Giustizia riparativa: la mediazione “della sofferenza e del disordine”

Introduzione

Un modo per “trattare” le relazioni conflittuali che quotidianamente sorgono nei vari ambiti della vita sociale è la “ mediazione”. Non si tratta di una tecnica, ma di una modalità di conduzione delle relazioni.

Diversi sono i suoi ambiti di applicazione, come quello in campo civile, familiare, penale, e questo rischia di far diventare la mediazione un fenomeno alla moda, anziché, come invece si auspica, una cultura volta al sentire empatico dell’altro, all’accoglimento del disordine generato dal conflitto, rendendo, così, possibile il cambiamento.

Regolata e disciplinata diversamente a seconda dei suoi diversi ambiti di applicazione, la mancanza di chiarezza sul concetto stesso di mediazione ha causato diffidenze e resistenze ingiustificate.

Vero è che in ogni ambito (civile familiare penale..) le esigenze sono diverse, e così pure le finalità , senza poi parlare del fatto che alcuni ambiti sono disciplinati da legge e altri no, tuttavia in tutti questi settori può essere applicata la mediazione che, nella nostra società, come un “vortice” conduce verso la costruzione della “cultura della pace”. Questa è la mediazione umanistica[1] , metodo che non conosce settorializzazioni, ma che può essere applicato in ogni conflitto.

La mediazione in ambito civile, può rappresentare il cerchio più esterno di questo immaginario “vortice”; esso coinvolge le parti che intendono ottenere la soluzione più adatta per una disputa riguardante solo diritti disponibili, ossia quelli in relazione ai quali le parti hanno un potere negoziale.

Con la mediazione in ambito familiare siamo, già, nella parte più interna del nostro “vortice”, quello più coinvolgente dal punto di vista relazionale. Essa è impiegata in tema di conflitti fra coniugi e tra conviventi, tra genitori, tra genitori e figli, con le famiglie di origine. Protagonisti del conflitto sono le emozioni, i sentimenti, ossia ciò che appartiene all’intimità della persona.

La parte centrale del nostro “vortice” la identifichiamo, invece, con la Mediazione Penale. Questo tipo di mediazione, che comprende programmi di mediazione  tra vittime e autori di reato, va al di là della negoziazione e della conciliazione.

In mediazione penale, dove l’asimmetria delle parti costituisce un fattore specifico, lo scopo è quello di far avvicinare ciò che di regola è considerato inavvicinabile, ossia la vittima e il reo, e di accogliere ciò che  non trova accoglienza nella nostra società, ossia la sofferenza e il disordine.

In questo ambito nacque e si perfezionò il “metodo” della “mediazione umanistica” di J. Morineau, che consente ai protagonisti di comprendere lo svolgersi degli eventi, la loro responsabilità, e scoprire la propria capacità di cambiare atteggiamento. Tale trasformazione avviene quando viene toccata la parte più elevata dell’uomo, quella spirituale. [2]

Origini  della Mediazione Penale

E’ intorno agli anni Sessanta e Settanta che, prima negli Stati Uniti e poi in Europa lo sviluppo di tre fenomeni hanno portato all’emergere della mediazione penale quale modalità di soluzione dei conflitti.

Il percorso antropologico

Alcuni giuristi statunitensi di formazione antropologica insoddisfatti del convenzionale sistema di giustizia, volsero la loro attenzione alle modalità di regolazione delle dispute in uso in piccole comunità africane ed in Canada, in cui il percorso di mediazione è autonomo rispetto al processo penale. Il processo è rito, è spettacolarità dell’amministrazione della giustizia. Esso può essere paragonato ad un gioco a somma zero, in cui c’è sempre una parte che vince e una che perde. Al contrario, la mediazione rifugge dalla ritualità simbolica del processo: essa è, piuttosto, un rito purificatorio in cui viene restituito alle parti il conflitto e corrisponde ad un gioco a “somma positiva”, in cui nessuno perde ed anzi ciascuna delle parti vince qualcosa sia pure attraverso reciproche concessioni[3].

Il movimento per l’abolizionismo

Affermava come la pena detentiva non avesse efficacia di prevenzione e dovesse essere solo una estrema ratio.

