I dubbi normativi del d.l. 78/2010 in merito ai principi della costituzione italiana e il (non) caso del Tribunale di Taranto sulla questione

La riscossione concentrata non è incostituzionale?

La questione nasce dal ricorso di un contribuente proposto sulla scorta della venuta a conoscenza debitoria per il tramite degli ormai famosi estratti di ruolo (quest’ultimi consegnati dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione).

Si badi subito che il ricorrente non impugnava gli estratti di ruolo (contrariamente all’assunto giudiziale), bensì gli atti esattoriali richiamati nei predetti prospetti informativi dell’Agente riscossore.

Con la sentenza n. 3124/2019 il Tribunale di Taranto, in parziale accoglimento delle ragioni del contribuente, ha di fatto non condiviso (quindi con rigetto implicito) una contestazione, particolare, spiegata nei motivi di ricorso e collegata al diritto riscossivo.

La contestazione riguardava precisamente il capitolo titolato “INTERVENUTA DECADENZA DALLA ESECUZIONE FORZATA E RELATIVA PRETESA PER I DEBITI EVENTUALMENTE SORTI EX ART. 30 COMMA 11 D.L. 78/2010, NEL PERIODO DI SUA VIGENZA NORMATIVA, ED INCOSTITUZIONALITÀ DERIVATA RISPETTO ALL’ART. 29 D.L. 78/2010”.

Sul punto il Tribunale ha motivato il rigetto affermando che “Anche tale eccezione è da ritenersi infondata.  Come correttamente e condivisibilmente rilevato da AGER, e sulla base del dato normativo, va considerato quanto segue. La nuova procedura di concentrazione della riscossione nell’avviso di accertamento (che prevede, dunque, il superamento del ruolo esattoriale e della cartella di pagamento, rispetto all’attività di controllo sostanziale, e l’attribuzione allo stesso avviso di accertamento della funzione di titolo esecutivo), è stata introdotta dall’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122) con l’obiettivo dichiarato di semplificare e velocizzare la riscossione ed è contenuta e riguarda unicamente gli avvisi di accertamento concernenti le imposte dirette e l’IVA, nonché i connessi provvedimenti di irrogazione delle sanzioni, emessi dal 1° ottobre 2011 e relativi ai periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2007 e successivi, sono esecutivi decorsi sessanta giorni dalla notifica. La disciplina in esame è stata successivamente rivista a mezzo di un nuovo decreto, il cd. Decreto Sviluppo (D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011, n. 106) e poi ancora, recentemente, dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla Legge 15 luglio 2011, n. 111 che… (* interruzione in bianco della sentenza).

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Poiché nel caso che qui occupa la contestazione attiene a crediti di lavoro l’eccezione di decadenza per violazione della norma su richiamata risulta prima face afferente questioni completamente diverse fra loro”.

Sorvolando, in questa sede, relativamente alla frase interrotta e non completata dal giudice del Tribunale ionico, occorre rimarcare che la contestazione del contribuente riguardava la decadenza riscossiva di cui all’art. 30, co. 11, D.L. 78/2010 nonché la sopraggiunta incostituzionalità della norma stessa poiché in palese disparità di trattamento con altra norma (l’art. 29) dovuta all’abrogazione parziale successiva.

In base all’assunto giudiziale parrebbe rilevare la scarsa dimestichezza del difensore del contribuente con la materia accertativo-esattoriale di cui al D.L. 78/2010; tuttavia basti leggere il titolo della contestazione promossa dal ricorrente per rendersi conto che la questione è totalmente un’altra rispetto a quanto (non) valutato dal Giudice ionico.

L’oggetto è propriamente l’art. 30 del D.L. 78/2010 e non già l’art. 29 della stessa norma; quest’ultimo articolo di legge preso in comparazione dal ricorrente al solo fine di far emergere una disparità di trattamento tra contribuenti di natura previdenziale e contribuenti di natura tributaria.

Infatti, nel ricorso del contribuente, il motivo di contestazione è espressamente formulato nei termini di cui appresso: L’art. 30, co. 11, DL 78/2010, prima della sua abrogazione ad opera della legge 112/2010, recitava che l’espropriazione forzata ai sensi dell’art. 49 del DPR 602/73 dovesse essere effettuata a pena di decadenza entro il 31 dicembre del secondo anno successivo all’anno in cui l’accertamento era divenuto definitivo.

Detta norma è rimasta in vigore sino al luglio 2010 sicché tutto ciò geneticamente generatosi in quel periodo è soggetto rationae temporis alla decadenza di cui sopra.

