- Disciplina comune
- False informazioni al pubblico ministero o al procuratore della Corte penale internazionale (art. 371 bis c.p.)
- False dichiarazioni al difensore (art. 371 ter c.p.)
1. Disciplina comune
Le fattispecie delittuose di false informazioni al pubblico ministero o al procuratore della Corte penale internazionale (art. 371 bis c.p.) e false dichiarazioni al difensore (art. 371 ter c.p.) sono disciplinate nel libro II del codice penale – Dei delitti in particolare – Titolo III – Dei delitti contro l’amministrazione della giustizia Capo I – Dei delitti contro l’attività giudiziaria. Tali norme sono poste a tutela della corretta amministrazione della giustizia. Nello specifico, il legislatore con la norma di cui all’art. 371 bis c.p. mira alla tutela del regolare svolgimento delle indagini preliminari. La disposizione seguente (art. 371 ter c.p.) è stata introdotta dalla l. 7 dicembre 2000, n. 397 (Disposizioni in materia di indagini difensive), con la finalità di proteggere l’autenticità delle indagini effettuate dal difensore nell’interesse del proprio assistito.
L’introduzione di queste due fattispecie di reato, nonostante sia avvenuta in tempi differenti (nel 1992 – l’art. 371 bis c.p. – e nel 2000 – l’art. 371 ter c.p. -) ha colmato quello che era un vero e proprio vuoto legislativo con riferimento ai comportamenti criminosi di sviamento dell’attività posta in essere dall’autorità giudiziaria. Invero, fino all’introduzione di tali fattispecie delittuose, per molto tempo, la sola nonché possibile censura dei comportamenti criminogeni era determinata dall’uso della fattispecie delittuosa del favoreggiamento (art. 378 c.p.) – chiaramente – qualora ricorressero tutti i presupposti di quest’ultima norma. (In merito alla fattispecie di reato di cui all’art. 378 c.p. leggi https://www.diritto.it/favoreggiamento-personale-art-378-c-p-e-favoreggiamento-reale-art-379-c-p/).
Le due norme in questione configurano di fattispecie delittuose a dolo generico “… bastando la volontà, comunque determinatasi, di dire il falso” (Cass. 34749/2008). Entrambe le norme sono strettamente collegate con la disposizione di cui all’art. 63 c.p.p. posto che, in ossequio ai principi generali riguardanti le dichiarazioni indizianti: nessuno può essere obbligato a rendere informazioni pregiudizievoli per sé ovvero per i prossimi congiunti, se la dichiarazione viene resa e risulta menzognera va verificata la sussistenza dell’esimente di cui all’art. 384 c.p. (casi di non punibilità), nel caso in cui emergano indizi di colpevolezza, l’interrogatorio della persona informata sui fatti deve, necessariamente, essere sospeso rendendo le disposizioni, raccolte in questo modo, inutilizzabili.
2. False informazioni al pubblico ministero o al procuratore della Corte penale internazionale (art. 371 bis c.p.)
La fattispecie delittuosa di false informazioni al pubblico ministero o al procuratore della Corte penale internazionale è contestabile a “Chiunque, nel corso di un procedimento penale, richiesto dal pubblico ministero o dal procuratore della Corte penale internazionale di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito, è punito con la reclusione fino a quattro anni.
Ferma l’immediata procedibilità nel caso di rifiuto di informazioni, il procedimento penale, negli altri casi, resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere.
Le disposizioni di cui ai commi primo e secondo si applicano, nell’ipotesi prevista dall’articolo 391 bis, comma 10, del codice di procedura penale, anche quando le informazioni ai fini delle indagini sono richieste dal difensore”
La norma in commento è posta a salvaguardia dell’interesse dell’amministrazione della giustizia con l’obiettivo di tutelare la genuinità delle indagini preliminari, tramite la corretta acquisizione degli elementi di prova. Si tratta di una figura di reato ove il tentativo non appare configurabile.
La disposizione è stata introdotta, dalla legislazione d’emergenza successiva alle stragi del 1992, dall’art. 11, primo co. 1, d.l. 8 n. 306/1992, convertito nella l. n. 356/1992, recante modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa.
La legge n. 237/2012 con l’art. 10, co. 4, lett. a) ha inserito il riferimento alla Corte penale internazionale, estendendo la sanzione al reato di false informazioni al pubblico ministero al caso in cui destinatario dell’ informazione mendace sia il Procuratore della Corte penale permanente.
In conformità a quanto già osservato in merito all’art. 368 c.p. (calunnia), l’art. 371 bis c.p. tutela non solo l’amministrazione della giustizia interna, ma anche la giurisdizione penale internazionale da parte della Corte dell’Aja. (Sul punto leggi https://www.diritto.it/calunnia-368-c-p-e-autocalunnia-369-c-p/). In merito al rapporto con il reato di calunnia (368 c.p.) si segnala il seguente arresto giurisprudenziale: “Deve escludersi l’assorbimento del delitto di cui all’art. 371 “bis”, c.p., in quello di calunnia, quando le false informazioni rese al P.M. non si esauriscano nella mera reiterazione di precedenti dichiarazioni rilevanti come fatti di calunnia, ma ne rappresentino un’evoluzione innovativa, attraverso la falsa rappresentazione di fatti diversi in tempi diversi, realizzando in tal modo autonome e diverse fattispecie incriminatrici”. (Cass. n. 16558/2011).
