1. Le peculiarità delle obbligazioni naturali.
Tendenzialmente, quando pensiamo a fattispecie idonee a generare un rapporto giuridico fra due soggetti, debitore e creditore, facciamo riferimento ad ipotesi nelle quali alla base vi è un vincolo giuridico, avente ad oggetto una certa prestazione che il solvens è tenuto ad eseguire in vista del soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonché per perseguire il proprio, consistente nella liberazione da quella posizione di soggezione tipica delle obbligazioni. Tuttavia, pur permanendo le linee essenziali dell’obbligazione, caratterizzate da relatività e temporaneità del rapporto che lega i due soggetti protagonisti delle vicende in parola, sussistono ipotesi nelle quali è inesistente il vincolo giuridico alla base, basti pensare ai debiti di gioco. In particolare, il riferimento è alle obbligazioni naturali, ossia figure nelle quali il debitore è spinto ad assumere un certo contegno in vista del soddisfacimento della pretesa creditoria sulla base di doveri sociali o morali. Esse sono contemplate nell’art. 2034 c.c., peraltro già note nel codice civile del 1865, ove si rinviene la scelta del legislatore di comportarsi quale mero spettatore, limitandosi ad intervenire solamente in seguito allo spontaneo adempimento del solvens morale, mediante il meccanismo della soluti retentio. Infatti, si tratta di obbligazioni rispetto alle quali non è ammessa né azione, né coazione ma unicamente l’effetto di non ammettere ripetizione di quanto spontaneamente adempiuto in esecuzione di un dovere morale o sociale. Tale meccanismo, come già accennato, era previsto anche nel codice previgente ove, addirittura, era esteso al pagamento di interessi ultralegali, anch’essi ricondotti, dunque, al novero delle obbligazioni naturali. Peraltro, circa questi ultimi, la giurisprudenza è tutt’oggi favorevole a mantenere lo schema tradizionale, purché si tratti di somme non eccedenti i limiti del lecito e che essi non siano inerenti a rapporti di conto corrente bancario, predisposti in via unilaterale dall’istituto di credito, senza alcuna informazione fornita al cliente.
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2. Il significato da attribuire allo “spontaneo adempimento”.
Posto che l’art. 2034 c.c. parla di “spontaneo adempimento”, la dottrina a lungo si è interrogata in ordine al significato da attribuirsi a tale riferimento. Taluni avevano ritenuto opportuno ricondurlo allo schema negoziale, sostenendo che esso, non trovando la propria fonte in un dovere giuridico, si traducesse in un atto di disposizione patrimoniale, ossia un atto di autonomia negoziale richiamando, a conferma della propria impostazione, la circostanza che la norma facesse riferimento alla capacità del debitore quale requisito per l’operare della soluti retentio. La dottrina dominante, invece, affermava che si trattasse pur sempre di un atto di adempimento, ancorchè ancorato ad un vincolo morale o sociale, giacché atto estintivo di un dovere. Di tal guisa, la richiesta capacità del soggetto passivo del rapporto era considerata espressione di un principio di autoresponsabilità, onde far sì che colui che esegue la prestazione sia consapevole dell’entità dell’atto che sta compiendo. Il dibattito fra le due tesi sopra esposte assume pregnante rilievo nelle ipotesi nelle quali il debitore erroneamente abbia ritenuto di adempiere ad un dovere giuridico. Infatti, i fautori della teoria negoziale ritenevano annullabile l’adempimento eseguito dal debitore incorso in errore, riversandosi sull’atto di autonomia negoziale, purché essenziale e riconoscibile dall’altro contraente (vale a dire il creditore), ai sensi dell’art. 1428 c.c. Viceversa, secondo l’impostazione dell’autoresponsabilità, l’errore sarebbe stato irrilevante, specie nei casi di colpa del debitore.
