alla solidità finanziaria, assicurando tra l’ altro la trasparenza dello assetto proprietario degli enti concessionari e la razionale e bilanciata distribuzione sul territorio nazionale della rete di raccolta e accettazione delle scommesse
Successivamente, l’ art. 37 l. n. 388 del 2000 (finanziaria 2001) ha modificato l’art. 88 t.u.l.p.s. ed ha introdotto contemporaneamente due nuovi commi al citato art. 4 l. n. 401 del 1989.
Il nuovo testo dell’ art. 88 prende atto che, nel sistema delle scommesse, la concessione a soggetti privati non è più un’ eccezione e riformula per conseguenza la necessità della licenza di polizia come regola generale, collegandola strettamente al sistema delle concessioni: infatti stabilisce che «la licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte del Ministero o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione».
Come rilevano oggi le Sezioni unite, << diventa così più esplicito quello che anche prima, in giurisprudenza, era comunque indubitabile: il privato che voglia esercitare un’attività di scommesse pubbliche deve essere munito sia dell’autorizzazione di pubblica sicurezza sia della concessione>>.
Si introduce parallelamente, nel succitato art. 4 l. n. 401 del 1989, il comma 4-bis, secondo cui le sanzioni penali previste nei commi precedenti sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 88 t.u.l.p.s., svolga un’attività organizzata diretta ad accettare o raccogliere, anche per via telefonica o telematica, scommesse di qualsiasi genere da chiunque gestite in Italia o all’estero.
Inoltre, con il nuovo comma 4-ter, si applicano le stesse sanzioni a chiunque effettui la raccolta o la prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica o telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione all’uso di tali mezzi.
Si precisa così che, per la gestione di scommesse pubbliche per via telefonica o telematica, è necessaria, oltre alla concessione e all’autorizzazione di polizia, anche una specifica autorizzazione del ministero delle Comunicazioni in relazione al mezzo impiegato.
Da ultimo interviene anche la l. n. 289 del 2002 (finanziaria 2003), la quale, con l’ art. 22, disciplina il trasferimento delle concessioni, preoccupandosi della idoneità dei locali e della razionale distribuzione degli stessi nel territorio, e stabilisce espressamente che alle procedure concorrenziali di affidamento delle concessioni possono partecipare anche le società di capitali.
Orbene, questo complesso quadro normativo di riferimento ha consentito, negli anni, un’ incredibile proliferare di nuove forme di lotterie o di concorsi su pronostico (dal «Superenalotto» al «****** e *****», per non dire del «Totocalcio», «Totogol» e, da ultimo, del «Bingo»), moltiplicando in misura crescente le opportunità di gioco che sono gestite dallo Stato, non solo direttamente, ma anche indirettamente, cioè affidandole a privati ed anche a società di capitali, il che non scongiura affatto il pericolo di infiltrazioni criminali nel controllo di tali lucrose attività .
******à in proposito attenzionare la capillare diffusione territoriale e la gestione delle molteplici sale “ Bingo” per verificare come il prospettato pericolo sia tutt’altro che ipotetico.
E pertanto doveroso, sulla base di tale situazione fattuale, riesaminare la questione de
LA COMPATIBILITA’ DELLA NORMATIVA NAZIONALE COL DIRITTO COMUNITARIO
L’ esigenza di «mantenimento» della normativa interna connessa a timori di infiltrazioni criminali, espressamante richiamata dalle SS.UU. nella sentenza dell’Aprile 2004, appare generico e poco calzante.
Secondo il giudice nomofilattico, «la legislazione italiana, volta com’è a sottoporre a controllo preventivo e successivo la gestione dell’ offerta delle lotterie, delle scommesse e dei giochi d’azzardo, si propone non già di contenere la domanda e l’offerta del gioco, ma di canalizzarla in circuiti controllabili al fine di prevenirne la possibile degenerazione criminale, sicché tale legislazione risulta compatibile col diritto comunitario».
Ora, la fragilità di quest’ assunto sta nella sua stessa apoditticità.
Come ha giustamente statuito la Corte europea con la più volte citata sentenza ********, possono giustificare le restrizioni ai principi comunitari esigenze di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode, il contenimento della propensione al gioco (c.d. ludopatia), solo se sono idonee allo scopo e se sono perseguite in modo coerente e sistematico.
