1. Premessa.
La nostra giurisprudenza a partire dal 1979, (Corte Cass. S.S. U.U. 9 marzo 1979 n. 1436) ha ritenuto, sulla scorta della dottrina tedesca, di individuare alcuni diritti di rango costituzionale i quali si caratterizzano per il loro particolare modo di atteggiarsi di fronte ai pubblici poteri. I predetti diritti sarebbero “indegradabili” in quanto non potrebbero essere incisi dall’azione amministrativa, ancorché questa venga esercitata nel rispetto della legge. Rientrerebbero nella predetta categoria il diritto alla salute, ed altri diritti di rango costituzionale come la libertà di coscienza o di religione. Nella stessa categoria potrebbero essere ricondotti i diritti incisi da provvedimenti emanati nel settore degli impianti di generazione dell’energia elettrica.
Il riconoscimento della predetta categoria avrebbe poi un importante riflesso sul piano processuale in quanto tali “super-diritti”, di fronte all’esercizio del potere amministrativo, non degraderebbero ad interessi legittimi, rimanendo pertanto devoluti alla giurisdizione del giudice ordinario. Infatti, in applicazione del generale principio della “causa petendi”, la giurisdizione apparterrebbe al giudice ordinario che è per definizione il giudice dei diritti.
Nelle predette ipotesi ci troveremo di fronte ad una “carenza assoluta di potere” della pubblica amministrazione, in quanto quest’ultima non potrebbe in alcun modo pregiudicare un diritto fondamentale, per definizione intangibile, con la conseguenza che ove ciò avvenisse non ci troveremo dinanzi ad un provvedimento autoritativo, bensì dinanzi ad un “mero comportamento”. In siffatto contesto, il giudice ordinario potrebbe emettere nei confronti della pubblica amministrazione non solo sentenze di condanna al risarcimento del danno, ma anche sentenze di condanna ad un “facere” specifico. L’indirizzo giurisprudenziale enunciato veniva confermato da una ulteriore pronuncia della Cassazione intervenuta dello stesso anno, (Cass. S.S. U.U., 6 ottobre 1979 n. 5172) la quale sosteneva che il diritto alla salute è tutelato in via primaria ed assoluta non potendo essere condizionato da interessi di carattere generale.
2. Le ragioni di fondo poste a fondamento della classificazione.
Le ragioni poste a fondamento della categoria dogmatica dei c.d. “diritti indegradabili” sono risalenti e possono essere ricondotte alla dottrina dominante negli anni successivi alla nascita degli interessi legittimi. Infatti fin dal momento in cui queste nuove posizioni giuridiche fecero ingresso nel nostro ordinamento (con la legge n. 5992/1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato), la dottrina del tempo stentò a riconoscere negli interessi legittimi una posizione giuridica sostanziale, simmetrica rispetto a quella riconosciuta per i diritti soggettivi. Infatti parte della dottrina (Chiovenda) sostenne da subito la loro natura processuale, nascendo come reazione dell’illegittimo esercizio del potere. Sullo stesso solco tracciato dalle predetta dottrina, si collocarono coloro che ritenevano che i predetti interessi non fossero tutelati in maniera diretta dall’ordinamento, ma solo occasionalmente, in via riflessa nella misura in cui contribuissero alla massimizzazione dell’interesse pubblico (Cammeo). L’accoglimento di queste teorie portava ad evidenziare una rilevante differenza fra le due posizioni giuridiche (diritti soggettivi – interessi legittimi) confermando la tesi che solo i primi godessero di una tutela piena, mentre ai secondi era riservata una tutela indiretta e parziale.
Da queste considerazioni discendeva ulteriormente che i c.d. “diritti indegradabili” proprio per il fatto di ricevere una particolare considerazione dall’ordinamento, in quanto espressione dei valori fondamentali della persona, non potessero degradare ad interessi legittimi.
Invero, non può disconoscersi che parte della dottrina (Nigro) accoglieva una nuova visione dei rapporti tra diritti soggettivi ed interessi legittimi aderendo alla c.d. “teoria normativa”. Infatti, secondo quest’ultima prospettazione, la norma attributiva del potere, pur essendo posta per il soddisfacimento dell’interesse pubblico, deve necessariamente contemperare anche gli interessi privati coinvolti nell’azione amministrativa. Ne consegue che questi ultimi rientrano nella categoria degli interessi legittimi e hanno natura sostanziale, essendo presi direttamente in considerazione dalla norma attributiva del potere. Malgrado queste aperture, la dottrina dominante riteneva che la posizione di interesse legittimo fosse un “minus” rispetto a quella di diritto soggettivo; tale conclusione veniva posta a fondamento per giustificare la categoria dogmatica dei diritti indegradabili.
3. Il dibattito sulla funzione dei diritti indegradabili.
Parte della dottrina ha avuto modo di evidenziare come proprio il terreno dove si collocano i diritti in parola, (sanità, ambiente, fonti di energia), costituisca un terreno dove è altrettanto sentita la necessità di tenere nella dovuta considerazione, accanto ai diritti individuali, gli altri interessi generali della collettività. In questi settori risulterebbe non solo auspicabile, ma addirittura necessario, l’intervento del pubblico potere in modo da comporre le diverse esigenze. Da un altro punto di vista la tesi della non degradabilità di tali diritti personalissimi rappresenterebbe un limite alla realizzazione degli stessi poiché, in effetti, si negherebbe ai loro titolari la possibilità di influire sullo stesso esercizio del potere partecipando alla azione amministrativa, “cooperando alla corretta esplicazione del potere ed intervenendo a correggerne gli errori” (Nigro).
Inoltre, occorre ancora rilevare che, ove il giudice ordinario potesse dichiarare la carenza di potere della pubblica amministrazione per il solo fatto di trovarsi in presenza di diritti soggettivi di rango costituzionale, farebbe un percorso a ritroso rispetto a quello ordinario poiché egli dovrebbe correttamente effettuare previamente la verifica delle attribuzioni in capo alla pubblica amministrazione, per giungere poi ad affermarne la carenza di potere.
In antitesi a quanto affermato potrebbe sostenersi che la nascita di una categoria, quale quella dei diritti indegradabili, sarebbe una necessità per ogni ordinamento, rappresentando una sorta di “norma di chiusura” per la tutela di istanze ed interessi particolarmente rilevanti per la lo sviluppo della persona umana; tale categoria che avrebbe troverebbe, tra l’altro, una copertura costituzionale nell’art. 2 della Costituzione.
4. Diritti fondamentali e potere amministrativo alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204/2004 e n. 191/2006.
Un rilevante contributo al tema trattato è stato offerto dalle sentenze n. 204/2004 e n. 191/2006 della Corte Costituzionale che hanno fatto il punto sulla giurisdizione e sul riparto delle materie in alcune specifiche fattispecie. Con la prima sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, come sostituito dalla legge n. 205/2000, nella parte in cui venivano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti e comportamenti delle pubbliche amministrazioni (e dei soggetti equiparati), in materia urbanistica ed edilizia.
La Corte ha espunto dal predetto articolo il termine “comportamenti” atteso che possono essere assegnate alla giurisdizione esclusiva solo controversie concernenti l’esercizio di una potestà pubblica, non potendo il legislatore derogare ai principi generali di riparto, assegnando la giurisdizione per blocchi di materie.
Per le medesime ragioni la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 della stessa legge che assegnava alla giurisdizione del giudice amministrativo “tutte le controversie in materia di pubblici servizi” atteso che anche in questo caso era necessario un collegamento tra il servizio ed il potere pubblico, che non risultava nella formulazione della norma.
Con una seconda pronuncia intervenuta nell’anno 2006 (sentenza n. 191/2006) la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, c. 1, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, relativo alle espropriazioni di pubblica utilità, “nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a comportamenti delle pubbliche amministrazioni … non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere”.
Dalle citate sentenze si evince che in materia di diritti fondamentali, tutelati dalla costituzione, si configura la giurisdizione del giudice amministrativo ogni volta che sussista un comportamento della pubblica amministrazione, espressione di pubblici poteri. Infatti al giudice amministrativo è devoluto il contemperamento tra gli interessi pubblici ed i contrapposti interessi individuali non solo nelle materie riservate alla sua giurisdizione esclusiva, ma anche nella ordinaria giurisdizione di legittimità. Residua invece la giurisdizione del giudice ordinario laddove si tratti di meri comportamenti della pubblica amministrazione, assunti in carenza assoluta di potere poiché in tali ipotesi tutti i diritti soggettivi, ed ancor di più quelli a rilevanza costituzionale come i diritti fondamentali, diventano incomprimibili.
5. Le recenti pronunce giurisprudenziali.
Sul tema sono intervenute recenti pronunce che contribuiscono a fare maggiore chiarezza sulla tematica oggetto del presente lavoro. Così il Tribunale di Milano ha sostenuto che, ai sensi dell’art. 2 della Cost., un diritto fondamentale di rilievo costituzionale primario ed assoluto dell’individuo, non può essere limitato dall’azione amministrativa, precisando altresì che la eventuale controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. Nel caso di specie era stata emanata una circolare amministrativa limitativa del diritto di accedere alle scuole per l’infanzia da parte di cittadini extracomunitari. (Trib. Milano sez. 1, 11 febbraio 2008). Lo stesso orientamento è stato accolto dal T.A.R. Basilicata, il quale ha ritenuto che la tutela contro l’agire illegittimo della pubblica amministrazione deve essere chiesta al giudice ordinario quando si configuri la lesione di diritti incomprimibili come la salute, o l’integrità personale. (T.A.R. Basilicata, sez. 1, 5.7.2008, n. 366). Le Sezioni unite della cassazione hanno dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo quando la lesione del diritto fondamentale sia espressione di poteri autoritativi dell’amministrazione in materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo Il caso di specie riguardava la pretesa violazione del diritto di proprietà e del diritto alla salute in quanto era stato realizzato un impianto di depurazione, regolarmente approvato dall’amministrazione, in violazione delle norme sulle distanze legali. La Corte regolatrice ha attribuito la giurisdizione al giudice amministrativo rilevando che nel caso si trattava di materia, quale quella della gestione del territorio, attribuita alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, cui spetta decidere “la sussistenza in concreto dei diritti vantati, nonché il contemperamento e la limitazione di tali diritti in rapporto all’interesse generale all’ambiente salubre” (Cass. Sez. Un., ord. 5.3.2010, n. 5290). Questa pronuncia ne richiama una precedente del 2007, dove la Corte aveva affermato il principio che, nelle ipotesi in cui sono dedotte in giudizio fattispecie riportabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la tutela dei diritti incomprimibili, come il diritto alla salute, è devoluta alla giurisdizione amministrativa che è fornita di tutti i mezzi idonei ad assicurarne la tutela. Il caso posto all’esame della Corte riguardava la localizzazione di un impianto di smaltimento di rifiuti solidi urbani nel territorio teso a fronteggiare l’emergenza rifiuti in Campania. La Corte rilevato che la materia riguardante l’uso del territorio è da qualificare come “urbanistica”, ha ritenuto che essa sia assegnata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo In definitiva possiamo affermare che anche la tutela dei diritti c.d. “incomprimibili”, ove si configuri una lesione ad opera di comportamenti esecutivi di provvedimenti amministrativi, non spetti al giudice ordinario che ha cognizione sulle controversie relative a comportamenti di mero fatto della pubblica amministrazione, bensì al giudice amministrativo.
In linea con quanto stabilito dalla predetta pronuncia si colloca l’ordinanza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass. Sez. un. 7 novembre 2008, ordinanza n. 26790) che in tema di diritti fondamentali dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo.
L’ordinanza ha preso le mosse dalle domande di alcuni genitori i quali lamentavano la lesione del diritto fondamentale della salute contestando la legittimità dei provvedimenti adottati dal comune di Bologna per l’istituzione e l’organizzazione del servizio pubblico di mensa scolastica. Nel corpo delle motivazione la Corte, premesso che la materia di pubblici servizi è assegnata dalla legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, afferma espressamente che la tutela dei diritti fondamentali spetta al giudice amministrativo competente per territorio.
