I concetti di “esterovestizione” e “centro degli affari del contribuente”

La cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione all’A.I.R.E. non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato.

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Stefano Chiodi | 2019 Maggioli Editore

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Il concetto di esterovestizione

L’esterovestizione è definibile come una dissociazione tra residenza reale e residenza fittizia del soggetto passivo d’imposta, il quale stabilisce formalmente all’estero la propria residenza (in ambito UE o extra-UE), mentre continua ad operare stabilmente in Italia sotto forma di impresa o di persona fisica[1]. La residenza è uno dei principi cardine del nostro sistema tributario nell’ambito delle imposte dirette e da essa discendono conseguenze estremamente rilevanti. Sia per le persone giuridiche che per le persone fisiche la residenza determina l’assoggettamento a tassazione dei redditi ovunque prodotti, secondo il principio della c.d. world-wide taxation. Nel caso dei “non residenti”, invece, le imposte si applicano fondamentalmente sui redditi di fonte italiana.

L’art 2, comma 2, TUIR ed il concetto di residenza fiscale

Come recita l’articolo 2 comma 2 del TUIR il soggetto è residente in Italia quando per la maggior parte del periodo di imposta (almeno 183 giorni all’anno) ha alternativamente questi requisiti: è iscritto all’anagrafe della popolazione residente, ha il proprio domicilio (da intendersi il centro dei propri interessi vitali e affari nel territorio nazionale) o la propria residenza (la dimora abituale) in Italia. Pertanto gli elementi che determinano la residenza fiscale in Italia sono:

  • l’iscrizione nelle anagrafi comunali della popolazione residente;
  • il domicilio nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 43, co. 1, del codice civile;
  • la residenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell’art. 43, co. 2, del codice civile.

Attenzione, perché i requisiti menzionati sono tra loro alternativi e non concorrenti: il verificarsi di uno solo di essi determina la residenza fiscale in Italia.

Prima di tutto, occorrerà, quindi, fare molta attenzione alla cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente, rilevante non solo formalmente ma anche sostanzialmente: se si vive all’estero ma non si è provveduto ancora alla cancellazione, si rimane in ogni caso residenti in Italia e, in conseguenza di ciò, fiscalmente soggetto passivo in Italia.

Tuttavia, la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione all’A.I.R.E. non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato[2], ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici (Cass. 17 luglio 1967, n. 1812; 20 settembre 1979, n.4829; 24 marzo 1983, n.2070; 5 febbraio 1985, n.791).

Vediamo, quindi, cosa si intende per residenza e domicilio fiscale.

La residenza è definita dal codice civile come “il luogo in cui la persona ha la dimora abituale” ed è legata alla permanenza del soggetto in un luogo in maniera sufficientemente stabile e all’intenzione di dimorarvi.

Con riferimento all’aspetto temporale, per definire la dimora come “abituale”, il criterio adottato al legislatore è quello della prevalenza numerica: sono considerati residenti i soggetti che si sono trovati in una delle condizioni indicate sopra per almeno 183 giorni (184 giorni negli anni bisestili), anche non continuativi.

Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’affermare che affinché sussista il requisito dell’abitualità della dimora non è necessaria la continuità o la definitività (Cass. 29 aprile 1975, n. 2561; Cass. S.U. 28 ottobre 1985, n. 5292). Cosicché l’abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del territorio dello Stato, purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (Cass. 14 marzo 1986, n. 1738).
La residenza[3], quindi, non verrà meno per assenze più o meno prolungate, dovute alle particolari esigenze della vita moderna, quali ragioni di studio, di lavoro, di cura o di svago (Cass. 12 febbraio 1973, n. 435).

Il domicilio, invece, è determinato dalla concentrazione in un determinato luogo degli affari e interessi della persona, senza che sia necessaria la sua presenza effettiva in tale luogo, e dalla volontà di costituire e mantenere in un determinato luogo il “centro” principale della generalità dei rapporti.

Il concetto di domicilio consiste, quindi, principalmente in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica del soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi (Cass. 21 marzo 1968, n. 884).

La locuzione “affari ed interessi”[4] (di cui al citato art. 43, co. 1, del Codice Civile), un tempo limitata al settore economico e patrimoniale del soggetto, deve intendersi, per unanime interpretazione giurisprudenziale, in senso ampio, comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari (Cass. 26 ottobre 1968, n.3586; 12 febbraio 1973, n. 435); sicché la determinazione del domicilio va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, denuncino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti e il carattere principale che esso ha nella vita della persona (Cass. 5 maggio 1980, n. 2936).

Art 2, comma 2 bis del TUIR: trasferimento in paradisi fiscali

Il comma 2-bis dell’articolo 2 del Tuir, introdotto dall’articolo 10 della legge n. 448 del 23 dicembre 1998, ai fini della presunzione di residenza in Italia delle persone fisiche[5], fa gravare l’onere della prova contraria su tutti i soggetti che sono emigrati in uno degli Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, come individuati nel decreto ministeriale 4 maggio 1999, anche quando l’emigrazione sia avvenuta transitando anagraficamente per uno Stato terzo, non ricompreso in tale decreto.

Le prove da fornire per dimostrare la residenza all’estero

I riscontri che i contribuenti potranno fornire, utili a comprovare l’effettività della residenza estera, potranno prevedere tra l’altro: la sussistenza della dimora abituale nel Paese fiscalmente privilegiato, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare; l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del paese estero; lo svolgimento di un rapporto lavorativo a carattere continuativo, stipulato nello stesso paese estero, ovvero l’esercizio di una qualunque attività economica con carattere di stabilità; la stipula di contratti di acquisto o di locazione di immobili residenziali[6], adeguati ai bisogni abitativi nel paese di immigrazione; fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel paese estero; la movimentazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o di altre attività finanziarie nel paese estero e da e per l’Italia; l’eventuale iscrizione nelle liste elettorali del paese d’immigrazione; l’assenza di unità immobiliari tenute a disposizione in Italia o di atti di donazione, compravendita, costituzione di società, etc.; la mancanza in Italia di significativi e duraturi rapporti di carattere economico, familiare, politico, sociale, culturale e ricreativo.

Residenza delle persone fisiche: orientamenti giurisprudenziali

La Corte di Cassazione si è più volte pronunciata in tale ambito. Fino ad arrivare al recente orientamento della Corte di Cassazione, che ha affermato che il centro degli interessi vitali[7] del soggetto deve essere individuato attribuendo fondamentale importanza al luogo nel quale sono presenti gli interessi economici del soggetto rispetto al paese nel quale sono maggiormente presenti i legami familiari

Fra le varie sentenze possiamo ricordare:

Corte di cassazione, ordinanza n. 16634/2018

I Supremi Giudici hanno chiarito che le persone iscritte presso le anagrafi della popolazione residente si considerano, in applicazione del criterio formale dettato dall’articolo 2 Tuir, in ogni caso residenti e soggetti passivi d’imposta in Italia.

Corte di cassazione, sentenza n. 13114/2018

La mera iscrizione all’AIRE non e condizione sufficiente ad escludere, in linea di principio, la residenza fiscale del soggetto passivo sul territorio dello Stato.

Corte di cassazione, sentenza n. 19410/2018

I Supremi Giudici hanno ritenuto che il contribuente avesse fornito la prova contraria necessaria a vincere la presunzione legale relativa posta dalla norma, tenuto conto che la persona fisica aveva dimostrato di risiedere all’estero ove aveva intrattenuto rapporti personali e professionali

Corte di Cassazione, sentenza n. 12311/2016

Ai fini della determinazione del luogo della residenza devono essere presi in considerazione sia i legami professionali e personali dell’interessato in un luogo determinato, sia la loro durata.

Qualora tali legami non siano concentrati in un solo Stato membro, l’articolo 7, n. 1, comma 2, Direttiva 83/182/CEE riconosce la preminenza dei legami personali sui legami professionali.

Molta importanza rivestono i seguenti elementi: presenza della persona fisica in un determinato territorio nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un’abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali

Corte di Cassazione, sentenza n. 6501/2015

I Supremi Giudici hanno esaminato il caso di un cittadino italiano che ha trasferito la propria residenza in un altro Paese[8], confermando la rilevanza del luogo in cui la gestione degli interessi vitali della persona fisica viene esercitata abitualmente

Corte di Cassazione, ordinanza n. 32992/2018

Gli Ermellini hanno confermato la prevalenza degli interessi economici del soggetto passivo, intesi come centro principale degli affari e interessi, rispetto ai legami affettivi e familiari (elementi di natura morale o personale).

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Note

[1] Altalex, “Esterovestizione delle persone fisiche: aspetti processuali nella giurisprudenza”, 13/11/2017, Carmine Robert La Mura

[2] Fisco e Tasse, “Il trasferimento all’estero della residenza fiscale delle persone fisiche”, 10/05/2019, Donato Spagna

[3] Altalex, “Residenza estera è fittizia se il centro degli affari e interessi è in Italia”, 04/08/2017, Susanna Trino

[4] Euroconference, “Gli interessi economici e professionali determinano la residenza fiscale”, 04/11/2019, Maro Bargagli

[5] Rivistadirittotriburario.it, “Recente GIURISPRUDENZA in materia di residenza fiscale delle società ed esterovestizione”, 13/04/2016, Silvia Boiardi

[6] www.euitalianinternationaltax.com , “Decisivo il domicilio nella residenza fiscale”, Giuseppe Marianetti

[7] Studio Tributario e societario Caporale, “Recenti sentenze emesse dalla Corte di Cassazione in tema di residenza fiscale della persona fisica”, 27/02/2019, MariaRosaria Caporale

[8] Belluzzo International Partners, “Il centro degli interessi vitali e l’esterovestizione alla prova delle ultime pronunce della Cassazione in tema di residenza fiscale”, 28/05/2019, Stefano Serbini

Valerio Carlesimo

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