Gratuito patrocinio non può essere escluso da carichi pendenti per reati patrimoniali

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22854 del 6 giugno 2024, ha chiarito che il gratuito patrocinio non può essere escluso da carichi pendenti per reati patrimoniali.

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Corte di Cassazione – Sez. IV Pen. – Sent. n. 22854 del 06/06/2024

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Indice

1. I fatti

Il Presidente del Tribunale di Sciacca, con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702-ter cod. proc. civ., ha rigettato l’opposizione proposta x art. 99 DPR n. 115/2002 dall’imputato avverso il decreto del GIP del Tribunale di Sciacca, con il quale era stata respinta la domanda di ammissione al gratuito patrocinio.
Con tale domande era stata attestata la sussistenza di tutti i presupposti e le condizioni per poter essere ammesso al beneficio, tra cui il reddito familiare che ammontava a 6.573,80 euro.
Il Gip ha, però, attribuito rilievo alla circostanza che a carico dell’imputato risultavano almeno quattro procedimenti per reati contro il patrimonio, che facevano presumere che lo stesso si alimentasse con attività illecite e che avesse un reddito superiore a quello previsto come limite.
Avverso tale ordinanza, è stato proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo con il quale si deduceva la nullità della predetta ordinanza per inosservanza o erronea applicazione della disciplina dettata dal DPR n. 115/2002 per mancanza di motivazione.
In particolare, veniva sostenuto che il ragionamento del Presidente del Tribunale non dà conto delle ragioni effettive del rigetto dell’istanza, che lo stesso ricorrente aveva basato sulla propria autodichiarazione, utilizzando uno schema logico presuntivo basato sulla circostanza, negativa, della mancata produzione del certificato del casellario giudiziale, in modo da inferirne il ragionevole convincimento della esistenza di redditi occultati derivanti da attività illecita.
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2. Ammissione al gratuito patrocinio e carichi pendenti per reati contro il patrimonio: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, rammenta un consolidato principio di diritto secondo il quale l’opposizione ex art. 99 DPR n. 115/2002 consiste in “un rimedio straordinario ed atipico, da includere nell’area degli strumenti impugnatori, con i quali – cioè – si fa valere una censura avverso un atto decisorio; con la conseguenza che sono applicabili i principi dell’ordinamento processuale penale in tema di effetto devolutivo e di divieto di reformatio in peius“.
Nel caso di specie, il giudice adito ex art. 99 non ha arbitrariamente allargato l’ambito definito dal provvedimento di rigetto, ma non ha neanche esaminato l’intero ambito che il ricorso aveva tracciato.
Il ricorrente, infatti, ha contestato la valenza del ragionamento presuntivo, fondato sulla mera sussistenza dei precedenti penali contro il patrimonio, per ribadire la veridicità dell’autodichiarazione resa al momento della presentazione dell’istanza.

In sostanza, il devolutum si è esteso all’esame di tutti gli altri indici che la disciplina della materia consente di valutare per stabilire la sussistenza del presupposto reddituale.
La Corte sottolinea che il giudizio di cui all’art. 99 cit. non è a critica vincolata e, anzi, consente una piena devoluzione delle questioni al giudice competente. Per tale motivo, a seguito del rigetto dell’istanza, per qualunque ragione lo stesso sia stato adottato, ben può il ricorrente devolvere l’intera questione al giudice dell’opposizione.
In questo caso, “il giudice dovrà applicare la regola del giudizio corrispondente a quella prevista dall’art. 96 DPR n. 115/2002, secondo la quale l’istanza va respinta se vi sono fondati motivi per ritenere che l’interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92 del DPR n. 115/2002, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione propende per la fondatezza del ricorso, osservando che non può dirsi corretta, per la sua apoditticità, l’osservazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo la quale la dichiarazione reddituale presentata dall’imputato non è attendibile, in quanto lo stesso sarebbe gravato da carichi pendenti per reati contro il patrimonio non meglio indicati e non è stato depositato il certificato del casellario giudiziale.
Tali circostanze, che nel percorso argomentativo vengono poste a base della decisione impugnata, non possono qualificarsi come specifici ed oggettivi elementi fattuali di tale portata da far ritenere che l’imputato percepisse redditi illeciti e che quanto dichiarato dall’istante a proposito dei propri redditi sia viziato da falsità o reticenza.
Per questi motivi e per i principi sopra enunciati, la Cassazione ha, dunque, annullato l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Presidente del Tribunale di Sciacca.

Riccardo Polito

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