*Dottore in giurisprudenza
SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La soluzione adottata dal Tribunale di Milano nel 2015 – 3. La reale portata dell’art. 24 n. 5 del reg. Bruxelles I-bis – 4. Conclusioni
Premessa
Come noto, l’art. 19 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in l. 10 novembre 2014, n. 162, ha riscritto la disciplina della competenza in materia di espropriazione forzata di crediti, abrogando il secondo comma del vecchio art. 26 c.p.c. e introducendo contestualmente nel codice di rito un nuovo art. 26-bis. Il suo secondo comma contiene la regola generale, che prevede che sia competente il giudice del luogo in cui il debitore pignorato ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede. La precedente regola continua invece a trovare applicazione in tutti quei casi, previsti dal primo comma dell’art. 26-bis c.p.c. in cui a subire l’espropriazione sia una pubblica amministrazione, ipotesi nelle quali ad essere competente continua ad essere il giudice del luogo in cui il terzo ha la residenza, ovvero il domicilio, la dimora o la sede, salvo diversa previsione contenuta in leggi speciali.
Nonostante la riforma, tuttora né l’art. 26-bis c.p.c. né alcun’altra disposizione di legge stabiliscono espressamente l’ambito della giurisdizione esecutiva del giudice italiano, la quale non risulta facilmente definibile proprio nell’espropriazione presso terzi di crediti. Il generale criterio della localizzazione della realtà fenomenica sulla quale l’esecuzione deve incidere, così come definito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 5827 del 5 novembre 1981[1], permette infatti un’agevole definizione dei confini della giurisdizione italiana in tutti i casi in cui oggetto dell’espropriazione sia una cosa, la quale dovrà necessariamente essere ubicata nel territorio dello Stato italiano. Se l’espropriazione ha invece ad oggetto un credito che il debitore esecutato vanta nei confronti di un terzo, il criterio della localizzazione della realtà fenomenica risulta di più difficile applicazione, essendo il credito per sua natura un bene immateriale e di controversia localizzazione.
Il vuoto normativo era stato colmato dalle Sezioni Unite che, con la citata sentenza del 1981, aveva affermato che la sede naturale del credito espropriato dovesse essere individuata sulla base del vecchio art. 4, n. 2 c.p.c., oggi abrogato[2], e dell’art. 20 c.p.c; la giurisdizione italiana sarebbe allora sussistita se il credito stesso fosse sorto o dovesse essere soddisfatto nel territorio dello Stato[3].
La riforma operata dal legislatore nel 2014 ha però ridato luce alla questione, mettendo gli interpreti nelle condizioni di chiedersi se le riforme succedutesi negli anni avessero inciso sui confini della giurisdizione esecutiva italiana, destituendo di attendibilità il rilevante precedente giurisprudenziale di cui sopra. Alla luce dell’attuale sistema normativo interno, non sembra possibile dare una soluzione univoca: ritenere l’art. 26-bis c.p.c. come norma fondante la giurisdizione, per il tramite dell’art. 3, comma 2°, ultima parte, della legge n. 218 del 1995, appare una soluzione coerente nella forma ma insoddisfacente nella sostanza, potendosi soltanto auspicare un intervento da parte del legislatore o della Consulta[4].
Occorre allora considerare il problema interpretativo da un punto di vista più ampio, facendo riferimento in particolare al regolamento (UE) n. 1215/2012, soprannominato anche Bruxelles I-bis. Esso, come noto, rappresenta la più recente tappa di una lunga evoluzione iniziata con la convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968[5], conclusa all’epoca dai soli sei Stati membri originari della CEE per consolidare l’obiettivo della certezza del diritto nello spazio giudiziario europeo attraverso la libera circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale[6].
La normativa eurounitaria, per conseguire un tale risultato, appare strutturata in due parti: un sistema giuridico improntato all’automatico riconoscimento delle decisioni rese dai giudici degli stati membri è infatti preceduto da un insieme di regole comuni sulla giurisdizione internazionale, che rappresentano il suo presupposto fondamentale. In quest’ultima parte, risulta particolarmente rilevante per la questione di cui trattasi l’art. 24 n. 5 del regolamento Bruxelles I-bis, che, riportando lo stesso contenuto dell’art. 16 n. 5 della convenzione, attribuisce la giurisdizione esclusiva[7] in materia di esecuzione delle decisioni ai giudici dello Stato in cui ha luogo l’esecuzione.
Questa disposizione, che fa senz’altro riferimento alla materia dell’espropriazione forzata[8], rientra nel novero dei c.d. fori esclusivi, i quali contengono criteri di collegamento per individuare la giurisdizione in deroga ai titoli di giurisdizione ordinari. Essi costituiscono dunque un vero e proprio limite per la parte attrice che, in presenza della richiesta circostanza di collegamento giurisdizionale, non può presentare la domanda nello Stato membro di domicilio del convenuto[9], né tanto meno accordarsi preventivamente con la controparte per attribuire la giurisdizione al giudice di un altro Stato membro[10].
La ratio della giurisdizione esclusiva in materia di esecuzione delle decisioni va ricercata nel principio di sovranità, il quale si declina nel monopolio dello Stato sull’uso della forza sui beni e sulle persone all’interno del proprio territorio[11].
Una visione che appare in linea con il criterio della localizzazione della realtà fenomenica delineato dalla Corte di Cassazione nel precedente già citato del 1981. Questa, però, motivando sulla ripartizione della giurisdizione in materia di espropriazione di crediti, non ha minimamente richiamato l’allora vigente convenzione di Bruxelles, affermando direttamente il principio di diritto senza porsi alcuna questione legata all’eventuale applicabilità di fonti di diritto comunitario o internazionale, che avrebbero ovviamente prevalso sul diritto interno. Il problema dunque non è stato affrontato dalla Suprema Corte, forse anche perché all’epoca il diritto UE non aveva il peso, la diffusione e il prestigio di cui attualmente gode nella comunità internazionale e nella maggior parte degli Stati europei.
L’argomento, tuttavia, merita di essere trattato più approfonditamente e per questo motivo gli interpreti si sono interrogati sulla portata applicativa di tale norma, assumendo diverse soluzioni: in particolare, mentre per alcuni essa introdurrebbe un vero e proprio titolo di giurisdizione, determinando direttamente la competenza giurisdizionale in materia di esecuzione forzata, per altri essa avrebbe una portata decisamente più limitata rispetto alle altre ipotesi contemplate dall’art. 24 del regolamento (UE) n. 1215/2012.
La soluzione adottata dal Tribunale di Milano nel 2015
Contrariamente a quanto fatto dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5827 del 1981, il Tribunale di Milano in una recente pronuncia del 2015 si è posto prioritariamente il quesito legato all’applicazione di fonti di diritto comunitario o internazionale per l’individuazione della giurisdizione e della competenza in materia di espropriazione di crediti presso terzi.[12]
Nel caso di specie, una società avente sede legale in Svizzera aveva intimato, con atto di pignoramento presso terzi, a una società terza italiana di non disporre delle somme, titoli, crediti o cose da essa a qualunque titolo dovute nei confronti di un debitore esecutato residente in Tailandia; il tutto al fine di tutelare un proprio credito risultante da un lodo arbitrale della Camera di Commercio, dell’Industria e dell’Artigianato del Cantone Ticino del quale la Corte di Appello di Roma aveva dichiarato l’efficacia esecutiva nel territorio italiano. La società svizzera aveva dunque promosso l’espropriazione dinanzi al tribunale nella cui circoscrizione risiedeva il terzo, ritenendo che quello fosse competente nonostante l’art. 26-bis, come già più volte rilevato, radichi oggi l’espropriazione di crediti non più dinanzi al foro del terzo ma bensì a quello dell’esecutato.
Il giudice adito, dopo aver rilevato la necessità di verificare preliminarmente l’esistenza della giurisdizione italiana, ha prestato attenzione alla convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007[13]. Essa è una fonte di diritto internazionale concernente sempre la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che ha assunto il ruolo di strumento di progressivo avvicinamento alla normativa comunitaria sulla cooperazione giudiziaria europea nei confronti di Stati non appartenenti all’ordinamento comunitario, essendo infatti identica nei contenuti al regolamento (CE) n. 44/2001[14].
