1. Gli istituti della legge n. 241/1990 che attuano la semplificazione: la conferenza di servizi – 2. I tempi del procedimento amministrativo – 3. Le ipotesi del silenzio cd. “significativo – 4. L’esecutività e l’esecutorietà del provvedimento amministrativo – 5. La denuncia in luogo di attività – 6. Le altre ipotesi della legge sulla semplificazione che si legano al procedimento
1. Gli istituti della legge n. 241/1990 che attuano la semplificazione: la conferenza di servizi
Uno degli istituti che ha agevolato maggiormente la semplificazione è sicuramente quello della Conferenza di servizi. Questa può definirsi come una forma di cooperazione alla quale ricorre l’Amministrazione procedente quando si rende opportuno un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti nel procedimento, ovvero quando necessiti di acquisire nulla osta, assensi o atti di altre amministrazioni
[1].
I vantaggi che questo tipo di istituto comporta sono evidenti. Anzitutto, favorisce l’accellerazione dei tempi procedurali, perché consente ai rappresentanti delle Amministrazioni coinvolte di assumere decisioni concordate nella medesima sede, superando le lungaggini che il normale
iter burocratico verrebbe a determinare. Inoltre, garantisce la partecipazione di tutte le Amministrazioni che sono coinvolte nel procedimento, permettendo agli interessi pubblici in gioco di far valere il peso di loro spettanza
[2].
Le modifiche apportate nel 2005 all’istituto sono significative. Tendono tutte a favorire una ulteriore accellerazione dei tempi necessari per l’adozione delle decisioni e favoriscono il superamento dei dissensi attraverso meccanismi che favoriscono le decisioni assunte a maggioranza[3].
2. I tempi del procedimento amministrativo
La tematica dei tempi procedimentali è una di quelle che si lega più da vicino al concetto di semplificazione[4]. Grazie ad un monitoraggio dei tempi di risposta dell’Amministrazione alle istanze dei privati infatti, è stato possibile dedurre la sussistenza del rispetto dei principi di buona amministrazione ed efficienza ed identificare quei procedimenti nei quali erano più urgenti le necessità di intervento.
La legge n. 241 del 1990 si è preoccupata di introdurre il rispetto di tempi precisi nei confronti del procedimento, laddove in passato non erano previsti, sollecitando gli organi amministrativi all’adozione di decisioni entro un termine massimo originariamente fissato a 30 giorni, salva la possibilità di proroga e le singole eccezioni.
Il legislatore della riforma ha poi superato quell’orientamento giurisprudenziale che continuava a ritenere necessaria la previa diffida nei confronti dell’Amministrazione procedente, affinchè potesse essere costituita in mora. Oggi, invece, la decorrenza infruttuosa del termine produce automaticamente il verificarsi di uno stato di inadempimento.
3. Le ipotesi di silenzio cd. “significativo”
In stretta connessione con il tema dei tempi procedimentali vi è la scelta di favorire l’assunzione tacita di provvedimenti da parte dell’Amministrazione. In sostanza, la legge n. 241 del 1990 (confermata pressocchè integralmente dalla legge n. 15 del 2005) prevede una serie di ipotesi, definite come “silenzio significativo”, in cui, alla mancata adozione di un provvedimento consegue la produzione di effetti giuridici. Può trattarsi prevalentemente di effetti giuridici che portano all’accoglimento dell’istanza, nel qual caso si parla di silenzio-assenso, oppure di effetti giuridici che rigettano la richiesta, ed in quel caso si parla di silenzio-rigetto[5].
4. L’esecutività e l’esecutorietà del provvedimento amministrativo
Una delle novità assolute della legge n. 15 del 2005 è costituita dall’introduzione del Capo IV bis, contenente una serie di disposizioni sull’efficacia e sull’invalidità dei provvedimenti amministrativi. Tra queste, la più significativa ai fini del discorso in esame appare quella contenuta negli artt. 21 ter e 21 quater, dedicati, rispettivamente, agli istituti dell’esecutività e dell’esecutorietà[6].
Al di là del contenuto specifico delle singole disposizioni, le cui considerazioni esulano dall’oggetto della presente indagine, quello che interessa rilevare è che entrambe le disposizioni favoriscono l’immediata produzione degli effetti del provvedimento. In pratica, nello stabilire che i provvedimenti amministrativi acquistano efficacia secondo le modalità di legge, si intende perseguire (anche, non solo) l’obiettivo della maggiore celerità nella produzione degli effetti di interesse generale e, non meno importante, l’assicurazione della loro realizzazione[7].
5. La denuncia in luogo di attività
L’istituto della D.I.A. è uno di quelli che ha subito le più radicali modifiche, per opera non della legge n. 15 del 2005, ma dell’art. 3 del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, di poco successivo a quella. Il decreto legge sulla competitività, nell’ambito delle iniziative volte favorire la semplificazione amministrativa, ha previsto una disciplina tutta nuova per la denuncia in luogo di attività, escludendo dall’applicazione di questa solo un numero esiguo di materie[8].
Il nuovo art. 19, rispetto al testo previgente, al comma primo, amplia in modo sensibile le ipotesi in cui una semplice dichiarazione dell’interessato, sia esso cittadino o impresa, vale a sostituire i provvedimenti abilitativi da parte della P.A. In particolare, è sostituito dalla dichiarazione dell’interessato ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nullaosta, comprese le domande di iscrizione in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale.
6. Le altre ipotesi della legge sul procedimento che si legano alla semplificazione
Dalla breve rassegna che si è svolta nelle pagine precedenti appare con tutta evidenza come l’intera legge sul procedimento, e, dopo di essa, le modifiche che vi sono state apportate, perseguano l’obiettivo primario di snellire, recte: semplificare, i procedimenti[9].
Vi sono anche altri istituti che non è possibile non menzionare ma che ragioni di spazio impongono di trattare in modo estremamente sintetico. Il riferimento va al processo di informatizzazione della Pubblica Amministrazione, giunto alla seconda fase della sua realizzazione, ed in grado di consentire un più rapido e sicuro scambio delle informazioni possedute dai soggetti pubblici. La disciplina dell’accesso, le cui disposizioni sono venute modificandosi nel corso degli anni, per garantire un migliore rapporto con l’utenza, ed, infine, le norme che presiedono l’avvio del procedimento amministrativo.
In quest’ultimo caso in particolare si è cercato di conciliare la necessità di favorire la partecipazione dei soggetti alla formazione del provvedimento conclusivo, senza però ostacolare l’Amministrazione nel rispetto dei tempi necessari. Dunque, consentendo alla stessa di soprassedere all’obbligo di comunicazione in tutte quelle ipotesi in cui la partecipazione del soggetto interessato risulti egualmente garantita (es: perché il privato è già a conoscenza del procedimento in atto) ovvero risulti irrilevante (ad es. perché, trattandosi di procedimenti a natura vincolata, risultino del tutto marginali gli spazi di discrezionalità rimessi alla valutazione dell’Amministrazione medesima).
[1] Tant’è che la stessa legge n. 241 distingue tra la conferenza di servizi facoltativa, la cui istituzione è rimessa alla valutazione facoltativa dell’amministrazione procedente (che può, eventualmente, decidere di non darvi seguito, procedendo secondo le modalità ordinarie) e la conferenza di servizi obbligatoria. In quest’ultimo caso, nelle ipotesi in cui l’inerzia di una delle amministrazioni da coinvolgere rischiasse di paralizzare il procedimento, l’Amministrazione incaricata di emettere il provvedimento ha l’obbligo di instituire una conferenza, in seno alla quale assumere la documentazione che le è necessaria.
[2] La giurisprudenza amministrativa, preso atto di queste caratteristiche, ha tentato una definizione del concetto di conferenza di servizi. In particolare, il Tar Veneto, sez. II, sent. N. 672 del 2003, ha qualificato la conferenza di servizi come un modulo procedimentale che non costituisce un ufficio speciale ed autonomo della Pubblica Amministrazione. Ha inoltre specificato che tale modulo riverbera i suoi effetti sull’atto finale, per cui occorre notificare il ricorso alle autorità amministrative che, mediante lo strumento della conferenza, abbiano adottato un atto con rilevanza esoprocedimentale, il quale, in difetto del ricorso alla conferenza, si sarebbe dovuto impugnare da parte di chi avesse inteso contestarlo.
[3] Si confrontino in merito le osservazioni che svolge Cerulli Irelli V., Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa, in Astrid rassegna, 2005, IV, pagg. 15 ss.