Di particolare interesse è la sentenza della Corte Costituzionale 27 aprile 2007, n.140, la quale ha affermato che il giudice amministrativo è in grado di offrire una tutela piena anche dei diritti soggettivi aventi rilevanza costituzionale eventualmente coinvolti nella funzione amministrativa. La pronuncia non ha ignorato l’orientamento delle Sezioni Unite che attribuivano la tutela dei diritti costituzionalmente protetti al giudice ordinario, osservando che tale strada poteva essere intrapresa solo ove si fosse in presenza di meri comportamenti della pubblica amministrazione, slegati da ogni attribuzione amministrativa. Ia Consulta ha così confermato le due precedenti pronunce del 2004 e del 2006.
Sulla questione in oggetto si registra anche una autorevole pronuncia del massimo Consesso amministrativo (Cons. Stato, Ad. Plen. N. 12 del 22 ottobre 2007) il quale, intervenendo in materia di accessione invertita esprime valutazioni critiche in ordine alla teoria della incomprimibilità dei diritti fondamentali. Il Giudice amministrativo definisce i predetti diritti come situazioni soggettive a “nucleo rigido” che a differenza di quelle a “nucleo variabile” sarebbero incomprimibili ma ha concluso osservando che “riconosciuta al giudice amministrativo piena dignità di giudice, e tenuto conto della compiuta effettività della sua tutela … non si vede la ragione perché le regole di discriminazione della giurisdizione debbano essere, a fronte dei diritti c.d. a nucleo rigido sovvertite sulla sottesa pretesa di una minore incisività della giurisdizione amministrativa”.
La soluzione adottata dal Consiglio di giustizia amministrativa si pone in aderenza ai principi espressi dalle più volte citate sentenze costituzionali, confermando il principio espresso dall’art. 103 Cost. che assegna al giudice ordinario la tutela dei diritti e al giudice amministrativo quella degli interessi legittimi.
Tale soluzione rispecchia una logica interna al nostro sistema di tutele, atteso che la valutazione del giudice amministrativo deve essere effettuata non solo alla stregua degli interessi individuali, bensì considerando il ben più vasto raggio di azione degli interessi della collettività.
Se così è, il giudice amministrativo ha tutti gli strumenti per dare piena tutela alla pretesa violazione di un diritto fondamentale, considerato che, oltre alla tutela demolitoria (che si sostanzia nell’annullamento dell’atto), potrebbe condannare la pubblica amministrazione a risarcire l’eventuale danno derivante dalla lesione del diritto.
Infine non potrebbe escludersi la condanna della pubblica amministrazione ad un “facere specifico” con il solo limite della non sostituibilità della stessa nella emissione del nuovo provvedimento; tale potere del giudice amministrativo troverebbe una giustificazione nella rilevanza delle posizioni giuridiche dedotte in giudizio. Da ultimo occorre citare una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. 5.3.2010, n.5290), la quale – investita della questione di giurisdizione in ordine alla violazione del diritto di proprietà e del diritto alla salute – mostra di non aderire alla tesi della indegradabilità dei diritti fondamentali. Più nel dettaglio, il caso riguardava la realizzazione di un impianto di depurazione, regolarmente approvato dalla Comunità montana, distante pochi metri da una abitazione, i cui proprietari, asserendo che tale comportamento violava due diritti fondamentali (salute e proprietà), sostenevano che la pubblica amministrazione avesse agito in carenza assoluta di potere, atteso che i predetti diritti, protetti dalla Costituzione, non fossero degradabili e quindi appartenessero alla cognizione esclusiva del giudice ordinario.
La Corte suprema ha evidenziato come il g. a. abbia acquisito sempre maggiori poteri cognitori che gli consentono di offrire piena e completa tutela alla lamentata lesione dei diritti fondamentali.