Questo corpo normativo contiene due articoli che il giudice ha ritenuto importanti per risolvere la questione. In prima battuta, l’art. 4 prevede che qualora il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato firmatario della convenzione, la competenza sia disciplinata dalla legge di quello Stato. Lo stesso però fa salva l’applicazione dell’articolo 22, il quale al n. 5 prevede che indipendentemente dal domicilio hanno giurisdizione esclusiva “in materia di esecuzione delle decisioni, i giudici dello Stato vincolato dalla presente convenzione nel cui territorio ha luogo l’esecuzione”.
Il giudicante ha dunque affermato l’esistenza della giurisdizione italiana, applicando proprio quest’ultimo articolo, il cui contenuto è analogo all’art. 24 n. 5 del regolamento Bruxelles I-bis, che, per effetto dell’art. 4 della convenzione, si applica anche nei confronti dei convenuti non domiciliati in uno Stato vincolato dalla convenzione, in deroga ai titoli di giurisdizione ordinari. In questo modo, la pronuncia in questione ha ritenuto che l’art. 22 n. 5 della convenzione fosse in grado di fondare direttamente la competenza giurisdizionale in materia di esecuzione forzata.
Un’idea questa condivisa anche da una parte della dottrina, la quale poi si divide nuovamente sull’interpretazione che occorre in concreto dare all’accezione “nel cui territorio ha luogo l’esecuzione” in caso di pignoramento di crediti; come già detto, essendo il credito per sua natura immateriale, non è infatti possibile ricavare un criterio di localizzazione dello stesso che possa trovare tutti d’accordo.
Secondo alcuni autori si dovrebbe tenere in considerazione il forum destinatae solutionis, ovvero “il criterio che per sua natura meglio si presta a realizzare per i crediti ciò che la sottoposizione fisica al potere coercitivo dello Stato rappresenta per i beni materiali”[15]. Un approccio ermeneutico che può considerarsi in linea anche con la pronuncia delle Sezioni Unite del 1981, che avevano ritenuto che il criterio per determinare la “localizzazione della realtà fenomenica” dovesse essere dedotto proprio dal luogo di esecuzione dell’obbligazione, oltre che in alternativa dal luogo in cui essa fosse sorta, seppur in applicazione dell’art. 4 c.p.c, oggi abrogato, e dell’art. 20 c.p.c. e non attraverso il ricorso a disposizioni di diritto sovranazionale. In concreto, comunque, il tribunale dotato di giurisdizione verrebbe poi individuato dalle norme di diritto comune: nel diritto privato italiano, ad esempio, è l’art. 1182 c.c. che individua in quale luogo l’obbligazione debba essere eseguita, adottando peraltro parametri variabili[16].
Il Tribunale di Milano ha però preferito interpretare diversamente l’art. 22 n. 5 della convenzione di Lugano del 2007, tenendo anche conto, sulla base del Protocollo n. 2 ad essa[17], della giurisprudenza della Corte di giustizia formatasi in riferimento alla convenzione di Bruxelles del 1968 e al regolamento (CE) 44/2001[18]. Esso ha individuato il luogo dell’esecuzione nel territorio italiano, over risiede il terzo debitor debitoris, richiamando in particolare due principi.
Per prima cosa, ha affermato che i criteri di competenza esclusiva rispondono all’esigenza di individuare l’organo giudicante più prossimo rispetto alla controversia, ovvero che sia nella migliore posizione per realizzare l’attività istruttoria e che garantisca, di conseguenza, una corretta ed efficiente amministrazione della giustizia[19]. La sede del terzo è perciò quella che più rispetta il principio di prossimità, in quanto sede maggiormente idonea a garantire lo svolgimento dell’eventuale attività istruttoria necessaria per accertare, seppur sommariamente, il rapporto tra il debitore e il terzo[20].
Successivamente, il giudice adito ha invocato anche l’applicazione del principio di prevedibilità del foro, il quale costituisce fondamentale principio del diritto internazionale privato[21]: ancorando la giurisdizione al giudice del luogo in cui ha sede il terzo, è possibile individuare preventivamente il giudice munito di giurisdizione senza possibilità che tale giudice muti in conseguenza di condotte del debitore esecutato tese a sottrarsi all’esecuzione; inoltre, essa sarebbe determinata a prescindere dalla natura, non infrequentemente ignota al creditore, del rapporto tra il debitore e il terzo[22].
Detto questo, va dato atto che, al contrario, la maggior parte della dottrina non ritiene che l’art. 24 n. 5 del regolamento Bruxelles I-bis, così come l’art. 22 n. 5 della convenzione di Lugano, possa fondare direttamente la giurisdizione in materia, così come sostenuto dal Tribunale di Milano nel 2015. È arrivato perciò il momento di approfondire questa seconda via interpretativa.
La reale portata dell’art. 24 n. 5 del reg. Bruxelles I-bis
Come anticipato pocanzi, la dottrina maggioritaria non ritiene che l’art. 24 n. 5 del reg. (UE) n. 1215/2012 attribuisca direttamente un titolo di giurisdizione in materia di esecuzione delle decisioni, dovendosi invece interpretare lo stesso in modo molto più circoscritto. Esso ripartirebbe allora la giurisdizione esclusivamente per gli incidenti di cognizione aperti in sede esecutiva, attribuendola allo Stato presso il quale pende il procedimento esecutivo.
In questo modo, la norma assumerebbe la funzione di permettere al creditore procedente la scelta dell’ambito giurisdizionale al quale rivolgersi per soddisfare il proprio credito, in particolare nel caso in cui i beni da aggredire con l’espropriazione presso terzi siano collocati in Stati diversi[23]; la sussistenza della giurisdizione ai sensi dell’art. 24 n. 5 del regolamento dipenderebbe quindi, in primo luogo, dalla sua volontà di agire dinanzi ai giudici di un determinato Stato.
Naturalmente però, stando a questa interpretazione, i singoli ordinamenti rimangono liberi di delimitare i confini della propria giurisdizione all’interno della loro disciplina, in funzione dell’intensità del collegamento tra il proprio territorio e la singola fattispecie; essi dunque possono integrare la normativa relativa alle competenze esclusive contenuta nei diversi strumenti di diritto comunitario e internazionale succitati, non potendo questi garantire autonomamente l’individuazione del giudice dotato di giurisdizione in materia di esecuzione forzata.
Il giudice adito dal creditore procedente sarà così obbligato ad accertare la propria competenza giurisdizionale e, in assenza di un collegamento significativo tra il proprio ordinamento e la fattispecie in oggetto, dovrà declinare la propria giurisdizione. Se, invece, le norme processuali interne consentono al giudice adito di risolvere la vicenda processuale sottopostagli, egli acquisterà giurisdizione su di essa e, grazie all’art. 24 n. 5 del regolamento, anche sulle potenziali questioni da questa scaturenti, in sede di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi.
Lo scopo della norma, secondo tale interpretazione, sarebbe quello di unificare il perimetro della competenza ratione materiae dei giudici dell’esecuzione, senza indicare direttamente il giudice dotato di giurisdizione, ma accentrando in unico foro la possibilità di trattare tutte le questioni legate all’esecuzione, al fine di evitare potenziali contrasti di giudicati determinati dalla parcellizzazione di decisioni relative alla medesima questione[24].
Questa teoria appare preferibile rispetto a quella caldeggiata dal Tribunale di Milano nell’ordinanza summenzionata, per più motivi.
Innanzitutto, essa è maggiormente rispettosa delle caratteristiche del processo esecutivo e del sistema normativo analizzato nel suo complesso, oltre che maggiormente coerente con l’attuale contesto di coordinamento e mutua fiducia tra le funzioni giudiziarie dei diversi Stati[25].
La scelta di non regolare in generale il riparto della giurisdizione esecutiva potrebbe poi spiegarsi facilmente osservando che non in tutti gli ordinamenti europei il procedimento esecutivo presenta carattere giurisdizionale; ad esempio, in Svezia l’esecuzione forzata non è un procedimento giurisdizionale, ma amministrativo, e al giudice spetta soltanto la decisione degli incidenti cognitivi, i quali resterebbero invece regolati dalla disciplina comunitaria sulle competenze esclusive[26].
