I debiti fuori bilancio nel tuel e nella giurisprudenza

Redazione 06/09/04
Di Francesca Panzini
Capo Settore Contabilità e Finanze Comune di Conversano (BA)
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TIPOLOGIE RICONOSCIBILI
L’art. 194 del Tuel disciplina l’ambito e le procedure di riconoscibilità dei debiti fuori bilancio, ossia delle obbligazioni formatesi secondo un iter non conforme ai princìpi giuscontabili.
Costante dottrina sostiene che, dal punto di vista procedurale, nel riconoscimento dei debiti fuori bilancio si deve tenere presente che possono essere il frutto, oltre che di obbligazioni sorte nell’esercizio in corso, anche di rapporti giuridici risalenti ad anni precedenti, nel qual caso si suole parlare di passività pregresse o arretrate, cioè di maggiori spese che si verificano sulla competenza dell’ultimo esercizio chiuso o sui residui degli esercizi anteriori e che nel precedente ordinamento degli EE.LL. era previsto che il riconoscimento di debiti fuori bilancio, effettuato all’atto dell’approvazione del Rendiconto della Gestione, potesse essere relativo solo ai debiti fuori bilancio concernenti le passività pregresse non contabilizzate; queste, infatti, non erano considerate, in sede di approvazione del Bilancio di Previsione, ma risultavano dall’ultimo Consuntivo approvato.
Il Ministero dell’Interno, con Circolare 20 settembre 1993 n.F.L.21/1993 ha definito il debito fuori bilancio come “un’obbligazione verso terzi per il pagamento di una determinata somma di danaro che grava sull’ente (…..) assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa degli Enti Locali”;
Il debito fuori bilancio consiste, quindi, in un’obbligazione maturata senza che sia stato adottato il dovuto adempimento per l’assunzione dell’impegno di spesa previsto dall’art.191, commi 1-3, del D.Lgs.267/2000 (ex art.35, commi 1, 2 e 3 del D.Lgs.77/1995);
Con riferimento ai requisiti generali che il debito deve avere ai fini del riconoscimento, il Ministero dell’Interno ha indicato questi caratteri:
certezza, cioè effettiva esistenza dell’obbligazione di dare;
liquidità, nel senso che deve essere individuato il soggetto creditore, il debito sia definito nel suo ammontare e l’importo sia determinato o determinabile mediante una semplice operazione di calcolo aritmetico;
esigibilità, nel senso che il pagamento non sia dilazionato da termine o subordinato a condizione.
Secondo la Corte dei Conti il debito fuori bilancio è un’obbligazione sorta senza il rispetto delle regole giuridiche contabili proprie degli Enti Locali.
Nell’attuale sistema giuscontabile sono riconoscibili i debiti fuori bilancio derivanti da:
sentenze esecutive : la norma sintetizza il precedente disposto, ma senza introdurre alcuna modificazione. Sono infatti da ritenersi “esecutive” sia le sentenze passate in giudicato, sia le sentenze immediatamente esecutive;
copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni , nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;
ricapitalizzazione di società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali;
procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità;
acquisizione di beni e servizi , in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 del Tuel, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.
Ciò che accomuna tali ipotesi è il fatto che il rapporto obbligatorio sorge prescindendo dall’ iter ordinario di formazione della volontà dell’ente locale, che – tuttavia – può adempiere alla controprestazione in considerazione dell’esigenza di non sacrificare ingiustamente le ragioni della controparte.
IN PARTICOLARE SULLA FATTISPECIE DELLA LETTERA E)
Con Circolare 14 novembre 1997 n.F.L. 28/1997 il Ministero dell’Interno ha evidenziato come in passato potessero essere riconosciuti dall’amministrazione locale i debiti fuori bilancio per i quali non era ipotizzabile una responsabilità da parte di funzionari e/o amministratori nell’ordinazione della spesa in violazione delle norme giuscontabili che regolano l’impegno di spesa.