Sebbene la norma in commento inizi con il termine “chiunque” non si tratta di un reato comune bensì di un reato proprio, in cui la parte attiva può essere soltanto chi si trova nella situazione, peculiare, di dover rendere dichiarazioni al pubblico ministero e al Procuratore della Corte penale permanente. E’ richiesto il dolo generico, ossia la volontà e la coscienza di rendere dichiarazioni mendaci o reticenti al pubblico ministero e al Procuratore della Corte penale permanente.
Nella fattispecie in scrutinio ciò che assume rilievo e che il legislatore censura è la difformità tra ciò che la persona dichiara e ciò che conosce (ovvero il falso soggettivo), non invece ciò che è accaduto nella realtà dei fatti.
In dottrina è controversa la natura del delitto de quo. A seconda che sia necessario o meno un concreto sviamento delle indagini alcuni lo fanno rientrare nella categoria dei delitti di danno, altri come reato di pericolo.
Recente giurisprudenza ha statuito che: “È configurabile la condotta materiale del reato di cui all’art. 371-bis cod. pen. anche quando le false dichiarazioni siano rese nell’ambito di un procedimento iscritto nel registro degli atti non costituenti notizie di reato”. (Cass. n. 36842/2019).
Può addebitarsi il delitto di cui all’art. 371 bis c.p. al giornalista che copre la propria fonte?
Sul punto così ha ritenuto la giurisprudenza che “Il segreto dei giornalisti professionisti è circoscritto all’indicazione del nome della fonte, nel cui ambito rientra qualsiasi indicazione che possa portare ad individuare la stessa” (Cass. 25755/2007).
In merito all’elemento oggettivo la condotta delittuosa fa riferimento a due tipi di azione: rendere “…dichiarazioni false ovvero…” tacere “…in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito…”. Trattasi, ictu oculi, di un modello ricavato dalla fattispecie delittuosa di falsa testimonianza (art. 372 c.p.), elemento emergente dal richiamo alla reticenza. Circa il rapporto con falsa testimonianza giurisprudenza consolidata ritiene che: “L’elemento materiale del delitto di false dichiarazioni al pubblico ministero non consiste nella difformità tra le dichiarazioni rese dalla persona informata sui fatti e la realtà vera e propria, ma nella difformità tra quanto la persona dichiara e ciò che effettivamente conosce sui fatti in ordine ai quali è interrogata: durante il procedimento penale, la persona informata sui fatti è tenuta – al pari del testimone nel corso del processo – ad esporre fedelmente e lealmente al pubblico ministero ciò che conosce, per cognizione diretta od indiretta, sui fatti in merito ai quali viene ascoltata. Sotto questo aspetto, la fattispecie di cui all’art. 371 bis cod. pen. è analoga a quella dell’art. 372 cod. pen., che incrimina la falsa testimonianza” (Cass. n. 35329/2003 e Cass. n. 7358/2010).
Recente giurisprudenza esclude l’applicabilità del delitto de quo alle dichiarazioni mendaci fornite alla polizia giudiziaria. Così sul punto: “Non si configura il delitto di false informazioni al Pubblico Ministero nell’ipotesi in cui il mendacio sia recepito dalla Polizia Giudiziaria, anche se delegata dal magistrato inquirente: diversamente, si opererebbe un’interpretazione analogica vietata dall’ordinamento penale”. (Cass. n. 12832/2016).
In merito all’elemento soggettivo il reato rientra tra le di fattispecie delittuose a dolo generico, integrato dalla cosciente volontà di rendere una dichiarazione mendace ovvero di rimanere reticente.
Leggi anche I delitti di falso giuramento della parte (art. 371 c.p.) e falsa testimonianza (art. 372 c.p.)
3. False dichiarazioni al difensore (art. 371 ter c.p.)
Testualmente, la fattispecie delittuosa de qua dispone che: “Nelle ipotesi previste dall’articolo 391bis, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, chiunque, non essendosi avvalso della facoltà di cui alla lettera d) del comma 3 del medesimo articolo, rende dichiarazioni false è punito con la reclusione fino a quattro anni.
Il procedimento penale resta sospeso fino a quando nel procedimento nel corso del quale sono state assunte le dichiarazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado ovvero il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere”.
La norma in commento è stata introdotta dalla l.n. 397/2000 recante disposizioni in materia di indagini difensive al fine di tutelare la genuinità delle indagini svolte dal difensore per conto e nell’interesse del proprio assistito. Il bene giuridico tutelato è , dunque, il corretto svolgimento dell’attività di investigazione svolto dal difensore durante la fase delle indagini preliminari.
Poiché la fattispecie delittuosa può essere commessa soltanto da chi viene esaminato dal difensore nella qualità di persona informata dei fatti, coindagato o coimputato in un delitto collegato o connesso che non si sia avvalso della facoltà di non rispondere, ciò configura il delitto come un reato proprio.
Oggetto della condotta delittuosa sono soltanto le dichiarazioni mendaci, non viene punita la reticenza, a differenza di quanto accade per il reato di cui all’art. 371 bis c.p. La ragione di tale esclusione, secondo autorevole dottrina, ha natura tecnica, dato che ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p. – colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di informazioni da parte del difensore – il soggetto chiamato a deporre può rifiutarsi di rispondere sia a singole domande, sia all’intero esame. Ciò non conferisce alla reticenza rilevanza penale. La norma va letto in collegamento con l’intero titolo VI bis, sulle investigazioni difensive.
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