Un ulteriore appiglio per ritenere che il regolamento Bruxelles I-bis ripartisca la giurisdizione esclusivamente a fini cognitori e cautelari può essere desunto anche dal nuovo art. 41, che esplicitamente prevede che, fatte salve le sole disposizioni della sezione 2 del capo III, comunque non concernenti in alcun modo le questioni di riparto, l’esecuzione forzata sia regolata esclusivamente dal diritto interno.
Infine, la stessa Corte di giustizia, quando sollecitata in via pregiudiziale per questioni legate all’applicazione dell’art. 24 n. 5 del regolamento, non ha mai esplicitamente affermato che esso attribuisce un vero e proprio titolo di giurisdizione in materia di esecuzione forzata, pur ribadendo come le questioni da essa scaturenti rientrino nel perimetro applicativo della norma, in ragione della loro stretta connessione con il procedimento in esame[27].
Conclusioni
A questo punto, è chiaro che la delimitazione dei confini della giurisdizione esecutiva italiana nell’espropriazione di crediti vada risolta diversamente, non potendosi desumere dalla normativa di diritto comunitario e internazionale. Un’alternativa soluzione andrebbe però trovata anche accogliendo l’interpretazione offerta dal Tribunale di Milano nel 2015, proprio perché il regolamento Bruxelles I-bis e la convenzione di Lugano del 2007 non si applicano in ogni caso.
Queste fonti di diritto, infatti, si applicano soltanto agli Stati membri dell’Unione Europea e agli altri facenti parte esclusivamente dell’Associazione europea di libero scambio (AELS), ovvero la Svizzera, la Norvegia e l’Islanda; l’art. 24 n. 5 del reg. (UE) n. 1215/2012, benché si applichi anche nei confronti di convenuti non domiciliati in uno Stato membro, riguarda allora i soli casi in cui la decisione da eseguire sia stata emanata da un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, o contraente della convenzione di Lugano per l’art. 22 n. 5, restando quindi escluse dal suo alveo di operatività le controversie inerenti all’esecuzione di sentenze provenienti da Stati terzi[28].
La portata applicativa di tali norme è poi ridotta anche dal primo articolo del regolamento e della convenzione succitata; esso, al paragrafo 2, disciplina in generale le materie, altrimenti riconducibili all’ambito civile e commerciale al quale sono rivolte queste fonti giuridiche, che sono escluse dal campo di applicazione del regolamento qualora costituiscano l’oggetto principale della controversia. Ai fini che ci riguardano, la lett. d) di tale paragrafo esclude le controversie relative all’arbitrato[29]. È evidente che la limitazione in questione sia notevole: l’esclusione di questa materia riguarda infatti ogni controversia che abbia, come oggetto principale, l’accertamento dell’esistenza e della validità di una clausola arbitrale, l’impugnazione e il riconoscimento di un lodo arbitrale e, per quel che ci interessa, anche la sua esecuzione.
A questo punto, anche accogliendo la meno preferibile interpretazione resa dal Tribunale di Milano nel 2015, il quale ha addirittura ritenuto ugualmente applicabile la convenzione di Lugano del 2007 sebbene oggetto della controversia fosse l’esecuzione di un lodo arbitrale[30], risulta oggettivo che, almeno in tutti questi casi in cui la normativa sopra vista non può ritenersi applicabile si debba comunque trovare una soluzione alla questione della giurisdizione italiana nell’ambito dell’espropriazione di crediti, cercando appigli all’interno della disciplina interna.
[1] Cass. sez. un., 5 novembre 1981, n. 5827, in Giust. civ., 1982, pp. 1310 e ss, con nota di FORTUNATO, Sulla posizione processuale del debitor debitoris ed altre questioni in tema di processo espropriativo presso terzi.
[2] Si ricordi che il previgente art. 4, n.2, c.p.c. stabiliva che lo straniero poteva essere convenuto davanti a un giudice italiano quando l’obbligazione fosse sorta o dovesse eseguirsi in Italia.
[3] Così facendo, la Suprema Corte aveva accolto in una certa misura l’orientamento prevalente della dottrina, che riteneva che il criterio generale da seguire dovesse derivare dalla peculiare struttura che aveva il processo di espropriazione presso terzi, che all’epoca presupponeva in diversi casi la necessità di pervenire, seppur nelle diverse forme di cui agli artt. 547-549 c.p.c., ad un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo. In base a questo ragionamento, l’ambito della giurisdizione esecutiva nei procedimenti di espropriazione presso terzi sarebbe dovuto coincidere con quello proprio della giurisdizione di cognizione, facendosi applicazione analogica dei già citati artt. 4, n. 2, e 20 del codice di rito.
