Gli stupefacenti nel diritto penale europeo

1. Introduzione.

Nel retorico e financo stanchevole Rapporto ONU del 2015, è specificato, a livello di ratio, che << l’obiettivo primario del regime internazionale del controllo delle droghe, come enunziato nel Preambolo della Convenzione del 1961, è quello di proteggere la salute fisica e morale dell’umanità >>. Anzi, secondo la Dottrina di Diritto Internazionale Pubblico, la CEDU, in caso di antinomie e lacune, deve sempre e comunque prevalere sotto il profilo normativo. Pertanto, i Diritti dell’Uomo internazionalisticamente riconosciuti sono il fondamento, anche nel Diritto interno dei singoli Stati, per la tutela del diritto alla salute e del diritto alla non discriminazione dei tossicomani. A livello globale, i tossicodipendenti, in Occidente e non solo, sono oggetto di gravi discriminazioni. Le tossicomanie costituiscono ormai un problema capillarmente diffuso all’interno di milioni di nuclei familiari, ciononostante permane lo stereotipo del drogato delinquente, emarginato, malato, violento, pervertito e pericoloso. Nessuno osa parlare dei vizi occulti dei colletti bianchi, sicché gli assuntori di droghe con minori disponibilità pecuniarie e minore prestigio sociale sono costretti a vivere ai margini della collettività perbene e non hanno accesso a costose terapie di cura e di disintossicazione. Del resto, come riferito da Eurostat nel 2002, il 47,4% dei tossici è disoccupato, il 77% è povero, il 10,4% ha perso la casa ed il 29% è senza fissa dimora.

 

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Malaugurevolmente ed a-tecnicamente, molti Ordinamenti giuridici europei qualificano chi fa uso di stupefacenti creando un’indebita interpolazione tra il concetto di malattia e quello di devianza criminale. Nel Precedente Pretty vs. Regno Unito (29/06/2002), la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ipostatizzato lo Welfare post-bellico di tipo assistenziale, che deve (rectius: dovrebbe) << controllare, attraverso l’applicazione del Diritto Penale, le attività dannose per la salute e la sicurezza delle persone >>, ma è fuorviante tale immagine di un Sistema giuridico che governa i consociati decidendo ogni dettaglio della vita privata e personale. ROMAN (2007) preferisce il modello statale individualista a quello iper-protezionista, giacché è ipertrofico pensare ad una Pubblica Amministrazione che entra nello specifico delle condotte del tossicodipendente, al fine di impedirgli eventuali auto-lesioni psico-fisiche. Ovverosia, << lo Stato deve intervenire certamente per controllare le dinamiche sociali, ma, per il resto, i poteri pubblici debbono, con molta prudenza, astenersi quando l’individuo prende decisioni autonome >> (ROMAN, ibidem). Analogamente, TOCQUEVILLE (1840) sostiene che << ognuno è il miglior giudice di se stesso in ciò che lo riguarda personalmente >>. Lo Stato è tenuto ad intervenire nella privatezza dei cittadini soltanto nei casi maggiormente gravi, come ribadito anche nelle Motivazioni di Pretty vs. Regno Unito nel 2002 (<< più grave è il danno incorso, più grande è il peso delle considerazioni di salute e di sicurezza pubblica di fronte al contrapposto principio dell’autonomia personale >>). Nel caso delle droghe, il << diritto di drogarsi >> non è totalmente inesistente e conculcabile, come dimostra la fattispecie dei farmaci psicotropi, del tabacco e delle bevande alcooliche. Sotto il profilo meta-temporale e meta-geografico, il binomio legalizzazione / proibizione è di solito gestito a seconda della pericolosità auto – / etero – lesiva di ciascuna sostanza. In effetti, l’Art. 4 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo sancisce che << la liberà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri. Del pari, l’esercizio dei diritti naturali di ogni uomo concerne quei diritti che non ledono i diritti degli altri. Questi limiti devono essere determinati dalla legge >> Nel contesto specifico dell’uso di droghe, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo riconosce una generale libertà di auto-determinazione sul proprio corpo. Tuttavia, TUBIANA (1996) specifica e precisa che <<la libertà individuale non è però assoluta. Essa trova il proprio limite nei rapporti con gli altri, poiché la libertà individuale ha bisogno della comunità sociale per essere protetta. Dunque, la società è indiscutibilmente legittimata ad intervenire allorquando i propri membri sono minacciati e quando viene minacciata l’organizzazione sociale medesima [ … ] la questione non è tanto se esista o meno il diritto di drogarsi, bensì che genere di diritto esso sia, quale finalità esso abbia e quale sia la sua efficacia nel momento in cui certe droghe trasformano l’assuntore in un delinquente >>. Il criterio fondamentale, di stampo medico-tossicologico, si fonda dunque sulla ratio del livello di nocività fisiologica delle varie sostanze. Per quanto appaia paradossale o eccentrico, la Giuspenalistica dev’essere accompagnata, almeno in tema di tossicodipendenze, dalle pertinenti riflessioni scientifiche della Medicina.

 

2. La legittimità del narco-test nelle imprese di trasporto pubblico.

             Sempre in tema di discriminazione, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha giudicato legittimi i test delle urine a carico di chi reca la responsabilità di guidare mezzi di trasporto pubblico (Hans Eigil Madsen vs. Danimarca – 07/11/2002 – nonché Wretlund vs. Svezia – 09/03/2004 -). Purtroppo, molti reputano che il narcotest sia lesivo della privacy e rechi a discriminazioni, ma è pur vero che il diritto alla riservatezza personale non può prevalere sull’altrettanto tutelabile e legittima pretesa dei passeggeri di poter conservare la propria incolumità durante gli spostamenti con autobus, treni, aerei e traghetti. P.e., nell’Ordinamento francese, CCNE (1989) nega la possibilità di richiedere esami preventivi di matrice tossicologica ai candidati, ma, in caso di assunzione, << esistono o possono esistere, in certe imprese, delle attività per le quali l’uso di droga può creare dei rischi, sia per coloro che esercitano tali attività, sia per altri dipendenti dell’impresa, sia per terzi soggetti. E’normale ed auspicabile che coloro che svolgono tali attività siano oggetto di esami sistematici per accertare un eventuale uso di droghe che giustifica la non idoneità del lavoratore per tale impiego. Entro questi limiti e soltanto entro questi limiti, il ricorso sistematico ai test ed agli esami qui in parola è giustificato [ ma ] l’interessato deve sempre essere individualmente avvertito del test a cui sarà sottoposto e tale esame non dovrà mai essere effettuato a sua insaputa>>. Tuttavia, CCNE (ibidem) non ha risolto la problematica relativa all’assunzione degli assai diffusi farmaci con effetto psicotropo. In secondo luogo, almeno nella Regione di Ile-de-France, sono stati proibiti esami salivari agli studenti, in tanto in quanto l’ambiente scolastico può essere preservato dall’uso di alcool e stupefacenti senza l’ausilio di strumenti medico-forensi invasivi ed inutilmente umilianti.

 

3. Pratiche discriminatorie contro i tossicomani e Diritto Processuale Penale.

             Sotto l’aspetto del Diritto Penale e Processuale Penale comparato, ONU (2014) afferma che << gli studi condotti su scala internazionale mostrano chiaramente che i consumatori di droghe costituiscono una categoria della popolazione i cui diritti in materia penale sono spesso violati. P.e., gli assuntori di droghe sono particolarmente esposti al rischio di subire incarcerazioni arbitrarie >>. Nel Diritto Penale francese, l’uso di stupefacenti è a-tipico, in tanto in quanto si tratta di un delitto senza Parte Lesa e procedibile ex officio dalla Gendarmeria. Giustamente, BARRE & GODEFROY & CHAPOT (2000) sottolineano, nel caso della Francia, che << nel 90% dei casi, l’intervento [ della PG ] per uso di droghe o per possesso in vista dell’uso avviene in flagranza di reato, oppure a seguito di un controllo dell’identità o di un controllo stradale. Per il rimanente 10% dei casi, l’intervento della PG è provocato da una denuncia, una segnalazione o un reclamo. E’la Gendarmeria che determina, in totale autonomia, i tempi e le priorità dei propri interventi >>. Si consideri che, nella Dottrina giuspenalistica francese, la Parte Lesa rappresenta un elemento strutturale necessario degli illeciti penalmente rilevanti. In secondo luogo, risulta abnorme ed a-tecnico il margine di discrezionalità concesso alla PG nel caso della delittuosità ad eziologia tossicomaniacale.

A parere di JOBARD (2009) esistono forti discriminazioni nei confronti dei tossicodipendenti non autoctoni, giacché << i controlli di Polizia patiscono stigmatizzazioni sociali e/o etnico-razziali. Tali pregiudizi recano a discriminare taluni gruppi della popolazione. La Polizia tende a penalizzare più frequentemente i giovani maschi provenienti dalle minoranze [etniche] oppure le persone che si trovano in situazioni di grande precarietà, come i senza fissa dimora o i tossicomani più emarginati >>. In tema di cannabis, BARRE & POTTIER & DELAITRE (2001) giungono al punto di parlare di una vera e propria << selezione sociale nella risposta penale >>. In effetti, nel caso dell’Ordinamento francese, PERETTI-WATEL (2004) ha riscontrato che i condannati per detenzione ed uso di haschisch e marjuana sono quasi tutti maschi, studenti senza profitto, disoccupati o operai sottostipendiati residenti in quartieri periferici e degradati. Analoghe percentuali valgono pure nel Censimento criminologico allestito da FASSIN (2011) e FASSIN (2015). Si tratta di cifre non corrispondenti alla realtà fattuale, in tanto in quanto il problema della cannabis inerisce tutte le classi sociali. Ciononostante, la PG manifesta una severità maggiore e pretestuosa nei confronti dei francesi meno abbienti e più disagiati dal punto di vista patrimoniale e residenziale. Similmente, GAUTRON & RETIERE (2013) sottolineano la sussistenza di troppi atti discriminatori nella Prassi processual-penalistica francofona. I tossici disoccupati, nati all’estero o clochards patiscono 8 volte di più la custodia cautelare nonché la successiva condanna definitiva alla reclusione intra-muraria senza benefici espiativi alternativi. Viceversa, un francese discretamente benestante subisce tendenzialmente una semplice ammenda o una pena di tipo extra- / semi- murario. Inoltre, un assuntore di stupefacenti con un reddito superiore ai 1.500 euro mensili riceve un trattamento ante / post judicatum decisamente migliore in confronto ad un tossicomane che percepisce dai 300 ai 1.400 euro al mese. La situazione peggiora se l’alcoolista o chi consuma sostanze illecite è uno straniero senza fissa dimora.

In Francia, a partire dalla fine degli Anni Novanta del Novecento, il Ministero della Giustizia ha tentato di privilegiare le condanne a pena detentive extra-murarie. Analogamente di stampo abolizionista è stata pure la ratio della L. 2007-297 dello 05/03/2007, ma le sanzioni alternative << tendono ad essere scartate quando la persona non ha reddito >> (GAUTRON & RAPHALEN 2013). Anche la Direzione degli Affari Criminali del Governo parigino, nel 2008, afferma che le forme di esecuzione penitenziaria attenuata << debbono essere riservate ad individui socialmente inseriti [ poiché ] queste disposizioni non sono adatte a tossicodipendenti troppo anti-sociali o in situazioni di precarietà, come nel caso dei condannati privi di un domicilio fisso >>. Le Magistrature nazionali europee, emblematicamente rappresentate dalla Francia, reputano non idonei o, comunque, non sufficienti e financo ridicoli, in tema di droghe, gli strumenti penali alternativi dell’ammenda e della partecipazione obbligatoria a corsi di recupero auto-motivazionali Il basso reddito e l’instabilità abitativa sono incompatibili con condanne di ispirazione abolizionistica o riduzionistica.

E’oltremodo necessario riconoscere sinceramente che l’etnia, in Europa, reca a vere e proprie discriminazioni razziali nel contesto delle devianze criminose ad eziologia tossicomanica. FASSIN (2011) rimarca che << la gioventù proveniente da classi sociali modeste non ha appartamenti indipendenti e spaziosi per riunirsi e fuma la cannabis fuori dai luoghi di residenza esponendosi in tal modo a più frequenti controlli da parte della Polizia rispetto a quello che accade per i giovani economicamente più privilegiati. A questo si aggiunge l’eccessiva individualizzazione etnica delle persone arrestate >>. Inoltre, FASSIN (2015) reputa che << la popolazione carceraria straniera è eccessiva e questo dimostra l’ineguaglianza di fronte alla legge >>. Per quanto afferisce alla fattispecie del Regno Unito, EASTWOOD & SHINER & BEAR (2013) hanno rilevato che i soggetti asiatici e quelli con pelle nera sono arrestati e condannati 6 volte più rispetto i bianchi, nonostante gli occidentali inglesi assumano abitualmente molti più stupefacenti degli stranieri. A livello di circolazione stradale, la PG del Regno Unito penalizza maggiormente gli africani ebbri o drogati, pur se anche gli autoctoni guidano molto spesso sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e bevande alcooliche (EASTWOOD & SHINER & BEAR, ibidem). La situazione risulta simile pure negli USA, ove i neri fumatori di crack subiscono Procedimenti Penali discriminatori rispetto ai bianchi assuntori di eroina (GETTMAN 2015).

 

4. Le cure obbligatorie imposte dall’A.G. al condannato tossicodipendente.

             Tutte le Legislazioni Penali europee contemplano la possibilità di sottoporre obbligatoriamente a cure farmacologiche il condannato che fa abitualmente uso di stupefacenti e/o bevande alcooliche. La ratio del predetto trattamento medico si fonda sulla finalità meta-geografica di ridurre o azzerare il rischio di recidiva qualora il delitto commesso sia direttamente imputabile ad una (poli)tossicodipendenza anti-normativa. L’approccio sanitario soddisfa le esigenze abolizionistiche che, a partire dagli Anni Settanta del Novecento, hanno giustamente dimostrato l’inutilità di un’esecuzione penitenziaria retribuzionista ed in grado soltanto di generare rabbia sopita e nuove pulsioni contrarie alla pacifica convivenza sociale. Si veda l’esempio, in Italia, della Riforma Basaglia nella L. 180/1978 e della Riforma Margara nella L. 354/1975. Oppure, si ponga mente, in Francia, agli Artt. 3413-1 – 3413.4 del Codice della Sanità Pubblica nonché al nuovo Art. 132-45.3 CP entrato in vigore lo 05/03/2007 (Legge relativa alla prevenzione della delinquenza). Altrettanto interessante, sempre nell’Ordinamento francese, risulta pure il Decreto n° 2008-364 del 16/04/2008 relativo alle <<Misure di ingiunzione terapeutica >>. Nel Diritto Processuale Penale comparato europeo, le cure obbligatorie costituiscono, di solito, una forma di esercizio alternativo dell’azione penale da parte del Magistrato requirente, ma è usuale anche l’ingiunzione del trattamento da parte del Magistrato giudicante o di quello di Sorveglianza. In tal caso, il percorso farmacologico diviene una pena alternativa al carcere, oppure una sanzione di rango accessorio. Purtroppo, nella Giuspenalistica francese, l’AG, su proposta o meno del Ministero Pubblico, non è codicisticamente tenuta a richiedere al condannato il consenso alla terapia. Tuttavia, nella Prassi giurisprudenziale, la libera accettazione del reo è qualificata alla stregua di un diritto processuale internazionalisticamente tutelato dalla CEDU.

Nella Circolare sul consenso del 16/04/2015, la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha ribadito che il tossicodipendente oggetto di condanna deve, sotto il profilo tecnico-giuridico, manifestare sempre ed in forma esplicita il proprio consenso o, viceversa, il proprio dissenso alle cure sanitarie. Infatti, il reo assuntore di droghe è vulnerabile, ma, in ogni caso, << è imperativo garantire la manifestazione del consenso. Esiste una grande a-simmetria nella relazione tra la persona [ il Magistrato ] che propone una soluzione ai problemi riscontrati e, dall’altro lato, la persona in stato di vulnerabilità. Quest’ultima accetta o rifiuta, ma non propone mai … e molto spesso l’autonomia della persona condannata è limitata da influssi esterni o dall’autorità che propone (il medico, la famiglia, gli assistenti sociali, le istituzioni) >>. E’indispensabile, in tema di cure mediche obbligatorie disposte dall’AG, che il tossicomane venga dettagliatamente informato sulle modalità e sui tempi del trattamento di disintossicazione ingiunto dal Magistrato. Conculcare la libera accettazione delle terapie significa violare uno dei più importanti interessi legittimi tutelati dalla CEDU nell’ambito del Diritto Penale e del Diritto Penitenziario.

In Dottrina, giustamente GAUTRON (2016) sostiene che << l’ingiunzione di una terapia, come nel caso [ ridicolo, ndr ] dei corsi auto-motivazionali imposti, presuppone una valutazione preventiva della personalità del reo. Nella pratica, invece, si privilegia l’immediatezza della risposta e, dunque, non si lascia al Magistrato il tempo necessario per verificare la situazione della persona da sanzionare. Tutte le Circolari sulle ingiunzioni terapeutiche esigono un’audizione individuale dell’assuntore di stupefacenti per valutare i suoi problemi [ … ]. Non basta essere tossicodipendente problematico per beneficiare di una terapia obbligatoria. Bisogna anche meritarla >>. E’indispensabile giudicare ogni singolo dettaglio della tossicomania. In primo luogo, la dipendenza psico-fisica dev’essere cronica, acuta e non limitata ad uno o più episodi. Inoltre, le cure obbligatorie sono tali soltanto se l’uncinamento ha indotto a delinquere. In terzo luogo, il Giudice ed il Ministero Pubblico sono tenuti a prendere in considerazione tutti i precedenti medico-forensi dell’infrattore e, soprattutto, va considerato pure il tipo di droga assunta, in tanto in quanto le varie sostanze recano a condotte altrettanto diversificate. Infine, il Magistrato non può non distinguere con equilibrio ciò che è patologia da ciò che è delinquenza penalmente rilevante. Chi abusa di bevande alcooliche e/o droghe non è solo un malato e, nel medesimo tempo, non è solo un deviante. Tale panorama incerto e complicato diviene ancor più grave, in Europa, poiché <<mancano esperti, medici e coordinatori per il trattamento. Molte ordinanze di cure obbligatorie non possono essere messe in pratica perché manca personale qualificato >> (SENON & ZAGURY 2014). Negli Ordinamenti occidentali, esiste un’incomprensione inaccettabile tra gli Operatori chiamati a disintossicare l’infrattore condannato. Le varie discipline ed i vari livelli di intervento sono malcoordinati ed incoerenti, probabilmente perché << il magistrato diventa un medico che prescrive cure ed il medico diventa un ausiliario della giustizia incaricato di dare corso ad una sentenza >> (GAUTRON, ibidem). Come sempre, esiste un illogico conflitto tra Diritto e Medicina e, per conseguenza, le lacune de jure condito debbono essere colmate dalla Prassi e dalla buona volontà quotidiana degli educatori penitenziari. In sostanza, << numerosi addetti ai lavori reputano che l’ingiunzione terapeutica non può funzionare e che solo un vero e proprio lavoro interdisciplinare sanità-giustizia potrà produrre degli effetti positivi >> (GAUTRON, ibidem).

 

5. Il diritto alla salute nel contesto delle (poli)tossicodipendenze.

             Negli Ordinamenti giuridici europei, il diritto alla salute non soltanto è statuito dalla CEDU, ma possiede anche una suprema cogenza all’interno del Diritto Costituzionale dei singoli Stati membri del Consiglio d’Europa.

ONU (2015), con lodevole senso pratico, segnala che << gli assuntori [ europei ] di droghe, che vivono in Paesi ove il consumo di sostanze costituisce un illecito penale, esitano a farsi curare per paura che le informazioni personali sulla loro tossicodipendenza possano essere comunicate alle autorità con la conseguenza dell’arresto o della reclusione >>. Tale catastrofico non poter recarsi in ambulatori ed ospedali pubblici aumenta l’emarginazione dei tossicomani, costretti spesso allo scambio di siringhe con un conseguente aumento di infezioni quali l’HIV e l’epatite C. Si consideri pure che consumare sostanze d’abuso in luoghi degradati e periferici toglie auto-controllo ed innalza in maniera esponenziale le overdoses. I giovani eroinomani che si “bucano” da poco tempo o addirittura per la prima volta debbono essere dissuasi, informati e protetti. Viceversa, un utilizzatore di droghe che teme la denuncia e la reclusione non contatta le Autorità Sanitarie e, in tal modo, si annichilisce la ratio criminologica della riduzione dei danni. Purtroppo, molte volte, il tossicodipendente riesce a vincere i timori di ripercussioni giudiziarie, ma, una volta giunto in un ospedale o in una comunità non attrezzata, viene nuovamente emarginato, giacché egli presenta un quadro (pluri)patologico difficilmente trattabile. In effetti, la dipendenza da sostanze d’abuso manifesta profili fisici, ma anche ed anzitutto profili psico-comportamentali. Di solito, il tossicomane viene percepito, negli ospedali o in altre strutture, alla stregua di un deviante scomodo, potenzialmente aggressivo e da dimettere il prima possibile.

REYNAUD (2013) riconosce apertamente che esistono << molte carenze nella formazione medica in tema di sostanze d’abuso … lo stato attuale della formazione medico-tossicologica è molto insufficiente. Un miglioramento serio e sostenuto della formazione dei medici dev’essere un obiettivo prioritario. E’, inoltre, indispensabile evitare la stigmatizzazione degli assuntori di droghe illecite. Occorre proporre un’offerta di cure domiciliari e rinforzare il sistema delle terapie residenziali [ in comunità ] >>. E’paradigmatico il caso della Francia, in cui << vi è la necessità di rinforzare e di implementare le possibilità d’accesso alle residenze medico-sociali, soprattutto nelle zone di campagna >> (CADET-TAIROU & DAMBELE 2014). Tale lacunosità quantitativa è congiunta ad un’altrettanto preoccupante insufficienza qualitativa, in tanto in quanto rimangono privi di un aiuto concreto i tossicodipendenti ormai ultra-40enni irreversibilmente uncinati. La vera soluzione è quella delle cure di tipo residenziale, come le comunità, gli appartamenti protetti e le case-famiglia. In queste strutture, il tossicodipendente, infatti, è seguito con una prospettiva di lungo periodo e, pertanto riesce a disintossicarsi in maniera autenticamente stabile e duratura (REYNAUD, ibidem). Probabilmente, non conta tanto moltiplicare la quantità dei centri di recupero, quanto piuttosto innalzare, in Europa, il livello della qualità delle istituzioni residenziali per gli assuntori di sostanze stupefacenti. In effetti e paradossalmente, un sistema di sostegno eccessivamente complesso e centrifugo spaventa l’utente, che spesso si vede rinviato da una comunità all’altra senza poter beneficiare di un percorso continuativo e coerente.

Un altro ambito basilare in tema di diritto alla salute e droghe è quello della vita carceraria. Nell’UE, sotto il profilo pratico, non è rispettata la ratio dell’equipollenza tra le cure sanitarie esterne e quelle praticate all’interno dei luoghi di reclusione. Il carcere è un’esperienza che, presto o tardi, tange qualunque soggetto che fa uso di sostanze psicotrope o psicoattive. Il trattamento penitenziario, per ogni tossicomane, non è una realtà lontana ed impensabile. L’utente con problemi di (poli)tossicodipendenza non è per nulla preparato alla vita libera esente da pena e, nella maggior parte dei casi, l’abitudine delle droghe e delle bevande alcooliche tornerà a dominare le giornate dell’ex detenuto /a. Postulati de jure condito come il comma 1 Art. 75 schwStGB risultano impeccabili sotto il profilo formale, ancorché inapplicati sotto il profilo sostanziale.

Un’ultima problematica specifica è quella della tutela giuridica e criminologica della donna (poli)tossicodipendente, ovverosia << il vissuto delle donne assuntrici di droghe è praticamente sconosciuto. Essere donna e consumare sostanze significa doversi confrontare viso a viso con dei rischi molto specifici riguardanti anzitutto la propria salute sessuale. Ma significa anche dover subire una stigmatizzazione più forte >> (CATTANEO 2013). Una donna che si droga infrange quasi tutte le regole mediterranee della femminilità così come essa è concepita nella tradizione europea. A ciò si aggiunga pure che una tossica femmina entra o entrerà, dopo qualche mese o anno, all’interno di umilianti dinamiche di matrice prostitutiva. Prendere sostanze ed alterarsi dal punto di vista psico-fisico isola la donna, la esclude dalle ordinarie dinamiche sociali e, soprattutto, è incompatibile con il fondamentale ruolo di Materfamilias. La tossicodipendenza femminile lede la dignità della donna e, a differenza di quanto accade negli ambienti maschili, trascina nel disordine l’equilibrio fragile eppur fondamentale degli affetti familiari.

 

 

B I B L I O G R A F I A

 

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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