E’ questo il principio fatto proprio dalla Corte di Cassazione, seconda sezione civile, con ordinanza n. 14485 del 6 giugno 2018, accogliendo il ricorso di un legale, che aveva svolto attività in regime di patrocinio a spese dello Stato.
L’avvocato, in particolare, si era opposto alla liquidazione del proprio compenso effettuata dal Giudice di pace, ritenuta riduttiva rispetto all’impegno professionale profuso, stante anche il mancato riconoscimento delle spese borsuali effettuate in favore del cliente. Si era dunque rivolto al Tribunale, che accolse la sua opposizione, aumentando l’ammontare del compenso. Il legale propose tuttavia ricorso in Cassazione, lamentando come il Tribunale, sebbene accogliendo la sua domanda, non avesse affatto motivato la decisione, senza peraltro nulla disporre sulle spese di lite del procedimento di opposizione, addossate al legale medesimo.
Liquidazione del compenso, non basta rinviare alle tariffe
Gli Ermellini hanno accolto la presente censura, poiché in effetti il Tribunale si era limitato a modificare il compenso senza illustrare le ragioni a fondamento della propria decisione, effettuando la liquidazione semplicemente sulla base di un modulo all’uopo predisposto – che a sua volta rinviava alla tariffa vigente – senza opportunamente valorizzare l’impegno profuso dal legale, le singole attività da esso indicate e la complessità delle questioni giuridiche trattate, con il relativo impegno richiesto. Il decreto in questione, conclude la Corte, va dunque cassato con rinvio al medesimo Tribunale in diversa composizione.
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