[4] Sul punto sia consentito richiamare MAGNANI, I confini della giurisdizione esecutiva italiana nell’espropriazione di crediti alla luce della legge n. 218 del 1995, in AulaCivile.it, 2020. Non mancano però le opinioni più disparate. Alcuni autori ritengono al contrario che nulla possa dirsi mutato e che, pertanto, la giurisdizione esecutiva ancora oggi sussista quando in Italia si trova il luogo di adempimento del credito da assoggettare ad espropriazione, in aderenza al principio di diritto emesso dalla Suprema Corte con la sentenza n. 5827 del 1981 (v. ad es. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Milano, 2019, p. 1776; MORETTI, Esecuzione forzata – sull’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione nel processo esecutivo, in Giur. It., 2018, pp. 1103 e 1104; D’ALESSANDRO, L’espropriazione presso terzi, in LUISO (a cura di), Processo civile efficiente e riduzione dell’arretrato. Commento al d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014, Torino, 2014, pp. 70 e ss.). Altri, invece, patrocinano una ricostruzione diversa, ritenendo che si dovrebbe aver riguardo alla localizzazione spaziale di colui che deve soddisfare quel credito, ossia del terzo debitor debitoris (Cfr. SALETTI, Competenza e giurisdizione nell’espropriazione di crediti, in www.judicium.it, pp. 19 e 20; VANZ- FELLONI, Il pignoramento presso terzi, in DITTRICH (a cura di), Diritto processuale civile, III, Torino, 2019, pp. 3810 e 3811; ROSSETTI, L’espropriazione presso terzi., in DEMARCHI ALBENGO (a cura di), La nuova esecuzione forzata, Bologna, 2018, pp. 678 e 679).
[5] La convenzione, entrata in vigore nel 1973, è stata conclusa dagli originari sei Stati membri della CEE sulla base dell’allora art. 220 del relativo trattato istitutivo, nel quale si prevedeva il ricorso a convenzioni internazionali tra gli Stati membri (denominate “convenzioni comunitarie”) per una serie di materie, come il reciproco riconoscimento di sentenze straniere che, pur presentando una qualche connessione con il mercato comune, non rientravano nella competenza della CEE. La convenzione di Bruxelles è stata poi trasformata in atto comunitario con l’adozione del regolamento (CE) n. 44/2001 (c.d. regolamento Bruxelles I); questo a sua volta è stato rimpiazzato dal regolamento (UE) n. 1215/2012 (c.d. regolamento Bruxelles I-bis), entrato in vigore a partire dal 10 gennaio 2013.
[6] Cfr. SALERNO, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (UE) n. 1215/2012 (rifusione), Padova, 2015, p. 4.
[7] Sebbene la norma in realtà parli espressamente di “competenza esclusiva”, è pacifico che essa si riferisca alla giurisdizione, così come in generale tutto il regolamento. Le norme sulla competenza infatti rispondono alla diversa finalità di determinare la circoscrizione giudiziaria competente all’interno di un determinato Stato già individuato a monte come avente la giurisdizione.
[8] Come chiarito dalla Relazione elaborata dal prof. Jenard (rinvenibile sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C-59, del 5 marzo 1979, p. 36), “Per controversie relative all’esecuzione delle sentenze bisogna intendere le vertenze a cui può dar luogo il ricorso alla forza, alla coercizione o alla espropriazione di beni mobili e immobili (sequestro e pignoramento) per assicurare l’esecuzione materiale delle decisioni e degli atti”.
[9] Il reg. (UE) n. 1215/2012 infatti attribuisce, in via generale, giurisdizione al foro in cui si trova il domicilio del convenuto, secondo la regola generale contenuta nell’art. 4.
[10] SALERNO, op. cit., p. 190. CARBONE-TUO, Il nuovo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale, Torino, 2016, p. 206, aggiungono anche che in presenza di circostanze che giustificano la giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art. 24 reg. (UE) n. 1215/2012, qualora qualsiasi altro giudice non si spogli della controversia e si pronunci su di essa, la relativa sentenza non sarà riconosciuta all’interno dello spazio giuridico europeo in virtù di quanto stabilito dall’art. 45, par. 1, lett. e), ii).
