L’art. 425, co. III, c.p.p. prevede che il “giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.
Il nodo gordiano da dirimere nel caso di specie, dunque, è quello di stabilire, come ed in che termini, possa essere applicata siffatta norma giuridica.
Orbene, in questa decisione, i Giudici di “Piazza Cavour” hanno affermato come sia inibito al giudice di merito, in sede di udienza preliminare, giudicare “in termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato” dato che:
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è possibile emettere sentenza di non luogo a procedere solo in “quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione”;
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“le finalità cui l’udienza preliminare è preordinata” è quella diretta ad “evitare i dibattimenti inutili, ma non accertare se l’imputato è colpevole o innocente”.
Quindi, la Corte di Cassazione, partendo dal presupposto secondo cui “il parametro non è l’innocenza ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio”, è pervenuta alla conclusione secondo la quale “l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi devono quindi avere caratteristiche tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili nel giudizio” poichè “la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatoria secondo il dato letterale del novellato art. 425, comma 3, è sempre in ogni caso diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico (…) la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda”.
La Cassazione, pertanto, applicando tale principio di diritto al caso sottoposto al suo vaglio decisionale, ha annullato il provvedimento impugnato rilevando che gli “argomenti sui quali la sentenza de qua è fondata non forniscono in concreto una alcuna dimostrazione delle ragioni della decisione di definizione del processo con una prognosi negativa circa ogni eventuale sviluppo in senso favorevole all’impostazione dell’accusa” posto che la motivazione ivi adottata non dava “conto affatto della prognosi volta a verificare l’utilità della verifica dibattimentale”.
Orbene, tale approdo ermeneutico è pienamente condivisibile siccome conforme ad un consolidato orientamento nomofilattico secondo il quale il “giudice dell’udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato, bensì in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione”[1].
In effetti, secondo l’ermeneutica prevalente, la previsione di cui all’art. 425, comma 3, c.p.p. è applicabile ove:
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gli elementi acquisiti “siano comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio”[2];
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“non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa approdare ad una soluzione conforme alla prospettazione accusatoria”[3];
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le “condizioni su cui fondare la prognosi di evoluzione in senso favorevole all’accusa del materiale probatorio raccolto” siano insussistenti[4];
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le fonti di prova a carico dell’imputato non “si prestino a soluzioni alternative o aperte”[5];
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si pervenga ad un “giudizio prognostico di immutabilità del quadro probatorio, specificamente di non modificabilità in dibattimento per effetto dell’acquisizione di nuove prove o di una diversa rivalutazione degli elementi in atti”[6];
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l’insufficienza e la contraddittorietà degli elementi presentino caratteristiche tali “da non poter essere ragionevolmente considerate superabili in giudizio”[7];
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quando il materiale probatorio presenti “significativi spunti di problematicità e, per l’effetto, di possibile evoluzione dibattimentale”[8];
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il quadro probatorio, essendo connotato da una indubbia complessità, non sia “tenuto compiutamente presente dal GUP nella propria sentenza di non luogo a procedere”[9].
Infatti, secondo un arresto giurisprudenziale avvenuto nel 2002 [10], l’ “obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo decisionale, non attribuisce infatti allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poiché la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma dell’art. 425, è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda”.
Del resto, tale costrutto interpretativo, pur a fronte delle numerose modifiche apportate all’art. 425 c.p.p. nel corso del tempo, è rimasto inalterato anche dopo l’entrata in vigore della legge Carotti.
In effetti, è stato osservato, sempre in sede di legittimità, che, anche “dopo le modifiche apportate all’art. 425 c.p.p. dall’art. 23 l. 16 dicembre 1999, n. 479, l’udienza preliminare ha conservato la sua natura processuale”[11] visto che il “giudice dell’udienza preliminare non può dunque pronunziare sentenza di non luogo a procedere quando l’eventuale insufficienza o contraddittorietà degli elementi acquisiti appaiano ragionevolmente superabili nel dibattimento, non dovendo egli accertare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato, bensì la sostenibilità dell’accusa nel giudizio”[12].
