(CORTE DI CASSAZIONE , SEZ UNITE CIVILI – sentenza 12 ottobre 2012 n. 17405)
Ai sensi dell’art. 41 del d.m. 20 luglio 2012, n. 140, che ha dato attuazione alla prescrizione contenuta nell’art. 9, 2° comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, le disposizioni con cui detto decreto ha determinato i parametri ai quali devono essere commisurati i compensi degli avvocati, in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono destinate a trovare applicazione allorchè la liquidazione sia operata da un organo giurisdizionale in epoca successiva all’entrata in vigore del medesimo decreto.
Ha precisato la sentenza in rassegna che, per ragioni di ordine sistematico e dovendosi dare all’art. 41 del d.m. 20 luglio 2012, n. 140, un’interpretazione il più possibile coerente con i principi generali cui è ispirato l’ordinamento, la disposizione stessa deve essere letta nel senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate.
Vero è che il terzo comma del citato art. 9 del d.l. n. 1/12 stabilisce che le abrogate tariffe continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, sino all’entrata in vigore del decreto ministeriale contemplato nel comma precedente; ma da ciò si può trarre argomento per sostenere che sono quelle tariffe – e non i parametri introdotti dal nuovo decreto – a dover trovare ancora applicazione qualora la prestazione professionale di cui si tratta si sia completamente esaurita sotto il vigore delle precedenti tariffe.
Non potrebbe invece condividersi l’opinione di chi, con riferimento a prestazioni professionali ( iniziatesi prima, ma) ancora in corso quando detto decreto è entrato in vigore ed il giudice deve procedere alla liquidazione del compenso, pretendesse di segmentare le medesime prestazioni nei singoli atti compiuti in causa dal difensore, oppure di distinguere tra loro le diverse fasi di tali prestazioni, per applicare in modo frazionato in parte la precedente ed in parte la nuova regolazione.
Osta ad una tale impostazione il rilievo secondo cui – come anche nella relazione accompagnatoria del più volte citato decreto ministeriale non si manca di sottolineare – il compenso evoca la nozione di un corrispettivo unitario, che ha riguardo all’opera professionale complessivamente prestata; e di ciò non si è mai in passato dubitato, quando si è trattato di liquidare onorari maturati all’esito di cause durante le quali si erano succedute nel tempo tariffe professionali diverse, giacchè sempre in siffatti casi si è fatto riferimento alla tariffa vigente al momento in cui la prestazione professionale si è esaurita ( cfr., ad esempio, Cass. N. 5426 del 2005, e Cass. N. 8160 del 2001).
L’attuale unificazione di diritti ed onorari nella nuova accezione omnicomprensiva di “compenso” non può implicare l’adozione del medesimo principio alla liquidazione di quest’ultimo, tanto più che alcuni degli elementi dei quali l’art. 4 del decreto ministeriale impone di tener conto nella liquidazione ( complessità delle questioni, pregio dell’opera, risultati conseguiti, ecc.) sarebbero difficilmente apprezzabili ove il compenso dovesse esser riferito a singoli atti o a singole fasi, anziché alla prestazione professionale nella sua interezza.
Né varrebbe obiettare che detti elementi di valutazione attengono alla liquidazione del compenso dovuto al professionista dal proprio cliente, sembrando inevitabile che essi siano destinati a riflettersi anche sulla liquidazione giudiziale effettuata per determinare il quantum delle spese processuali di cui la parte vittoriosa può pretendere il rimborso nei confronti di quella soccombente
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