Tuttavia la norma di abrogazione 112/2010 ha di fatto reso incostituzionale la stessa in confronto all’art. 29 poiché trattasi di relegare a due forme diverse di finalità del “potenziamento della riscossione” (vedasi incipit dell’artt. 29 e 30 DL 78/2010) i procedimenti di accertamento esecutivo.

L’Art. 29, co. 1 lett. b) ult. Periodo, DL 78/2010 recita “L’agente della riscossione, con raccomandata semplice o posta elettronica, informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione” .

Tale attività informativa, necessaria e prodromica per rispettare il patrimonio del cittadino (secondo la Cost. ed ex art. 1 del Prot. add. CEDU di Parigi del 1957) nonché la trasparenza amministrativa enunciata nello Statuto del contribuente, non v’è nell’art. 30 de quo.

Non solo!

Il non aver previsto anche per la riscossione previdenziale un atto transitorio e di trasmigrazione della pretesa tramite atto esecutivo (ex art. 30 D.L. 78/2010) di fatto non mette in condizioni il contribuente o comunque il cittadino di conoscere effettivamente an et quantum iscritto nell’elenco di ruolo. Se il cittadino viene espropriato (con forza non diversamente non resistibile in termini defensionali) del diritto alla conoscenza effettiva dello stato del procedimento amministrativo a suo carico sin dalla sua nascita e per tutte le fasi del predetto iter, si lede la sfera di difesa e contradditorio endo-procedimentale generalizzato ed inviolabile sancito dall’art. 41 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’Uomo Europea; quest’ultimo, titolato dagli Stati Membri contraenti Diritto ad una buona amministrazione” prescrive, infatti, che “Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione. Tale diritto comprende in particolare: il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio, il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale, l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni”.

Da tale ragionamento ne deriva che, per effetto del predetto esame normativo, sia evidente una disparità di trattamento ex art. 3 e 97 della Cost. stando al raccordo puntuale che può evincersi in termini di diritto sovranazionale e nazionale. Il Giudice italiano è anche (o soprattutto si potrebbe dire) un Giudice europeo e non può non far proprio, nel bagaglio valutativo giudiziale, l’insieme di norme comunitarie di superiore e diretta applicabilità interna nazionale alla luce del riconoscimento Costituzionale vigente”.

Questi i fatti e le motivazioni di ricorso che hanno indotto il contribuente a denunciare la evidente disparità di trattamento normativa affinché il Tribunale di Taranto, nella fattispecie rimasto insensibile rispetto alla problematica prospettata, sollevasse opportunamente la questione innanzi la Corte Costituzionale al fine di ottenere un decisum sul caso.

Dalla lettura della sentenza, però, si percepisce altro: la decisione non pare affetta da insensibilità giuridica sul punto, piuttosto pare essere oggettivamente una decisione di smarcamento o c.d. “a dribbling” che, quindi, rende monco totalmente il provvedimento di parte motivazionale puntuale.

La motivazione dei provvedimenti giurisdizionali

Ebbene la Costituzione italiana all’art. 111, co. 5, enuncia espressamente il principio per il quale Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”.

Il riscontro è quanto mai oggettivo: il ricorrente, sollevando una questione legata alla diversa considerazione della qualità di contribuente da parte del legislatore (differenza tra art. 29 ed art. 30 del D.L. 78/2010, per l’appunto, pur trattandosi di eguale misura di concentrazione della riscossione quale elemento di genetica-giuridica della riforma posta in essere nel 2010 con successive modifiche), non ha fatto altro che chiedere al giudice di primo grado di sciogliere la matassa ed eventualmente, attinto da dubbi d’illegittimità, di far affidamento al lume interpretativo della Corte Costituzionale.

Dal caso trattato dal Tribunale tarantino emerge, comunque, una poco chiara logica giuridica di valutazione ed interpretazione normativa. D’altronde il giudice, forse concentrato più al merito della vicenda esattoriale, non ha colto interesse rispetto alla trattazione di un profilo d’incostituzionalità così determinante per la vicenda che per come proposto era specificamente teso a far emergere l’evidente disparità di trattamento del cittadino (tra materia previdenziale e tributaria).

Ovviamente può presumersi un certo imbarazzo giuridico sulla questione (non) trattata puntualmente dal Tribunale in campo previdenziale atteso che una eventuale dichiarazione d’incostituzionalità, avrebbe successivamente aperto la strada alla restituzione delle somme versate indebitamente (trattandosi di diritti soggettivi) da tutti i contribuenti nel caso di piena decadenza riscossiva rationae temporis derivante dalla normativa.

Rimane il fatto che, al netto del commento sentenziale in esame, il problema rimane irrisolto con l’effetto che la Costituzione italiana cerca ancora una volta di rendersi viva in un mondo giuridico sempre più paludare.

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Angelo Lucarella

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