[11] BALBI, Giurisdizione in materia esecutiva: debitore residente all’estero ed espropriazione di crediti presso terzi in Italia, in Int’l Lis., 2016, p. 138.
[12] Trib. Milano, 21 luglio 2015 (ordinanza), in Giur. It., 2016, p. 611, con nota di SALVIONI, La giurisdizione in materia di espropriazione presso terzi.
[13] Questa convenzione è stata firmata dall’allora Comunità Europea, dalla Danimarca e dagli Stati parte dell’Associazione Europea di Libero Scambio (AELS), vale a dire la Svizzera, l’Islanda e la Norvegia. Essa sostituisce a sua volta la convenzione di Lugano del 16 settembre 1988, parallela e omogenea nei contenuti al sistema di diritto uniforme basato sulla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968.
[14] CARBONE-TUO, op. cit., p. 5. Infatti, sulla base delle direttive impartite dal Consiglio nell’ottobre 2002, la Commissione europea è stata autorizzata a intraprendere i negoziati per la nuova convenzione al fine di allineare, nella misura del possibile, le disposizioni del nuovo accordo a quelle del regolamento. Essa è dunque uno strumento autonomo rispetto al regolamento ma, essendo identica nei contenuti, estende di fatto la sua applicazione anche a Stati non appartenenti all’Unione Europea, come ad esempio la Svizzera, paese di domicilio del creditore procedente nel caso di cui si tratta.
[15] Parole di MARI, Il diritto processuale civile della convenzione di Bruxelles, I: Il sistema della competenza, Padova, 1999, p. 562.
[16] Se, infatti, si tratta di un’obbligazione di pagare una somma di denaro, questa va adempiuta in linea di principio al domicilio del creditore al momento della scadenza, salvo che questo non sia mutato rispetto a quello originario al punto tale da aver reso più gravoso l’adempimento dell’obbligazione; in quest’ultimo caso il luogo di adempimento è rappresentato dal domicilio del debitore. Quest’articolata previsione, peraltro, si applica solo ai crediti liquidi ed esigibili, ritenendosi invece valevole per i crediti che non presentano le suddette caratteristiche il disposto dell’ultimo comma dell’art. 1182 c.c., che individua il luogo dell’adempimento nel domicilio del debitore al tempo della scadenza (si tratta di orientamento giurisprudenziale pacifico; v. in argomento Cass., 12 gennaio 2011, n. 21000). Infine, il primo comma di suddetta norma fa salvo ogni patto contrario, uso o altre circostanze dalle quale può desumersi anche un diverso luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita.
[17] L’art. 1 di esso recita “nell’applicare e interpretare le disposizioni della presente convenzione, i giudici tengono debitamente conto dei principi definiti dalle pertinenti decisioni dei giudici degli Stati vincolati dalla convenzione e della Corte di giustizia delle Comunità europee in relazione a dette disposizioni o a disposizioni analoghe della convenzione di Lugano del 1988 o degli atti normativi di cui all’articolo 64, par. 1, della presente convenzione”. Quest’ultimo articolo citato dal protocollo richiama poi il regolamento Bruxelles I e la convenzione di Bruxelles del 1968.
[18] Occorre comunque rilevare che nel caso di specie il giudice adito non ha potuto ritenere direttamente applicabile alla controversia il regolamento Bruxelles I-bis per via dell’art. 64, par. 2, lett. b) della convenzione di Lugano, che in materia di competenza giurisdizionale impone l’applicazione del suo art. 22, a discapito della normativa comunitaria, nel caso in cui questo attribuisca la competenza esclusiva ai giudici di uno Stato vincolato dalla convenzione. Questo in deroga alla regola generale, prevista nel paragrafo 1 del suddetto articolo, in cui appunto viene fatta salva l’applicazione dell’allora vigente regolamento (CE) n. 44/2001.
[19] V. in tal senso Corte giust., 4 luglio 1985, C-220/84, As-Autotelie Service GmbH c. Pierre Malhè.