3. Gli effetti delle obbligazioni naturali.
Altro aspetto che in passato ha focalizzato l’attenzione degli interpreti è quello relativo a quali possibili effetti riconoscersi alle obbligazioni naturali. Secondo taluno, oltre alla irrepetibilità, esse potevano formare oggetto di novazione o compensazione. Alla base di una simile idea si poneva l’idoneità dell’adempimento spontaneo a configurare giusta causa dell’attribuzione patrimoniale che si realizza, col suo adempimento, a favore del creditore. Tuttavia, laddove in tema di novazione l’art. 1234 c.c. prevede che “la novazione è senza effetto se non esisteva l’obbligazione originaria”, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la sua estinzione per novazione o compensazione, sulla base della circostanza che l’obbligazione naturale acquista esistenza giuridica solo a partire dal momento dello spontaneo adempimento, così che essa non può produrre altro effetto al di fuori della soluti retentio.
4. La dumplice anima dell’art. 2034 c.c.
Dalla lettura dell’art. 2034 c.c., nel quale di obbligazione naturale si parla solo nel titolo, emerge una duplice strutturazione della disposizione. Infatti, al I comma viene fatto riferimento ai doveri morali e sociali mentre, al II comma, oltre a quelli morali e sociali, viene altresì fatto richiamo “ad ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione”. Una simile scelta legislativa ha portato parte della dottrina a contestare la omogeneità delle due vicende, concludendo che solo i doveri di cui al I comma fossero fonte di vere e proprie obbligazioni naturali mentre, quelli del comma successivo, ipotesi equiparate alle obbligazioni naturali solo quod effectum ma non quod substantiam. A sostegno di questa impostazione veniva evocata la fattispecie del pagamento di un debito prescritto di cui all’art. 2940 c.c. circa il quale, appunto, la legge esclude la ripetizione. Al riguardo, però, è opportuno riflettere su tale figura, prendendo le mosse dalla prescrizione. Essa è un modo di estinzione del diritto dovuto al non utilizzo da parte del suo titolare per protratto periodo di tempo. Il nostro Ordinamento giuridico ne riconosce il rilevo solo su eccezione di parte, non essendo rilevabile d’ufficio ad opera del Giudice. Ciò significa che il creditore, pur a fronte dell’intervenuta prescrizione, potrebbe agire in giudizio per chiedere la condanna all’adempimento del debitore e, ove quest’ultimo non sollevi l’eccezione di intervenuta prescrizione, il giudicante lo condannerebbe ad adempiere.
5. Il pagamento di un debito prescritto configura obbligazione naturale?
Tuttavia, le obbligazioni naturali non ammettono altro effetto oltre a quello della soluti retempio, talchè non è ammessa azione di adempimento verso di esse. Proprio sulla base di tale analisi, la dottrina è pervenuta ad evidenziare la discrepanza tra pagamento di un debito prescritto ed obbligazioni naturali, valorizzando anche la circostanza che nell’art. 2940 c.c. non si rinviene quella richiesta capacità del debitore come viceversa accade nell’art. 2034 c.c. sul punto, coloro i quali ritengono che il debito una volta prescritto si trasformi in obbligazione naturale, tuttavia, giustificano questa differenza sul presupposto che vi sarebbe una sorta di presunzione di perdurante capacità in capo al solvens ove, sussistendo al momento della nascita del vincolo obbligatorio, si manterrebbe anche nella eventuale vicenda successiva. D’altro lato, ancora a corroborare la tesi della differenza tra l’art. 2940 c.c. e l’obbligazione naturale, la dottrina più attenta pone in luce come le due figure abbiano un’essenza distinta, ossia l’idoneità delle obbligazioni naturali a fungere da causa solvendi ma non come causa obligandi mentre il debito prescritto mantiene una propria causa obligandi, potendo essere soggetto a rinuncia successiva da parte del debitore.
6. La rilevanza di un eventuale adempimento del terzo.
Ancora con riguardo all’art. 2034 c.c., si è posto la problematica di capire se sia ipotizzabile o meno l’adempimento di un’obbligazione naturale da parte del terzo anziché del debitore. Parte degli interpreti ha dato soluzione positiva all’interrogativo, muovendosi sulla circostanza che l’art. 1180 c.c. non sembra richiedere l’esistenza di una pretesa giuridicamente azionabile ad esigere la prestazione ma, al più, la mera facoltà di ricevere la prestazione ed il potere di compierla. Di tal guisa, essi sostengono la piena ammissibilità di un adempimento del terzo circa un’obbligazione naturale. La dottrina maggioritaria, invece, ha smentito una tale configurazione, focalizzando il dibattito su quello “spontaneo adempimento” richiamato dalla norma. Laddove immaginare un adempimento spontaneo da parte del terzo significherebbe, oltre che la consapevolezza dello stesso di adempiere ad un’obbligazione altrui, anche che il medesimo sia mosso ad eseguire la prestazione in virtù di un dovere morale o sociale che, a sua volta, ha nei confronti del debitore naturale; ipotesi difficile da vagliare che depone nel senso della sostanziale inammissibilità di un simile meccanismo.
7. Il (non facile confine) fra obbligazione naturale ed atto di liberalità.
Inoltre, occorre soffermarci sulla distinzione fra obbligazione naturale ed atti di liberalità. Infatti, gli stessi doveri morali e/o sociali che sorreggono l’attribuzione patrimoniale nelle ipotesi ex art. 2034 c.c. potrebbero parimenti atteggiarsi a causa di liberalità che sorregge la donazione, soprattutto quella cosiddetta “indiretta”. Inquadrare una vicenda come donazione (id est indiretta) piuttosto che come obbligazione naturale assume grande rilievo pratico allorquando si profilano ipotesi di nullità per omesso rispetto della forma ad substantiam, nonché l’apertura a diversi effetti alle rispettive figure (si pensi, ad esempio, alla possibile revoca ammessa per la donazione nel caso di sopravvenienza di figli od ingratitudine del beneficiario). Dopo una prima fase di sostanziale incertezza nel panorama ermeneutico, sono stati rinvenuti parametri utili ai fini della distinzione da parte della Suprema Corte di Cassazione. In particolare, gli Ermellini hanno avuto modo di occuparsene in relazione agli spontanei adempimenti patrimoniali avvenuti nell’ambito di una convivenza more uxorio. La giurisprudenza ha evidenziato come, nel caso delle donazioni indirette, il legislatore stesso ha provveduto a selezionare i motivi non giuridici che vi fanno da giusta causa (la conformità agli usi circa le liberalità d’uso, la riconoscenza nell’ipotesi di donazione renumeratoria); circostanza questa non rinvenibile in ordine alle obbligazioni naturali, ove l’art. 2034 c.c. fa un generico riferimento a “doveri morali o sociali”. Da ciò, l’Organo nomofilattico ha affermato che l’elemento di discrimine fra le due fattispecie corre proprio sull’intensità del dovere non giuridico sottostante. In altre parole, l’obbligazione naturale si differenzia dalla donazione indiretta per la particolare intensità del dovere che la qualifica; dovendo tradursi in una giusta causa per così dire “qualificata” da un punto di vista del rilievo, essa deve corrispondere ad un requisito di proporzionalità. Alla luce di un tale ragionamento, è stata riportata fra le obbligazioni naturali quell’attribuzione avvenuta nell’ambito della famiglia di fatto che risulti essere equa rispetto al complessivo contesto di riferimento; in assenza di detta proporzionalità la prestazione deve essere letta alla stregua di donazione, come tale non soggetta all’operare della soluti retentio ed affetta da nullità in mancanza di forma solenne. In ogni caso, essendo la proporzionalità un criterio di valutazione empirico, spetterà al Giudice adito di volta in volta valutare la vicenda per ricondurla all’una piuttosto che all’altra figura, in un panorama che vi fa da sfondo (quello dei doveri morali, sociali, etici..) assai vago ed indeterminato, oltre che indissolubilmente legato alla coscienza collettiva del tempo considerato.
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