6. I nuovi interventi legislativi.
Nei recenti interventi legislativi in materia di diritti incomprimibili il legislatore ha mostrato un certo favore per la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Si può, ad esempio, segnalare l’art. 41 della legge 23 luglio 2009, n. 99 in materia di impianti di generazione di energia elettrica. Questa norma ha attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo l’impugnazione dei provvedimenti concernenti la produzione di energia elettrica. Sullo stesso solco si colloca il d.l. 23 maggio 2008, n. 90, che ha attribuito alla stessa giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di gestione di rifiuti “anche quando vengano in rilievo diritti soggettivi costituzionalmente garantiti”. Si discute se queste norme diano o meno attuazione a quei principi stabiliti dalle sentenze 204/04 e 191/06 della Corte Costituzionale, ovvero se, non si stia riproponendo una legislazione che attribuisce ad un organo giurisdizionale interi “blocchi di materie”, indipendentemente dalla verifica circa la spendita di un potere da parte della pubblica amministrazione L’intento del legislatore sembra quello di concentrare la tutela in capo ad unico organo giurisdizionale, specie in quei settori ove si presenta uno stretto legame tra le posizioni dei singoli e quelle della collettività (sanità, salute, ambiente salubre). Tuttavia, anche se l’intento del legislatore può essere condivisibile, occorrerebbe sempre verificare se l’attribuzione di giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo sia rispettosa dei principi tracciati dalle sentenze della Corte Costituzionale.
Sul tema è importate segnalare una recente pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Sez. IV, 18 marzo 2010, cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08) sul rispetto da parte della normativa nazionale istitutiva dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni (legge 31 luglio 1997, n. 249) dei principi comunitari di equivalenza e di effettività della tutela giurisdizionale, considerato che la predetta legge nazionale prevede un tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale come condizione di procedibilità per la proposizione dei ricorsi giurisdizionali. Nella fattispecie il giudice comunitario ha ritenuto che la legge sottoposta al suo esame sia conforme ai principi dell’ordinamento europeo. Per quel che riguarda l’argomento in esame, sembra importante richiamare una affermazione contenuta nella predetta sentenza ove si stabilisce che i diritti fondamentali “… non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni a condizione che queste rispondano ad obiettivi di carattere generale …”. Quanto sopra affermato pare confermare la tesi che i diritti fondamentali possono essere limitati o compressi (i. e. degradati) qualora vengano in rilievo interessi di carattere generale.
7. Conclusioni.
Il percorso tracciato consente di formulare alcune conclusioni sulla teoria della indegradabilità dei diritti soggettivi aventi rilievo costituzionale. Innanzitutto si può certamente affermare che possono essere individuati nel nostro ordinamento taluni diritti, aventi rilievo costituzionale, che si pongono a tutela di valori particolarmente rilevanti quali la salute, l’integrità della persona e la difesa delle minoranze. Tali diritti, tuttavia, allorquando sono incisi dal potere della pubblica amministrazione, assumono le forme di veri e propri interessi legittimi soggiacendo al relativo regime. Quanto affermato trova una importante giustificazione di ordine sistematico atteso che i diritti in parola operano in settori nevralgici della società (ad es. sanità e ambiente), ove risulta preminente l’esigenza di salvaguardare non solo le istanze individuali, ma anche quelle sociali e collettive. Al cospetto dell’esercizio del potere della pubblica amministrazione (anche se illegittimo), trova quindi applicazione l’ordinario meccanismo di degradazione dei diritti soggettivi al rango di interessi legittimi, con la connessa devoluzione alla giurisdizione del giudice amministrativo. Infine, è stato evidenziato come sia errata la convinzione che il giudizio amministrativo fornisca una tutela minore rispetto a quello ordinario, in quanto alla luce delle recenti riforme sono stati attribuiti al giudice amministrativo poteri che vanno oltre la pronuncia di annullamento dell’atto impugnato. Inoltre, non può sottovalutarsi la efficacia della tutela cautelare che permette al giudice amministrativo di adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno, consentendo di effettuare un giudizio sul rapporto al fine di apprestare una tutela piena ed efficace.
Maurizio Trozzo
(Direttore amministrativo del TAR Sicilia, Catania)
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