I diritti umani: “Evoluzione storica e problemi critici”

1. PREMESSE GENERALI. – Le grandi cose a volte sono il frutto di piccoli gesti, di piccole ma indimenticabili imprese, come la rielaborazione di uno scritto sotto pressione. Si pensi alla dichiarazione di indipendenza stilata da Jefferson nel 1776, mediante il quale questi proclamava i diritti umani, ritenendo che tutti gli uomini fossero stati creati uguali e indipendenti. Tredici anni dopo, nel 1789, anche in Francia si avvertì l’esigenza di redigere una dichiarazione dei diritti quale proclamazione duratura dei diritti umani, esigenza che divenne sempre più forte a seguito della Rivoluzione francese. Il documento non menzionava il re, la nobiltà e la Chiesa, bensì presentava un continuo riferimento ai diritti naturali, quali diritti inalienabili e sacri dell’uomo e attribuiva la sovranità al popolo e non anche al re, dichiarando che tutti fossero uguali dinanzi alla legge. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino incarnò la promessa dei diritti umani universali. Ma per capire come siano comparsi, risulta fondamentale porre l’accento su un breve excursus storico-giuridico che aiuti a comprenderne significato e portata.

 

2. LA CENTRALITA’ DELLA PAROLA “DIRITTO”. – Nel corso dei decenni, le diverse e nuove esperienze individuali hanno favorito la nascita di nuovi concetti sociali e politici, come i diritti umani. Non a caso, si registra un’elevata quantità di materiale stampato sul significato della parola “diritto”, laddove la riflessione sulla natura del diritto ha una storia lunga e complicata. Ogni tentativo di definire questa parola conduce in un labirinto, più vasto di ogni altro simbolo nella storia del mondo. Al di là di ogni possibile ricostruzione dottrinale, il diritto appare nella sua dimensione di principale strumento e integrazione sociale. In tal senso, merita attenzione il pensiero di Hart, che nel tentativo di considerare il diritto nell’ambito degli atteggiamenti normativi dei consociati, lo qualifica in termini di unione tra norme primarie e norme secondarie. Le prime forniscono un modello di condotta e impongono degli obblighi; le seconde, invece, sono finalizzate a regolare specifici atti umani. Ma, come osserva Hart, l’insieme di norme primarie e secondarie non esaurisce l’ordinamento giuridico. Il motivo risiede nel fatto che il diritto presenta una struttura sostanzialmente aperta, capace di fronteggiare tutti quei casi particolari che non sono stati previsti dai sistemi normativi. Di certo, il “diritto” non può semplicemente significare quello che i funzionari fanno o i tribunali faranno, dato che è necessaria una legge per nominare un funzionario o istituire un tribunale. Pertanto, il termine diritto richiama immediatamente le parole legge e norma. Premesso che vi sono usi più tecnici e, da un certo punto di vista, anche più rigorosi, in base ai quali legge e norma designano oggetti non del tutto coincidenti, appare necessario evidenziare alcuni principi distintivi. Il diritto è un fatto o fenomeno creato dall’uomo e, per tale ragione, distingue la legge giuridica dalla legge naturale e scientifica. Il diritto naturale, infatti, si riferisce ad un fenomeno estraneo all’uomo, non creato dall’uomo. Di contro, la legge o norma giuridica è una pura creazione umana. D’altra parte quella giuridica non è l’unico tipo di norma creata dall’uomo; sono umane anche le norme della morale, del costume e dell’economia. Non a caso il costume, la morale e l’economia suggeriscono di tenere un comportamento, di fare o non fare qualcosa, di farla in un dato modo piuttosto che in un altro; e chi non accetta il suggerimento e si comporta in modo difforme dalla previsione, dovrà inevitabilmente subirne le conseguenze dannose. Ne discende che una legge, un codice, un intero sistema legislativo sono, a considerarli in sé e per sé, delle entità statiche; diversamente, il diritto è un’entità in continua evoluzione, caratterizzata dalla dinamicità, ovvero qualcosa che si muove rispetto a qualcosa che è fermo.

Non mancarono, inoltre, coloro che tendevano ad utilizzare il termine “diritti umani” per indicare quei valori, principi o idee di giustizia e di etica che presiedono o dovrebbero presiedere ad ogni assetto sociale e politico giusto ed equilibrato. Nonostante la presenza di una significativa e imprescindibile affinità tra i diritti umani e i valori di umanità e giustizia, non può negarsi che si tratta di due ambiti con caratteristiche differenti. La distinzione risiede nel seguente dato di fatto : “i diritti esistono nella misura in cui sussistono delle legittime pretese di attuazione nonché delle rivendicazioni, da parte di soggetti giuridici, giuridicamente e quindi coercitivamente sostenute dagli ordinamenti”.

Da un punto di vista storico, nel corso del XVIII secolo l’espressione diritti umani non era adoperata molto spesso, tant’è che prima del 1789 lo stesso Jefferson parlava di diritti naturali e cominciò ad usare l’espressione diritti dell’uomo solo dopo il 1789. Quando parlava di diritti umani intendeva qualcosa di più passivo e meno politico rispetto ai diritti dell’uomo, infatti utilizzò l’espressione accennando ai mali della tratta degli schiavi. In tale fase storica, l’espressione diritti umani, diritti del genere umano e diritti dell’umanità si rivelarono troppo generiche per avere un’utilità politica diretta. Non a caso gli inglesi preferivano utilizzare la formula diritti naturali o semplicemente diritti. Furono i francesi a coniare una nuova espressione, quale diritti dell’uomo. In particolare, in Francia l’utilizzo della formula diritti dell’uomo acquistò credito a seguito della pubblicazione dell’opera di Rousseau il “Contratto sociale”. Invero, l’autore non fornì una definizione dettagliata, ma, al contrario, tendeva ad utilizzarla insieme con diritti dell’umanità, diritti del cittadino e diritti di sovranità. La maggior parte di coloro che utilizzavano tale frase sosteneva che i diritti dell’uomo contenessero una affermazione di ovvietà, perché non richiedenti alcuna spiegazione o definizione e dunque ritenuti evidenti di per sé. Nonostante ciò, andò sviluppandosi un velo di ambiguità in ordine ad essi, a causa della loro intima connessione con la dimensione fisica e razionale ma anche e soprattutto con la prospettiva emotiva. Dunque, i diritti umani non sono solamente una dottrina formulata nei documenti. Più precisamente, essi dipendono da una propensione verso gli altri, da un insieme di convinzioni e di ideologie. Ecco che le tradizioni giuridiche devono avere un punto di rifermento emotivo interiore. Non a caso alla base dei diritti vi è l’autonomia individuale, in quanto non possono descriversi in via definitiva dal momento che il loro fondamento emotivo è in continua evoluzione. Dunque, la rivoluzione dei diritti umani è continua.

 

3. L’importanza storica della Dichiarazione dei diritti. – La consacrazione dei diritti umani e l’impegno a rispettare e tutelare la vita degli individui, la loro integrità fisica e la loro autodeterminazione sono cristallizzati dalle Costituzioni e dalle leggi fondamentali di quasi tutti i paesi del mondo. La costituzionalizzazione dei diritti e la loro connessione con le procedure democratiche, inducono a considerare due profili : l’effettività e l’universalità. Aspetti, questi ultimi, che hanno trovato piena e concreta realizzazione grazie alla stesura delle Dichiarazioni dei diritti umani, da tempo sottoscritte da moltissimi paesi.

Ma qual è l’intrinseco significato della parola “dichiarazione”? Originariamente, tale termine era utilizzato con riferimento ad un catalogo di terre concesse in cambio del giuramento di fedeltà ad un signore feudale. È nel corso del XVII secolo che il termine in questione cominciò ad essere sempre più usato per indicare le dichiarazioni pubbliche del sovrano, a dimostrazione di un intrinseco collegamento tra l’atto di dichiarazione e la sovranità. Verso la fine del ‘700 i termini carta, documento, petizione, disegno di legge apparivano sprovvisti di quella idoneità tanto richiesta e considerata di rilievo al fine di assolvere il compito di garantire e tutelare i diritti umani. Mentre il termine dichiarazione cominciò sempre più a riscuotere maggiori consensi, in quanto risultava avere un tono meno antiquato e remissivo.

A tal proposito non possono non riconoscersi la validità e l’importanza storica di tali documenti. In particolare, due modelli hanno rappresentato per molto tempo un punto di riferimento per la nascita e lo sviluppo di nuove prospettive, soprattutto in campo politico. Trattasi della Dichiarazione americana e di quella francese, rispettivamente risalenti al 1776 e al 1789. Queste ultime non si limitarono a dare atto delle trasformazioni intervenute nel periodo storico di riferimento, ma si spinsero oltre contribuendo al raggiungimento di nuovi equilibri. In territorio inglese si realizza il trasferimento dell’autorità dal re e dal Parlamento britannico verso una nuova forma di repubblica, mentre, con riferimento alla Francia, si assiste al passaggio da una monarchia assoluta ad una nazione e ai suoi rappresentanti.

A conclusione di tale paragrafo, si può senz’altro attribuire a tali dichiarazioni un merito: quello di aver ribaltato l’impostazione tradizionale incentrata prevalentemente sulla nozione di autorità. E proprio sulla scia di questa nuova prospettiva che i deputati intervennero col fine di istituire nuovi governi fondati sulla garanzia dei diritti universali. Il raggiungimento, in termini pratici, di tale obiettivo richiedeva il passaggio dal generale al particolare, atteso che la storia ha più volte dimostrato che i diritti presentano una loro logica intrinseca. Logica che potremmo definire rivoluzionaria. Logica che ha aperto nuove opportunità e soprattutto nuove prospettive di cambiamento.

 

4. Conclusioni : Diritto e società. – Non vi è alcun dubbio in merito al legame indissolubile intercorrente tra diritto e realtà sociale; difatti, non esiste società priva di organizzazione giuridica e, per converso, là dove c’è un’organizzazione giuridica vuol dire che siamo in presenza di una società. Di certo, la società più articolata e organizzata è rappresentata dallo Stato, atteso che quest’ultimo si configura come il massimo creatore del diritto. Ed è per tale ragione che l’ordinamento giuridico statuale costituisce la più massiccia manifestazione del fenomeno giuridico.

Non a caso, ha riscosso fortuna il principio enunciato nell’antico brocardo “ubi societas, ibi ius (ove c’è la società, ivi è il diritto). Vale la pena osservare che per esteso il motto in questione recita: “Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi homo, ibi ius”: esso congiungendo la socialità del diritto a quella dell’uomo, finisce col trasformare il giuridico in un carattere necessario dell’essere umano. Ne discende che, da un punto di vista cognitivo, l’ubi societas, ibi ius è molto più prezioso di quanto possa sembrare a prima vista. La dimensione sociale che contraddistingue il diritto presenta un risvolto ovvio, e cioè che non può darsi esperienza del giuridico in solitudine. Pertanto, si tratta di un fenomeno strettamente collegato alla naturale socialità. Più specificatamente, lo si può inquadrare tra quei fenomeni caratterizzanti la condizione naturale e la vicenda culturale della specie. Insomma, il diritto viene influenzato dal contesto ambientale in cui si trova ad operare e, a sua volta, lo influenza (la conversione di una convenzione sociale o di un valore morale in norma giuridica rafforza notevolmente entrambi, sotto un duplice profilo : quello della efficacia vincolante e quello simbolico).

 

Riferimenti bibliografici

ALFONSO CATANIA, “Definizioni del diritto”, Gentile editore, 1999;

A. CATANIA, Filosofia del diritto, Temi e Problemi, Ed. Gentile, 1999;

L. HUNT, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo, Roma-Bari, Laterza, 2010;

HART HERBERT L.A., “Il concetto di diritto”, a cura di Mario A. Cattaneo, Ed. Einaudi, 2002

Dott.ssa Stefanelli Eleonora

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