Siccome lo Stato italiano persegue « una politica di forte espansione del gioco e delle scommesse allo scopo di raccogliere fondi, tutelando i concessionari del Coni », la Corte lussemburghese ha esplicitamente escluso che << laddove uno Stato membro [come l’Italia] incoraggi i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d’azzardo o alle scommesse affinché il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario», le autorità di tale Stato possano legittimamente « invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alle necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti come quello oggetto della causa principale >>.
Eppure – è la stessa Corte regolatrice ad ammetterlo – da anni il legislatore italiano, pur di incrementare il gettito fiscale, persegue una politica chiaramente espansiva in questo settore.
Ma, evidentemente, se una simile politica delle scommesse e dei giochi pronostici basta alla Corte lussemburghese per giudicare contraddetto dal diritto positivo l’ asserito scopo sociale di limitare la propensione al gioco, ciò deve indurre a ritenere l’ incompatibilità con l’ordinamento comunitario delle norme penali nazionali che regolano la materie, e pertanto ed escluderne l’applicabilità al caso concreto.
Siffatta conclusione si giustifica anche alla luce delle seguenti riflessioni in ordine a
L’ EFFICACIA DEL DIRITTO COMUNITARIO SULLE NORME INTERNE
Il dato principale per comprendere appieno il cennato fenomeno disapplicativo è la forza di penetrazione del diritto comunitario nel diritto penale degli Stati membri.
Si parla di primato, di efficacia diretta del diritto comunitario per esprimere il suo imporsi agli Stati membri, anche oltre e contro la volontà del legislatore nazionale.
Tale prevalenza automatica sulle norme interne modifica anche i contorni del diritto penale nazionale incidendo, più che sugli istituti di parte generale, sulla fisionomia strutturale o sulle conseguenze sanzionatorie delle singole fattispecie incriminatrici.
In questa sede non rileva il contestato fenomeno «espansivo» dispiegato dalle fonti comunitarie, che determina (in malam partem) la creazione, l’ estensione della risposta repressiva nazionale, bensì l’altro, opposto fenomeno «restrittivo», tendente viceversa a ridimensionare (in bonam partem) la sfera di illiceità dei sistemi penali interni di ogni Stato membro.
Trattasi di un meccanismo di più frequente verificabilità rispetto al primo e viene in considerazione ogniqualvolta il diritto comunitario, nelle materie di propria pertinenza, sancisca diritti o facoltà ovvero fissi limiti all’ imposizione di vincoli all’ esercizio dei diritti medesimi: in questo senso il diritto comunitario può incidere sull’ estensione delle cause di giustificazione previste dagli artt. 51-54 c.p.
In sostanza, ove disposizioni di fonte interna a contenuto penale si scontrino con tali «norme di libertà», queste sono destinate a prevalere con conseguente riduzione dell’ area del penalmente rilevante.
Si è parlato in proposito di «conflitto» tra la norma comunitaria e la norma incriminatrice interna ; di «incompatibilità» della normativa nazionale con la disciplina di fonte europea ; ovvero di «efficacia paralizzante» del diritto comunitario sulle norme penali nazionali; od ancora di «neutralizzazione» o di «ritirata» in generale del diritto penale.
Quale che sia la terminologia adottata, la suddetta prevalenza del diritto comunitario implica la disapplicazione – rectius- la non applicazione ( parziale o totale) delle disposizioni penali interne, le quali non vengono né caducate né abrogate ma, non applicate – limitatamente al caso di specie- riacquistando forza cogente e portata sanzionatoria nelle ipotesi in cui la fonte comunitaria non venga in rilievo.
Alla stregua del complesso di argomentazioni svolte, devono essere adottate
LE STATUIZIONI DI CARATTERE SANZIONATORIO
Per quanto fin qui detto appare rispondente a criteri di giustizia assolvere il (Omissis) ed il (Omissis) per insussistenza del fatto reato, cioè per carenza del profilo di illiceità penale, in virtù dei diritti che la normativa comunitaria riconosce in subiecta materia, normativa immediatamente applicabile nel nostro sistema penale interno.
(Omissis) va invece mandato esente da sanzione per non aver commesso il fatto, essendo risultato che egli nessun apporto concursuale ha posto in essere, in quanto semplice intestatario della licenza .
P.Q.M.
Visto l’art. 530, comma 1°, cpp
assolve
(Omissis) per non aver commesso il fatto , (Omissis) e (Omissis) perchè il fatto non sussiste.
Ragusa 25-1-2006
Il Giudice Monocratico
M. Ciarcià
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