[20] Eventualità che si presenta nel momento in cui vengano sollevate delle contestazioni in ordine alla dichiarazione del terzo; in questo caso, infatti, ai sensi dell’art. 549 c.p.c., il giudice deve provvedere con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti
[21] Tale principio è tra l’altro richiamato dal considerando 15 del regolamento (UE) n. 1215/2012, che ha ripreso il considerando 11 del regolamento (CE) n. 44/2001.
[22] Ritengono che l’art. 24 n. 5 reg. (UE) n. 1215/2012 vada interpretato nel senso di attribuire la giurisdizione all’autorità giurisdizionale nel cui territorio ha sede il terzo debitore, in quanto vero destinatario dell’espropriazione presso terzi VANZ-FELLONI, Il pignoramento presso terzi, in DITTRICH (a cura di), Diritto processuale civile, III, Torino, 2019, p. 3811; MARINELLI-WIDMANN, sub Art. 26-bis, in CONSOLO (a cura di), Codice di procedura civile, I, Milano, 2018, p. 419; TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata, in Il Corr. Giur., 2015, p. 395.
[23] Infatti, una volta ottenuta l’ordinanza di assegnazione del credito, ai sensi dell’art. 553 c.p.c., il creditore procedente ha sempre la possibilità di instaurare una nuova e distinta azione esecutiva contro il terzo, qualora naturalmente il credito assegnatogli diventi esigibile. Cass., 4 luglio 2018, n. 17441, ord., ha chiarito che l’ordinanza di assegnazione ha efficacia di titolo esecutivo nei confronti del terzo e a favore dell’assegnatario anche prima della sua comunicazione o notificazione al terzo; il creditore può dunque procedere alla notificazione di detta ordinanza anche unitamente all’intimazione dell’atto di precetto ma, laddove il terzo debitore così intimato provveda all’integrale pagamento di tutte le somme dovute in un tempo ragionevole, dovrà ritenersi inapplicabile l’art. 95 c.p.c. e le spese di precetto e quelle funzionali all’intimazione resteranno a carico del creditore intimante.
[24] Si esprimono in questi termini MALATESTA, La competenza giurisdizionale in materia di esecuzione forzata tra convenzione di Bruxelles del 1968 e legge di riforma del diritto internazionale privato, in BROGGINI (a cura di), Collisio legum. Studi di diritto internazionale privato per Gerardo Broggini, Milano, 1997, pp. 287-308.; BALBI, op. cit., p. 138; GIUSSANI-CASSIANI, Il pignoramento di crediti di debitori esteri e l’art. 26-bis c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2018, p. 1190.
[25] BALBI, op. cit., pp. 137 e 138.
[26] Cfr. GIUSSANI-CASSIANI, op. cit., p. 1191.
[27] Corte giust., 4 luglio 1985, C-220/84, cit., punto 12.
[28] Corte giust., 20 gennaio 1994, C-129/92, Owens Bank Ltd c. Fulvio Bracco e Bracco Industria Chimica SpA, punti 23-25. I giudici comunitari, dopo aver constatato che il titolo II dell’allora vigente convenzione di Bruxelles del 1968 non stabiliva alcun foro per i procedimenti relativi al riconoscimento e all’esecuzione di sentenze emanante in uno Stato terzo, ha ritenuto che l’art. 16 n. 5 dovesse essere inteso come riguardante le sole decisioni emesse da un giudice di uno Stato contraente, in linea con la definizione di “decisione” data dall’art. 25 della convenzione (oggi art. 2 lett. 2 reg. (UE) n. 1215/2012).
[29] Com’è noto, si tratta di esclusione che trova la sua giustificazione nell’esistenza di una specifica normativa di diritto uniforme, ovvero la convenzione di New York del 1958 sull’arbitrato, già operante in tutta l’area europea e ritenuta di per sé adeguata alle particolari esigenze della materia, non essendoci stati ulteriori interventi integrativi a livello dell’Unione.
[30] Il giudice milanese nella circostanza non si era nemmeno posto la questione relativa all’applicabilità di tale convenzione nell’ipotesi in cui il titolo esecutivo fosse costituito, come nel caso di specie, da una “decisione” non rientrante nel suo ambito di applicazione.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento