Gli accertamenti bancari e finanziari costituiscono,oggi, uno lo strumento sempre più utilizzato dall’Amministrazione Finanziaria per procedere all’accertamento dei redditi dei contribuenti. L’attuale configurazione dell’istituto in esame è stata preceduta da una serie di fasi che ne hanno a poco a poco delineato la struttura.
Prima fase ( dal 1 gennaio 1974 al 23 luglio 1982).
Fino al 1971, in Italia, si riteneva che il segreto bancario non potesse subire deroghe ai fini delle indagini fiscali. L’istituto del segrete bancario, infatti, seppure non previsto, in via generale, espressamente da alcuna norma ( ved. , per un’applicazione di esso, art 10 DLG 385/93), si riteneva discendesse da quelle, di provenienza costituzionale, relative alla tutela del risparmio e alla libertà di investimento – art 47 della Costituzione, La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme-.
La legge delega 9 ottobre 1971 n. 825,però, seppur molto timidamente, consentì la previsione di deroghe al segreto bancario. L’art. 10, n.12 di detta legge, infatti dispose l’introduzione, limitata a ipotesi di particolare gravità , di deroghe al segreto bancario nei rapporti con l’amministrazione finanziaria, tassativamente determinate nel contenuto e nei presupposti. Questa delega portò all’emanazione dell’art. 32, comma 1 n. 7 e dell’art. 35 del DPR 600/73. L’art. 32, comma 1, n. 7 prevedeva che gli uffici delle imposte per l’adempimento dei loro compiti potevano richiedere ad aziende e istituti di credito e all’amministrazione postale i documenti indicati nell’art 35. Quest’ultimo – rubricato deroghe al segreto bancario- disponeva che l’ufficio delle imposte dirette, su conforme parere dell’ispettorato compartimentale delle imposte dirette, e previa autorizzazione del presidente della commissione tributaria di primo grado territorialmente competente, poteva chiedere ad aziende ed istituti di credito e all’amministrazione postale di trasmettere, entro un termine non inferiore a sessanta giorni, la copia dei conti intrattenuti con il contribuente, con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti comprese le garanzie prestate da terzi. Tale richiesta di copia dei conti poteva, però, essere avanzata solo :
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quando il contribuente non avesse presentato la dichiarazione dei redditi e l’ufficio era in possesso di elementi certi dai quali risultava che nel periodo di imposta lo stesso contribuente avesse conseguito ricavi o altre entrate per ammontare superiore a cento milioni di lire ovvero, se persona fisica, avesse acquistato beni considerati di lusso per ammontare superiore a venticinque milioni di lire;
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quando da elementi certi in possesso dell’ufficio risultasse che il contribuente avesse conseguito nel periodo di imposta ricavi o altre entrate, rilevanti per la determinazione dell’imponibile, per ammontare superiore al quadruplo di quelli dichiarati, a meno che la differenza fosse inferiore a cento milioni di lire;
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quando il contribuente non avesse tenuto per tre periodi di imposta consecutivi le scritture contabili prescritte dagli artt. 14, 18, 19 e 20.
Come si vede la deroga al segreto bancario era molto limitata e riguardava solo l’accertamento delle imposte sui redditi e non anche quello ai fini IVA (l’art 51 del DPR 633/72, nel testo vigente all’epoca, infatti, prevedeva che gli uffici IVA, per l’adempimento dei loro compiti, potevano …5) richiedere la comunicazione di dati e notizie alla Guardia di Finanza, agli uffici doganali ed ad ogni altra pubblica amministrazione o ente pubblico, fatta eccezione per gli istituti e d aziende di credito per quanto attiene ai loro rapporti con i clienti, per l’amministrazione postale per quanto attiene ai dati relativi ai depositi, conti correnti e buoni postali…
Anche se v’è da aggiungere che, superati tutti questi ostacoli, l’accertamento bancario poteva riguardare anche i conti successivi al periodo o ai periodi di imposta cui si riferivano i fatti legittimanti l’accertamento e poteva essere estesa ai conti cointestati al coniuge non legalmente ed effettivamente separato ed ai figli minori conviventi ( art 32, penultimo comma, DPR 600/73)
Seconda Fase ( 23 luglio 1982 – 31 dicembre 1991)
Con il DPR 15 luglio 1982 n. 463:
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rimane invariato il regime autorizzatorio alle indagini bancarie;
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viene prevista, la possibilità di richiedere, sempre solo alle aziende e istituti di credito e all’amministrazione postale, oltre alla copia dei conti, ulteriori dati e notizie di carattere specifico relativi agli stessi conti; ciò, però, solo dopo la ricezione della copia dei conti;
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le indagini bancarie vengono estese, ma solo nel caso di false fatturazioni, ai conti intestati ai soci delle società di fatto nonché agli amministratori delle società in nome collettivo e in accomandita semplice in carica nel periodo o nei periodi di imposta in cui le fatture sono state emesse o utilizzate;
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la deroga al segreto bancario viene allargato all’accertamento ai fini IVA, con l’introduzione del n. 7 al secondo comma dell’art. 51 del DPR 633/72 e dell’art 51 bis dello stesso DPR;
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viene introdotta una presunzione legale relativa di imponibilità dei dati bancari, sia per le imposte dirette che per l’IVA;
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viene, infine, prevista la possibilità di un accesso diretto da parte dei funzionari dell’amministrazione finanziaria presso le banche e l’amministrazione postale, ma nel solo caso in cui queste ultime non abbiano ottemperato alla richiesta di informazioni
Terza fase 1 gennaio 1992 – 28 dicembre 1995
Co la legge 413/1991 le indagini bancarie subiscono una svolta e da strumento di accertamento straordinario diventano uno dei mezzi attraverso il quale il fisco procede alla determinazione della propria pretesa.
Con l’art. 18 di detta legge,infatti, vengono abrogati gli art. 35 del Dpr 600/73 – art. 18, comma 1, lett.h) – e 51 bis del Dpr 633 /72 – art.18, comma 2, lett.e)-, viene riscritto il n.7, del primo comma dell’art. 32 del DPR 600/73- il quale, dunque, prevede che gli uffici possono richiedere, previa autorizzazione dell’ispettore compartimentale delle imposte dirette ovvero, per la Guardia di finanza, del comandante di zona, alle aziende e istituti di credito per quanto riguarda i rapporti con i clienti e all’Amministrazione postale per quanto attiene ai dati relativi ai servizi dei conti correnti postali, ai libretti di deposito ed ai buoni fruttiferi postali, copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti, comprese le garanzie prestate da terzi; ulteriori dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi agli stessi conti possono essere richiesti con l’invio alle aziende e istituti di credito e all’amministrazione postale di questionari redatti su modello conforme a quello approvato con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro. La richiesta deve essere indirizzata al responsabile della sede o dell’ufficio destinatario che ne dà notizia immediata al soggetto interessato; la relativa risposta deve essere inviata al titolare dell’Ufficio procedente. –viene modificato anche il n. 7 del secondo comma dell’art.51 del dpr 633/72.
Ne deriva che:
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vengono eliminati, con l’abrogazione degli art 35 del DPR 600/73 e 51 bis del DPR 633/72, i ristretti presupposti in presenza dei quali era possibile derogare al segreto bancario per gli accertamenti fiscali
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viene abolito il sistema del cosiddetto doppio filtro autorizzatorio: non più, dunque, parere conforme dell’ispettore compartimentale e autorizzazione del presidente della commissione tributaria di primo grado ma solo autorizzazione dell’ispettore compartimentale e per la Guardia di finanza, del comandante di zona;
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viene prevista l’istituzione , con decreto del Ministro del Tesoro, di concerto con quello delle Finanze, di un’anagrafe dei conti e dei depositi che dovrà raccogliere tutti i dati identificativi, compreso il codice fiscale,trasmessi, non solo dalle aziende ed istituti di credito, ma anche dalle società fiduciarie e di ogni altro intermediario finanziario relativi ad ogni soggetto che intrattenga con loro rapporti di conto o deposito o che comunque possa disporre del medesimo – art. 20, IV comma legge 413/1991;
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viene esteso il raggio di azione della presunzione legale di imponibilità dei dati bancari, con l’inclusione anche di quelli acquisiti in sede penale ( art. 18, comma 1, lett.a) e comma 2, lett.a) , legge 413/91;
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viene introdotto un obbligo di comunicazione da parte delle aziende ed istituti di credito e dell’amministrazione postale al soggetto nei cui confronti sono svolte le indagini bancarie.
Le deroghe al segreto bancario come previste dalla legge 413/91 vengono ritenute conforme ai principi costituzionali dalla sentenza n.51/92 della Corte Costituzionale
Quarta fase dall’1 gennaio 1996 al 30 dicembre 2004
La mancata istituzione dell’anagrafe dei conti e dei depositi rendeva estremamente difficile lo svolgimento delle indagini bancarie, essendo gli uffici costretti a rivolgere le loro richieste a tutte le banche presenti sul territorio nazionale.
Con la legge 28 dicembre 1995 n. 549, art. 3, commi 177 e 178, fu introdotto un n.6 bis rispettivamente all’art. 52, secondo comma del Dpr 633/72 e all’art. 32, primo comma del DPR 600/73. Tale disposizione prevedeva che gli uffici, previa autorizzazione del direttore regionale delle entrate, e la Guardia di finanza, previa autorizzazione del comandante di zona, potevano richiedere ai soggetti sottoposti ad accertamento, ispezione o verifica,il rilascio di una dichiarazione contenente l’indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei rapporti intrattenuti con aziende ed istituti di credito, con l’amministrazione postale, con società fiduciarie ed ogni altro intermediario finanziario nazionale o straniero, in corso ovvero estinti da non più di cinque anni dalla data della richiesta.
Con tale norma, dunque,viene previsto il potere degli uffici e della Guardia di finanza di richiedere direttamente ai contribuenti i dati necessari per l’indagine bancaria; solo che, potendo detto potere essere esercitato solo a seguito di accertamento, verifica o ispezione nei confronti dello stesso contribuente, non poteva essere utilizzato per iniziare l’attività di accertamento, ma solo ai fini della determinazione del quantum della pretesa fiscale.
