Sommario: 1. Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. – 2. Il principio di non discriminazione nelle sentenze della Corte di giustizia europea. – 3. Il contratto a tempo determinato e d.lgs. 368/2001: nel settore privato e pubblico. – 4. Diritti dei lavoratori a tempo determinato e principio di discriminazione. |
1. Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato
L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (1) afferma che per quanto riguarda le condizioni di impiego i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive. Sul punto è interessante la sentenza della Corte di Giustizia delle comunità Europee 13.09.2007, C 307/05, caso nel quale si chiedeva la conformità al diritto comunitario della legge spagnola che impedisce l’attribuzione ad un lavoratore a tempo determinato degli scatti di anzianità che l’ordinamento nazionale riserva ai soli dipendenti a tempo indeterminato.
Tenuto conto dell’importanza del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che fanno parte dei principi generali del diritto comunitario, alle disposizioni previste dalla direttiva 1999/70 e dall’accordo quadro al fine di garantire ai lavoratori a tempo determinato di beneficiare degli stessi vantaggi riservati ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili, a meno che un trattamento differenziato non si giustifichi per ragioni oggettive, dev’essere riconosciuta una portata generale in quanto costituiscono norme di diritto sociale comunitario di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela. Di conseguenza la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro trovano applicazione nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito del rapporto di impiego a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro.
La giurisprudenza ha anche ritenuto applicabile il principio a tutti i lavoratori a termine sia di ruolo che non di ruolo ha concluso nel senso che la nozione ragioni oggettive deve essere intesa nel senso che essa non giustifica una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che questa sia prevista da una norma interna generale ed astratta quale una legge o contratto collettivo. Tale nozione richiede al contrario che la disparità di trattamento in causa sia giustificata da elementi precisi e concreti che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi nel particolare contesto in cui s’inscrive ed in base ai criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se tale disparità risponda ad una reale necessità sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria…..la clausola 4 punto 1 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta all’introduzione di una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato ed a tempo indeterminato giustificata dalla mera circostanza che essa sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale ed il datore di lavoro interessato.
2. Il principio di non discriminazione nelle sentenze della Corte di giustizia europea
Il principio di non discriminazione contenuto nella clausola 4 della direttiva comunitaria viene quindi ritenuto dalla Corte di Giustizia un caposaldo indiscutibile ed autosufficiente in quanto trasfonde nell’ordinamento europeo il contenuto del principio di uguaglianza.
Tale orientamento è ripreso dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia nella sentenza del 15.4.2008 sulla legislazione Irlandese (Caso Impact). La domanda di pronuncia pregiudiziale verteva sull’interpretazione delle clausole 4 e 5 dell’accordo quadro nonché sull’estensione dell’autonomia procedurale degli stati membri e sulla portata dell’obbligo di interpretazione conforme gravante sui giudici di questi ultimi. La Corte di Giustizia aveva modo di ribadire che il contenuto della clausola 4 appariva incondizionato e sufficientemente preciso per poter essere invocato da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale; negava che il contenuto della clausola 5 fosse sufficientemente preciso per attuare la protezione minima prevista dall’accordo quadro; affermava che in virtù degli artt. 10 e 249 trattato CE e della direttiva del 99 un’autorità di uno stato membro, in qualità di datore di lavoro. non era autorizzata, comunque, ad adottare misure contrarie all’obiettivo perseguito dalla direttiva per la prevenzione dell’abuso del contratto a termine; ribadiva, richiamando l’art. 136 trattato CE che nella determinazione sia degli elementi costitutivi della retribuzione sia del livello di tali elementi debba applicarsi ai lavoratori a tempo determinato il principio di non discriminazione consacrato dalla clausola 4 dell’accordo quadro. La Corte ha ribadito, quindi, quanto recentemente affermato dalla sentenza 13.9.2007 sulla legislazione spagnola sopra richiamata.
Anche nella sentenza 19.1.10, Kukukdeveci , C-555/07 la Corte ricorda che ” … è compito del giudice nazionale investito di una controversia in cui è messo in discussione il principio di non discriminazione in base all’età quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78, assicurare nell’ambito delle sue competenze la tutela giuridica che il diritto dell’Unione attribuisce ai soggetti dell’ordinamento garantendone la piena efficacia e disapplicando ove necessario, ogni contraria disposizione di legge nazionale …”.
Ancora con la sentenza 22 aprile 2010 in causa C-486, Zentrialbetsriebsrat Der Landeskrankenhauser Tirol, La Corte di Giustizia UE ha ritenuto non conforme alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato una disposizione del Land Tirolo che prevede la non applicazione del più favorevole regime da essa introdotto ai lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato delle durata massima di sei mesi o occupati solo occasionalmente. Ha affermato la Corte che il diverso trattamento di un lavoratore a tempo determinato rispetto ad uno a tempo indeterminato comparabile può giustificarsi solo qualora ricorrano ragioni oggettive, ovvero quando risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tale fine necessaria.
Infine, più recentemente, la Corte di giustizia con la sentenza 8.9.2011 (nel procedimento C-177/10) ha ribadito che ”norme nazionali relative ai periodi di servizio necessari per poter essere classificato in una categoria retributiva superiore o il calcolo dei periodi di servizio richiesti per ricevere annualmente un rapporto informativo e conseguentemente per poter fruire di una promozione come quella di quella causa principale corrispondono a condizioni di impiego”, sì da conseguire che ” la nozione di condizioni di impiego di cui alla clausola quattro, punto uno, dell’accordo quadro include un requisito,…, relativo alla prese in considerazione, nell’ambito di una procedura di selezione per una promozione per via interna, di periodi di servizio precedentemente prestato in qualità di dipendente pubblico temporaneo”.
Il divieto contenuto nella clausola 4.1 è stato pertanto costantemente ritenuto dalla Corte di Giustizia incondizionato e sufficientemente preciso, tale da non richiedere atti di trasposizione interna della direttiva, con la sola riserva relativa alle giustificazioni fondate su ragioni oggettive, le quali, tuttavia, sono soggette al sindacato giurisdizionale Corte giust. Impact, p. 65 e 68.
3. Il contratto a tempo determinato e d.lgs. 368/2001: nel settore privato e pubblico
Nell’ambito del rapporto di diritto privato il d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 che contiene la disciplina del contratto a termine è stato più volte modificato (basti considerare le ultime modifiche introdotte con la L. 23 dicembre 2005, n. 266; la L. 24 dicembre 2007, n. 247; L. 6 agosto 2008, n. 133; la L. 28 giugno 2012, n. 92 e la Legge di conversione al d.l. 83/2012).
Ritenuto che con questo decreto si è inteso dare attuazione alla direttiva CEE relativa all’accordo quadro relativo al rapporto di lavoro a tempo determinato, le modifiche apportate a tale decreto devono ritenersi senz’altro significative per cogliere l’orientamento del legislatore.
In particolare con inciso introdotto dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, il legislatore ha stabilito che il contratto di lavoro è di regola a tempo indeterminato e che quello a tempo determinato ha carattere eccezionale, speciale,ammissibile solo in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Per la valida costituzione del rapporto a tempo determinato viene richiesta la forma scritta con obbligo di consegna del contratto entro cinque giorni al prestatore di lavoro, sono previsti espressi divieti e complessivamente la disciplina viene rivestita di un notevole rigore formale. Di segno decisamente opposto, i successivi interventi normativi introducono deroghe a tale rigore, (le ragioni giustificanti vengono stemperate e riferite anche all’attività ordinaria, si ammettono proroghe, si estendono agli ambiti di applicazione) e il più recente ha introdotto una decadenza ed una limitazione della tutela risarcitoria applicabile anche ai giudizi pendenti (cfr. art. 32 L. 183/2010).
