Perciò con i contratti Point to click l’utente conclude il contratto compilando un format prestabilito e presente sul sito della società venditrice o intermediaria.
La forma pattizia in oggetto ha lo scopo di agevolare le transazioni di carattere commerciale che sono rivolte ad una moltitudine indefinita di utenti. L’esigenza da tutelare è, evidentemente, la celerità della contrattazione. È questo il caso di note multinazionali come Amazon, Booking.com, BlaBlacar, piattaforme nelle quali l’Utente seleziona in una vetrina virtuale beni e servizi atti a soddisfare una proprio bisogno.
Ed è proprio in tale ambito che attraverso un impulso elettronico l’utente manifesta, il più delle volte consapevolmente, la volontà di concludere un accordo che ai sensi dell’art. 1322 c.c. è perfettamente valido ed efficace tra le parti.
Quanto alla natura propria del contratto in argomento, pare potersi affermare che, pur non potendo fornire una indicazione valida per tutte le forme di contrattazione Point and click, il più delle volte la corretta qualificazione giuridica del negozio né quella dell’offerta al pubblico disciplinata dall’ art. 1336 c.c. DI tal che, la volontà dell’utente liberamente manifesta ha la funzione di perfezionare il contratto tra le parti senza che sia richiesta l’accettazione della parte promittente. Pertanto la conclusione del contratto interverrà nel momento in cui l’impulso elettronico inviato dall’Utente giungerà presso il database del venditore.
La trasparenza dell’informazione contrattuale
Di fondamentale importanza nella schizofrenia delle forme di negoziazione elettronica è la chiarezza e trasparenza delle condizioni generali di contratto applicate al negozio che l’Utente si appresta ad concludere.
Non v’è dubbio che a disciplinare la materia intervengono le disposizioni del codice civile in materia di condizioni generali di contratto[1], nonché, laddove risulti soddisfatto il relativo requisito soggettivo, la disciplina dettata dal Codice del Consumo. Ad integrazione delle normative sopra menzionate interviene, poi, la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2000/31 CE, tradotta nel Decreto Legislativo n. 70/2003 che detta la disciplina del Commercio Elettronico.
Per ciò che qui interessa esso estende, espressamente, “Le norme sulla conclusione dei contratti anche nei casi in cui il destinatario di un bene o di un servizio inoltri il proprio ordine per via telematica”. Il medesimo articolo prevede, inoltre, che “Salvo differente accordo tra patti diverse dai consumatori, il prestatore deve, senza ingiustificato ritardo e per via telematica, accusare ricevuta dell’ordine del destinatario contenente un riepilogo delle condizioni generali e particolari applicabili al contratto, le informazioni relative alle caratteristiche essenziali del bene o del servizio e l’indicazione dettagliata del prezzo, dei mezzi di pagamento, del recesso, dei costi di consegna e dei tributi applicabili” [2]
Come è evidente, le previsioni in argomento oltre a disciplinare specificatamente la forma “Point and click” hanno il pregio di imporre un onere di informazione e trasparenza nei confronti della società venditrice. Si tende perciò a responsabilizzare sia l’Utente, attraverso il richiamo alle condizioni offerte dal venditore, sia il venditore, mediante gli obblighi informativi di riepilogo dell’ordine e delle condizioni ad esso applicate.
Le clausole vessatorie e la Giurisprudenza in materia
Posta l’ipotesi non infrequente di clausole vessatorie nel testo contrattuale si rileva che la vexata questio attiene proprio alla validità o meno delle predette clausole e la loro idoneità ad incidere nella sfera giuridica del consumatore.
