Fatto
Nella sentenza oggetto di commento, la corte di cassazione ha esaminato un ricorso promosso dai parenti di un paziente, che era affetto da problemi psichiatrici fin dal 1981, il quale nel gennaio del 2011 si era presentato al pronto soccorso dell’ospedale di Voghera ed era ivi morto suicida durante il ricovero.
In particolare, i congiunti del paziente sostenevano che quest’ultimo, in precedenza rispetto all’ultimo ricovero, fosse stato ricoverato almeno 50 volte in ospedale, anche in regime di trattamento sanitario obbligatorio, e fosse stato accertato un quadro di schizofrenia paranoide da parte della struttura psichiatrica dell’ospedale. Pertanto, essendo ben noti alla struttura sanitaria i problemi psichiatrici del paziente, il nosocomio avrebbe dovuto prestare le dovute cautele per evitare che il paziente compisse, durante il ricovero, il gesto che lo aveva volontariamente portato alla morte.
In ragione di tali fatti, i congiunti avevano adito il tribunale di Pavia, chiedendo il risarcimento dei danni subiti iure proprio per la perdita del rapporto parentale (a causa della morte del proprio congiunto), ma il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda, ritenendo non sussistente una responsabilità della struttura sanitaria. Analoga decisione era stata presa anche dalla corte di appello di Milano, la quale aveva rigettato il gravame proposto dai ricorrenti.
Non soddisfatti delle decisioni di merito, quindi, i congiunti ricorrevano alla Corte di Cassazione, facendo valere, per quanto qui di interesse, un motivo di erroneità della sentenza di seconde cure, connesso alla errata qualificazione della domanda formulata dagli attori: in particolare, secondo i ricorrenti, la corte territoriale avrebbe errato, nella misura in cui aveva inquadrato la domanda dei congiunti come azione di responsabilità extracontrattuale, anziché come azione avente carattere contrattuale. Infatti, secondo i ricorrenti, il contratto atipico di ospedalità che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria che lo accoglie, produce effetti protettivi anche nei confronti dei familiari del paziente (i quali ultimi, pertanto, possono far valere l’inadempimento della struttura sanitaria al contratto stipulato con il paziente).
La decisione della Corte di Cassazione
La corte di cassazione ha ritenuto infondato il motivo avanzato dai ricorrenti (così come gli altri due motivi), confermando il proprio orientamento giurisprudenziale che inquadra l’azione fatta valere dai congiunti del paziente che ha subito un evento di malpractice medica, i quali invocano un danno proprio, come responsabilità extracontrattuale.
Preliminarmente, gli ermellini hanno ricordato che la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente psichiatrico ha carattere contrattuale: ciò significa, che, qualora sia il paziente ad agire in giudizio per far valere il danno allo stesso derivato dalla mancata adozione da parte della struttura sanitaria delle precauzioni e degli accorgimenti idonei ad impedire il compimento di un atto autolesionistico, l’azione si inquadra nell’ambito della responsabilità contrattuale. Infatti, per giurisprudenza costante di cassazione, la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti dei pazienti, qualora sia configurabile un’ omessa vigilanza da parte della struttura stessa, è ricondotta all’interno di un rapporto di carattere contrattuale: ciò, in quanto, tra struttura sanitaria e paziente si perfeziona un contratto atipico di assistenza sanitaria, in cui la struttura è obbligata ad eseguire una pluralità di prestazioni, non soltanto di carattere medico (cioè consistenti nell’esecuzione dell’attività medica), ma anche aventi carattere di ospitalità ed alberghiere. In altri termini, secondo la corte suprema, nel caso in cui la struttura sanitaria accetti il ricovero di un paziente, si configura la nascita di un rapporto contrattuale dal quale deriva a carico della struttura sanitaria non solo l’obbligo di fornire al paziente le cure richieste, ma anche quello di proteggerlo, qualora sia menomato o non in grado di autotutelarsi. Pertanto, sulla struttura sanitaria grava l’obbligo di proteggere l’incolumità del paziente psichiatrico.
In considerazione della sussistenza di tale obbligo e della natura contrattuale della responsabilità della struttura nei confronti del paziente stesso, quando sia quest’ultimo ad agire in giudizio per far valere la responsabilità della struttura sanitaria, egli dovrà semplicemente provare di essere stato inserito all’interno della struttura e che il danno che ha subito si è verificato proprio mentre egli era all’interno della struttura stessa. Sarà, a questo punto, onere della struttura sanitaria, per andare esente da responsabilità, provare che la propria prestazione è stata eseguita con diligenza tale da impedire il fatto comunque verificatosi.
In altri termini, in questi casi, il fatto stesso che si sia verificato l’evento dannoso (cioè l’auto lesione del paziente) dimostra di per sé l’esistenza del nesso di causalità fra la condotta omissiva posta in essere dalla struttura sanitaria (cioè il non aver impedito l’evento che era obbligata ad impedire) e il danno subito dal paziente stesso.
Ciò premesso, la corte di cassazione ha però ricordato come tali principi non si applicano qualora siano i congiunti del paziente a far valere un danno dai medesimi subito a causa della morte del paziente stesso.
In altri termini, nel caso in cui i congiunti di un paziente suicidatosi all’interno della struttura sanitaria agiscano in giudizio per far valere il danno da lesione o perdita del rapporto parentale (dovuto al suicidio del proprio congiunto), l’azione esercitata dai congiunti è inquadrabile all’interno della responsabilità extracontrattuale.
A supporto di tali tesi, la corte di cassazione ha ricordato i propri precedenti in materia, evidenziando che, in tale ipotesi, la cassazione ha sempre riconosciuto il carattere extracontrattuale della responsabilità gravante sulla struttura sanitaria.
In particolare, in tali precedenti, gli ermellini hanno evidenziato che nelle fattispecie analoghe a quella esaminata nella decisione oggetto dell’odierno commento, il rapporto contrattuale è intercorso soltanto tra la struttura sanitaria e il paziente, invece non è configurabile un analogo rapporto tra la struttura sanitaria e i congiunti del paziente. I congiunti vantano sicuramente un proprio autonomo diritto ad essere risarciti dalla struttura sanitaria per i danni che essi hanno direttamente subito, anche se in via riflessa, dalla morte del paziente, ma tale diritto ha evidentemente un profilo di carattere extracontrattuale.
Infine, a conferma della propria tesi, gli ermellini evidenziano come non possa essere invocata nel caso di specie, la figura del cosiddetto contratto a protezione di terzi. Infatti, i cosiddetti terzi protetti dal contratto si configurano soltanto nel caso di danni da “nascita indesiderata” e tale figura, invece, non è estendibile in generale a qualsiasi ipotesi di responsabilità sanitaria. Ciò in considerazione della peculiarità dei terzi protetti nel caso della nascita indesiderata. Infatti, in tale ultima fattispecie gli interessi portati dai terzi tutelati (per esempio il padre del nascituro o i suoi fratelli), coincidono esattamente con gli interessi del soggetto che ha concluso il contratto con la struttura sanitaria (cioè la gestante) che sono tutelati dal contratto stesso.
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