Successivamente, con DI n.269/2000, viene disciplinata l’anagrafe dei conti e dei depositi; anagrafe che, però, non è mai entrata in funzione.
Quinta fase dall’1 gennaio 2004 al 4 luglio 2006
Con la legge 30 dicembre 2004 n. 311 vengono estese le garanzie autorizzatorie fin a quel momento previste per il segreto bancario anche all’acquisizione delle notizie di natura finanziaria – che prima potevano essere assunte sulla base della più snella procedura di cui al n. 5 degli artt. 32 del DPR 600/73 e 51 del DPR 633/72-.
Inoltre:
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le informazioni finanziarie possono esser chieste non più solo alle banche e alla società Poste italiane ma anche agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie;
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si possono chiedere non più solo copia dei conti e dei depositi, con la specificazione dei rapporti inerenti o connessi e delle eventuali garanzie prestate da terzi, ma anche dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi
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Viene riscritto il sesto comma dell’art. 7 del DPR 605/73 il quale, dunque, dispone che la banche, la società poste italiane spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario … sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui qualsiasi operazione di natura finanziaria.
Sesta fase dal 4 luglio 2006 ad oggi
Con il DL 4 luglio 2006 n. 223, convertito con la legge 4 agosto 2006 n. 248 viene di nuovo modificato il sesto comma del DPR 605/73, il testo del quale risulta, perciò, essere il seguente:Le banche, la società Poste italiane spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario… sono tenuti a rilevare e a tenere in evidenza i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro; l’esistenza dei rapporti e l’esistenza di qualsiasi operazione di cui al precedente periodo , compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi sono comunicate all’anagrafe tributaria, ed archiviate in apposita sezione, con l’indicazione dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, compreso il codice fiscale.
Sempre la legge 248/2006 ha apportato ulteriori modifiche agli art. 32, primo comma n.7 dpr 600/73 e all’art 51, secondo comma n.7 del dpr 633/72 ed ha esteso l’utilizzo delle indagini finanziarie anche ai fini dell’accertamento dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali ( art. 35, comma 24 che ha introdotto l’art.51 bis al dpr 131 1986)
DISCIPLINA ATTUALE DELLE INDAGINI BANCARIE
Il testo attuale dell’art. 32 , primo comma n. 7 del DPR 600/73 prevede che gli uffici delle entrate e la Guardia di finanza, per l’adempimento dei loro compiti,possono richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate e del direttore regionale della stessa, ovvero,per il corpo della Guardia di finanza, del comandante regionale, alle banche, alla società Poste italiane spa, per le attività finanziarie e creditizie, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio,alle società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto o operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi. Alle società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939 n. 1966,e a quelle iscritte nella sezione speciale dell’albo di cui all’art.20 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al DLGS 24 febbraio 1998 n.58, può essere richiesto, tra l’altro, specificando i periodi temporali di interesse, di comunicare le generalità dei soggetti per conto dei quali esse hanno detenuto o amministrato o gestito beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese, inequivocamente individuati. La richiesta deve essere indirizzata al responsabile della struttura accentrata, ovvero al responsabile della sede o dell’ufficio destinatario che ne dà notizia immediata al soggetto interessato; la relativa risposta deve essere inviata al titolare dell’ufficio procedente.
Al riguardo l’art. 2, comma 14 ter del DL 30 settembre 2005, convertito dalla legge 2 dicembre 2005 n. 248 dispone che per i periodi di imposta antecedenti al 1° gennaio 2006 e relativamente alle richieste di cui agli artt. 32, primo comma, numero 7) DPR 600/73 e 51, secondo comma , n.7, del DPR 633/72… i soggetti destinatari ivi indicati utilizzano, ai fini delle risposte relative ai dati, notizie e documenti riguardanti operazioni non transitate in un conto, le rilevazioni effettuate ai sensi dell’art. 2 del DL 3 maggio 1991 n.143, convertito con modificazioni , dalla legge 5 luglio 1991 n. 197, e dei relativi provvedimenti di attuazione ( e cioè della normativa relativa all’antiriciclaggio) .
Dalla lettura delle norme in esame, coordinata con quella dei nn. 6bis di cui agli artt. 32, comma 1 della Dpr 600/73 e 51, secondo comma del DPR 633/72 e del sesto comma dell’art.7 del Dpr 605 /73, si ricava che attualmente:
– 1) le banche, la società Poste italiane spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario devono comunicare tutte le informazioni di cui al su citato sesto comma dell’art.7 del DPR 605/73 all’anagrafe tributaria, dove vengono archiviate in apposita sezione; detta comunicazione avviene telematicamente attraverso l’utilizzo della posta elettronica certificata, della quale si doveva dotare ogni operatore finanziario fin dal 2006 e si dovrà dotare ogni nuovo intermediario finanziario; dal confronto del testo attuale della norma con quello introdotto dalla legge 413/91 si nota la scomparsa delle società fiduciarie dall’elenco dei soggetti obbligati a rilevare, tenere in evidenza e trasmettere all’anagrafe tributaria le informazioni finanziarie; società fiduciarie che, invece, rimangono destinatarie, a norma degli art, 32 dpr 600/73 e 51 633/72 delle richieste di informazioni finanziarie da parte degli uffici e della Guardia di Finanza. A detta omissione ha posto parziale rimedio il DL 223/2006, convertito nella legge 248/2006, il quale ha previsto che gli altri operatori finanziari obbligati alle comunicazioni all’anagrafe tributaria provvedano alla identificazione delle società fiduciarie che pongano in essere operazioni finanziarie. Tale rimedio,però, non garantisce l’effettiva individuazione dei soggetti che utilizzano una società fiduciaria per compiere operazioni finanziarie, atteso che il sistema può rilevare solo la fiduciaria che pone in essere in singolo rapporto e non anche il soggetto che utilizza detta società.
– 2) Ancora, l’obbligo di comunicazione sembrerebbe rilevare solo per i rapporti posti in essere a partire dal 1° gennaio 2005, ancorchè cessati, rimanendo esclusi tutti i rapporti accesi anteriormente, anche se ancora in essere al 1° gennaio 2005. Sul punto l’Agenzia delle entrate ha, però affermato, circolari 28 e 32 del 2006 che detto obbligo di comunicazione riguarda tutti i rapporti ancora in essere al 1° gennaio 2005, non rilevando la circostanza che successivamente a tale data essi siano cessati, per converso l’obbligo non è configurabile in relazione ai soggetti con i quali il rapporto sia cessato prima del 1° gennaio 2005.
– 3) l’ufficio delle entrate o la Guardia di finanza che vogliono accedere alla sezione dell’anagrafe tributaria relativa alle informazioni finanziarie o procedere ad accertamenti finanziari devono previamente munirsi di apposita autorizzazione, che per gli uffici delle entrate può essere rilasciata dal direttore centrale del contenzioso o dal direttore regionale, mentre per la Guardia di finanza, deve esser rilasciata dal comandante regionale. Nella richiesta di autorizzazione deve essere esattamente individuato il soggetto nei confronti del quale si ritiene di svolgere le indagini. Al riguardo, il DI 269/ 2000, confermando quanto già detto dalla circ. Min Fin 116/E del 10 maggio 1996 , conferma l’impossibilità di indagini di carattere esplorativo, prescrivendo la indicazione nominativa del soggetto da sottoporre ad accertamento bancario. La stesso circolare 116/E 1996 ritiene ancora che gli uffici, qualora siano venuti a conoscenza di un numero di conto corrente bancario, sulla base di assegni o altri documenti reperiti nel corso di accessi e ispezioni, non abbiano il potere di richiedere alla banca trattaria le generalità del proprio cliente, in quanto quest’ultima è tenuta a fornire soltanto la copia dei conti e relative specificazioni riferite a contribuenti nominativamente indicati. Ritornando all’autorizzazione alle indagini bancarie, sia la dottrina ( Mazzagreco,questioni attuali in tema di motivazione degli atti, in Riv.Dir.Trib., I, 2008; Viotto, I poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, Milano 2002; Tomasssini-Tortora, Rafforzati i poteri degli uffici negli accertamenti bancari, in Corr. Trib, 2005; Ferrajoli, La tutela del contribuente nelle procedure di accertamento bancario:linee evolutive, in Fisco, 2004, 3817) che l’amministrazione finanziaria ( circ. Min Fin. 116/E del 10 maggio 1996) ritengono che la stessa abbia natura di atto discrezionale , comportando per gli organi competenti al suo rilascio la necessità di valutare i requisiti di legittimità e di merito, anche con riferimento alla prevedibile proficuità della richiesta indagine ( così circ. 116/E / 1996; dello stesso tenore circ. Comando Generale Guardia di finanza n. 1/3600000 del 20 ottobre 1998: l’autorizzazione non è un atto dovuto, ma costituisce, al contrario, un provvedimento discrezionale che presuppone l’apprezzamento delle condizioni legittimatrici e delle ragioni operative, rappresentate nella richiesta che ne sollecita l’emanazione).
Ne consegue che, essendo detta autorizzazione un provvedimento, se autonomo o endoprocedimentale vedremo, discrezionale , lo stesso necessita di autonoma e adeguata motivazione, e ciò anche in ossequio di quanto disposto dall’art. 7 della legge 212/2000 ( gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art.3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, concernente la motivazione degli atti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione.) . Al riguardo, non rileva che l’autorizzazione de qua possa avere natura di atto endoprocedimentale, attesa la onnicomprensività dell’espressione adottata dal legge 212/2000, la quale, dunque, non può non riferirsi a tutti gli atti dell’amministrazione finanziaria, siano o meno impugnabili autonomamente.
Ebbene, il chiaro disposto della legge, la quale prevede per le indagini bancarie la previa autorizzazione, non può non comportare la illegittimità del provvedimento di accertamento che si basi su indagini bancarie non autorizzate. Alla stessa conclusione dovrebbe giungersi nel caso di mancata motivazione dell’autorizzazione ( in tal senso, Comm. Trib. Prov. di Milano , sez.X, 19 marzo 2008 n.95). Ci troviamo, infatti, in entrambi i casi di fronte ad un violazione di legge che non può non comportare la illegittimità dell’atto di accertamento. Si è posto il problema dell’applicabilità a tale fattispecie della norma di cui all’art. 21 octies, secondo comma, primo periodo, della legge 241/90 ( Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato). La questione dell’applicabilità o meno alla materia de qua della sanatoria appena citata presuppone la qualificazione dell’autorizzazione come atto endoprocedimentale, perché la norma di cui al secondo comma, primo periodo, dell’art. 21 octies si riferisce chiaramente solo agli atti della sequenza procedimentale (…provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento) e non anche al provvedimento adottato in assenza di altro prodromico autonomo atto legittimante. Ciò posto, occorre, dunque, vedere se la sanatoria di cui alla legge 241/90 sia applicabile all’atto di accertamento basato su indagini bancarie in assenza della prevista autorizzazione- nella specie considerata, come ritiene la giurisprudenza prevalente, come atto endoprocedimentale-. Ritengo che a tale quesito debba essere data risposta negativa; in primis, la sanatoria de qua si riferisce ad atti vincolati: è pur vero che, nel caso in esame, l’atto finale, e cioè l’atto di accertamento ha natura vincolata, ma nella sequenza procedimentale volta alla sua emanazione si inserisce un atto discrezionale che ne condiziona, in modo determinante, la validità. La norma di cui al secondo comma, primo periodo, dell’art. 21 octies non può, invece, che riferirsi ai provvedimenti vincolati, emanati all’esito di procedimenti vincolati: solo in questo caso può ritenersi ammissibile, o meglio, sanabile, la violazione delle norme procedimentali. Il legislatore della 241/90, infatti, ha ritenuto di “salvare” quei provvedimenti amministrativi derivati da una sequenza procedimentale vincolata che altrimenti sarebbero stati annullati solo perché non rispettosi di detta sequenza: provvedimenti di identico contenuto di quelli che sarebbero stati emanati nel rispetto delle norme sul procedimento. Nel caso dell’autorizzazione alle indagini bancarie, invece, il legislatore ha affidato ad un soggetto ben individuato la valutazione, discrezionale, della necessità e/o opportunità di procedere all’esame dei conti e delle operazioni finanziarie di un contribuente: ne consegue che risulta impossibile riuscire a raggiungere le conclusioni sostanziali alle quali il legislatore ricollega l’operatività della sanatoria di cui alla legge 241/90.
Ciò detto, occorre dar conto dell’orientamento prevalente della Cassazione secondo il quale ( da ultimo Cass, V, 4001/2009) la mancanza della autorizzazione dell’ispettore compartimentale (o, per la Guardia di Finanza, del comandante di zona) prevista ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude l’utilizzabilità dei dati acquisiti, atteso che la detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico.
Tale posizione, che supera addirittura la posizione dell’AF ( ved, circ.32/2006) non appare condivisibile, atteso che non può ritenersi l’autorizzazione alle indagini bancarie pertinente a rapporti interni, se è vero come è vero che essa è presupposto indefettibile per la deroga del segreto bancario, posto a tutela, come si diceva, di diritti costituzionalmente garantiti. Se, dunque, la predetta autorizzazione va ad incidere su diritti, addirittura di diretta derivazione costituzionale, la stessa non può riguardare solo l’ordinamento interno degli organi accertatori e la sua violazione essere sanzionata solo sul piano dell’attività e del comportamento del funzionario ( responsabilità disciplinare), ma deve necessariamente ripercuotersi nella più vasta area dell’ordinamento generale, con inevitabili conseguenza sull’atto ( annullabilità dell’atto emanato in assenza di autorizzazione o in presenza di autorizzazione priva di motivazione).
Infine, si è sostenuto che, atteso il potere degli Uffici di ricostruire la posizione reddituale del contribuente sulla base di tutti gli elementi che, a qualsiasi titolo e a prescindere dalla fonte di provenienza, siani entrati nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione medesima ( art 36, 37, comma1, 38, comma 3, 39, commi 1 e 2, 41, commi 1 e 2, 41-bis del DPR 600/73) (G. Antico su Fisco.oggi.it), la mancata autorizzazione alle indagini bancarie non potrebbe avere alcun effetto invalidante sul susseguente accertamento. Anche tale posizione, ritengo non sia condivisibile: l’attività istruttoria basata sulle indagini bancarie- il procedimento relativo alle indagini bancarie- ha delle conseguenze tipiche che non possono essere confuse con altri tipi di procedimenti tributari. E prova di ciò la troviamo nell’art. 32, primo comma, n.2, secondo periodo del dpr 600/73 ( e nell’omologo art.51 del DPR 633/72), il quale afferma che I dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni acquisiti …. a norma del n.7)… sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38,39,40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza a tal fine…
Tale norma indica chiaramente la peculiarità dell’accertamento basato sulle indagini bancarie rispetto agli altri: mentre per quest’ultimi, salvo casi legislativamente previsti, l’onere della prova si atteggia secondo il suo andamento normale ( onus probandi incumbit ei qui dicit), nel caso di accertamento basato su indagini bancarie opera una presunzione legale relativa (… i dati bancari e finanziari sono posti a base dell’accertamento se il contribuente non dimostra ….). Ne deriva che, nel caso di mancata osservanza delle norme procedimentali previste per le indagini bancarie, l’accertamento basato esclusivamente su di esse, o la parte di accertamento basato esclusivamente su di esse, deve ritenersi illegittimo, mentre, se si ritiene che non sussista nell’ordinamento tributario l’istituto dell’inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite, nulla vieta che i dati bancari irritualmente acquisiti possano essere utilizzati, assieme ad altri elementi di prova, in altri tipi, o, forse meglio, modalità di accertamento.