Sommariamente, sono vessatorie quelle clausole che determinano a carico del consumatore, o della parte che non ha partecipato alla predisposizione delle condizioni contrattuali, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
In nuce, ai sensi degli artt. 1341 e ss e della normativa consumistica le clausole vessatorie andrebbero approvate per iscritto e separatamente. Ciò, nella prassi, si verifica attraverso il fenomeno della doppia firma, ovvero quella pratica fortemente diffusa consistente nel far approvare al cliente dapprima le condizioni generali di contratto e poi un documento riepilogativo delle varie clausole vessatorie. Nella contrattazione Point and click la normativa di riferimento crea non poche problematiche circa la validità delle clausole che vengono regolarmente inserite nella redazione delle condizioni generali di contratto dei vari portali e-commerce. Ne sono un esempio le sempre presenti deroghe al Foro territoriale competente, le limitazioni di responsabilità, l’imposizione di decadenze o di limiti alla facoltà di proporre eccezioni.
La doppia sottoscrizione, traslata in forma digitale, suggerirebbe, e di fatto e ciò che si verifica, di predisporre due schermate attraverso le quali con la prima l’Utente possa approvare le condizioni generali di contratto e con la seconda le clausole vessatorie.
La giurisprudenza in materia sembra però negare tale possibilità e tende ad escludere la validità delle clausole vessatorie predisposte dal venditore nelle condizioni generali di contratto pur se approvate con una seconda schermata
A chiarire i dubbi in argomento è intervenuta un’importante sentenza del Tribunale di Catanzaro[3]. Il Giudice ha puntualmente osservato che “Con riguardo alle clausole vessatorie on line, l’opinione dottrinale prevalente – alla quale il Tribunale aderisce – ritiene che non sia sufficiente la sottoscrizione del testo contrattuale-, ma sia necessaria la specifica sottoscrizione delle singole clausole, che deve essere assolta con la firma digitale. Dunque, nei contratti telematici a forma libera il contratto si perfeziona mediante il tasto negoziale virtuale, ma le clausole vessatorie saranno efficaci e vincolanti solo se specificamente approvate con la firma digitale.”
A parere di chi scrive, i giudici calabresi hanno imposto una rigidità negoziale ad un sistema di contrattazione, quale quello dell’acquisto web di beni e servizi, del tutto anacronistica. Ed infatti, sebbene mai come in questi ultimi anni la digitaliazzazione del consueto agire economico stia compiendo passi notevoli, siamo ancora lontani dal panorama in cui il consumatore medio sia in possesso della firma digitale.
Tuttavia gli operatori del diritto hanno positivamente riscontrato nelle modifiche apportate nel 2016 al Codice dell’Amministrazione Digitale una soluzione al problema. Il nuovo articolo 21, prevede infatti che “il documento informatico cui è apposta una firma elettronica soddisfa il requisito della forma scritta e sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”. L’importanza della formulazione appena esposta risiede nella letterale genericità della terminologia usata. A ben vedere, non vi è alcun riferimento a firme elettroniche avanzate come la firma digitale ma è richiesta una generica firma elettronica. Perciò anche nella contrattazione “point and click” potrebbe riacquistare un senso l’approvazione separata del documento contenente il richiamo alle clausole vessatorie.
De iure condendo
In ultimo si segnala che a soccorrere ulteriormente le società dell’informazione potrebbe intervenire il legal design ovvero quella metodologia che mira alla visualizzazione efficace di un testo a contenuto legale. Attraverso questa disciplina l’Utente consumatore verrebbe portato a visualizzare in modo semplice ed immediato il contenuto di clausole, ad esempio vessatorie, comprendendone a pieno il significato. Il legal design utilizza sintesi grafiche, mappe e strumenti interattivi che hanno il pregio di evidenziare tali clausole assicurandone l’approvazione consapevole.
In assenza di una disciplina più specifica atta a regolare la materia, la verità è che la valutazione della validità ed efficacia delle clausole vessatorie approvate attraverso la contrattazione “Point and click” spetterà, caso per caso, al Giudice.
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Note
[1]Artt. 1341 e 1342 c.c
[2] Art. 13 del D.lgs. n. 70 /2003
[3] Trib. di Catanzaro Sentenza n. 68/2011 del 18 aprile 2012
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