Green pass e profili di legittimità costituzionale

Un momento significativo nella lotta al contagio dal covid-19 è rappresentato dall’avvio della campagna vaccinale che in Europa è avvenuto il 27 dicembre 2020.  Lo stesso governo ha poi di recente adottato il decreto legge n. 105 del 23 luglio 2021 con il quale è stato istituito il c.d. green pass, che appare conforme ai principi costituzionali, per porre un ulteriore freno al contagio alimentato dalla variante delta, ma larghi strati della popolazione hanno contestato l’adozione di questo provvedimento ritenendolo illegittimo. Tale comportamento, che ha dato luogo a manifestazioni di piazza senza il rispetto delle regole sanitarie, potrebbe determinare risvolti di natura penale.

Indice:

  1. Premessa: la fase vaccinale della pandemia da covid-19
  2. I profili di legittimità costituzionale del decreto legge n.105 del 23 luglio 2021
  3. Conclusioni

1. Premessa: la fase vaccinale della pandemia da covid-19

In Italia, il 31 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri ha ufficializzato, lo stato di emergenza, per sei mesi dalla data del provvedimento, al fine di consentire l’emanazione delle necessarie ordinanze di Protezione civile, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico; ha deliberato, inoltre, lo stanziamento dei fondi necessari per dare attuazione alle misure precauzionali derivanti dalla dichiarazione di emergenza internazionale effettuata dall’O.M.S. Il provvedimento è stato prorogato sino al 31 dicembre 2021 dall’art. 6 del decreto legge n.105/2021.[1]

In tale scenario, un giorno che entrerà nella storia alla lotta del Covid-19 è rappresentato dalla data del 27 dicembre 2020 che segna l’inizio della campagna vaccinale.[2] Un momento simbolico scelto dall’Europa per condividere il tentativo della fine dell’epidemia. Con la somministrazione delle prime dosi del vaccino Pfizer Biontech, poi seguita da quelle di Moderna, AstraZeneca, Johnson & Johnson, seguendo tutte le fasi della sperimentazione clinica e autorizzata dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA), uno spiraglio di luce si è intravisto in fondo al tunnel che il mondo intero percorreva ormai da circa un anno. La campagna vaccinale si è ripromessa di raggiungere l’obiettivo di raggiungere il 70% della popolazione percentuale che viene individuata da taluni virologi come la soglia minima da raggiungere per determinare la c.d. immunità di gregge.

Nella Gazzetta Ufficiale del 23 luglio 2021, n. 175, è stato poi pubblicato il decreto-legge n. 105, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche e sono state individuate attività e ambiti accessibili solo se in possesso di green pass.[3]

2. I profili di legittimità costituzionale del decreto legge n.105 del 23 luglio 2021

Secondo il decreto legge n.105/2021 sarà possibile svolgere alcune attività solamente se si è in possesso di:

  • certificazioni verdi Covid-19 (green pass), comprovanti l’inoculazione almeno della prima dose vaccinale Sars-CoV-2 o la guarigione dall’infezione da Sars-CoV-2 (validità 6 mesi);
  • effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al virus Sars-CoV-2 (con validità 48 ore);

Tale documentazione sarà richiesta al fine di poter svolgere ovvero accedere alle seguenti attività o ambiti, a decorrere dal 6 agosto 2021:

  • servizi per la ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per consumo al tavolo al chiuso;
  • spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi;
  • musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre;
  • piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività al chiuso;
  • sagre e fiere, convegni e congressi;
  • centri termali, parchi tematici e di divertimento;
  • centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l’infanzia, i centri estivi e le relative attività di ristorazione;
  • attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò;
  • concorsi pubblici.

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La necessità di dare una risposta a una infezione sconosciuta ha portato a una contrazione dei tempi di sperimentazione precedenti alla messa in commercio che ha suscitato qualche interrogativo, per non parlare della logica impossibilità di conoscere possibili effetti negativi a lungo termine. Il presente lavoro intende fare chiarezza, per quanto possibile, sulle questioni più discusse in merito alla somministrazione dei vaccini, analizzando aspetti sanitari, medico – legali e professionali, anche in termini di responsabilità.   Fabio M. DonelliSpecialista in Ortopedia e Traumatologia, Medicina Legale e delle Assicurazioni e in Medicina dello Sport. Profes­sore a contratto presso l’Università degli Studi di Milano nel Dipartimento di Scienze Biomediche e docente presso l’Università degli Studi della Repubblica di San Marino. Già docente nella scuola di Medicina dello Sport dell’Uni­versità di Brescia, già professore a contratto in Traumatologia Forense presso l’Università degli Studi di Bologna e tutor in Ortopedia e Traumatologia nel corso di laurea in Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Siena. Responsabile della formazione per l’Associazione Italiana Traumatologia e Ortopedia Geriatrica. Promotore e coordinatore scientifico di corsi in ambito ortogeriatrico, ortopedico-traumatologico e medico-legale.Mario GabbrielliSpecialista in Medicina Legale. Già Professore Associato in Medicina Legale presso la Università di Roma La Sapienza. Professore ordinario di Medicina Legale presso la Università di Siena. Già direttore della UOC Me­dicina Legale nella Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. Direttore della Scuola di Specializzazione in Me­dicina Legale dell’Università di Siena, membro del Comitato Etico della Area Vasta Toscana Sud, Membro del Comitato Regionale Valutazione Sinistri della Regione Toscana, autore di 190 pubblicazioni.Con i contributi di: Maria Grazia Cusi, Matteo Benvenuti, Tommaso Candelori, Giulia Nucci, Anna Coluccia, Giacomo Gualtieri, Daniele Capano, Isabella Mercurio, Gianni Gori Savellini, Claudia Gandolfo.

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In precedenza, il Ministro della Salute ha presentato il 2 dicembre 2020 le linee guida del Piano strategico per la vaccinazione anti Covid-19, elaborato dal Ministero della Salute, dal Commissario Straordinario per l’Emergenza, l’Istituto Superiore di Sanità, Agenas e AIFA. In pari data il Parlamento ha approvato il citato Piano. Il documento prevede procedure rigorose di prevenzione e controllo delle infezioni (IPC) fondamentali per la sicurezza sul lavoro e per il controllo degli agenti patogeni, come potrebbe essere anche il certificato verde.

La normativa in questione si ritiene conforme ai principi della Carta costituzionale.

In particolare, nel nostro ordinamento, in primo luogo, deve essere rispettato il principio sancito dall’art. 32 della Costituzione, in base al quale “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La difesa di questo principio ha determinato l’adozione di provvedimenti eccezionali, ma necessari nella lotta alla pandemia.

L’art. 32 della Costituzione, quindi, si è prepotentemente imposto quale ulteriore ed invalicabile limite cui vanno soggette tutte le altre situazioni soggettive meritevoli di protezione rafforzata, in questo momento di rischio di contaminazione senza precedenti.[4]

Non vi sono dubbi, quindi, sulla preminenza che la Costituzione riconosce al diritto alla salute, tale da giustificare compressioni di altri interessi pubblici ugualmente meritevoli di tutela. In una situazione di emergenza epidemiologica quale quella attuale, le limitazioni alle altre libertà e ai diritti inviolabili sembrano tanto più giustificate ed accettabili, stante l’importanza preminente della salute pubblica, ex art. 32 della Carta Costituzionale. Resta inteso, però, che le misure restrittive devono promanare da autorità aventi un potere di intervento riconosciuto da norme sottoposte al necessario vaglio del Parlamento, anche in sede di conversione di atti con forza di legge dell’esecutivo, come nel caso in esame. Già in passato, muovendo dalla presenza dell’aggettivo fondamentale nel solo art. 32 Cost., autorevolissima dottrina ha sostenuto la prevalenza del diritto individuale e dell’interesse collettivo alla salute su tutti gli altri diritti e interessi consacrati nel testo costituzionale. Simile collocazione dell’art. 32, tuttavia, parrebbe anzitutto stridere con la necessità di procedere nell’interpretazione costituzionale a “una valutazione sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (cfr. sent. della Corte Costituzionale n. 264 del 2012). Il conflitto in questione, in effetti, sarebbe irriducibile se l’ordinamento non scegliesse quale interesse ritenere prevalente, sebbene non in maniera totale ed assoluta, ossia negando agli altri interessi in giuoco adeguata protezione.[5] Tali orientamenti appaiono anche in sintonia con i recenti pronunciamenti della Corte EDU in tema di vaccinazioni obbligatorie dove si afferma apertamente (sent. n. 268 del 2017) che simili obblighi can be regarded as being ‘necessary in a democratic society’ (possono essere considerati “necessari in una società democratica”). Il Giudice sovranazionale, in particolare, giunge a queste conclusioni pronunciandosi sulla legittimità di una decisione che aveva disposto delle sanzioni per il mancato rispetto della legislazione della Repubblica Ceca sull’obbligo vaccinale infantile. La disciplina nazionale viene ritenuta compatibile con l’articolo 8 della CEDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) dal Giudice di Strasburgo muovendo dal richiamo al principio della solidarietà sociale, nonché in forza dell’accertamento della proporzionalità delle restrizioni alla libertà individuale richieste per la tutela della salute di tutti i membri della società. Colpisce però il passaggio finale della motivazione della sentenza nel quale la Corte EDU sottolinea che il motivo centrale rispetto al quale si chiede l’intervento della Corte è la valutazione del rispetto del margine di apprezzamento nazionale nel bilanciamento tra le opposte esigenze in campo, più che l’accertamento della possibilità di optare per una legislazione facoltizzante al pari di quanto è previsto in altri Stati europei.

In altre parole, come osservato anche dal giudice amministrativo italiano sulla scorta proprio di queste conclusioni della Corte,: “la scelta tra obbligo o raccomandazione ai fini della somministrazione del vaccino costituisce in particolare il punto di equilibrio, in termini di bilanciamento tra valori parimenti tutelati dalla Costituzione (nonché sulla base dei dati e delle conoscenze scientifiche disponibili), tra autodeterminazione del singolo da un lato (rispetto della propria integrità psico-fisica) e tutela della salute (individuale e collettiva) dall’altro lato”.[6]

Il bilanciamento in questione è proporzionale se il pericolo per la salute collettiva “non deve essere evitabile con misure alternative all’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio, in quanto in caso contrario lo Stato sarà tenuto a porre in essere le misure, diverse dai trattamenti sanitari obbligatori, in grado di evitare il pericolo per la salute collettiva senza il sacrificio della libertà personale dei cittadini”. Inoltre, come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa già ricordata, la scelta “tra obbligo e raccomandazione – riguardante nel caso in specie il vaccino antinfluenzale – essendo il frutto di una operazione di bilanciamento complessa ed articolata tra libertà del singolo e tutela della salute individuale e collettiva […] non potrebbe essere derogata dalle regioni neppure in melius, ossia in senso più restrittivo (elevando, in altre parole, il livello di obbligatorietà per talune fasce di età e per alcune categorie professionali “a rischio”) giacché l’ordinamento costituzionale non tollera interventi regionali di questo genere, diretti nella sostanza ad alterare taluni difficili equilibri raggiunti dagli organi del potere centrale”. In sostanza, solo allo Stato va “ascritta ogni competenza e responsabilità – anche di matrice politica – in merito alla decisione di introdurre o meno obblighi di questo genere”. E nel caso in esame il provvedimento è stato assunto dal governo con un decreto legge.

Dalla giurisprudenza sulle vaccinazioni appare possibile ricavare un paradigma di intervento emergenziale legittimo per ragioni di polizia sanitaria, il quale chiama in causa inevitabilmente il ruolo della scienza e della tecnica nella formazione della decisione normativa e amministrativa. Più esplicitamente, per analizzare la ragionevolezza, ma soprattutto la proporzionalità del bilanciamento operato dal decisore politico, è essenziale il riferimento al dato tecnico-scientifico sia in termini di strumentario medico per il contrasto delle infezioni sia in termini di conoscibilità della situazione epidemiologica. Il rapporto tra scienza e diritto, d’altronde, si pone pure come questione fondamentale nell’apprezzamento delle scelte del legislatore da parte del Giudice costituzionale, e altresì, “a cascata”, per lo scrutinio di legittimità degli altri atti subordinati alla legge sottoposti anzitutto alla valutazione del giudice amministrativo. Si deve puntualizzare, però, che il concetto di non “normalità” o di eccezionalità che giustifica la prevalenza dell’interesse collettivo deve essere letto anche con la lente del principio di precauzione. A riprova di ciò, si può richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 5 del 2018 ove viene chiarito che “la copertura vaccinale è strumento di prevenzione e richiede di essere messa in opera indipendentemente da una crisi epidemica in atto. Deve perciò concludersi che rientra nella discrezionalità del Governo e del Parlamento intervenire prima che si verifichino scenari di allarme”. L’interesse collettivo, dunque, sembra poter essere legittimamente considerato come prevalente già in una situazione di emergenza sanitaria, giacché il primo obiettivo è evitare l’epidemia e, ove il tentativo sia risultato infruttuoso, reprimerla efficacemente. Tradizionalmente, difatti, nel concetto di salute pubblica rientra una “parte preventiva o tutela contro il morbo (Sanitätswesen) e parte repressiva (Heilweaen) […e ciò] dimostra ancora una volta che per tutela della salute pubblica deve intendersi l’azione dello Stato diretta a prevenire e reprimere i danni che all’organismo umano possono derivare dallo stato di malattia. Si può dunque sostenere che già quando si versa in una situazione di emergenza sanitaria qualificata come tale dalla scienza e non solo quando si è aperto lo scenario ben più grave dell’epidemia, l’interesse della collettività alla salute prevale sul diritto individuale e giustifica siffatte limitazioni.

Come chiarito anche da Vezio Crisafulli, dalla lettera dell’art. 32 Cost. si ricava che l’interesse pubblico protetto dalla norma è la salute collettiva: di talché, una situazione eccezionale, idonea ad azionare la tutela in parola, non potrà aversi nel caso in cui il potenziale pregiudizio sia patito da un singolo o da un gruppo ristretto di individui. Per essere rilevante ai fini della norma in questione, difatti, dovrà riguardare un numero rilevante di individui, ossia essere dotato di una apprezzabile estensione, come nel caso di specie. Non sembra, pertanto, potersi dubitare che la Costituzione riconosca un interesse obiettivo dell’ordinamento avente come centro di riferimento il bene-salute, in forza del quale la comunità dei governati è tenuta ad attivarsi per far sì che quel bene, la cui tutela è di ‘importanza primaria’, non corra pericoli di compromissione, se già posseduto, e sia concretamente conquistato dai singoli e dalla collettività, se assente. Il predetto interesse dell’ordinamento, in via di principio, è sovrapponibile all’interesse dei singoli nel senso che tanto migliore sarà la vita di una società tanto migliore sarà la condizione di salute fisica degli individui che la compongono. Per concludere, lo stato di emergenza visto come “luogo” in cui la produzione normativa si intensifica non si pone in contrapposizione con la Costituzione ove ne rispetti i presidi di garanzia. Nel caso di una emergenza di natura sanitaria, in particolare, l’osservanza del principio di proporzionalità tra sacrifici richiesti ai singoli e minaccia epidemiologica in atto appare come un punto “sensibile” del sindacato giurisdizionale davanti al giudice costituzionale, ma altresì innanzi al giudice amministrativo. Come è stato osservato, dunque, “L’iperproduzione di doveri, se avviene nel rispetto delle garanzie e della proporzione, resta estranea alla sospensione del diritto”, nondimeno se essa è rispettosa del principio di tassatività dei doveri ne assicura pienamente la funzione garantistica”.[7]

In secondo luogo, a proposito delle limitazioni per gli operatori economici previste dal provvedimento sul green pass, si rileva che l’art. 41 Cost. costituisce uno dei pilastri fondamentali sui quali è costruita l’architettura della c.d. “Costituzione economica” ed è complessivamente strutturato sull’intrinseca esigenza del bilanciamento tra un principio di libertà individuale e la tutela di alcuni valori o interessi facenti capo, da un lato, all’integrità della persona umana, dall’altro, lato sensu alla collettività. La Corte costituzionale ha ritenuto che l’art. 41 Cost. abbia sostanzialmente un oggetto unitario, con la conseguenza che tanto la garanzia posta al primo comma, quanto i limiti individuati al secondo e al terzo comma, debbono parimenti ritenersi applicabili tanto all’iniziativa quanto all’attività economica in senso proprio.[8]


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Tanto premesso, occorre guardare ai limiti e alle garanzie prefigurati in via generale dalla previsione costituzionale in esame, anche con riferimento alla certificazione verde.

Quanto ai primi, il secondo comma dell’art. 41 Cost. impone espressamente che la libertà in parola non possa essere esercitata “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, mentre il terzo comma della medesima disposizione affida alla legge il compito di determinare “i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

È particolarmente opportuno porre l’accento su due dei limiti enunciati dal secondo comma dell’art. 41 Cost.: l’utilità sociale e la sicurezza, entrambi di centrale importanza in relazione al contesto che ha dato vita alla normativa emergenziale adottata a seguito del diffondersi della pandemia da Covid-19, compreso il green pass.

Quello costituito dalla “sicurezza” è un limite che ricorre spesso in tema di diritti fondamentali e che, com’è noto, sottende una nozione più ampia della semplice incolumità pubblica, fino a ricomprendere “l’ordinato vivere civile”. Ciò che merita maggiormente sottolineare in questa sede è che, comunque, tale limite assorbe in sé quello dell’incolumità pubblica e, dunque, deve ritenersi senz’altro preordinato, in prima battuta e ormai pacificamente, alla tutela della vita e dell’integrità fisica di un numero indeterminato di persone.

Per quanto concerne l’individuazione del corretto significato da attribuire al limite dell’“utilità sociale” la stessa è stata configurata alla stregua di un “principio-valvola” in grado di consentire l’adattamento dell’ordinamento al mutare dei fatti sociali, ma anche come “concetto di valore” legato alla giustizia sociale e, come tale, rivolto alla realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost. D’altra parte, come è stato correttamente rilevato, nella variegata giurisprudenza costituzionale in merito è possibile scorgere una logica comune al fondo delle diverse decisioni, corrispondente al principio secondo cui “sono di utilità sociale quei beni che non solo sono ritenuti tali dal legislatore ma che godono anche e soprattutto di diretta protezione e garanzia in Costituzione» (quali, ad es., la salute, l’ambiente, il diritto al lavoro, etc.), la cui tutela, pertanto, imponga, nel bilanciamento con l’iniziativa economica privata, una limitazione di quest’ultima.

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In definitiva, sicurezza, utilità sociale e bilanciamento con altri diritti/beni costituzionalmente protetti sono i tre limiti potenziali della libertà di iniziativa economica che occorre tenere in particolare considerazione anche per la comprensione dell’istituto del green pass.

Dunque, la libertà di iniziativa economica privata – anche a voler trascurare le evidenti relazioni con la riserva di legge in tema di imposizione di prestazioni personali o patrimoniali di cui all’art. 23 Cost., nonché con il principio di legalità dell’azione amministrativa ai sensi dell’art. 97 Cost. – è presidiata, in via generale, da una riserva di legge implicita, la quale, peraltro, si atteggia a riserva relativa, dal momento che la Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto che essa sia suscettibile di subire una certa “modulazione”.

In una situazione di manifesta gravità e imprevedibilità, soprattutto in ordine ai suoi sviluppi, quale è la pandemia da Covid-19, sembra difficile negare che nel caso di specie sussista senza ombra di dubbio l’esigenza di comprimere alcune libertà fondamentali, quali quella di iniziativa economica privata, in vista, innanzitutto, della tutela della salute e dell’incolumità pubblica. Ciò significa che il provvedimento sul green pass laddove ha compresso la libertà di cui all’art. 41 Cost., lo ha fatto senz’altro a tutela di beni e finalità che la stessa Costituzione individua espressamente quali possibili cause di limitazione di tale libertà.

In particolare, la normativa “emergenziale”, nella misura in cui è intervenuta sulle attività riconducibili all’iniziativa economica privata, disponendone la sospensione o limitandone le modalità di esercizio ha implicato senza dubbio operazioni di bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica, da un lato, e, principalmente, la tutela della salute e dell’incolumità pubblica, dall’altro. Da questo primo punto di vista, dunque, pare assai difficile ipotizzare che le misure prefigurate dal decreto legge n.105/2021 non abbiano trovato adeguata copertura costituzionale nella tavola dei valori e degli interessi.

Infine, non condivisibili appaiono le critiche degli esercenti pubblici alcuni dei quali non accetterebbero il ruolo di “sceriffi” relativo all’accertamento del possesso del green pass da parte dei propri clienti. Infatti, si auspica che le direttive governative prevedano che il gestore provveda, come già disposto in base alle vigenti disposizioni, a trascrivere le generalità dell’avventore. A fianco di queste dovrà essere prevista la dichiarazione dello stesso con la quale attesta il possesso del documento in questione. All’atto del controllo da parte degli organi di polizia l’esercente dovrà consegnare agli stessi il citato elenco e sarà esonerato da qualsivoglia responsabilità. Per converso, l’avventore, ove abbia presentato una falsa dichiarazione, andrà incontro alla sanzione amministrativa prevista e alla denuncia penale per le ipotesi di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale previste dall’art. 76 del D.P.R. n. 445/2000, che richiama i reati di falso, anche commessi ai danni di pubblici ufficiali, nonché dagli articoli 483 e art. 495 del codice penale.

3. Conclusioni

L’emergenza ci ha messo davanti tanti aspetti che in tempi “normali” non riuscivamo a vedere nitidamente. Tra di essi vi è il rapporto tra diritti e doveri che rappresenta il punto di equilibrio tra libertà e autorità raggiunto da un ordinamento giuridico.

A tal proposito si deve osservare che a causa della pandemia molte sono le incertezze che gravano sul futuro e appare condivisibile ritenere che all’iperproduzione di doveri, durante l’emergenza, seguirà una pari intensificazione dei diritti durante e soprattutto nel tempo immediatamente successivo all’emergenza, come dimostra la straordinaria crisi sociale che la pandemia ha aperto.

Un tema di stringente attualità in questa emergenza che stiamo vivendo, dunque, non sembra tanto quello dello “sbilanciamento” del diritto alla salute, bensì un altro, incentrato sul rafforzamento del principio solidaristico per affrontare la crisi, ma anche per aprire lo spazio al principio di giustizia sociale nel post-emergenza.

Questo fenomeno di “recrudescenza” dei doveri che precede sempre il rifiorire dei diritti si offre più nitidamente all’occhio dell’osservatore. In questo frangente, infatti, l’ordinamento mostra un lato più interessante del diritto del tempo ordinario perché consente di capire meglio di quanto si intenderebbe in un regime ordinario: ossia, che non v’è diritto senza dovere.[9]

Pertanto, l’obbligo vaccinale, ribadito autorevolmente dal Presidente della Repubblica nel discorso di fine anno 2020 e in data 28 luglio 2021, e di conseguenza la normativa sul green pass che ne costituisce il logico presupposto, diventano una necessità inderogabile di fronte al persistere significativo dei casi di contagio ed in vista di una possibile “quarta ondata”, secondo alcuni già in atto

In questa situazione sottrarsi a tale obbligo, nel pieno di una crisi sanitaria mondiale che sta sconvolgendo la nostra società sembra incomprensibile perché non ha alcuna giustificazione, soprattutto dal punto di vista scientifico. Non si tratta di difendere le libertà dei cittadini, ma di un pericoloso tentativo di mettere in discussione le misure preventive e le raccomandazioni con cui il mondo scientifico e le istituzioni stanno cercando di proteggere la salute pubblica e di impedire situazioni che metterebbero definitivamente in ginocchio il Paese. Chi tenta di far passare i provvedimenti del governo e del mondo scientifico, come la campagna vaccinale e l’istituzione del green pass, una limitazione alla libertà personale e ai diritti inalienabili dei cittadini, indipendentemente dalla responsabilità penale che comunque potrebbe ritenersi sussistente in alcuni comportamenti estremi, è un’irresponsabile che non ha a cuore la tutela della salute pubblica sancita solennemente dall’art. 32 della Costituzione come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.

I cittadini italiani, con enorme sacrificio, hanno garantito il rispetto di regole che hanno messo in pericolo la propria libertà per il bene comune. Ci si augura, pertanto, che questo encomiabile comportamento possa completarsi con l’adesione, totale e conforme alla scienza medica, alla campagna vaccinale in corso e di conseguenza anche all’utilizzo del green pass.

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Note:

[1] P. Gentilucci, La possibile rilevanza penale e disciplinare del comportamento degli operatori sanitari “no-vax”, in Diritto.it, 2021, pp.1-16.

[2] F. Di Todaro, I dettagli della campagna vaccinale, in Fondazione Veronesi, 2020.

[3] L. Biarella, Green pass obbligatorio dal 6 agosto. Il decreto pubblicato in Gazzetta, in Altalex, 2021.

[5] S. Covolo, Il difficile bilanciamento tra la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività e gli altri diritti inviolabili, ai tempi dell’emergenza coronavirus. Soltanto il parlamento può essere garante contro l’arbitrio del potere esecutivo, in Diritto.it, 2020.

[6] F. Grandi, L’art. 32 nella pandemia: sbilanciamento di un diritto o “recrudescenza” di un dovere?, in Costituzionalismo.it, 2021.

[7] TAR Lazio, Sez. III-quater, 2 ottobre 2020, n. 10047; ID., 2 ottobre 2020, n. 10048; con le quali il giudice amministrativo ha annullato l’ordinanza del Presidente della Regione Lazio del 17 aprile 2020, n. Z00030, recante “Disposizioni in merito alla campagna di vaccinazione antinfluenzale e al programma di vaccinazione anti-pneumococcica per la stagione 2020-2021”.

[8] Consiglio di Stato, sezione V, 23 dicembre 2016, n.5443.

[9] In tal senso la giurisprudenza costituzionale a partire dalla sent. n. 35/1960. Contra, si veda, ad es., A. Baldassarre, Iniziativa economica privata, in Enc. Dir., XXI, Milano,    Giuffrè, 1971, 592 ss.

[10] F. Grandi, L’art. 32 nella pandemia: sbilanciamento di un diritto o “recrudescenza” di un dovere?, cit.

Prof. Paolo Gentilucci

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