Ma la lettura della norma di cui all’art. 32, primo comma, n.2, secondo periodo del Dpr 600/73- e dell’omologo testo dell’art. 52 del DPR 633/72, induce ad una ulteriore considerazione: la norma afferma che i dati bancari … sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti…se il contribuente non dimostra…. . Il tenore letterale della norma non sembra lasciare dubbi: il contribuente deve poter fornire la prova contraria già nella fase amministrativa dell’accertamento; in altre parole, la legge pone un altro presupposto di legittimità dell’accertamento basato sulle indagini bancarie: l’ufficio può legittimamente emanare l’atto impositivo solo se ha dato la possibilità al contribuente di controdedurre in ordine alle risultanze dell’istruttoria bancaria: la scansione temporale degli atti e delle attività è chiara: l’ufficio procede alle indagini bancarie,l’esito di queste – naturalmente nel caso di dubbio della presenza di somme sottratte a tassazione- deve essere comunicato al contribuente il quale deve avere la possibilità di replicare: soltanto se quest’ultimo non dimostra di aver tenuto conto delle somme rilevate nella fase di indagini bancarie nelle proprie dichiarazioni dei redditi ed IVA, oppure che dette somme non rilevano a detti fini, può essere legittimamente emanato l’avviso di accertamento. Naturalmente, la valutazione sulla valenza probatoria delle controdeduzioni del contribuente è rimessa alla valutazione dell’Ufficio e può essere oggetto di valutazione da parte del Giudice Tributario, se denunciata in sede di ricorso ( nel senso appena esposto, CTP Monza, IV, 1392/96, CTP Grosseto,II, 157/97 , contra Cass. 5365/2006)
4) Vediamo ora quali sono i soggetti ai quali l’ufficio delle entrate e la Guardia di Finanza possono rivolgere la richiesta dei dati bancari. L’art. 32, primo comma, n.7 del Dpr 600/73 e l’art.51, secondo comma, n.7 del dpr 633/72, individuano i soggetti ai quali rivolgere la richiesta dei dati bancari:
a) nelle banche;
b) nella società Poste italiane spa ( naturalmente a tale società possono essere richieste, nell’ambito della procedura in esame, solo i dati riguardanti le attività finanziarie e creditizie da questa svolte)
c) negli intermediari finanziari;
d) nelle imprese di investimento;
e) negli organismi di investimento collettivo del risparmio;
f) nelle società di gestione del risparmio;
g) nelle società fiduciarie.
Nessuna difficoltà si pone in ordine alla individuazione della banche –imprese la cui attività consiste nel ricevere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto e, in particolare, riconoscendo allo stesso organismo la possibilità di svolgere tutte le attività elencate nell’allegato alla direttiva n. 89/646/CEE – e della società Poste Italiane spa- società che esercita il servizio universale postale e dei pagamenti su tutto il territorio nazionale ed è ripartita in cinque divisioni tra cui, quella autonoma di bancoposta che interessa in particolare le indagini de quibus –. Per quanto riguarda gli intermediari finanziari la relativa categoria è definita dall’art. 106 del T.U.B ( Dlgs 385/93), il quale afferma che l’attività di intermediazione finanziaria consiste nell’esercizio, nei confronti del pubblico, delle attività di assunzione di partecipazioni, di erogazione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi. Tali attività sono esercitate, appunto, dagli intermediari finanziari, i quali devono essere iscritti in un apposito elenco tenuto dall’Ufficio Italiano Cambi. Le Imprese di Investimento trovano la loro definizione e disciplina nel DLGS 58/98, il quale le individua nelle S.I.M. (società di intermediazione mobiliare), nelle imprese di investimento comunitarie e nelle imprese di investimento extracomunitarie. Gli Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio comprendono i fondi comuni di investimento e le S.I.C.A.V. ( società di investimento a capitale variabile). Le Società di Gestione del Risparmio, costituite in forma si SPA, sono abilitate alla promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento e alla gestione di patrimoni di O.I.C.R di propria o altrui istituzione. In relazione alla individuazione dei soggetti di sui si discute è intervenuta anche l’Agenzia delle Entrate, la quale, con l’allegato 3 al provvedimento 22 dicembre 2005 del Direttore della stessa Agenzia, ha fornito un elenco di tali soggetti, comprendente, oltre a quelli fin qui indicati:
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Le Holding di partecipazione o “casseforti “ di famiglia;
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I consorzi e le cooperative di garanzia collettiva di fidi;
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I cambiavalute;
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Le casse peota ( soggetti che esercitano la raccolta in ambito locale di modesti importi, nonché l’erogazione di prestiti senza fini di lucro , ved. Circ. Ag En 32/2006)
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Gli agenti in attività finanziaria (custodia/trasporto valori, commercio in oro, gestione case da gioco, case d’asta, recupero crediti)
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Istituti di moneta elettronica ( IMEL).
Per concludere sul punto, occorre dar conto del problema della estensibilità delle indagini bancarie alle filiali estere di banche italiane. Al riguardo, mentre nessun dubbio sussiste sulla possibilità di chiedere notizie alle filiali italiane di banche estere, qualche perplessità solleva la possibilità di tale richiesta nei confronti delle filiali estere di banche italiane. Il SECIT, sul presupposto chi i bilanci di dette filiali confluiscono in quello della banca madre e che, comunque, dette filiali sono sede di attività sprovviste di personalità giuridica, ha ritenuto assoggettabili alla richiesta di dati bancari anche tale filiale. Da parte di qualcuno si è però sostenuto che così ragionando si sottoporrebbero dette filiali ad una sorta i extraterritorialità, in quanto non sarebbero più assoggettate al diritto ( specialmente se questo non prevede deroghe al segreto bancario) dello Stato nel quale svolgono la propria attività, bensì a quello della casa madre e che se si dovesse condividere l’assunto del SECIT si dovrebbero escludere dalla richiesta le filiali italiane delle banche estere.
5)Passiamo ora ad esaminare l’oggetto delle indagini bancarie e quello delle comunicazioni all’anagrafe tributaria: partendo da quest’ultimo, il testo attuale , dell’art. 7, comma 6 del DPR 605/73, come risulta integrato dall’art.63, comma 1, lett. b) del DLGS 21 novembre 2007n. 231 prevede la comunicazione dei rapporti intrattenuti e di qualsiasi operazione di natura finanziaria , effettuata dal contribuente per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi. Tale norma risulta, dunque coordinata con quelle di cui agli artt. 32, primo comma, n7 del Dpr 600/73 e 51, secondo comma, n.7 del dpr 633/72, le quali si occupano delle richieste avanzabile dall’Ufficio e dalla GDF. Ciò chiarito, bisogna, ora, individuare la differenza tra rapporto ed operazione.
Per rapporto si intende un rapporto dotato di una certa continuità tra il contribuente e l’organismo finanziario. Vi rientrano, perciò, i “conti” di cui alla normativa anteriore; in primis i conti correnti e i rapporti ad essi funzionalmente collegati ( affidamenti, aperture di credito, mandati all’incasso, cessioni di credito, ecc.). Ma vi rientrano anche tutti quelli che hanno un certa continuità: conto deposito titoli e/o obbligazioni, conto deposito a risparmio libero/vincolato, rapporto fiduziario ex legge 1966/1939, gestione collettiva del risparmio, gestione patrimoniale, certificati di deposito, buoni fruttiferi, portafoglio, conto terzi individuale/globale, dopo incasso, cessione indisponibile, cassette di sicurezza, depositi chiusi, contratti derivati su crediti, carte di credito/debito, crediti di firma, crediti, finanziamenti, fondi pensione, ecc.
Operazioni sono tutte quelle attività, anche risolventesi in un solo atto, che rilevino contabilmente. E, quindi, anche tutte quelle operazioni extraconto, o allo sportello, quali acquisti di titoli o di certificati di deposito per contanti allo sportello, emissione o incasso di assegni circolari per contanti, bonifici per cassa ecc. In conclusione, si può dire che il legislatore ha dato piena attuazione a quella affermazione della Corte Costituzionale ( sent.51/92) secondo cui in via di principio nessun documento o nessun dato, relativo agli utenti dei servizi bancari e detenuto confidenzialmente dalle banche, può essere sottratto ai poteri di accertamento degli uffici tributari.
7 ) Riguardo al soggetto nei confronti del quale possono essere svolte le indagini finanziarie, oltre a quanto già detto in ordine alla necessità che tale soggetto sia previamente individuato, con conseguente divieto di indagini bancarie di tipo esplorativo, v’è da aggiungere che per gli accertamenti relativi alle varie imposte, occorre che il soggetto sottoposto ad indagine rivesta la qualità di contribuente delle stesse. Ciò non significa, specialmente nel campo dell’IVA, che non sia possibile svolgere indagini bancarie nei confronti di soggetti, per rimanere nell’ambito dell’IVA,privi di partita IVA o che l’abbiano cessata: significa solo che l’organo procedente dovrà , in sede di richiesta di autorizzazione, specificamente motivare in ordine alle ragioni che lo inducono a ritenere che il soggetto sottoposto all’indagine sia soggetto passivo di detta imposta .
Questione delicata è quella attinente l’estensibilità delle indagini bancarie. Mentre non sembra ci siano contrasti sul fatto che vadano comunicati agli organi accertatori sia i conti cointestati che quelli sui quali il contribuente opera per delega, suscita qualche dubbio la possibilità di svolgere indagini su conti formalmente fittiziamente intestati a terzi ( cd interposizione fittizia). La opinione prevalente ritiene che in tal caso vada avviata un’autonoma indagine bancaria nei confronti del titolare formale del rapporto e che, poi, in sede di accertamento, a norma del III comma dell’art. 37 del Dpr 600 , l’ufficio possa imputare al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando si dimostri, anche sulla base di presunzioni gravi,precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona.
8)Altra interessante questione riguarda le indagini ( e gli accertamenti su di esse basati) bancarie nei confronti dei lavoratori autonomi. La possibilità di considerare reddito tassabile i prelevamenti dai conti operati da detti lavoratori – se non fosse stato indicato il beneficiario di tali prelevamenti e sempreché questi non risultassero dalle scritture contabili- era stata messa in dubbio fino al 2005; il testo dell’art. 32, primo , comma 1, n.2, in vigore fino a tale anno, infatti, affermava che si dovevano considerare ricavi i prelevamenti non giustificati. Si sosteneva, perciò, da parte di taluno che, percependo i lavoratori autonomi compensi e non ricavi ( tipici dell’attività di impresa), la norma sui prelevamenti non fosse applicabile a detta categoria di contribuenti. La legge finanziaria del 2005 ha eliminato tale dubbio,introducendo, nel testo dell’art. 32 accanto alla parola ricavi quella di compensi. Al riguardo bisogna ancora aggiungere che, anche a seguito della sentenza della Corte Cost. 225/2008 non l’intero ammontare del prelievo può essere considerato reddito ( di impresa o da lavoro autonomo), dovendosi tener conto nella determinazione di questo dell’incidenza percentuale dei costi.
9) passiamo ora all’esame delle conseguenze dell’inadempimento alle richieste formulate in sede di indagini bancarie da parte degli organi accertatori. Esse nei confronti delle banche e della società Poste Italiane sono di duplice natura. Infatti, nel caso di mancata ottemperanza da parte di queste ultime alla richiesta di copia dei conti, gli uffici delle imposte hanno facoltà di disporre l’accesso di propri impiegati muniti di apposita autorizzazione presso le aziende ed istituti di credito e l’amministrazione postale ( oggi Poste spa) allo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie relative ai conti la cui copia sia stata richiesta a norma del n.7 e non trasmessa entro il termine previsto nell’ultimo comma di tale articolo (trenta giorni dalla richiesta, con proroga, su richiesta, di altri 20 giorni) – art. 33, II comma , dpr 600/73. Tale accesso, in verità, è previsto anche allorchè l’ufficio abbia fondati sospetti sulla completezza ed esattezza dei dati e delle notizie contenute nelle copie dei conti trasmesse ed è finalizzato, in questo caso, all’accertamento diretto della completezza ed esattezza di tali dati e notizie. A tale conseguenza si aggiunge quella di cui all’art. 10 del DLGS 471/97 il quale prevede una sanzione amministrativa da euro 2065,82 ad euro 20658,27 a carico dei soggetti di cui all’art. 32, n.7 dpr 600/73 e 51,n.7 del dpr 633/72 che omettano di trasmettere i dati, le notizie e i documenti richiesti dall’amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di indagine bancaria e finanziaria. Tale sanzione è applicata dall’ufficio delle entrate nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente al quale si riferiscono le indagini.
Infine, per il contribuente,il quale non ottemperi alla richiesta di dati e notizie bancarie e finanziarie rivoltegli dagli organi accertatori è prevista dall’art. 12 , sempre del DLGS 471/97,la sanzione amministrativa pecuniaria da £.400.000 a £. 4.000.000.
10) Si è posto il problema, specialmente con riguardo al primo scudo fiscale – Dl 25 settembre 2001 n.350, conv dalla legge 23 novembre 2001 n.409-, se anche i cd “rapporti scudati” rientrassero tra quelli per i quali l’art.7 del Dpr 605/73 prevede l’obbligo della comunicazione all’anagrafe tributaria. L’agenzia delle entrate, ponendo l’accento proprio sul rilievo che l’attività svolta dagli intermediari finanziari e dalle banche nell’ambito delle procedure di emersione instauri un “rapporto” con i soggetti interessati a detta procedura, ha ritenuto che anche i rapporti scudati vadano comunicati all’anagrafe ( circ.18/E 2007). Altra questione è, naturalmente, quella della possibilità, da parte dell’amministrazione finanziaria, di richiedere informazioni circa il contenuto di tali rapporti: possibilità che la stessa AF ritiene non sussistente.
11) Infine, gli agenti della riscossione, ai soli fini della riscossione mediante ruolo e previa autorizzazione rilasciata dal direttore generale degli agenti della riscossione, possono utilizzare i dati di cui l’Agenzia delle Entrate dispone ai sensi dell’art.7, comma 6 del DPR 29 settembre 1973 n.605 ( e cioè dei dati di cui alla sezione dati bancari e finanziari dell’anagrafe tributaria)
Angelo Antonio Genise
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