Per quanto riguarda il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, la durata determinata trova la sua disciplina nel d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. In precedenza il ricorso al contratto a termine nel rapporto di lavoro pubblico era stato caratterizzato da un’originaria limitazione al solo lavoro trimestrale (l’art. 36, comma 4, del d.lgs. 29/1993 faceva divieto alle pubbliche amministrazioni di assumere a tempo determinato prestatori di lavoro per periodi superiori ai tre mesi), da una successiva liberalizzazione (ad opera del d.lgs. 80/1998 nel quale si stabiliva che le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale di cui ai commi precedenti, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e dì impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa) e ancora da interventi modificativi (d.l 368/2001 che consente di risolvere positivamente, nonostante la mancanza di una disciplina espressa, il problema dell’applicabilità al rapporto pubblico delle norme dettate per il contratto a tempo determinato nell’ambito privato).
La tendenza alla liberalizzazione subisce una drastica inversione con la L. 9 marzo 2006, n. 80, di conversione del d.l. 4/2006, il cui art. 4, modifica gli artt. 35 e 36 del d.lgs. 165/2001, con l’art. 36, comma 1-bis che impone alle amministrazioni di stipulare contratti flessibili solo in presenza di “esigenze temporanee ed eccezionali”; e stabilisce che tali forme di assunzioni debbano essere precedute da procedure di assegnazione anche temporanea di personale e da una valutazione sull’opportunità di dar corso a contratti di somministrazione, ad esternalizzazioni o ad appalti di servizi; la legge inoltre precisa che tali disposizioni costituiscono norme di principio per gli enti locali.
La L. 244/2007, poi, consente il ricorso al tempo determinato anche in presenza di attività non meramente temporanee o non eccezionali né straordinarie ed imprevedibili, purché sussistano ragioni oggettive verificabili.
L’art. 36, viene ancora modificato con il nuovo testo, dettato dall’art. 49 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, che controriforma la disciplina in molti punti salienti. In primo luogo, si stabilisce, dopo aver ribadito che l’assunzione a tempo indeterminato rimane la regola per il fabbisogno ordinario di forza lavoro, che “per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti”. In particolare, la disciplina,non subordina il ricorso alla flessibilità al vincolo procedurale del previo utilizzo della mobilità interna, ma comunque si presenta più rigida rispetto alla totale liberalizzazione del 1998. Particolare importanza riveste la riattribuzione di una efficacia integrativa alla contrattazione collettiva che di tale funzione era stata completamente spogliata nel 2007.
Per far fronte al fenomeno del “precariato” (prodotto dal ricorso indiscriminato ai contratti a termine utilizzati quali surrogato del rapporto a tempo indeterminato mediante una sequenza di rinnovi in palese violazione dei divieti di legge) nelle finanziarie 2006, 2007 e 2008, sono stati introdotti alcuni meccanismi di “stabilizzazione” che hanno prodotto un notevole contenzioso in esito al quale è risultato generalmente negato un diritto del dipendente alla stabilizzazione, sulla base di una interpretazione letterale della norma (L. 244/2007) che attribuisce all’amministrazione un potere discrezionale di procedere all’assunzione. Viene infatti constatato sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza che nonostante le numerose modifiche subite dall’art. 36 del d.lgs. 165/2001, la ratio posta a base della norma non è nel tempo mutata; si tratta dell’esigenza sentita dal legislatore italiano, di disciplinare in maniera diversa e speciale, i contratti flessibili nel pubblico impiego.
4. Diritti dei lavoratori a tempo determinato e principio di discriminazione
La giurisprudenza ha più volte statuito che nel caso in cui ad esempio ad un lavoratore a tempo determinato non sono riconosciuti gli scatti di anzianità come al lavoratore a tempo indeterminato costituisce una palese violazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, attuato dalla direttiva 1999/70 CE.
Ciò comporta nel ritenere che la direttiva Europea e l’Accordo quadro sono vincolanti con prevalenza sul diritto nazionale e contrattuale difforme.
Da ciò discende che al prestatore di lavoro con contratto a tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine.
Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù
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(1) Art. 4 punto 1 accordo quadro contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio del 28.6.99, 1999/70/Ce.
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