L’istituto del deposito Iva è stato introdotto nell’art. 50-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427) dall’art. 1 della L. 18 febbraio 1997, n. 28.
Tale legge ha recepito la Direttiva n. 95/7/CE del 10 aprile 1995 (“Semplificazione in materia d’imposta sul valore aggiunto” che, con l’art. 1, par. 9, ha sostituito l’art. 16 della la Direttiva di base 77/388/CE.
Tale istituto è nato per agevolare lo scambio di merci comunitarie ed estere attraverso il differimento dell’Iva al momento dell’immissione in consumo dei beni depositati.
La L. n. 28/1997, allo scopo di parificare la merce terza a quella comunitaria, ha espulso dall’art. 6 del D.P.R. n. 633/1972, ove sono elencate le importazioni ai fini Iva, le immissioni in libera pratica di beni di provenienza terza destinata ad essere introdotta in deposito Iva, per inserirle, invece, al comma 4 lettera b) del D.L. n. 331/1993, convertito nella L. n. 427/1993, che contiene, tra l’altro, norme di armonizzazione in materia di Iva interna con quelle recate dalla VI Direttiva CEE (l’Iva è un’imposta armonizzata).
L’utilizzazione dell’istituto del deposito fiscale Iva ha una notevole rilevanza finanziaria in quanto comporta la sospensione del pagamento dell’imposta in relazione a specifiche operazioni espressamente previste dal citato art. 50-bis.
Le merci restano in sospensione dell’imposta sul valore aggiunto, che si renderà, poi, dovuta all’estrazione soltanto qualora vengano immesse in consumo nel territorio nazionale ovvero, non dovuta, (perché non imponibili o non soggette), qualora siano destinate all’esportazione (art. 8 del D.P.R. n. 633/1972) ovvero cedute ad un soggetto comunitario (art. 41 del D.L. 331/1993).
La disciplina dei depositi Iva è stata sempre oggetto di forti contrasti interpretativi in relazione ai presupposti necessari ai fini dell’assolvimento dell’imposta e alle conseguenze derivanti dal disconoscimento del regime del deposito c.d. “virtuale”.
L’interpretazione e la prassi applicativa relative ai depositi Iva sono divenuti di estrema attualità se si considera che negli ultimi mesi, a numerose aziende che hanno importato merci, servendosi dell’operato di una società titolare di un deposito Iva, sono stati notificati gli avvisi di accertamento tesi al recupero dell’Iva, oltre a interessi e sanzioni, conseguente all’utilizzo c.d. “virtuale” del deposito Iva.
Le aziende avevano proceduto alla immissione delle merci in libera pratica con conseguente differimento dell’obbligo di pagamento dell’Iva che era stato successivamente assolto mediante auto fatturazione al momento dell’estrazione delle stesse dal deposito Iva.
La pretesa impositiva si fonda, invece, sull’affermazione che la merce oggetto di importazione non sarebbe stata fisicamente introdotta al’interno del deposito Iva, con conseguente disconoscendo del regime previsto dall’art. 50-bis del D.L. n. 331/1995 di cui le aziende importatrici si sono avvalse.
A tale conclusione l’Agenzia delle Entrate è pervenuta sulla base di una motivazione per relationem ai processi verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza nei confronti delle aziende che si sono avvalse del deposito Iva.
Per un’adeguata comprensione delle problematiche sottese all’asserito irregolare utilizzo del regime del deposito Iva e al fine di valutare eventuali profili di (il)legittimità e di (in)fondatezza della pretesa impositiva da far valere in sede contenziosa, giova evidenziare che:
1)l’Agenzia delle Dogane è l’unico organo competente ad accertare e riscuotere l’Iva all’importazione (prevista dall’art. 70 del D.P.R. n. 633/1972), che rientra pacificamente tra i diritti di confine (in tal senso è costante l’orientamento della Corte di Cassazione e delle Commissioni tributarie);
2)gli avvisi di accertamento sono soggetti al termine (triennale) di decadenza previsto dalla legge;
3)particolare importanza assume il gestore del deposito Iva, sia se tale ex lege sia se autorizzato dall’Agenzia delle Entrate. Egli, infatti, detenendo la merce introdotta nei propri depositi senza il pagamento dell’imposta è sottoposto ad obblighi tendenti a dar conto delle transazioni di rilevanza Iva interessanti i beni custoditi nel deposito dalla loro introduzione sino alla loro estrazione;
4)né la legge, né il decreto ministeriale di attuazione, fissano alcun requisito dimensionale del deposito, né regole sulla gestione del medesimo, né tantomeno altri elementi destinati ad incidere sul rapporto tra depositante e gestore del deposito, quali la gratuità o onerosità del deposito stesso, e soprattutto la durata minima della prestazione di custodia, successiva all’introduzione della merce in esenzione Iva;
5)ai fini della riscossione dell’Iva, è assolutamente irrilevante la durata della permanenza della merce nell’area del deposito, posto che tale fattore non soltanto non è previsto dalla normativa specifica, ma non è richiesto neppure nella configurazione civilistica del contratto di deposito. L’Agenzia delle Dogane, nei propri chiarimenti ufficiali, ha sempre affermato che non è necessario alcun tempo minimo di sosta, ritenendo legittima la prassi di non scaricare neppure i beni dai mezzi di trasporto;
6)il regime del deposito Iva è applicabile anche alla merce che non sia fisicamente introdotta all’interno del magazzini, ma che si trovi nelle immediate adiacenze. Per chiarire il concetto di “introduzione nel deposito Iva” sono state emanate numerose circolari e risoluzioni ministeriali dell’Agenzia delle Dogane e dell’Agenzia delle Entrate;
7)con l’approvazione del Decreto Anticrisi (D.L. n. 185/2008) le prestazioni di servizi indicate al comma 4, lett. h) dell’art. 50-bis relative ai beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione in deposito Iva;
8)con l’art. 16 della L. n. 2/2009 il Legislatore ha fornito l’interpretazione autentica della lettera h) del comma 4 dell’articolo 50-bis del D.L. n. 331/1993, e quindi ha piena efficacia retroattiva;
9)la norma di interpretazione autentica è stata richiamata anche in numerose sentenze delle Commissioni tributarie che hanno annullato i recuperi d’imposta, con l’affermazione dei seguenti principi:
– a nulla rileva il fatto il magazzino non venga utilizzato nel concreto;
– la merce fatta trasportare nei containers presso il deposito Iva …dove sostava, sia pure per pochi minuti, è da ritenersi come materialmente introdotta nel deposito Iva;
– la corretta interpretazione dell’art. 50-bis del D.L. 331/1993 è tale da far ritenere ammissibile la sua applicazione anche quando le merci non siano materialmente immesse nel deposito fiscale ma depositate nell’area antistante lo stesso, in quanto anche in questo modo il depositario può prendere giuridico possesso delle merci ed effettuate tutti i controlli sulla stessa volti a verificarne la corrispondenza con la descrizione contenuta nei documenti di accompagnamento;
– la consegna delle merci al depositario è da ritenere come introduzione nel deposito Iva;
– la verifica della merce da parte del depositario, il controllo dei documenti doganali, la presa in carico, le registrazioni contabili può legittimamente avvenire anche in luogo limitrofo o adiacente al deposito fiscale senza la materiale introduzione dei beni nel medesimo;
– una interpretazione formalistica della normativa oltre che contro l’interpretazione autentica data dalla più recente normativa appare contraria ai fini perseguiti dal legislatore;
10) il comma 6 dell’articolo 50-bis impone che l’estrazione della merce dal deposito Iva debba avvenire previa emissione di autofattura o di fattura integrata, emesse ai sensi dell’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, registrate con il metodo dell’inversione contabile (c.d. reverse charge). L’emissione dell’autofattura e la registrazione nel registro della vendite integra l’assolvimento dell’Iva, non potendo dunque ravvisarsi nessun salto d’imposta o danni patrimoniali per lo Stato (tale conclusione di evince anche da una nota del Dipartimento delle Dogane);
11) il versamento dell’imposta al momento dell’estrazione dal deposito Iva comporta un semplice differimento del pagamento del tributo dovuto all’atto dell’importazione, me non ne ha eluso certamente l’assolvimento (in questo senso si è espressa la giurisprudenza di merito in diverse occasioni);
12) il pagamento dell’Iva richiesto con gli avvisi di accertamento, basato sull’inapplicabilità dell’istituto del deposito Iva, comporta una illegittima doppia imposizione (ciò è stato affermato da numerose sentenze della giurisprudenza di merito e della Corte di Giustizia Europea);
13) la “questione” dei depositi Iva ha assunto una tale importanza da costituire oggetto di audizione, interrogazione e risoluzione (atto di indirizzo) da parte del Parlamento Italiano;
14) anche in Commissione Europea è stata posta il 15 giugno 2011 un’interrogazione con risposta scritta nella quale venivano posti gli stessi quesiti rappresentati in Parlamento. La Commissione Europea nella sua risposta ha affermato che l’Iva diventa esigibile soltanto quando la merce viene estratta dal deposito Iva per l’immissione in consumo nello Stato membro ove è ubicato il deposito;
15) per quanto riguarda l’applicazione delle sanzioni occorre tener conto del fatto che gli operatori commerciali possono aver agito con assoluta correttezza provvedendo al pagamento dell’Iva mediante autofatturazione e non possono essere ritenuti responsabili di eventuali violazioni poste in essere dal titolare del deposito Iva (in tal senso depone anche una circolare dell’Agenzia delle Dogane, che prevede la responsabilità del depositario se la merce immessa in libera pratica non è stata materialmente immessa nel deposito Iva nonostante la sottoscrizione del depositario di averla presa in carico) (v. artt. 5 e 7 del D.Lgs. n. 472/1997);
16) in ogni caso, ammesso che in via di ipotesi dovesse riconoscersi che la merce non sia stata materialmente introdotta nel deposito Iva, si sarebbe in presenza di una violazione meramente formale che non produce la conseguenza di escludere l’operatività dell’istituto del differimento dell’obbligo del pagamento dell’imposta.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento