Il governo, come ampiamente anticipato nei giorni scorsi dal ministro per gli affari regionali Boccia, ha infatti impugnato l’ordinanza p.g.r. Calabria n. 37 del 29 aprile scorso, quel testo che la presidente Santelli ha emanato quasi a sorpresa tra le proteste dell’esecutivo e di molti sindaci calabresi, con il quale venivano disposte alcune misure derogatorie rispetto al regime nazionale d’emergenza, soprattutto in materia di somministrazione di cibo e bevande all’aperto.
A seguito del deposito dell’istanza, l’Avvocatura dello Stato, accogliendo l’invito del Presidente del Tribunale calabrese, ha spiegato di aver rinunciato alla procedura accelerata – con la quale avrebbe potuto ottenere un decreto cautelare monocratico – per poter giungere a una decisione collegiale in tempi comunque relativamente brevi, “tenuto conto dell’importanza e della delicatezza dei valori in gioco”.
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La vicenda amministrativa
Venerdì 29 aprile, poco dopo le 21, nella generale sorpresa di molti cittadini e, a quanto pare, delle altre istituzioni centrali e locali, la Presidente della giunta regionale calabrese, l’On. Jole Santelli, dava comunicazione via social di aver emanato un’ordinanza con la quale si annunciavano “misure nuove, al pari di altre regioni e alcune uniche sul territorio nazionale”.
Il testo dell’ordinanza n. 37/2020, cui si dà espressamente immediata efficacia, prevede soprattutto due punti, 5 e 6, che prontamente hanno allarmato l’opinione pubblica e sollecitato un aspro dibattito politico che da quel momento ha intasato pagine di giornali e programmi tv.
Così dispone la deliberazione ai suddetti punti:
«5. consentire la ripresa delle attività di ristoranti, pizzerie, rosticcerie per la preparazione dei
relativi prodotti da effettuarsi a mezzo asporto;
- consentire la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con
somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto».
La disposizione di legge citata dai tecnici della regione che costituisce la base normativa dell’ordinanza è soprattutto una, senza contare ovviamente l’art. 117 della Costituzione: l’art. 32 della L. n. 833/1978 (“ordinanze regionali di carattere contingibile e urgente in materia di sanità pubblica”). Ma a sostegno delle proprie ragioni, viene citata soprattutto la situazione epidemiologica in miglioramento, sulla base de “l’analisi dei dati prodotta dal Settore n. 9 del Dipartimento Tutela della Salute e Politiche Sanitarie”.
C’è infine un richiamo espresso all’art. 1 co. 1 lett. aa) del d.p.c.m. 26 aprile 2020, il testo che regolamenta la c.d. “fase due”, con inoltre un aggiuntivo e più generico riferimento «all’avvio della “fase 2” da parte del governo». Quest’ultimo cenno al d.p.c.m., però, non tiene conto che l’art. 5 dell’ordinanza p.g.r., anticipa di fatto, seppur di pochi giorni, la misura che nello specifico permette alle attività di ristorazione di riprendere il servizio d’asporto. La disposizione dell’art. 6, invece, quella cioè che regolamenta la ripresa della somministrazione di cibo e bevande attraverso tavoli all’aperto, sempre al netto del rispetto di una serie di prescrizioni, deroga alle limitazioni imposte e rinnovate dal governo anche nel suddetto decreto, in riferimento a queste attività.
Tuttavia, stando alle dichiarazioni dei legali della regione, questa deroga sarebbe sostenuta dal D.L. n. 19/2020, laddove all’art. 1 co. 2 si prevedono ulteriori misure da adottare con “adeguatezza e proporzionalità per specifiche parti del territorio”, come vedremo a breve.
L’ordinanza di Santelli ha indispettito il governo che, dapprima con un invito al ritiro, poi con una formale diffida, e infine con il ricorso urgente depositato al Tar lunedì scorso, sta provando, fin dall’emanazione del testo, ad evitare un contrasto tra fonti di legge che appare palese e che potrebbe fare da apripista a una regolamentazione autonomista delle regioni rispetto alla fase di uscita dall’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del nuovo coronavirus.