Tra l’altro, anche alla luce della precedente emenda apportata all’articolo 425 c.p.p. dalla legge n. 105/93, era stata comunque ribadita, dai giudici di legittimità costituzionale, la natura processuale di questo istituto.
Infatti, secondo la Consulta, se è vero “che la soppressione dell’aggettivo “evidente”, che prima circoscriveva entro angusti confini la regola di giudizio che presiedeva alla adozione delle formule in fatto della sentenza di non luogo a procedere, abbia sensibilmente aumentato la possibilità di adottare una siffatta pronuncia e, per converso, incrementato in corrispondente misura l’apprezzamento che, sempre in fatto, corrobora l’alternativa scelta della translatio iudicii”[13], è altrettanto vero che la sentenza di non luogo a procedere, nonostante tale emendatio, “era e resta, anche dopo le modifiche subite dall’art. 425 cod. proc. pen., una sentenza di tipo “processuale”, destinata null’altro che a paralizzare la domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero”[14].
Invece, per dovere di completezza espositiva, corre l’obbligo di evidenziare che, per quanto concerne il processo penale minorile, è stato invece osservato che l’ “ampia gamma di esiti dell’udienza preliminare nel processo penale minorile, che è giustificata dalla necessità di evitare fin dove è possibile la celebrazione del giudizio dibattimentale, in considerazione delle speciali esigenze di protezione della personalità dei minori coinvolti, fa sì che la funzione di tale udienza non possa ritenersi di natura analoga a quella dell’udienza preliminare nel giudizio penale comune, cioè esclusivamente processuale”[15].
D’altronde, tornando a trattare il tema in argomento, un vaglio critico di questo tipo (la natura procedurale e non sostanziale di questo vaglio prognostico) era già richiesto, come si evince in alcune pronunce, pure durante la vigenza del codice rocco.
Infatti, la Cassazione, in riferimento a quanto statuito dall’art. 378 c.p.p. del 1930, aveva affermato che scopo “dell’istruzione penale non è quello di decidere sulla responsabilità dell’imputato, ma quello di verificare se gli elementi acquisiti siano tali da giustificare la fase del dibattimento”[16] posto che il “proscioglimento in istruttoria con formula dubitativa può avvenire solo se non risultano sufficienti le prove per rinviare a giudizio, vale a dire quando il dibattimento appaia superfluo e la esiguità degli elementi raccolti non possa garantire un risultato apprezzabile per l’accusa neppure nella fase dibattimentale”[17].
Inoltre, tornando a trattare il codice vigente, il Giudice delle leggi ha evidenziato, in egual misura, che si deve “decidere non sul pieno merito della regiudicanda, ma sulla ammissibilità o meno della domanda di giudizio rivolta dal pubblico ministero”[18] atteso che l’intervento decisorio deve intendersi limitato “ad apprezzare il fondamento dell’accusa non in termini di positiva verifica della colpevolezza dell’imputato, ma nella ben diversa prospettiva di scongiurare la celebrazione di un dibattimento superfluo”[19].
Infatti, secondo la Corte Costituzionale, “le pur significative e rilevanti modifiche che la legge n. 479 del 1999 ha apportato alla disciplina della udienza preliminare, pur avendo contribuito a ridefinire, in termini di maggior pregnanza, la struttura, la dinamica ed i contenuti decisori di quella fase, non ne hanno tuttavia mutato le connotazioni eminentemente processuali che ne contraddistinguono l’essenza”[20] dato che la valutazione di merito involge solo la “consistenza dell’accusa, consistente in una prognosi sulla sua possibilità di successo nella fase dibattimentale”[21].
Da ultimo, vale la pena di evidenziare che, per quanto concerne gli elementi “non idonei a sostenere l’accusa in giudizio” sempre menzionati nell’art. 425, co. III, c.p.p., tale inciso è perfettamente speculare a quello previsto dall’art. 125 disp. att. c.p.p. il quale statuisce, come risaputo, che il pubblico ministero richiede l’archiviazione “quando ritiene l’infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.
Ed allora, visto l’impossibilità di adottare i criteri decisori previsti per il dibattimento in questa fase procedurale attesa, come più volte suesposto, la natura meramente processuale della sentenza di non luogo a procedere, il giudice dell’udienza preliminare deve adottare una valutazione prognostica eguale a quella a cui è demandato il pubblico ministero nel decidere se rinviare a giudizio l’indagato ovvero chiedere l’archiviazione[22].
Orbene, la Cassazione, declinando tali principi di diritto ai casi sottoposti al suo scrutinio giurisdizionale, ha ritenuto non applicabile la norma de qua nelle seguenti ipotesi:
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qualora il giudice di merito, in materia di sicurezza della salute dei lavoratori, abbia omesso di “verificare in concreto di quali poteri ed obblighi fosse dotato il servizio di cui gli imputati erano responsabili per accertare l’esistenza, o meno, di una posizione di garanzia nei loro confronti e non escludere, in base ad un’equiparazione non consentita, che i responsabili del servizio ricordato fossero privi di poteri ed esenti da obblighi in tema di prevenzione”[23];
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allorchè il g.u.p., in materia di bancarotta, abbia “illegittimamente valorizzato, una volta accertato tanto la verificazione del fatto di reato, sotto il profilo della sua materialità, quanto la sua attribuibilità all’imputato sotto quello del rapporto causale, nell’ambito della pur necessaria indagine in ordine all’elemento psicologico del reato, ipotetiche e incerte alternative, concernenti l’effettiva direzione della volontà”[24];
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se il giudicante, in tema di colpa medica, sia pervenuto alla conclusione decisoria prevista dall’art. 425, co. III, c.p.p. pur a fronte di risultanze acquisite che offrano “precisi elementi di valutazione in presenza dei quali, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, non poteva certo escludersi una ulteriore evoluzione probatoria nel giudizio, magari alla luce e sulla scorta di più approfonditi accertamenti peritali, se del caso di natura collegiale”[25];
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allorquando venga omessa un’analisi critica circa le dichiarazioni rese dall’imputato in udienza[26];
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quando il g.u.p., “evidenziando la mancanza di precisi e univoci riscontri esterni, ha fatto un’erronea applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa”[27];
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qualora la valutazione decisoria, inerente una deposizione resa da un minorenne, sia in contrasto “con le valutazioni della consulente psicodiagnostica”[28];
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allorchè il giudice di merito sia caduto in un errore di prospettiva negando “l’ingresso ad una domanda di giudizio che non meritava di essere paralizzata, senza l’accertamento dibattimentale dei contributi causali sviluppati dalla condotta di ciascuno degli agenti, estrapolandoli nel coacervo degli elementi di fatto accertati in giudizio”[29];
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laddove si faccia un “mero riferimento letterale alla impossibilità di acquisizione nel dibattimento di ulteriori elementi”[30];
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allorquando “la parziale consistenza del panorama d’accusa è suscettibile di essere migliorata al dibattimento”[31];
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nel caso in cui “l’apprezzamento del merito da parte del giudicante si è sviluppato secondo un canone di innocenza, trascurando la prospettiva di delibare se risultasse o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento”[32];
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“se i testimoni del fatto hanno reso dichiarazioni divergenti”[33] nella misura in cui, il giudice dell’udienza preliminare, non possa “ragionevolmente escludere che, in dibattimento, l’esame dei testimoni porti ad un mutamento del quadro probatorio”[34];
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qualora il giudice si limiti “a dare atto della ritrattazione, compiuta dall’imputato nel corso dell’udienza preliminare, delle dichiarazioni autoaccusatorie precedentemente rese, le quali possono essere utilizzate per le contestazioni ex art. 503 cod. proc. pen. nel corso dell’esame dibattimentale”[35];
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quando il giudice di merito, nell’emettere una decisione di tal tipo, faccia riferimento, all’interno del corpo della sentenza, “non alla regola di giudizio dell’udienza preliminare ma a quella del giudizio di merito”[36].
Viceversa, è stato applicata la norma procedurale su emarginata nelle susseguenti situazioni:
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quando venga ritenuta credibile la prospettazione difensiva siccome supportata da valida documentazione probatoria mentre la linea accusatoria sia reputata insuscettibile, “per la natura solo presuntiva degli argomenti prospettati, di proficui sviluppi in sede di dibattimento”[37];
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se, in materia di omissione di atti d’ufficio, non emergano elementi tali da consentire sussistente a carico di quegli imputati, l’obbligo di compiere l’atto che si assume essere stato omesso[38];
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qualora “doverosamente esplorate tutte le possibili fonti informative, sussista il ragionevole dubbio che l’imputato non sia più in vita”[39] specie se la difesa dei ricorrenti non abbia “indicato la possibilità concreta di nuovi sviluppi ovvero una carenza di indagini rimediabile in qualche modo e su cui, se dedotta, avrebbe potuto porre rimedio anche il giudice dell’udienza preliminare”[40];
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quando il G.U.P. abbia proceduto ad una “puntuale applicazione dei principi più volte affermati (…)in tema di riscontri individualizzanti necessari a corroborare la chiamata in reità, senza affatto assegnare a questi ultimi (…) il valore di prova autonoma di responsabilità”[41];
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se il Giudice ritenga estremamente improbabile l’identificazione dell’imputato con l’autore del reato (nella specie delitto di omicidio) sulla scorta delle risultanze investigative acquisite, soprattutto laddove sia evidente “la insussistenza di prevedibili integrazioni e sviluppi futuri” e qualora la pubblica accusa, in sede di impugnazione, non indichi “alcun elemento che nel dibattimento potrebbe essere chiarito, sviluppato o integrato”[42].
In conclusione, la decisione in epigrafe è sicuramente condivisibile sicchè adottata in piena consonanza:
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con un consolidato e conforme pregresso orientamento nomofilattico;
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con una costante giurisprudenza costituzionale.
[1] Cass. pen., sez. IV, 6/10/09, n. 43483. In senso eguale, Cass. pen., sez. IV, 31/01/08, n. 13163: “Il giudice dell’udienza preliminare ha il potere di pronunziare la sentenza di non luogo a procedere non quando effettui un giudizio prognostico in esito al quale pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato, ma in tutti quei casi nei quali non esista una prevedibile possibilità che il dibattimento possa invece pervenire ad una diversa soluzione”.
[2] Cass. pen., sez. V, 15/05/09, n. 22864.
[3] Cass. pen., sez. VI, 8/03/11, n. 10803.
[4] Cass. pen., sez. II, 11/11/08, n. 45046. In senso conforme, Cass. pen., sez. II, 18/03/08, n. 14034: “La valutazione che il giudice dell’udienza preliminare opera con l’emissione della sentenza di non luogo a procedere attiene alla mancanza delle condizioni su cui fondare la prognosi di evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale di prova raccolto”.
[5] Argomentando a contrario: Cass. pen., sez. II, 8/10/08, n. 40406.
[6] Cass. pen., sez. II, 3/07/08, n. 35178. In senso eguale, Cass. pen., sez. I, 18/11/98, n. 1490: “Il giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere sia nel caso di prova positiva dell’innocenza sia nel caso di mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova di colpevolezza, a condizione, però, che essa non appaia integrabile nella successiva fase del dibattimento”.
[7] Cass. pen., sez. IV, 2/02/10, n. 11582.
[8] Cass. pen., sez. II, 11/11/08, n. 45046.
[9] Cass. pen., sez. II, 8/10/08, n. 40406. Per una complessa ed esaustiva disamina di questo istituto: A. M. Bonagura, “Nuovi esiti dell’udienza preliminare: frattura o continuità con il regime anteriore alla “legge – carotti”, Cass. pen., 2001, 09, 2570.
[10] Cass. pen., sez. un., 30/10/02, n. 39915.
[11] Cass. pen., sez. IV, 19/04/07, n. 26410.
[12] Cass. pen., sez. IV, 19/04/07, n. 26410. In senso analogo, Cass. pen., sez. IV, 16/01/08, n. 11335: “La sentenza di non luogo a procedere, anche dopo le modifiche subite dall’art. 425 c.p.p. a seguito della l. 16 dicembre 1999 n. 479, rimane prevalentemente una sentenza di natura processuale e non di merito, finalizzata a evitare i dibattimenti inutili, e non ad accertare se l’imputato è colpevole o innocente. Ne deriva che il parametro di valutazione del giudice, cui è imposto di adottare la sentenza di non luogo a procedere «anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio» (art. 425, comma 3, c.p.p), non è l’innocenza dell’imputato, ma l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio”. Sull’argomento e a favore di questo approdo ermeneutico: Nappi, Guida al codice di procedura penale, 9ª ed., Giuffrè, 2004, p. 401 s.; Cordero, Procedura penale, 7ª ed., 2003, p. 905; Riccio, Incompatibilità del giudice, ecco tutte le oscillazioni della Consulta, in Dir. e giust., 2003, n. 1, p. 36 ss.; Riccio, Ma cos’è l’udienza preliminare? Guai a trasformarla da filtro in giudizio, ivi, n. 19, 2004, p. 8 ss.; Riccio, Relazione introduttiva, in AA.VV., Le nuove frontiere del modello accusatorio 1999-2000, a cura di De Caro, 2001, p. 36; R.E. Kostoris, Udienza preliminare e giudizio abbreviato, snodi problematici della riforma, in AA.VV., Nuovi scenari del processo penale alla luce del giudice unico, 2002, p. 45; R. Bricchetti-L. Pistorelli, op. loc. cit.; G. Garuti, La nuova fisionomia dell’udienza preliminare, in AA.VV., Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, a cura di F. Peroni, 2000, p. 404 s.; Peroni, I nuovi epiloghi dell’udienza preliminare, in Studium iuris, 2000, p. 1216.
In senso contrario, cfr., Galantini, La nuova udienza preliminare, in Amodio-Galantini, Giudice unico e garanzie difensive, la procedura penale riformata, Milano, 2000, p. 101; Amodio, Lineamenti della riforma, in Amodio-Galantini, Giudice unico e garanzie difensive, cit., p. 31; Ferraioli, La separazione delle fasi: limiti e proiezioni di uno schema, in Studi in ricordo di Giandomenico Pisapia, vol. II, Giuffrè, 2000, p. 278; A. Dalia, L’apparente ampliamento degli spazi difensivi nelle indagini preliminari e l’effettiva anticipazione della «soglia di giudizio», in AA.VV., Le recenti modifiche al codice di procedura penale. Commento alla l. 16 dicembre 1999, n. 479, vol. I, Le innovazioni in tema di indagini e di udienza preliminare, a cura di L. Kalb, Giuffrè, 2000, p. 10 ss..
Per la ricostruzione di un terzo genere di decisione di non luogo a procedere rispetto a quelle di «rito» e di «merito», Daniere Fasconaro, nell’opera “La nuova configurazione dell’udienza preliminare: una effettiva metamorifosi” (edito in Cass. pen. 2006, 04, 1621) richiama i seguenti studiosi: “l’autore v., Daniele, Profili sistematici della sentenza di non luogo a procedere, Utet, 2005, p. 190 ss., secondo cui, infatti, impiegando i concetti di «merito» e di «rito» si arriverebbe ad un esito ugualmente inaccettabile, poiché la sentenza de qua concepita come provvedimento di «merito» verrebbe trasformata in una singolare decisione che contiene un accertamento dell’innocenza dell’imputato prima che sia celebrato il dibattimento; considerata, invece, come provvedimento di «rito», pur evitando questa anomalia, l’inquadramento non sarebbe in grado di ricomprendere tutte le possibili formule proscioglitive delineate dall’art. 425 c.p.p. e risulterebbe, in ogni caso, inaccettabile nelle ipotesi in cui la valutazione di inutilità del giudizio derivi dall’esame dei profili giuridici e, soprattutto, di quelli fattuali dell’accusa, piuttosto che dalla semplice constatazione della mancanza di una condizione di procedibilità. In questi casi, infatti, «la sentenza tende ad evadere dalla categoria del “rito” in senso stretto».
Infine, alcuni autori registrano un’anomalia tra la natura meramente processuale di questa sentenza e la necessità che si debba tener conto “delle circostanze attenuanti” nonché del giudizio prognostico previsto dalle “disposizioni dell’art. 69 del codice penale” (art. 425, co. II, c.p.p.), (Gilberto Lozzi, “Lineamenti di procedura penale”; seconda edizione, Torino, Giappichelli editore, 2009, pagg. 233 – 234).
Difatti, secondo questo autore, per verificare quanto richiesto dal comma II della norma de qua, è comunque necessario considerare gli elementi previsti dall’art. 133 c.p.p. e quindi, in sostanza, è fondamentale procedere ad una valutazione che implica un previo giudizio sulla sussistenza del fatto – reato; giudizio questo che, in quanto tale, è difficilmente conciliabile con la natura processuale di questo provvedimento.
[13] Corte Cost., sentenza n. 71/96.
[14] Ibidem.
[15] Corte Costituzionale, sentenza n. 311 del 1997.
[16] Cass. pen., sez. V, 2/05/82, n. 930.
[17] Cass. pen., sez. V, 9/11784, n. 2105.
[18] Corte Costituzionale, sentenza n. 41/93.
[19] Ibidem.
[20] Corte Costituzionale, ordinanza n. 185/01.
[21] Corte Costituzionale, sentenza n. 335/02.
[22] In tal senso: Giulio Garuti, “Nuove osservazioni sulla regola di giudizio ex art. 425 c.p.p. ai fini della sentenza di non luogo a procedere”, Cass. pen., 1996, 9, 2705.
[23] Cass. pen., sez. IV, 2/02/10, n. 11582.
[24] Cass. pen., sez. V, 15/05/09, n. 22864.
[25] Cass. pen., sez. IV, 8/11/07, n. 47169.
[26] Cass. pen., sez. I, 16/10/08, n. 39980.
[27] Cass. pen., sez. II, 3/07/08, n. 35178.
[28] Cass. pen., sez. III, 28/02/08, n. 16129.
[29] Cass. pen., sez. IV, 31/01/08, n. 13163.
[30] Cass. pen., sez. IV, 16/01/08, n. 11335.
[31] Cass. pen., sez. IV, 12/07/07, n. 30001.
[32] Cass. pen., sez. VI, 12/01/12, n. 10849.
[33] Cass. pen., sez. IV, 2/02/10, n. 11582.
[34] Ibidem.
[35] Cass. pen., sez. I, 16/10/08, n. 39980.
[36] Cass. pen., sez. IV, 19/04/07, n. 26410.
[37] Cass. pen., sez. IV, 6/10/09, n. 43483.
[38] Cass. pen., sez. VI, 8/03/11, n. 10803.
[39] Cass. pen., sez. I, 7/10/08, n. 40117.
[40] Ibidem.
[41] Cass. pen., sez. II, 18/03/08, n. 14034.
[42] Cass. pen., sez. I, 18/11/98, n. 1490.
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