L’art. 1102 c.c. prevede che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Secondo consolidati principi giurisprudenziali la nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102 cod. civ., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (Ex multis: Cass. civ. Sez. II, 03/08/2012, n. 14107).
Tuttavia, esistono dei limiti all’uso più intenso, rinvenibili nel divieto di alterazione della destinazione, nel senso che l’uso particolare non deve incidere sulla sostanza e struttura del bene e, soprattutto, non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Il partecipante alla comunione, pertanto, può usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la conseguente possibilità di ritrarre dal bene una utilità specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di esso, o di non impedire l’altrui pari uso; con l’ulteriore precisazione che la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri (Ex multis: Cass. civ. Sez. II, 14/07/2011, n. 15523).
E’ stato vieppiù specificato come, l’uso particolare o più inteso risulta illegittimo qualora leda il decoro architettonico dell’edificio condominiale (Cfr.: Cass. civ. Sez. II, 22/08/2012, n. 14607) ma anche che: “L’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 cod. civ., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino, perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune, per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini” (Cass. civ. Sez. II, 16/01/2013, n. 944).
Partendo da tale ultimo presupposto, la Suprema Corte ha ritenuto che l’utilizzo da parte degli avventori di un bar – posto al piano terra dello stabile condominiale – delle scale comuni di accesso alle single unità abitative, per raggiungere i servizi igienici situati al primo piano dell’immobile, sia da ritenersi illegittimo.
La vicenda trae origine dalla divisione di un’unica unità abitativa posta al primo piano del fabbricato, in due autonomi locali. In uno degli stessi, il proprietario, previa autorizzazione dell’assemblea condominiale, aveva realizzato due nuove toilette, in uso ai clienti del bar
sottostante, avente autonomo accesso sulla strada.
Il proprietario della neonata unità immobiliare, convenne in giudizio i proprietari del bar sito al piano terra dell’immobile in condominio, nonché proprietari del locale adibito a servizi igienici al primo piano, per sentirla condannare a far cessare l’afflusso di clienti e il trasporto di merci al primo piano attraverso la scala comune di accesso sita nell’edificio. A sostegno della pretesa osservò che l’utilizzo della scala da parte dei clienti del bar per raggiungere i servizi igienici siti nell’appartamento al primo piano e il trasporto di materiali aveva comportato la modifica della destinazione d’uso della scala.
La convenuta oppose di avere agito nei limiti del legittimo uso del bene comune, ex
art. 1102 c.c. La domanda, accolta in primo grado, veniva rigettata in sede di gravame dalla Corte d’Appello di Brescia, in considerazione del fatto che, a dire della stessa, la condotta
denunziata rientrava nei limiti dell’utilizzo della cosa comune, seppure con una maggiore intensità, non risultando violato il principio del pari uso previsto dall’art. 1102 cc.
Proponeva ricorso per cassazione il condomino proprietario dell’unità abitativa attigua ai servizi igienici, il quale evidenziava come, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, l’utilizzo della scala comune situata all’interno del fabbricato da parte dei clienti del bar (con autonomo accesso sulla strada), per raggiungere i servizi igienici al primo piano del fabbricato, oltre a comportare un mutamento della destinazione originaria del bene, presupponeva la costituzione di una servitù di passaggio a favore del locale commerciale.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26129, del 30.12.2015, dopo aver ripercorso i principi giurisprudenziali in materia, come sopra richiamati, evidenzia come: “l’iniziativa dei proprietari del bar, anche se inidonea a creare un asservimento del bene comune alla proprietà esclusiva del condomino, comporta un palese mutamento della destinazione della scala di accesso agli appartamenti del fabbricato perché ad un utilizzo normale di essa da parte dei condomini (e delle persone dirette alle unità abitative di costoro) si aggiunge una sorta di utilizzo costante da parte del pubblico, cioè degli avventori di un esercizio commerciale non servito da detta scala quanto all’accesso”.
Tale utilizzo, continua la Corte, tende ad alterare il rapporto di equilibrio tra i diritti concorrenti dei singoli partecipanti e pregiudica anche la riservatezza, oltre che la sicurezza, degli altri condomini che si trovano a dover sopportare il transito di persone estranee all’interno dell’edificio condominiale.
A tal proposito, viene richiamato un precedente specifico per cui: “L’articolo 1102 del c.c. consente al comproprietario l’utilizzazione della cosa comune anche in modo particolare e più intenso, ma, ponendo il divieto di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, esclude che l’utilizzo del singolo possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello, attuale o potenziale, di tutti i comproprietari.
Un locale adibito a gabinetto non può, pertanto, essere utilizzato da uno dei partecipanti alla comunione anche per uso di decenza degli avventori di un bar aperto in un locale di sua proprietà esclusiva, giacché tale uso, pur non essendo idoneo all’asservimento del bene, da un lato, modifica la naturale destinazione del gabinetto a essere utilizzato dai soli comproprietari e, dall’altro, altera il rapporto di equilibrio tra i diritti concorrenti dei singoli comunisti” (Cass. civ. Sez. II, 19/11/2004, n. 21902).
Sulla scorta di questi principi, pertanto, il predetto utilizzo del bene comune viene dichiarato illegittimo, perché in contrasto con l’art. 1102 c.c., il ricorso accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello, che riesaminerà il caso attenendosi ai principi esposti.
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