I delitti di omesso versamento di ritenute certificate e di omesso versamento di Iva

1. La fattispecie di omesso versamento di ritenute certificate. 1a) I soggetti attivi; 1b) L’elemento psicologico; 1c) La condotta e il momento di consumazione del reato. – 2. La fattispecie di omesso versamento di Iva. – 3. L’applicazione del principio di specialità di cui all’art. 19 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
 
 
1.      La fattispecie di omesso versamento di ritenute certificate.
 
L’art. 1, c. 414, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria 2005), ha reintrodotto, con qualche modifica, il delitto di omesso versamento di ritenute certificate, già disciplinato dall’art. 2, c. 3°, dell’abrogata legge 7 agosto 1982, n. 516, di conversione del decreto legge 10 luglio 1982, n. 429, meglio nota come “manette agli evasori”, aggiungendo l’art. 10 bis al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
In particolare, la disposizione in esame stabilisce che “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.”
Rispetto alla norma previgente l’intervento penale risulta limitato alle evasioni di ammontare più elevato (cinquantamila euro anziché venticinque milioni), l’entità massima della pena detentiva è stata ridotta da tre a due anni ed è stata espunta la pena pecuniaria. Inoltre, proprio in virtù dell’elevazione della soglia di punibilità, non è stato riproposto il reato contravvenzionale riguardante le omissioni di minore entità.
1a) I soggetti attivi
 Nonostante la lettera della norma riferisca la condotta sanzionata a “chiunque”, il delitto de quo è reato proprio perché può essere commesso esclusivamente da colui che riveste la qualità di sostituto di imposta a norma delle disposizioni contenute nel titolo III del d.P.R. n. 600 del 1973. In ispecie, sono sostituti di imposta le amministrazioni dello Stato, comprese quelle con ordinamento autonomo, gli enti e le società (società di capitali, società cooperative, enti pubblici e privati, ecc.) indicati nell’articolo 73, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le società e associazioni indicate nell’articolo 5 del predetto testo unico (società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice, associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni), le persone fisiche che esercitano imprese commerciali, o imprese agricole, le persone fisiche che esercitano arti e professioni, il curatore fallimentare, il commissario liquidatore nonché il condominio, che corrispondono compensi, sotto qualsiasi forma, interessi, proventi ed altre somme soggetti a ritenute alla fonte secondo le disposizioni del predetto titolo III (redditi di lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, corrispettivi dovuti dal condominio all’appaltatore, redditi di capitale, interessi, provvigioni, ecc.).
1b) L’elemento psicologico
La fattispecie in esame richiede, secondo le regole generali (art. 42 c.p.), che il sostituto di imposta versi nel dolo; in altre parole, l’atteggiamento psicologico del reo deve consistere nella deliberata volontà di non corrispondere quanto dovuto all’erario.
L’accertamento della sussistenza del dolo nel caso concreto non desta particolari preoccupazioni; infatti, se il mancato versamento delle ritenute in corso d’anno può essere dovuto ad una condotta negligente, lo stesso non si può dire per il comportamento omissivo che segue alla sottoscrizione della dichiarazione, momento in cui il sostituto, attraverso i dati ivi esposti, ha cognizione delle ritenute effettuate e non pagate. Conseguentemente, la mancata regolarizzazione della posizione tributaria prima dello spirare del termine previsto per la presentazione della suddetta dichiarazione è espressione della volontà del sostituto di non versare all’erario le somme relative alle ritenute eseguite.
Per ultimo, sulla scorta della giurisprudenza concernente le disposizioni previgenti, nei casi in cui il versamento delle ritenute effettuate venga eseguito in ritardo rispetto al termine su indicato, l’elemento del dolo potrebbe ritenersi insussistente[1].
1c) La condotta e il momento di consumazione del reato
La disposizione in esame costruisce il delitto di omesso versamento di ritenute sulla base di una condotta complessa costituita dal rilascio della certificazione ai sostituiti delle ritenute effettuate e dall’omesso versamento di queste da parte del sostituto entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale[2].
In particolare, il legislatore, nella formulazione della disposizione incriminatrice, ha tenuto in debita considerazione la potenzialità ingannatoria della certificazione rilasciata ai sostituiti, i quali, sulla base di questa, hanno motivo di ritenere che il sostituto abbia correttamente adempiuto agli obblighi di versamento.
Il reato de quo viene a consumarsi nel momento in cui scade il termine per la presentazione della dichiarazione annuale dei sostituti di imposta senza che il sostituto abbia provveduto al versamento delle ritenute effettuate e certificate. Si rammenta che il suddetto termine scade il 31 ottobre, per la presentazione del mod. 770 ordinario, e il 30 settembre di ogni anno, per la presentazione del mod. 770 semplificato[3].
Il perfezionarsi della fattispecie in esame comporta la causazione di un danno nei confronti dell’erario equivalente alla somma delle ritenute non versate[4].
 
2. La fattispecie di omesso versamento di Iva.
 
Il c. 7 dell’art. 35 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, ha introdotto il delitto di omesso versamento di Iva aggiungendo l’art. 10 ter al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, secondo il quale “la disposizione di cui all’art. 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.”
La ratio ispiratrice della disposizione in esame è da individuare nel preoccupante incremento del fenomeno delle evasioni in materia di Iva, dovute, in particolare, all’incameramento dell’imposta applicata sulle cessioni, considerata da alcuni operatori economici alla stregua di un vero e proprio elemento di profitto dell’attività da essi svolta.
Anche il delitto in esame, nonostante il legislatore abbia utilizzato il termine “chiunque”, è un reato proprio, poiché la condotta ivi prevista può essere realizzata esclusivamente da coloro che sono obbligati alla presentazione della dichiarazione Iva, e cioè da tutti quei soggetti che effettuano l’attività di cessioni di beni o di prestazioni di servizi nell’esercizio di imprese o di arti e professioni, secondo le disposizioni contenute nel d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Per quanto concerne l’elemento psicologico richiesto si rinvia alle considerazioni svolte precedentemente per il reato di omesso versamento delle ritenute certificate.
La condotta presa in considerazione dalla fattispecie in esame è di tipo omissivo e consiste nel mancato versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta sulla base della dichiarazione annuale, per un importo superiore a cinquantamila euro, entro il 27 dicembre dell’anno in cui la predetta dichiarazione è presentata.
Il delitto si consuma allo spirare del termine su indicato cagionando all’erario un danno corrispondente al tributo non versato[5].
 
3. L’applicazione del principio di specialità di cui all’art. 19 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
L’omesso versamento delle ritenute e dell’imposta sul valore aggiunto risultante dalla dichiarazione sono assoggettati, dalla disposizione contenuta nell’art. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ad una sanzione amministrativa pari al trenta per cento degli importi non versati. Tuttavia, nel decreto di riforma dei reati tributari, l’art. 19, c. 1°, prescrive che “quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale.”
Sulla base della norma citata è necessario procedere all’individuazione della disposizione sanzionatoria, amministrativa o penale, che presenti i caratteri della specialità attraverso il criterio della specialità reciproca o bilaterale, secondo il quale una disposizione è speciale rispetto a quella concorrente quando contiene maggiori elementi, quantitativi e qualitativi, specializzanti. Il ricorso a tale parametro, in materia tributaria, è dovuto al fatto che le disposizioni penali e quelle che prevedono sanzioni amministrative nella maggior parte dei casi non presenterebbero i presupposti per la c.d. “sovrapposizione”[6].
Ciò significa che al fine di evitare l’applicazione di entrambe le sanzioni e rendere operante l’art. 19, c. 1, citato, si dovrebbe escludere l’applicazione del criterio della specialità unilaterale.
Per quanto riguarda l’omesso versamento di ritenute, qualora nel caso concreto risultino presenti tutti gli elementi richiesti dalla fattispecie incriminatrice, dovrà trovare applicazione l’art. 10 bis del d.lgs. n. 74 del 2000 che, rispetto alla disposizione sanzionatoria amministrativa, riferisce la condotta punita al mancato pagamento di ritenute certificate per un ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta.
Alla medesima conclusione si deve giungere in tema di omesso versamento di Iva, laddove il contribuente non abbia provveduto entro il termine del 27 dicembre del periodo di imposta successivo a corrispondere all’erario l’imposta dovuta in base alla dichiarazione per una somma superiore alla soglia prevista dalla norma.
In ogni caso permane la responsabilità per la sanzione amministrativa della persona fisica, che non sia concorrente nel reato, della società, dell’associazione o dell’ente nell’interesse dei quali l’autore della violazione ha agito, in ottemperanza al combinato disposto dell’art. 19, c. 2°, del d.lgs. n. 74 del 2000 e dell’art. 11, c. 1°, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
 
Dott. Massimo Sperduti
Rag. commercialista
Revisore Contabile


[1] In ispecie, in relazione al previgente reato di omesso versamento di ritenute certificate, si veda Cass., sez. III, 6 febbraio 1997, in Giur. imp., 1997, 835, secondo cui “con riferimento al reato di cui all’ultimo comma dell’art. 2 l. n. 516 del 1982, va esclusa la sussistenza del dolo qualora la condotta sia ascrivibile a dimenticanza o negligenza anche in considerazione dell’irrisoria somma non versata all’erario, realizzandosi un’omissione meramente colposa”. Con riferimento al reato di omesso versamento di ritenute vigente prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 154 del 1991, si veda Trib. Pesaro, 9 gennaio 1987, in Giur. It., 1987, II, 216, secondo cui “il ritardo nel versamento delle ritenute effettivamente operate non integra gli estremi della condotta punibile prevista dal comma 2 dell’art. 2 della legge n. 516 del 1982 in quanto, l’elemento soggettivo riferibile a chi differisce il versamento oltre il termine previsto, è cosa diversa dalla coscienza e volontà di non voler versare all’erario tali ritenute. Poiché quest’ultima è condizione soggettiva indispensabile ai fini della sussistenza del delitto in esame, il semplice ritardo nel versamento delle ritenute esclude, di per sè, la sussistenza del dolo in capo al sostituto d’imposta. E ciò in quanto l’esecuzione di questo versamento dimostra, anche nella ipotesi in cui il sostituto sia consapevole dell’inutile scadenza del termine, la sua volontà di adempiere al relativo obbligo”. Inoltre, si veda App. Venezia, 9 maggio 1988, in Rass. trib., 1988, II, 660.
[2] Una parte della giurisprudenza, in costanza delle previgenti disposizioni, aveva ritenuto che “l’art. 2, comma 2 d.l. 10 luglio 1982 n. 429, convertito nella l. 7 agosto 1982 n. 516, sanziona esclusivamente l’omissione all’erario delle ritenute effettivamente operate e non anche il semplice ritardato versamento delle stesse”. A tal uopo si veda App. Torino, 31 ottobre 1986, in Rass. trib., 1988, II, 309. Contra App. Milano, 27 maggio 1988, in Rass. trib., 1989, II, 353, secondo cui “ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 2, 2º comma, l. 7 agosto 1982, n. 516, sono equiparati l’omesso e il ritardato versamento all’erario delle ritenute effettivamente operate, non potendosi correttamente operare alcuna distinzione, sotto il profilo giuridico, tra omissione e ritardo, in quanto trattasi di reato omissivo proprio”.
[3] I termini di presentazione delle dichiarazioni dei sostituti di imposta sono stati fissati al 31 marzo di ogni anno dall’art. 37, c. 10 e c. 14, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248, a decorrere dal 1° maggio 2007.        
[4] Il reato in esame è senza dubbio un reato di pura condotta (omissivo).
[5] Anche la fattispecie in esame è un reato di pura condotta.
[6] In merito a tale questione si rinvia a Sperduti M., Fatture per operazioni inesistenti. La controversa qualificazione della disposizione contenuta nell’art. 21, c. 7, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in Diritto & Diritti – Rivista giuridica elettronica, pubblicata su internet all’indirizzo https://www.diritto.it, ISSN 1127-8579, 5 ottobre 2006, pag. https://www.diritto.it/materiali/tributario.

Dott. Sperduti Massimo

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