Occorre, in particolare, che le domande giudiziali siano identiche nell’oggetto, ossia afferiscano ai medesimi atti e rechino le medesime censure; le posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti siano del tutto omogenee e sovrapponibili; i ricorrenti non versino in condizioni di neppure potenziale contrasto.
La proposizione del ricorso collettivo
La IV Sezione del Consiglio di Stato ha chiarito che la proposizione del ricorso collettivo consiste in una deroga al principio generale secondo il quale ogni domanda, deve essere proposta dal relativo titolare mediante un’azione specifica volta a tutelare il proprio interesse giuridico.
L’azione esperita dal soggetto titolare è volta a tutelare una posizione soggettiva che si sostiene essere stata lesa dall’azione amministrativa. Non si tratta, invece, di un controllo oggettivo della legittimità dell’azione amministrativa, distaccato da una concreta lesione arrecata agli specifici interessi di un determinato soggetto. Il controllo della legittimità dell’azione amministrativa non è l’obiettivo ultimo del processo amministrativo, ma si configura come strumento funzionale alla tutela del bene della vita che si ritiene leso, il quale costituisce l’oggetto, lo scopo ed il limite della giurisdizione amministrativa.
Pertanto, la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di taluni rigorosi requisiti in senso negativo ed in senso positivo.
I requisiti di segno negativo consistono nell’assenza di una situazione di conflitto di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di alcuni dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con l’accoglimento delle istanze degli altri.
I requisiti di segno positivo consistono, invece, nell’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per i medesimi motivi (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 maggio 2020, n.3155).
Il concetto di suolo come bene comune
In particolare, il Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza 18 marzo 2021, n.2341 si pronuncia sulla materia della pianificazione del territorio, affermando che non sussiste la legittimazione a impugnare atti di pianificazione in ragione della mera qualità di cittadino residente nel territorio interessato dagli stessi anche se il suolo è stato qualificato dalla legislazione regionale come bene comune.
La regola giurisprudenziale della carenza di legittimazione a impugnare atti di pianificazione in ragione della mera qualità di cittadino residente nel territorio interessato dagli stessi non trova eccezione per il fatto che la legislazione regionale in materia, nella parte in cui introduce condizioni e limiti al potere comunale di pianificazione, abbia qualificato il suolo come “bene comune” da salvaguardare.
La potestà legislativa è attribuita allo Stato ed alle Regioni, secondo i criteri fissati dall’articolo 117 Costituzione. Allo Stato spetta la potestà legislativa esclusiva nelle materie espressamente previste dal comma 2 dell’articolo 117. Inoltre, allo Stato ed alle Regioni spetta una potestà legislativa definita concorrente in talune altre materie definite dal comma 3 dell’articolo 117, in conformità del quale nell’ambito di tali materie lo Stato definisce i caratteri ed i principi generali, mentre alle Regioni spetta la legislazione di dettaglio e l’integrazione dei suddetti principi statali. Alle Regioni spetta, infine, la potestà legislativa residuale in ogni altra materia non espressamente specificata tra le materie rientranti nelle potestà legislativa esclusiva e concorrente. L’ “ordinamento civile” è una materia riservata dalla Costituzione alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l), Cost.), pertanto, la qualificazione del suolo come “bene comune” contenuta in una legge regionale non può essere interpretata nel senso in cui venga modificato il diritto di proprietà come enucleato nel codice civile e le collegate facoltà, comprese quelle di iniziativa processuale.
La IV Sezione ha aggiunto che, in termini generali, allorché la previsione urbanistica impugnata non afferisca direttamente alla proprietà del ricorrente ma ad un’area ad essa contermine, è necessario che sia enucleata specificamente la concreta lesione arrecata dalla previsione, pena l’inammissibilità del gravame.
L’Adunanza Plenaria si pronuncia sulla legittimazione processuale degli enti associativi esponenziali
Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, sentenza n. 6 del 20/2/2020 muove i propri passi analizzando la teoria secondo cui nell’ordinamento non sarebbe più in vigore la regola del doppio binario, secondo la quale gli enti collettivi sono legittimate di per sé ad impugnare i provvedimenti lesivi dinanzi al giudice amministrativo. Secondo tale teoria la regola del doppio binario sarebbe stata sostituita dal principio di tassatività, secondo la quale la legittimazione degli enti esponenziali è ammessa solo nei casi espressamente previsti dalla legge.
Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, sentenza n. 6 del 20/2/2020 non condivide la tesi del superamento del doppio binario di tutela per gli enti collettivi e ne riafferma la vigenza, formulando il seguente principio di diritto: gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso.
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