In realtà, l’ordinanza calabrese, non è di certo la prima né l’unica disposizione derogatoria o specificatoria degli atti emergenziali del governo. Mai, però, si era finora assistito a un livello di scontro di competenza – che chissà non diventi un futuro conflitto di attribuzione tra Stato e regioni – così acceso da poter trovare composizione solo davanti al giudice amministrativo. Rispetto alle ordinanze di Veneto, Emilia Romagna, Sicilia, ecc., quella calabrese sembrerebbe l’unica a contenere disposizioni palesemente difformi al dettato dell’esecutivo, senza contare che manca di un sostegno scientifico delle autorità competenti indicate dalla legge o nominate dalla stessa regione. Si pensi che uno dei virologi invitati da Santelli a comporre la task force regionale di gestione dell’emergenza, ha dichiarato di non essere stato consultato.
L’applicazione dell’ordinanza, inoltre, ha da subito incontrato non poche resistenze anche da parte di molti sindaci calabresi. In molti comuni, infatti, ci si è immediatamente attrezzati per differire l’entrata in vigore del disposto della governatrice, o addirittura disapplicarlo. Alcuni primi cittadini hanno evidenziato una presunta illegittimità dell’atto per contrasto con i d.p.c.m. che stanno governando la crisi, emanando ordinanze sindacali sulla base dell’art. 50 della L. n. 267/2000 (così, per esempio, il Sindaco di Reggio Calabria con ordinanza n. 44/2020), ma lo stesso avrebbero potuto fare probabilmente in forza dell’art. 54 della stessa legge, vale a dire con potere di ordinanza contingibile e urgente quali ufficiali di governo, o magari in virtù della stessa legge che la Regione ha citato a suo sostegno (l’art. 32 della L. n. 833/1978).
Da un punto di vista sostanziale, ancora, c’è da dire che tutta la vicenda potrebbe avere effetti sul piano amministrativo, su quello dei rapporti tra stato e regione o tra regione e comuni, ma poco potrebbe muovere con riferimento all’applicazione effettiva o, al contrario, alla disapplicazione dell’ordinanza. Bisogna infatti considerare, lato regione, che il recepimento del testo, fino al 3 maggio, ha interessato davvero poche aree del territorio regionale, mentre sta trovando maggiore applicazione solo con l’entrata in vigore della c.d. “fase due”. Lato governo, tuttavia, se si ritenevano tanto gravi e pericolosi gli effetti di quella disposizione, non si spiega perché abbia rinunciato alla procedura d’urgenza – anche al netto di comprensibili cortesie istituzionali e della possibilità di ottenere un’udienza ravvicinata – né come un’eventuale sospensione dell’ordinanza, che a questo punto non potrà arrivare prima del 9 maggio, possa risolvere la vicenda dopo dieci giorni durante i quali l’o.p.g.r 37/2020 ha comunque spiegato i propri effetti evidentemente irreversibili.
Infine, da un’ottica meramente epidemiologica, ove la curva del contagio calabrese tornasse a crescere, non è chiaro come si potrebbe dimostrare la correlazione con gli effetti della tanto discussa ordinanza.
Il ricorso e le ragioni del ricorrente
Proviamo quindi a ricostruire le ragioni del governo secondo le dichiarazioni rese alla stampa dal ministro Boccia a proposito della sua memoria consegnata all’Avvocatura dello Stato. Diciamo subito che il ricorso del governo, depositato lunedì al Tar di Catanzaro, ha un primo e dopo 4 maggio. Fino al 3 maggio, infatti, sono i punti 5 e 6 dell’ordinanza impugnata a destare sospetti di violazione di legge e di eccesso di potere: nel primo caso, in relazione al d.p.c.m. del 10 aprile 2020; nel secondo, rispetto a quanto previsto dal già citato D.L. n. 19/2020. Dal 4 maggio, invece, il punto 5 può ritenersi assorbito dal d.p.c.m. del 26 aprile (poiché già previsto che le attività di ristorazione riprendessero il proprio lavoro d’asporto), mentre il punto 6 sarebbe comunque contrario a quanto disposto da quest’ultimo decreto.