[4] V. Cerulli Irelli V., Luciani F., La semplificazione dell’azione amministrativa, in Diritto amministrativo, 2000, III-IV, pag. 630: “La tematica dei tempi procedimentali è una voce importantissima per la compiuta realizzazione della semplificazione amministrativa: tempi certi di avvio e di chiusura, sottoraggono il procedimento a pericolose incertezze ed ingiustificati ritardi, ed il loro effettivo rispetto da parte delle Amministrazioni costitutisce un elemento fondamentale per valutare in concreto l’efficienza della medesima Amministrazione di soddisfare gli interessi e i bisogni dei cittadini”.
[5] Il tema del silenzio, che qui viene trattato necessariamente in modo sintetico, può essere approfondito nella lettura di Crepaldi G., Il silenzio della pubblica amministrazione: formazione ed impugnazione, in Foro amministrativo-CdS, 2003, X, pagg. 3104 ss. ; Carpentieri P., Il silenzio assenso nel sistema dell’art. 20, l. 7 agosto 1990, n. 241 e dei regolamenti governativi 26 aprile 1992 n. 300 e 9 maggio 1994 n. 407: un istituto non ancora completamente disciplinato, in Foro amministrativo, 1997, IX, pagg. 2585 ss., in particolare laddove si specifica che: “è infatti noto come, nel quadro delle misure di accellerazione e di semplificazione del procedimento amministrativo introdotte dal capo III, legge n. 241 del 1990 (…) l’istituto del silenzio assenso sia destinato a riguardare propriamente fattispecie (…) per le quali la legislazione vigente prevede procedimenti autorizzatori a contenuto discrezionale, a differenza del diverso istituto della denuncia di inizio attività, che è normalmente limitata ai casi in cui l’esercizio di un’attività sia subordinato ad autorizzazioni (…) il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge (…)”.
[6] Per un’analisi dettagliata si rimanda alla lettura di Cerulli Irelli V., Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa, in Astrid rassegna, 2005, IV, pagg. 21 ss. ; Caringella F., Il diritto amministrativo – appendice integrativa, Napoli, 2005, pag. 35: “Vengono introdotti nuovi articoli (…) che, per la prima volta, disciplinano il procedimento amministrativo con riferimento alla sua efficacia, alla sua invalidità, nonché i procedimenti di autotutela o di secondo grado, come la revoca. Le norme sono ispirate, secono il medesimo orientamento della legge n. 241 del 1990, al principio di legalità dell’azione amministrativa, in base al quale non possono esistere poteri amministrativi impliciti, ma sono poteri espressamente previsti dalla legge”.
[7] Al tempo stesso, le norme del medesimo capo tendono a limare le ipotesi nelle quali i provvedimenti amministrativi debbono cessare la produzione dei propri effetti, perché invalide. L’obiettivo è quello di evitare, quando possibile, le gravose conseguenze che si producono a seguito del venire meno di un provvedimento. Al contrario, si tende a favorire la rinnovazione dei provvedimenti invalidi, con un notevole risparmio di denaro e di tempo.
[8] Si tratta, come nota Caringella F., Il diritto amministrativo – appendice integrativa, Napoli, 2005, pag. 47: “(…) materie della difesa, pubblica sicurezza, immigrazione, giustizia, finanze, salute pubblica, patrimonio culturale e paesaggistico, ambiente ed adempimenti comunitari”.
[9] Al riguardo, in senso ampio, Vesperini G., Semplificazione amministrativa, in Cassese S. (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, pag. 5481: “Agli istituti generali disciplinati dalla legge n. 241/1990 si aggiungono le misure di semplificazione che riguardano singoli procedimenti o gruppi di procedimenti, tra loro funzionalmente collegati. A seconda dei casi, queste sono dettate con discipline di settore oppure con regolamenti delegificanti o decreti delegati nei settori o per i procedimenti specificamente indicati con le leggi annuali di semplificazione. Le misure più frequentemente utilizzate al riguardo hanno ad oggetto l’articolazione dei procedimenti (…); i termini (…); l’organizzazione (…); i procedimenti tra loro connessi; la disciplina uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso le diverse amministrazioni o presso diversi uffici della stessa amministrazione; la liberalizzazione di attività (…); la riduzione degli oneri a carico dei cittadini”.
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