L’attuale versione, seguendo gli indirizzi giurisprudenziali in materia di responsabilità per danno patrimoniale, ha dato la facoltà agli enti locali di riconoscere i debiti fuori bilancio nel limite dell’indebito arricchimento.
La norma è di grande rilievo perché consente di sanare, permanentemente, i debiti fuori bilancio nei limiti dell’utilità e dell’arricchimento che l’ente ha conseguito, mentre il pagamento della restante parte del debito deve essere richiesta a chi ha ordinato o reso possibile la fornitura in quanto per tale parte il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore da un lato e l’amministratore, il funzionario ed il dipendente che hanno violato le disposizioni normative che regolano l’effettuazione delle spese dell’ente locale dall’altro.
Il Ministero ha osservato che l’esperienza acquisita negli ultimi anni ha dimostrato come, nonostante le norme cogenti in materia di procedura di spesa ribadite dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, il problema della formazione dei debiti fuori bilancio resta una realtà patologica nella vita dell’ente locale, per la quale è necessario adottare tutti gli accorgimenti affinché non si verifichi.
La disciplina previgente, derivata dall’articolo 12-bis, comma 4, del decreto-legge 12 gennaio 1991, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991, n. 80, e formalizzata da ultimo nell’articolo 37 del decreto legislativo n. 77 del 1995, come successivamente modificato, prevedeva la possibilità, a regime, per gli enti di riconoscere la legittimità dei debiti fuori bilancio per le seguenti fattispecie:
quelli definiti con sentenze passate in giudicato o immediatamente esecutive;
quelli per la copertura di disavanzi di aziende speciali, di istituzioni e di consorzi dipendenti dal comune e dalla provincia con la limitazione del riferimento agli obblighi assunti dall’ente con lo statuto o la convenzione e purché tali organismi diano dimostrazione di aver deliberato il bilancio in pareggio;
i debiti per ricapitalizzazione di società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali;
quelli conseguenti alle procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere pubblica utilità, compreso il risarcimento del danno conseguente alla cosiddetta accessione invertita;
i debiti fuori bilancio per fatti e provvedimenti dovuti a causa di forza maggiore o per i quali non è dimostrata una responsabilità di soggetti dell’amministrazione.
La nuova formulazione della lettera e) del comma 1, dell’articolo 37 del decreto legislativo n. 77 del 1995, confluita nell’articolo 194 del TUEL comporta una novità sostanziale.
Si è recepita quella che è stata l’elaborazione giurisprudenziale, in particolare della Corte dei conti, ma anche del giudice ordinario, stabilendo che sono permanentemente sanabili i debiti derivanti da acquisizioni di beni e servizi, relativi a spese assunte in violazione delle norme giuscontabili, per la parte di cui sia accertata e dimostrata l’utilità e l’arricchimento che ne ha tratto l’ente locale.
Si richiama l’attenzione sul fatto che la deliberazione consiliare di riconoscimento dei debiti fuori bilancio deve fornire la concreta prova dell’utilità, congiunta all’arricchimento per l’ente.
I due requisiti devono coesistere, cioè il debito fuori bilancio deve essere conseguente a spese effettuate per le funzioni di competenza dell’ente, fatto che ne individua l’utilità, e deve esserne derivato all’ente un arricchimento.
La proposta della deliberazione per il riconoscimento dei debiti spetta al responsabile del servizio competente per materia. Per la natura peculiare dei servizi normalmente erogati dagli enti territoriali, il momento essenziale dell’accertamento attiene alla dimostrazione dell’effettiva utilità che l’ente ha tratto dalla prestazione altrui, che è un concetto di carattere funzionale, costituendo l’arricchimento un concetto derivato, teso alla misurazione dell’utilità ricavata. Al riguardo l’arricchimento non deve essere inteso unicamente come accrescimento patrimoniale potendo consistere anche in un risparmio di spesa (Cassazione Civile, Sezione I°, 12 luglio 1996, n. 6332).
Utili indicatori per la quantificazione dell’arricchimento possono ricavarsi dalle disposizioni contenute nell’articolo 2041 del codice civile e dall’elaborazione giurisprudenziale in tema di ingiustificato arricchimento della pubblica amministrazione.
L’arricchimento va stabilito con riferimento alla congruità dei prezzi, sulla base delle indicazioni e delle rilevazioni del mercato o dei prezzari e tariffe approvati da enti pubblici, a ciò deputati, o dagli ordini professionali. Per le attività a carattere istituzionale o pubblicistico è solitamente la norma stessa a quantificarne il valore.
Al riguardo si ritiene che non siano normalmente riconoscibili gli oneri per interessi, spese giudiziali, rivalutazione monetaria ed in generale i maggiori esborsi conseguenti a ritardato pagamento di forniture in quanto nessuna utilità e arricchimento consegue all’ente, rappresentando questi un ingiustificato danno patrimoniale del quale devono rispondere coloro che con il loro comportamento lo hanno determinato.
Al di fuori della predetta tipologia i debiti fuori bilancio non sono riconoscibili.
L’ORDINANZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
L’ordinanza della Corte costituzionale 6 luglio 2000, n. 266, ha stabilito la piena legittimità dell’art. 37 del DLgs n. 77/1995 (ora art. 194 Tuel), risolvendo positivamente il problema transitorio circa l’applicabilità retroattiva delle modifiche apportate dall’art. 5 del DLgs n. 342/1997, in relazione al caso previsto dalla lett. e).
Si tratta di un istituto di centrale importanza nell’ambito della nuova contabilità degli enti locali.
L’attività gestionale deve svolgersi all’interno degli stanziamenti del bilancio pluriennale, che ha funzione autorizzatoria, e degli indirizzi contenuti nella relazione previsionale e nel Peg. In conformità a tali indirizzi, ogni spesa va effettuata previa determinazione formale di impegno da parte del responsabile del servizio (o del settore).
In base all’art. 191 Tuel (art. 35, DLgs n. 77/95), gli enti possono effettuare spese solo se sussiste l’impegno contabile registrato sul competente intervento e l’attestazione della copertura finanziaria di cui all’art. 151, comma 4, Tuel (art. 55, comma 5, legge n. 142/1990).
Ai sensi dell’art. 191 comma 4, nel caso in cui vi è stata l’acquisizione di beni e servizi in violazione dell’obbligo indicato nei commi 1, 2 e 3, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura, ma solo “per la parte non riconoscibile ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lettera e)”.
Fino al 1997 il debito era riconoscibile solo se non derivante in alcun modo da comportamenti di amministratori o dipendenti dell’ente, in conformità alla funzione autorizzatoria del bilancio e alla disciplina dell’impegno di spesa: pertanto il fornitore doveva solitamente agire personalmente nei confronti di tali soggetti, senza potersi rivolgere al comune. Tuttavia tale soluzione finiva per addossare tutto il rischio sulle spalle dell’incauto fornitore, che aveva fatto affidamento sull’apparenza giuridica del rapporto con l’ente pubblico e che poteva però rivalersi unicamente su funzionari e/o amministratori, anziché sull’ente beneficiario dell’errore.
La nuova formulazione dell’art. 37 del DLgs n. 77/1995 (ora art. 194 Tuel), introdotta nel 1997, recepisce l’elaborazione giurisprudenziale della Corte dei conti, ritenendo sanabile la spesa assunta in violazione delle norme giuscontabili nei limiti della utilitas e dell’arricchimento dell’ente.
Si richiama in proposito il contenuto dell’art. 2041 del Codice civile, “Azione generale di arricchimento”: “Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda.”.
Oltre tale limite la spesa va addossata a chi ha reso possibile la prestazione. Si ricorda anche che non sono normalmente riconoscibili gli oneri per interessi, spese giudiziali e rivalutazione monetaria, che rappresentano un ingiustificato danno patrimoniale, da imputarsi ai soggetti che hanno consentito la spesa.
L’ordinanza della Corte costituzionale n. 266/2000 chiarisce che la nuova formulazione dell’art. 37 è da intendersi retroattiva: si evita così di penalizzare fornitori e prestatori d’opera in relazione a debiti formatisi prima del 1997, debiti che possono essere quindi riconosciuti dall’ente.
Con l’attuale formulazione dell’art. 37, pienamente recepita nel Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, un’ampia gamma di spese assunte irritualmente diventa sanabile, il che rende di fatto meno cogenti i principi contabili in materia di impegno di spesa e di funzione autorizzatoria delle previsioni di bilancio: lo stanziamento costituisce lo strumento primario della programmazione e non più il limite invalicabile degli impegni di spesa.
Le procedure si avvicinano – seppur gradualmente – a quelle vigenti per le imprese private.

LA COMPETENZA
Il riconoscimento dei debiti fuori bilancio spetta all’organo consiliare, che deve non solo e non tanto sanare una o più spese assunte senza impegno, quanto verificare che ciò non pregiudichi gli equilibri di bilancio.
E’ stata avanzata in dottrina l’ipotesi che tale compito, qualora non comporti variazioni di bilancio, spetti all’organo gestionale (responsabile di servizio o settore) in conformità al normale regime delle competenze di spesa.
In realtà, anche in tal caso l’insorgenza di debiti si riflette in qualche modo sui programmi approvati a inizio esercizio (sul Peg, se non addirittura sulla relazione previsionale). Occorre pertanto un provvedimento di natura programmatica e quindi politica: si potrebbe procedere mediante delibera di giunta, se lo stanziamento è capiente, o di consiglio, se occorre modificare il bilancio.
Tale soluzione non è priva di logica, fermo restando che la norma – peraltro inderogabile ai sensi dell’art. 152 Tuel – sembra affidare tale competenza comunque al consiglio, forse per evidenziare l’aspetto patologico insito nei debiti in esame nonché per scoraggiare la vecchia tendenza ad effettuare spese senza copertura.
Beninteso, la delibera dell’organo politico rappresenta l’esito finale di una fase complessa di competenza della sfera gestionale:
debito per debito, verifica dei presupposti di legge (ad esempio, l’utilità ed arricchimento per l’ente) da parte del responsabile del servizio competente ratione materiae ;
ricognizione di bilancio e verifica degli equilibri conseguenti al riconoscimento dei vari debiti, da parte del responsabile del servizio finanziario – al quale spetta dunque l’onere di predisporre la proposta di delibera, sulla base dell’istruttoria di cui al precedente punto;
spetta inoltre al responsabile del servizio finanziario il compito di fornire il parere di regolarità contabile (qualora l’impegno di spesa “a sanatoria” venga inserito nell’atto): ogni annessa competenza di natura gestionale può essere assorbita nel provvedimento dell’organo politico, senza inutile duplicazione di atti.
Può sembrare questo un iter piuttosto farraginoso, specialmente se si pensa ai debiti di limitato importo; tuttavia, ragioni di tenore sia letterale che logico-sistematico sconsigliano di tentare scorciatoie a livello interpretativo.

LA TEMPISTICA
Il riconoscimento dei debiti fuori bilancio può avvenire mediante la deliberazione consiliare di cui all’art. 193, comma 2, Tuel (art. 36, comma 2, DLgs n. 77/1995), da approvare entro il 30 settembre di ogni anno, o con la diversa periodicità stabilita dal regolamento di contabilità.
E’ stata da taluni criticata la scelta del legislatore di delimitare la tempistica di tale riconoscimento: in effetti è importante assicurare la necessaria tempestività nei pagamenti, quantomeno in relazione ai debiti di limitato importo.
Il regolamento dell’ente potrebbe dunque liberalizzare la predetta tempistica, fermo restando l’onere di procedere ogni volta a un’attenta verifica degli equilibri economico-finanziari; il debito deve essere certamente finanziato con la necessaria solerzia, ma al tempo stesso senza pregiudicare tali equilibri.
Pertanto, sembra opportuno concentrare l’esame dei principali debiti in sede di analisi generale del bilancio. Si potrebbe allora disporre a livello regolamentare la possibilità di riconoscere i debiti in ogni fase dell’esercizio, ferma restando l’opportunità di procedere in relazione ai principali debiti in sede di approvazione del bilancio di previsione, di verifica degli equilibri (entro il 30 settembre), di assestamento finale (30 novembre) o di rendicontazione (30 giugno).
La deliberazione consiliare di riconoscimento del debito fuori bilancio va allegata in copia al rendiconto della gestione in corso ai sensi dell’articolo 193, comma 2, del D.Lgs.267/2000.
L’art. 23, comma 5, della legge 289/2002 (legge finanziaria 2003) ha infine disposto che i provvedimenti di riconoscimento di debito posti in essere dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono trasmessi agli organi di controllo ed alla competente procura della Corte dei conti.
L’organo di revisione deve verificare che i provvedimenti di riconoscimento di debiti gli siano trasmessi nonché inviati alla competente procura della Corte dei Conti
LA DOVEROSITA’ DEL RICONOSCIMENTO
Si è posto il problema di stabilire se in presenza delle condizioni prescritte dal legislatore il riconoscimento sia doveroso oppure rappresenti una scelta discrezionale dell’ente.
E’ chiaro che l’ente pubblico deve contemperare due esigenze contrapposte:
la salvaguardia della funzionalità dell’ente, che deve assicurare la necessaria continuità ai propri servizi;
l’obbligo di far fronte a tutti i debiti prima di assumere nuove spese, in conformità anche al principio di attendibilità del bilancio.
Di regola il riconoscimento è certamente doveroso, in presenza delle condizioni prescritte dalla norma e nel rispetto degli equilibri economico-finanziari; una volta assicurati i servizi indispensabili, l’ente deve evitare l’insorgere di contenzioso o di fattispecie riconducibili alla c.d. responsabilità da interessi.
Il riconoscimento dell’esposizione debitoria “extra bilancio” genera l’obbligo della contabilizzazione e della quantificazione finanziaria del debito riconosciuto, al fine del rispetto di quei fondamentali principi di bilancio rappresentati da: universalità, veridicità e attendibilità.
IL FINANZIAMENTO DEI DEBITI FUORI BILANCIO
Con riferimento alle forme di finanziamento dei debiti fuori bilancio, fino alla riforma operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3 era possibile anche fare ricorso a mutui, fermo restando che nella relativa deliberazione consiliare di riconoscimento doveva essere dettagliatamente motivata l’impossibilità di utilizzare altre risorse.
Oggi detta linea di finanziamento non è più percorribile atteso quanto disposto dall’articolo 119 della Costituzione che prevede per gli EE.LL. la possibilità di ricorrere all’indebitamento solo per il finanziamento degli investimenti.
L’introduzione di tale principio ha comportato la necessità di intervenire in via legislativa in materia di finanziamento di debiti fuori bilancio ed in tal senso si è provveduto con la Legge n.448/2001 (finanziaria 2002), il cui art.41, comma 4, prevede che: “ Per il finanziamento di spese di parte corrente, il comma 3 dell’art.194 del citato testo unico di cui al Decreto Legislativo 18 agosto 2000 n.267, si applica limitatamente alla copertura dei debiti fuori bilancio maturati anteriormente alla data di entrata in vigore delle legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3”, e quindi all’8 novembre 2001.
Il legislatore è intervenuto ulteriormente con la successiva legge 27 dicembre 2002 n.289 (finanziaria 2003) il cui art.30, comma 15, sancisce che: “Qualora gli enti territoriali ricorrano all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’art.119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti possono irrogare agli amministratori che hanno assunto la relativa delibera la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte l’indennità di carica percepita al momento della commissione della violazione”.
Pertanto, è pacifico che i debiti fuori bilancio contratti successivamente all’8 novembre 2001, non per spese di investimento, non possono essere ripianati con l’assunzione di mutui, ed i relativi mezzi di finanziamento vanno reperiti esclusivamente nell’ambito delle risorse proprie ai sensi dell’articolo 193, comma 3, del TUEL, fatta salva la rateizzazione, da convenire con i creditori, prevista dall’articolo 194, comma 2, TUEL.
In proposito è intervenuta anche la Circolare n.1251 del 27 maggio 2003 in Gazzetta Ufficiale n.127 del 04 giugno 2003 con la quale la Cassa Depositi e Prestiti ha fornito appositi chiarimenti in merito alla finanziabilità dei debiti fuori bilancio e particolari disposizioni in materia di disavanzi nei settori del trasporto pubblico e sanitario.
L’art. 194, comma 2 del Tuel. ribadisce la possibilità di provvedere al pagamento anche mediante un piano di rateizzazione convenuto con i creditori; è inoltre possibile, per il pagamento dei debiti riconoscibili, procedere a transazione con la parte creditrice mediante la stipula di atto scritto e la redazione di apposito verbale (articolo 1965 Cod. civile ).
Nel caso previsto dall’art. 194, sub a), il riconoscimento appare doppiamente doveroso, dovendo la P.A. ottemperare al potere giudiziario parimenti al privato cittadino.
Ciò premesso, si pone il problema dei tempi e delle modalità di pagamento del debito derivante da sentenza immediatamente esecutiva, ma non ancora definitiva (debito che nella normativa precedente al DLgs n. 77/1995 non era riconoscibile). Sono emerse infatti alcune perplessità in ordine alla necessità di pagare immediatamente somme cospicue a seguito di sentenza non ancora passata in giudicato: a parte la difficoltà non trascurabile di reperire il finanziamento senza pregiudicare gli equilibri economico-finanziari, una volta pagato il debito si porrebbe il problema di come ripetere la somma in caso di vittoria in Cassazione. Il problema si è fatto oggi più pressante, considerato che le sentenze di primo grado sono molto spesso immediatamente esecutive.
Di norma occorre deliberare e pagare i debiti con la massima sollecitudine. Qualora però l’ente, disponendo di idonei elementi difensivi, decida di ricorrere in Cassazione, dovrà cercare soluzioni in grado di bilanciare l’interesse ad ottemperare alla giustizia con altre non meno rilevanti esigenze di tutela dell’interesse pubblico.
Sarebbe certamente opportuno concordare con la controparte forme di pagamento coperte da garanzia (pagamento immediato dietro presentazione di fideiussione; pagamento su deposito vincolato, da rendere disponibile alla controparte solo dopo l’esito in Cassazione). E’ stata persino sostenuta la legittimità di un rinvio del materiale pagamento fino al passaggio in giudicato della sentenza, ferma restando l’opportunità di procedere subito quantomeno al riconoscimento del debito e al suo inserimento in bilancio (in particolare prevedendo nel bilancio pluriennale l’onere di ammortamento dell’eventuale mutuo), a garanzia sia del debito stesso, sia degli equilibri finanziari di lungo periodo, in modo da evitare che il predetto rinvio possa pregiudicare la solvibilità da parte dell’ente – il che si tradurrebbe in un eccessivo e ingiustificato sacrificio del soggetto da risarcire.
Tale scelta è resa possibile dal disposto di cui all’art. 159 del Tuel (che ricalca esattamente l’art. 113 del DLgs n. 77/1995), che non a caso dispone l’impignorabilità delle somme destinate alle retribuzioni, all’ammortamento dei mutui e ai “servizi indispensabili”.
L’impignorabilità offre una possibilità pratica di tutela dell’ente, benché limitatamente alle somme destinate alle finalità sopra elencate nonché entro gli angusti limiti definiti dalla sentenza della Corte costituzionale 12-20 marzo 1998. Tuttavia, la strategia del rinvio è decisamente scoraggiata dal perdurante orientamento giurisprudenziale in materia di responsabilità erariale, malgrado la rivoluzione copernicana in atto che vede l’ente pubblico agire sempre più in chiave aziendale. E’ pertanto auspicabile un chiarimento autorevole sul punto.

Redazione

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