Senza soffermarsi troppo sui testi dei d.p.c.m. di cui si è detto abbastanza anche a riguardo di altre questioni, è il caso di soffermarsi sul discusso disposto del decreto n. 19/2020, dal momento che tanto il ministro Boccia, quanto i legali della Regione Calabria, lo hanno citato a supporto delle proprie tesi processuali. Il ministro ha ricordato che il decreto prevede sì la possibilità di fare eccezione alle misure del governo, ma solo laddove esse dispongano un contenuto ulteriormente restrittivo delle limitazioni già vigenti. Si fa riferimento, insomma, all’art. 3 co. 1 del testo: «[…] le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale». Da questo punto di vista è evidente che il testo della Presidente Santelli avrebbe invece un contenuto ampliativo.
Ulteriore argomentazione a sostegno del governo sarebbe poi quella della lesione del principio di leale collaborazione tra stato e regioni, un principio di natura giurisprudenziale soprattutto costituzionale che, a maggior ragione in casi di emergenza come quella che stiamo attraversando, imporrebbe una concertazione tra i diversi livelli di governo che a detta del ministro sarebbe mancata rispetto all’assunzione di questo provvedimento.
Riguardo al potere della Regione di emettere l’atto, ancora, quindi rispetto a una presunta carenza o eccesso, per il governo l’ordinanza sarebbe stata assunta con “illogicità manifesta”, avendo l’ente solitamente riconosciuto il preminente potere dispositivo statale, e soprattutto l’iter sarebbe viziato dall’assenza di argomentazioni scientifiche. Su quest’ultimo punto, si ritorni alla D.L. n. 19/2020, in particolare all’art. 2 co. 1: «[…] Per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, i provvedimenti di cui al presente comma sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico scientifico […]». Questa disposizione, per la verità, fa riferimento all’assunzione di decreti del P.d.C.M. su proposta di altri ministri o di presidenti di regione, ma rimanda proprio a quei criteri di “proporzionalità e adeguatezza” citati nell’art.1, ai quali avrebbero fatto riferimento gli avvocati calabresi nella propria memoria. Non è chiaro invece quale sia il parere scientifico a sostegno dell’ordinanza, laddove viene invece citato solo quello del dipartimento regionale di salute pubblica, tuttavia limitando l’analisi esclusivamente alla curva del contagio.
Per ultimo, il ministro Boccia avrebbe ravvisato il “periculum in mora” negli effetti che potrebbero gravare sul sistema sanitario regionale dall’applicazione di questo provvedimento.
La difesa della Regione Calabria e i possibili sviluppi
Non è possibile conoscere con esattezza la strategia dei legali calabresi e c’è da credere che in ragione della convocazione di un’udienza collegiale così ravvicinata, possa emergere un interesse comune per arrivare a una soluzione che alla fine non scontenti nessuno. Tuttavia, da quanto dichiarato alla stampa, le tesi degli avvocati Morcavallo, Di Porto e Manna, sembrerebbero essenzialmente due: chiedere l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione; sostenere la piena legittimità dell’atto regionale ritenuto non in contrasto con il dettato dell’esecutivo centrale.