La riconsiderazione delle vittime

Infatti, sia la Scuola Classica, che parte dal presupposto che il reato è un’offesa nei confronti dello Stato, sia la Scuola Positiva, che sposta l’attenzione dal reato alla figura del delinquente, si disinteressano della vittima del reato la cui “riscoperta” si deve invece alla pressione politica esercitata dai movimenti a favore delle vittime. Queste le ragioni che hanno portato il modello di “Giustizia riparativa” ad essere applicato in misura sempre maggiore in tutti i paesi occidentali.

A Kitchener nell’Ontario (Canada), nel maggio del 1974 per la prima volta trovò applicazione il primo articolato programma di mediazione penale  destinato ad influenzare tutti i programmi di mediazione successivi e che avrebbe portato a un movimento di dimensioni internazionali. [4]

Fonti in materia di mediazione penale

Tra le principali norme sovrannazionali  che si riferiscono alla mediazione ricordiamo:

  • La Raccomandazione R (85) 11, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 28 giugno 1985;[5]
  • la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99, la fonte più importante e specifica all’introduzione della mediazione penale quale strumento di risoluzione dei conflitti;[6]
  • La Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee al paragrafo 103 n. 7 prevede che “I detenuti che lo desiderano possono partecipare a programmi di giustizia riparativa e riparare le infrazioni commesse[7]
  • Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia (X Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e il trattamento dei detenuti – Vienna 10-17 aprile 2000),[8]
  • La risoluzione sulla Dichiarazione di Vienna su criminalità e giustizia: nuove sfide nel XXI secolo (Assemblea Generale delle Nazioni Unite – n. 55/59 del 04/12/2000),[9]
  • La Decisione quadro del Consiglio dell’Unione europea relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (2001/220/GAI del 15 marzo 2001)[10]

La giustizia ripartiva

La Mediazione Penale, alla luce delle linee guida della Raccomandazione n° 19 (99) del Consiglio d’Europa è un “procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore) ”.

Con la Giustizia ripartiva, di cui la Mediazione Penale ne costituisce una delle forme più compiute, è data attenzione all’aspetto personale e sociale che investe il crimine.

Come spiega uno dei suoi fondatori Howard Zehr, la “restorative justice” si distingue dal modello di Giustizia tradizionale che tende a considerare astrattamente il reato come “violazione di una norma” e la pena come “conseguenza giuridica” che sanziona tale condotta.[11]

Quando noi parliamo di Giustizia, ci riferiamo molto spesso al sistema che prevede:

  • per chi ha commesso un reato, di essere retribuito attraverso l’applicazione di una pena che richiami il male che ha fatto;
  • per la vittima, di soddisfare il desiderio (per altro negativo) di vendetta.

Per il resto sia la vittima sia il responsabile del suo dolore sono lasciati completamente da soli.

Diversamente, la Restorative Justice propone una sorta di equazione per la quale “Il crimine è una violazione delle persone e delle relazioni interpersonali; le violazioni creano obblighi; l’obbligo principale è quello di ‘rimediare ai torti commessi’ (‘per rimediare ai torti’)[12].

La Giustizia Ripartiva, coinvolgendo il reo, la vittima e la comunità, tende a dare una risposta al reato attraverso la ricerca di possibili soluzioni agli effetti negativi e devastanti generati dall’azione criminosa e al fattivo impegno di porvi rimedio; essa si presenta come una possibilità di scelta alla risposta della trasgressione.

Suo obiettivo non è la punizione del reo bensì la rimozione delle conseguenze del reato attraverso l’attività riparatrice da parte dello stesso: vittima e reo con l’aiuto del mediatore (figura terza e imparziale) diventano protagonisti del processo.

Nella mediazione penale, dunque, la vittima ha la possibilità di gridare il proprio dolore, e far emergere i propri bisogni e i propri interessi mentre, il reo avrà la possibilità di adoperarsi in favore della vittima rimediando al suo crimine. La paura piuttosto che il disagio o il rancore verso chi ha operato ai suoi danni se non sarà né potrà essere gestita dalle istituzioni, al contrario, avrà la possibilità di essere gestita attraverso il canale comunicativo offerto dalla mediazione:

  • la vittima avrà la possibilità oltre che di avere risposte alle sue domande anche di esprimere l’impatto che il reato subito ha avuto sulla sua persona e nella sua vita;
  • l’autore del reato, messo di fronte a ciò che ha commesso, avrà la possibilità di compiere un gesto positivo che può essere anche “simbolico” verso il danneggiato.

La mediazione penale è dunque un percorso di incontro, confronto e dialogo tra il reo e la vittima del reato, per permettere il passaggio dalla violenza al riconoscimento della sofferenza, dal disordine alla costruzione di un nuovo ordine. Quale procedura, volontaria, informale e flessibile, permette, ove possibile, di evitare la pena e, in certi casi, anche il processo “cercando di superare la logica del castigo”.[13]

Per quanto riguarda il sistema penale ordinario italiano, sono poche le disposizioni nell’ordinamento che permettono la possibilità di dare attuazione alla mediazione penale, raccomandata dalle disposizioni comunitarie e internazionali. Finora, infatti, ha trovato riconoscimenti limitati agli ambiti del rito minorile e del processo davanti al giudice di pace.

La legge processuale penale entrata in vigore nel 1989 conferisce al Pubblico Ministero il potere di tentare la conciliazione tra la vittima e l’autore del reato solo per i reati perseguibili a querela di parte.

Un ampliamento delle possibilità di applicazione della mediazione penale agli adulti si è configurata per effetto delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 274/2000 contenente “Disposizioni in materia di competenza penale del Giudice di Pace” entrato in vigore il 2 gennaio 2002. L’art. 29 del succitato decreto, infatti, stabilisce che il Giudice di Pace promuove la conciliazione tra le parti quando il reato è perseguibile a querela di parte. In tal caso il Giudice può rinviare l’udienza ed ove occorra avvalersi dell’attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio.[14]

In questi casi, in verità, ci si riferisce a istituti con finalità diverse e che non somigliano minimamente alla mediazione come strumento di risoluzione delle controversie.

Com’è noto, il processo non ha spazi adeguati tali da consentire di prestare attenzioni alle esigenze fisiche e psicologiche della vittima, di permettere il confronto e il dialogo tra reo e vittima, e di incoraggiare l’auto-responsabilizzazione del reo, per cui capita spesso che, a seguito di una sentenza,  la conflittualità tra le parti si accresce e nel reo si ingenera una situazione di malcontento e frustrazione, con il correlato rischio di commissione di nuovi e ulteriori reati.

La mediazione penale si pone dunque quale strumento di riconciliazione tra autori di reato, vittime e società, in cui le parti sono coinvolte in prima persona e l’obiettivo del mediatore è quello di trasformare la relazione “tra antagonisti” in relazionetra persone che si assumano responsabilità[15].

La mediazione penale viene costantemente ricollegata alla concezione della “giustizia riparativa”, cioè di «un modello di giustizia che coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni al conflitto, allo scopo di promuovere la riparazione, la riconciliazione e il rafforzamento del senso di sicurezza»[16].

Questa “nuova giustizia” attraverso lo strumento della mediazione vuole tutelare la vittima del reato attraverso la riparazione spontanea del danno (economico, fisico e psicologico) e consente all’autore di recuperare la stima di sé riconoscendosi nella capacità di compiere un atto positivo. La mediazione, in quanto forma di gestione e non di risoluzione del conflitto è un gioco in cui o vincono tutti o non vince nessuno .

In Italia siamo ancora agli albori nella pratica di mediazione penale, tuttavia sembrano esistere gli ingredienti per lo sviluppo di questo strumento di gestione del conflitto. I segnali più importanti in tal senso sono stati quelli forniti dalle esperienze di mediazione penale minorile in alcune aree geografiche, nate su iniziativa di singoli soggetti che con il loro lavoro volontario hanno dato  vita a delle prassi di mediazione penale molto efficienti. I risultati delle attività di mediazione portate avanti in questi anni dai diversi centri sono stati positivi.

Una volta superata la diffidenza della persona offesa dal reato verso l’incontro ed il confronto con il minore autore del reato, si è fatto un passo avanti importante in un percorso per “spezzare la catena del male”. Il successo della mediazione può avvenire solo in contesti in cui ad  entrambe le parti vengono riconosciuti uguali diritti e uguali spazi, ed il mediatore sia riuscito ad assumere nei loro confronti un ruolo di imparzialità.

Se il giudice è per definizione neutrale ed equidistante rispetto alle parti- nec utrum, l’uno l’altro-, il mediatore si pone come equiprossimo alle parti (sia l’uno che l’altro)[17] .

Se il linguaggio del giudice è “quello di chi deve decidere quando il conflitto non può essere sanato”, poiché “il giudice, dice il diritto, decide e dice l’ultima parola sulla base della legge”, “la mediazione, per essere mediazione, deve parlare un altro linguaggio, il linguaggio del potrebbe essere diversamente, che non è certo il linguaggio del giudice”[18]. Dunque il linguaggio del mediatore, che è quello della “possibilità alternativa”, è lontano oltre che dal linguaggio del Giudice anche dell’Avvocato poiché, rispettivamente, l’uno è“chi deve decidere”, l’altro “ chi deve difendere e rappresentare”.

Pertanto, quando come molto spesso accade, il Giudice o l’Avvocato s’improvvisano mediatori, se non acuiscono ulteriormente i sentimenti negativi provocati dall’evento reato, riescono ad ottenere un “effimero falso accordo” dettato e finalizzato alla convenienza giacché collegata a una determinata situazione.[19]

La presa in carico degli effetti dei conflitti che hanno a che fare con la commissione di un reato richiede, da parte dei mediatori, profonde capacità di gestire le emozioni e i sentimenti  espressi sia dell’autore del reato che della vittima.

Jacqueline Morineau, referente principale per la mediazione e per la formazione alla mediazione penale di Parigi e fondatrice del cosiddetto metodo umanistico, afferma che la mediazione è un contenitore privilegiato per accogliere il disordine, cioè il conflitto, o meglio l’insieme dei sentimenti, delle emozioni e dei vissuti di sofferenza che il soggetto prova rispetto al conflitto[20].

La Morineau per descrivere il ruolo e la funzione del mediatore usa una metafora:” Lo strumento del mediatore è lo specchio: il mediatore si pone, infatti, quale specchio che accoglie le emozioni dei protagonisti, per rifletterle[21]. Lo scopo per cui la Morineau ha sostenuto la pratica della mediazione è di promuovere una cultura della pace, una cultura di risoluzione pacifica dei conflitti, in una società che non ha più un posto per accogliere tali conflitti.

Lei accosta la mediazione alla tragedia greca, perché quest’ ultima era stata creata dai greci per consentire agli spettatori di confrontarsi con la sofferenza dei personaggi, al fine di comprendere lo svolgersi degli eventi, la loro responsabilità e scoprire la propria capacità di cambiare atteggiamento.

La Morineau propone un tipo di lavoro che richiede un mediatore accogliente ed empatico, lontano dallo stereotipo del mediatore scaltro, negoziatore, lucido risolutore di problemi, capace di rendersi catalizzatore tra la parola espressa dai soggetti durante la mediazione e il significato reale che si cela dietro la parola. Significativo è rilevare che analizzando il modello umanistico della Morineau si scopre che esso rispecchia la pedagogia di Gesù: l’accoglienza, il non giudicare, l’aprire una strada. [22]

Volume consigliato 

[1] Jacqueline Morineau (Francia 1934)  “ideatrice” e massimo esponente a livello internazionale della mediazione umanistica.

[2] J. Morineau, Il mediatore dell’anima – Servitium  Editrice, 2010

[3] CASTELLI, La mediazione. Teorie e tecniche, Milano, 1996,  p. 40.