Nel primo caso, i legali sostengono che non fosse il Tar la sede giusta per risolvere la questione, ma parlando espressamente di “conflitto tra poteri dello Stato”, occorresse presentarsi dinnanzi alla Consulta per un conflitto di attribuzione, artt. 127 e 134 co. 2 della Costituzione. Nel caso di specie, però, si dovrebbe sostenere l’incompetenza della regione Calabria ad emanare l’ordinanza, mentre il ricorrente sembrerebbe aver puntato, non senza l’interesse a una soluzione più immediata, ad ottenere il riconoscimento di plurime violazioni di legge. In un conflitto d’attribuzione, del resto, la tutela della salute, trattandosi di materia di disciplina concorrente, potrebbe far pendere l’ago della bilancia dalla parte della Regione, seppur non possa non tenersi conto della specialità della situazione (si pensi, fra le altre cose, che tutti i poteri statali stanno operando in regime di “stato di emergenza”).
Dal punto di vista della legittimità dell’atto, ipotizzando che non vi siano effettive ragioni per il Tar di dichiarare il ricorso inammissibile, la questione è ben più complessa e come tale si presenta la linea difensiva.
Fatta eccezione per la richiesta di improcedibilità per carenza di interesse, la Regione cercherà di dimostrare che la disciplina regionale ha solo dettagliato quella nazionale.
Affrontata la questione della legge n. 833/1978 che consentirebbe in materia sanitaria l’adozione di ordinanze regionali contingibili e urgenti, è soprattutto sull’interpretazione del D.L. n. 19/2020 che si gioca la partita. La Regione sostiene che i criteri di adeguatezza e proporzionalità nell’adozione di misure “locali”, giustificherebbe l’emanazione del provvedimento proprio per come strutturato, laddove si richiama la specificità della situazione epidemiologica calabrese.
Come anticipato, siamo fermi sempre al co. 2 dell’art. 1: a ben vedere però, tutte le lettere che specificano le materie disciplinabili in ragione di particolarità territoriali, fanno riferimento all’accentuazione di misure restrittive, con sole due eccezioni. La prima è quella della lettera gg): «previsione che le attività consentite si svolgano previa assunzione da parte del titolare o del gestore di misure idonee a evitare assembramenti di persone, con obbligo di predisporre le
condizioni per garantire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a prevenire o ridurre il rischio di contagio; per i servizi di pubblica necessità, laddove
non sia possibile rispettare tale distanza interpersonale, previsione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione di strumenti di protezione individuale». Si tratta probabilmente dell’argomentazione più forte a sostegno della Presidente Santelli. Laddove, infatti, l’attività di somministrazione all’aperto venisse riconosciuta come già consentita in ordine alle disposizioni del d.p.c.m. della “fase due”, potrebbe decadere la questione, quantomeno quella riferita al punto 6 dell’ordinanza. Tuttavia, il d.p.c.m. 26 aprile 2020, all’art. 1 lett. aa), sembrerebbe piuttosto inequivocabile: «sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché la ristorazione con asporto fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi». Il contrasto con quanto disposto dall’ordinanza sembra evidente.
Ulteriore appiglio al decreto n. 19/2020, potrebbe poi essere la lettera hh) del co. 2 dell’art. 1: «eventuale previsione di esclusioni dalle limitazioni alle attività economiche di cui al presente comma, con verifiche caso per caso affidata a autorità pubbliche specificamente individuate».
Tuttavia, si è già detto di come nell’ordinanza regionale mancherebbe la verifica dell’autorità pubblica, nel caso specifico quella del Comitato tecnico-scientifico, per come disposto all’art. 2 dello stesso decreto.
In definitiva, per tutte queste ragioni, la strada della sospensione dell’ordinanza calabrese, sembrerebbe già segnata per contrasto con i d.p.c.m. del Presidente Conte e conseguente insufficienza della base normativa addotta.
Non servirà comunque attendere molto per scoprire gli sviluppi: appuntamento fissato a sabato presso la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale di Catanzaro.
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Note: riferimenti a note Ansa e articoli de Corriere della Calabria e LameziaOggi; tutte le disposizioni menzionate sono rintracciabili in Gazzetta Ufficiale o sui portali degli enti locali citati.
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