[4] Silvio Ciappi, Anna Coluccia Giustizia Criminale- Retribuzione, riabilitazione e ripartizione: modelli e strategie di intervento penale a confronto- Franco Angeli 1997  pag.117 “Un probation officer di religione mennonita dinanzi a due giovani accusati di aver compiuto atti vandalici sotto l’effetto di sostanze alcoliche furono condannati al pagamento di una multa e furono assegnati a un programma di probativo per un periodo di diciotto mesi. Sulla base delle indicazioni contenute nel Presentence Investigation Report, il giudice impose ai due giovani il pagamento di una somma a titolo di restituzione, da versare alle vittime del reato; grazie all’iniziativa del probativo officer cui erano stati affidati e alla disponibilità del giudice, fu organizzato un incontro fra gli autori del reato e le loro vittime durante il quale i de giovani consegnarono a queste la somma disposta dal giudice a titolo di risarcimento.Ciò inoltre permise alle vittime di rivolgere alcune domande ai due giovani circa le modalità e i motivi del reato. Le reazioni delle vittime all’incontro furono molteplici: infatti mentre alcune di esse si dichiararono soddisfatte per aver ottenuto il risarcimento del danno nonché le scuse di chi lo aveva causato, o mostrarono un atteggiamento comprensivo verso i due giovani poco più che adolescenti, vi fu anche chi si dimostrò ostile a tale incontro o ritenne troppo bassa la cifra stabilita dal giudice, calcolata solo sul danno emergente.”

[5] www.Giustizia.it Ha affrontato, per la prima volta in termini generali, il tema della “posizione della vittima nell’ambito del diritto e della procedura penale” affermando che “una funzione fondamentale della giustizia penale deve essere quella di soddisfare le esigenze e salvaguardare gli interessi della vittima”, di cui è necessario “tenere maggiormente in conto.. il danno fisico, psicologico, materiale e sociale subito

[6] Consiglio d’Europa, Raccomandazione n° (99)19 adottata il 15/09/1999, Mediazione in Materia Penale, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla mediazione penale, Strasburgo, 1999. Ha definito la mediazione in ambito penale come un procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo indipendente. La stessa Raccomandazione specifica che ogni procedimento riparativo deve essere posto in atto soltanto con il libero e volontario consenso delle parti, consenso che le parti possono ritirare in ogni momento.

[7] www.giustizia.it

[8]Maria Pia Giuffrida (Dirigente Generale dell’Amministrazione Penitenziaria e Presidente della Commissione di studio “Mediazione Penale e Giustizia riparativa”)

in  http://www.ristretti.it/areestudio/alternative/riparazione/comunita.htm  – “Con cui gli Stati membri si impegnano alla promozione del principio di legalità ed al potenziamento del sistema giustizia penale, nonché allo sviluppo ulteriore della cooperazione internazionale nella lotta alla criminalità transnazionale ed all’effettiva prevenzione della criminalità. Alcuni punti della dichiarazione trattano specificatamente la definizione di impegni verso l’introduzione di “adeguati programmi di assistenza alle vittime del crimine, a livello nazionale, regionale, ed internazionale, quali meccanismi per la mediazione e la giustizia riparatrice” individuando nel 2002 il “termine ultimo per gli Stati per rivedere le proprie pertinenti procedure, al fine di sviluppare ulteriori servizi di sostegno alle vittime e campagne di sensibilizzazione sui diritti delle vittime, e prendere in considerazione l’istituzione di fondi per le vittime, oltre allo sviluppo e all’attuazione di politiche per la protezione dei testimoni (art. 27)”. L’art. 28 recita inoltre “Incoraggiamo lo sviluppo di politiche di giustizia riparatrice, di procedure e di programmi rispettosi dei diritti, dei bisogni e degli interessi delle vittime, dei delinquenti, delle comunità e di tutte le altre parti.

[9] Maria Pia Giuffrida in http://www.ristretti.it/areestudio/alternative/riparazione/comunita.htm – “Recepisce i contenuti della dichiarazione di Vienna. Gli Stati membri, prendono atto della necessità di accordi bilaterali, regionali e internazionali sulla prevenzione del crimine e la giustizia penale, nel convincimento che i programmi di prevenzione e di riabilitazione sono fondamentali quali strategie di effettivo controllo della criminalità e che un’adeguata politica criminale rappresenta un fattore importante nella promozione dello sviluppo socio-economico e della sicurezza dei cittadini. Si afferma altresì la consapevolezza dell’importanza dello sviluppo di forme di giustizia riparativa che tende a ridurre la criminalità e promuove la ricomposizione delle vittime, dei rei e delle comunità. La risoluzione fa propri gli obiettivi definiti dagli artt. 27 e 28 della Dichiarazione di Vienna in ordine allo sviluppo di piani d’azione in supporto delle vittime, nonché forme di mediazione e di giustizia riparativa, stabilendo come data di scadenza per gli Stati membri il 2002”.

[10] Maria Pia Giuffrida in http://www.ristretti.it/areestudio/alternative/riparazione/comunita.htm – “Adottata nell’ambito del cosiddetto “Terzo Pilastro” dell’Unione europea, sulla scorta delle determinazioni assunte nel vertice di Tampère. Con essa gli Stati membri adottano una regolamentazione quadro relativa al trattamento da riservare alle vittime del reato. In particolare oltre a definire il concetto di vittima ed i suoi diritti la decisione quadro chiarisce che la mediazione nelle cause penali è la ricerca – prima o durante lo svolgimento del procedimento penale – di una soluzione negoziata tra la vittima e l’autore del reato con la mediazione di una persona competente. Ciascuno Stato si impegna a definire dei servizi specializzati che rispondano ai bisogni della vittima in ogni fase del procedimento, adoperandosi affinché la stessa non abbia a subire pregiudizi ulteriori e inutili pressioni. Si impegnano ancora ad assicurare l’adeguata formazione professionale degli operatori. Gli Stati sono vincolati a fare entrare in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie ai fini dell’attuazione della decisione quadro, entro scadenze vincolanti e precisamente: entro il 22 marzo 2002 la predisposizione delle necessarie disposizioni attuative, di ordine legislativo, regolamentare e amministrativo; entro il 22 marzo 2004 la definizione delle garanzie in materia di comunicazione e di assistenza specifica alla vittima; entro il 22 marzo 2006 la implementazione della mediazione nell’ambito dei procedimenti penali e l’indicazione dei reati ritenuti idonei per questo tipo di misure, nonché la garanzia che eventuali accordi raggiunti tra la vittima e l’autore del reato nel corso della mediazione nell’ambito dei procedimenti penali vengano presi in considerazione.”

[11] H. Zehr, The Little Book of Restorative Justice, Intercourse (PA), Good Books 2002, p. 19

[12] H. Zehr, op.cit.

[13] Catalfamo Caterina – Giustizia ripartiva:la mediazione penale in  www.diritto.it

[14] www.giustizia.it

[15] F. Brescia e E. De Vito, Una risposta al conflitto: la Mediazione di, www.lamediazione.it.

[16] Definizione di Giustizia riparativa in progetto M.E.D.I.A.Re.“Mutual Exchange of Data and Information About Restorative Justice”, promosso dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Contributo di Transcrime alla ricerca,Rapporto finale, Roma 18-19 giugno 2004, in www.giustizia.it

[17] Resta 2001, Compendio di criminologia,di G. Ponti, pag.468

[18] Resta 2003, Compendio di criminologia,di G. Ponti, pag.469

[19] Catalfamo Caterina op.cit. www.diritto.it

[20] J. Morineau, Lo spirito della mediazione di Franco Angeli 2000-2003

[21] J. Morineau, op.cit. pag.79

[22] J.Morineau, Il mediatore dell’anima,pag.118  “Per condurre i medianti su questo cammino, i mediatori hanno bisogno di imparare a uscire da se stessi, a dimenticare se stessi per diventare trasparenti, specchio limpido, per poter ricevere l’immagine dell’altro, della sua sofferenza. Non è forse questo che il Cristo ha fatto per noi?” Come sottolinea la Morineau nel suo libro “Il mediatore dell’anima”, a Gesù non si interessa delle cause dell’atto commesso, non fa la morale, ma mette in risalto la ferita della persona. Cristo è il solo Mediatore e noi siamo dei canali per lasciare agire lui.

 

 

Mediatore Civile Catalfamo Caterina

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